MiscellaneaStoria locale

Caro Virginio, ti scrivo… (2018)

 

Introduzione

Caro Virginio, lentamente, familiari parenti e amici stiamo elaborando il vuoto e il dolore provocati dalla tua dipartita, e dare un senso ad un evento, al quale non si è mai sufficientemente preparati, nonostante “tutto dalla notte dei tempi ci dica che la morte è un fatto naturale, si accompagna alla vita e nessuno è esentato”.

Nel frattempo, per tentare di sciogliere un “grumo” di pianto bloccato tra petto e gola, sento il bisogno di scriverti, riflettendo sulla nostra vita (provata ma combattiva), vissuta sempre “in prima linea”, e sulle parole e le testimonianze, raccolte con amore da tua moglie Osanna, di tutti quelli che ti hanno voluto bene ed hanno avuto la fortuna di condividere con te qualcosa del cammino terreno…

La notizia della tua morte è arrivata improvvisa, impensabile, inaspettata. L’impossibilità di raggiungerti ha acuito il già profondo dolore. Solo la scrittura, a ricordo di una grande lunga e sincera fraterna amicizia, mi ha permesso di starti vicino nel tuo viaggio solitario e difficile agli umani da decifrare:

<<Caro Virginio, amico e fratello mio, scusami se non sono presente fisicamente per dirti “a rivederci”. Solo il mio fisico è assente, il cuore e la mente sono davanti a te, quel cuore e quella mente, che abbiamo cercato di educare fin da quando, timidi ma orgogliosi e agguerriti, sedevamo compagni di banco in quel lungo percorso, finalizzato al riscatto personale e a meglio orientarci tra le coordinate di una società complicata…

Come Salomone, nel Primo Libro dei Re, ha chiesto a Dio in dono un “cuore saggio”, anche noi, ai nostri percorsi, non chiedevamo “una lunga vita, né le ricchezze, né la morte dei nostri nemici” ma “un cuore intelligente”, che ci facesse essere giusti e aiu-tarci a distinguere il bene dal male… Ed allevare e far crescere un “cuore intelligente” è diventato, in ogni nostro atto educativo e in ogni ricerca interiore, motivazione e finalità, l’alfa e l’omega, il noumeno e il santo Graal, metodo forma e contenuto.

Caro Virginio, ho aperto lo scrigno dei ricordi, rotolato tra le macerie che la ferale notizia ha provocato nel mio animo e le lacrime cominciano a trasformarsi in riflessioni e immagini di un viaggio comune e di condivisione, irto di difficoltà e di momenti difficili, continuamente instabile negli equilibri raggiunti, costellato di continue discese agli Inferi (katàbasis) e salite al cielo (anàbasis), incerti a volte sulle orme da seguire e su quelle da lasciare, ma con la convinzione che il viaggio andava fatto fino in fondo e in profondità, con senso, dignità e per “debellar tirannide, sofismi e ipocrisia”.

Nel commentare spesso insieme il verso aureo “in ogni cosa il meglio è la misura”, aggiungevi sempre, con convinzione e passione, “mai prima però di aver soddisfatto il bisogno di giustizia e libertà”, e mai prima di aver dato il nostro contributo (anche modesto) a migliorare le condizioni delle nostre comunità, mortificate nella bellezza e nella cultura nel tentativo improbo, ma possibile, di conciliare, sotto l’etica comune degli uomini di buona volontà, cristianesimo (“Guardate che nessuno renda ad alcuno male per male, anzi cercate sempre il bene gli uni degli altri e quello di tutti!”) e comunismo (“Noi ci battiamo per una società che sia il momento più alto dello sviluppo di tutte le conquiste democratiche e che garantiscono il rispetto di tutte le libertà individuali e collettive, delle libertà religiose e della libertà della cultura, dell’arte e delle scienze”).

Caro Virginio, ogni incontro con te, diventava per me un motivo di arricchimento culturale e di godimento spirituale, un’occasione per spostare in avanti limiti e orizzonti; un invito a trasformare le indignazioni vecchie e nuove in atteggiamenti propositivi; uno stimolo in più per lottare contro l’uso facile della “parola”, intesa non sempre come ancella al servizio della verità ma come prostituta al servizio dell’interesse e della convenienza; una necessità per combattere e impedire alle ambizioni sfrenate, agli egoismi e agli opportunismi la possibilità di relegare in un angolo meriti, competenze, correttezze ed onestà, ed evitare così l’attualizzazione di quanto amaramente affermava Corrado Alvaro, che la disperazione più grande che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere rettamente sia inutile.

Caro Virginio, so della tua manìa su logica e stile, per cui ti chiedo scusa per imperfezioni semantiche e stilistiche, giustificate però, in questo momento, da mancanza di serenità e lucidità. Ciao, mio grande amico e fratello.>>

 

Lettera ad Osanna e familiari

Caro Virginio, la ferale notizia ha svuotato la mia mente di ogni altro pensiero, diventato banale, per concentrarsi sulla tua immagine e la tua storia umana, senza però dimenticare il dolore dei tuoi familiari, ai quali ho sentito la necessità di indirizzare alcune parole di condivisione:

<<Carissima Osanna, (carissime Vera e Dora, cara Aurelia e fratelli tutti), ogni commemorazione o ricordo di chi ci ha preceduto è sempre un atto d’amore e di fede nei principi della condivisione e della reciprocità, i soli che rendono possibile la dilatazione dei concetti di spazio e di tempo, per chi, cattolico o non, religioso o laico, crede nell’immortalità dell’anima e considera la morte come semplice passaggio o rinascita, rifuggendo dal rappresentarla soltanto come una proiezione delle nostre aspettative o scudo delle nostre fragilità, e rifiutando l’idea materialista per la quale tutto finisce assieme al corpo.

E quando ogni volta che, come in questo momento, ci si riunisce in nome dei nostri morti, ogni volta che li sentiamo nei nostri cuori, ogni volta che li ricordiamo nelle nostre conversazioni e preghiere, ogni volta che la loro vita è modello ed esempio per figli parenti e amici, con loro si forma una catena d’amore, che ha il significato della continuazione di un impegno al quale loro partecipano in modo diverso, trasferendo in noi, con un diverso linguaggio, l’impulso ad operare bene e a migliorarci. E’ una catena che è spezzata solo nella forma e nei rapporti fisici, ma nella sostanza è sempre salda e rappresenta la continuità di ideali, di sentimenti e di valori ereditati, che con com-mozione e convinzione possiamo trasmettere anche a quelli che verranno dopo di noi.

Soprattutto quando si discorre di persone che con il loro contributo,in nome di un’idea nobile, hanno cercato di rendere grande la comunità e il territorio in cui hanno operato, creando le condizioni perché sopravviva e diventi stimolo il loro esempio di vita, l’eredità delle loro virtù, dei loro limiti umani, della loro amicizia, della via giusta che essi hanno percorso, e attualizzando i significativi versi di un grande poeta (U.Foscolo, caro anche a Virginio): A egregie cose il forte animo accendono l’urne de’ forti.

E Virginio senz’altro appartiene a questa nobile categoria: è stato un grande uomo, dal temperamento forte (anche se a volte spigoloso), innamorato della dialettica e del pensiero costruttivo, elogiato da tutti per l’alto senso etico che ha sempre contraddistinto ogni momento della sua vita.

Nei suoi percorsi alla ricerca del vero, del giusto, della virtù, della conoscenza e della consapevolezza, Virginio ha sempre assunto un atteggiamento da uomo libero, a volte di sana e giusta insofferenza, mai ha sofferto della “sindrome del ginocchio flesso”, ha sempre ridotto al minimo le occasioni di compromesso.

In ambienti, dove è difficile e a volte anche inutile portare avanti iniziative di promozione umana e culturale o di riscatto morale e civile, ha provato sempre (e sempre fiducioso nelle “possibilità” dell’uomo), di dare il suo contributo per l’educazione di vecchie e nuove generazioni, pur scontrandosi quotidianamente con ostacoli di ogni genere e amarezze continue.

Ha sparso a piene mani semi di passione e d’impegno in comunità difficili; rimane la speranza e l’augurio che almeno alcuni possano attecchire, germogliare e crescere. A tutti quelli che l’hanno conosciuto ha lasciato centinaia di particolari ricordi personali e collettivi, ma soprattutto la testimonianza di una vita spesa al servizio dei valori etici e nell’impegno sociale e politico, e in eredità una piccola fiammella per far luce e per dare calore al pensiero, con la tacita raccomandazione di alimentarla di continuo e, possibilmente, arricchirla e valorizzarla, considerato che i venti dell’ignoranza e della cattiveria sono sempre in agguato e soffiano distruttivi.

Ora Virginio si trova nella città celeste, senza lacci e impedimenti, e certamente, dopo un breve periodo di adattamento, riprenderà con passione la sua attività usuale di amante e cultore del bello artistico e dello stile geometrico, per completare il percorso pitagorico del “Chi non sa quel che deve sapere, è un bruto fra i bruti; chi non sa più di quel che deve sapere, è uomo fra i bruti; ma chi sa tutto ciò che deve sapere, è un Dio fra gli uomini… ” Un forte abbraccio a tutti>>

 

Il rito di commiato

Caro Virginio, la precisione di Osanna ha dato significato e giusto senso al rito di commiato… La scelta delle preghiere e la cura degli interventi hanno creato la giusta attenzione e tensione, che il tuo percorso umano meritava:

<<Preghiera di Osanna – Signore, / Ti ringrazio / per il compagno di viaggio / che la Vita mi ha fatto incontrare. // Un piccolo astro, / brillava senza abbagliare. // Con poche parole, / scelte con cura, / indicava senza invadere. // Sincerità e chiarezza erano il suo distintivo. // Umile e discreto, / sapeva ascoltare e comprendere. // Intellettuale onesto / si occupava di qualsiasi argomento / senza chiusure o pregiudizi. // Mi ha lasciato un’eredità importante: Amare senza possedere. // Spero di esserne degna.>>

<<Preghiere dei fedeli – 1) Per il nostro fratello Virginio, che ha sempre cercato la giustizia, e ha fatto dei valori civili il suo ideale di vita, perché Tu lo accolga tra i puri di cuore, noi ti preghiamo 2) Per la moglie e le figlie. Perché dal bagaglio dei ricordi trovino l’energia necessaria per continuare nella strada che insieme a lui avevano cominciato a percorrere, noi ti preghiamo 3) Per i fratelli, perché trovino la forza di continuare a sentirsi e a ricercarsi come famiglia, realizzando l’unità che a lui stava tanto a cuore, noi ti preghiamo 4) Per noi qui presenti, perché dall’esempio di un uomo pacato onesto coraggioso nel difendere ideali preziosi, ricaviamo il modo di viverli nella quotidianità, noi ti preghiamo>>

<<Saluto di Dora – Caro papà, io non lo so se adesso mi puoi sentire,ma ho alcune cose da dirti. Se anche non mi senti, sei sempre stato acuto e intelligente e quindi, forse, le sensazioni e o pensieri che sto scoprendo in me in questi giorni, tu li conosci già.

Ci hai insegnato tante tante cose, a me e a Vera, solo con l’esempio: i comportamenti corretti, l’onestà, il soffermarsi a ragionare non ci sono stati impartiti come dettami ma insegnati nella praticità delle cose quotidiane.

Ti sei preso cura di noi nella nostra crescita e della mamma nei momenti più duri in cui ti sei dimostrato una vera e propria ancora.

Eri tanto orgoglioso dei successi miei e di Vera:del suo lavoro di prestigio in Germania, della sua bellissima unione con Gerald, della mia entrata in ruolo, di me e Thomas.

Ci siamo scontrati spesso, io e te, forse perché abbiamo lo stesso carattere. Dico sempre a tutti che sei un orso, e che ti assomiglio.

Negli ultimi anni, sono contenta, ho potuto capire delle cose di te, che non sapevo.

Ti ho sempre visto severo e a volte freddo e solo col tempo ho capito che eri invece desideroso di attenzioni e, a modo tuo, affettuoso.

Non so quanti abbiano capito che quel tuo voler controllare tutto era il tuo modo di stare vicino alle persone: credo alcuni abbiano pensato che tu volessi farti gli affari loro, e invece era il tuo modo di avere cura degli altri.

Ti prendevo in giro perché quando dicevamo che non facevi abbastanza movimento, rispondevi che il bridge è una disciplina olimpica.

L’ ultima cosa che ho imparato da te purtroppo costa cara…

Te ne sei andato all’ improvviso, ancora non ci credo, e ho capito quanto siamo fragili e quanto è prezioso il tempo che ci è concesso con le persone care.>>

<<Saluto di Vera – Caro papà, perdona se lo stile di queste due righe, scritte in una giornata un po’ burrascosa, tra le lacrime e la mano tremante, non è perfetto.

Ma del resto quello bravo con le parole eri tu. E sono sicura che capirai.

Non voglio dilungarmi, come mi hai insegnato tu tante parole non servono.

Ci hai lasciato in eredità tante cose: la generosità disinteressata, il non aver pregiudizi nei confronti di niente e nessuno, il saper riconoscere ciò che nella vita conta davvero.

Hai sempre incoraggiato le scelte mie e di Dora; e ora che ci penso non ci hai mai rinfacciato nulla. Credo che sia ciò che si chiama amore paterno.

Nonostante alcune differenze caratteriali (o forse erano similitudini?) riuscivi a capire certe cose di me come nessun altro sa fare.

Ti devo fare però una piccola osservazione: tra i tanti libri che ci hai lasciato (e sono tanti…magari un giorno per curiosità li conto), non ce n’è uno che ci spieghi come affrontare questa situazione. Ma vedrai che ce la faremo, anche se ci toccherà procedere per tentativi ed errori.>>

<<Saluto di un nipote (2 marzo 2018) – Caro zio Virginio, un piccolo pensiero per condividere quello che tu lasci alla tua famiglia.

Sei nato nella semplicità della terra, ma questo non ha fermato il tuo desiderio di sapere.

Bambino, per poter studiare, hai dovuto lasciare la tua famiglia, nei momenti di maggiore bisogno di affetto.

Sei stato il punto di riferimento intellettuale dei tuoi cari: adolescente, approfittavi del tuo momento di studio serale per allietare i genitori e i fratelli bambini con la lettura de “I Promessi Sposi”, a lume di lampada a petrolio.

Hai iniziato i tuoi fratelli all’amore per la cultura, condividendo le novità intellettuali e stimolando alla conoscenza.

La famiglia e l’attaccamento alla propria terra sono stati valori cardine di tutta la tua vita: anche se le vicissitudini hanno portato voi fratelli e sorelle lontani gli uni dagli altri, ciò non vi ha impedito di essere una famiglia unita: sei stato promotore di ritrovo, per tutti e ovunque. Ogni momento era un’occasione di convivialità e di condivisione: la tua casa era sempre aperta.

Ai tuoi nipoti lasci la convinzione che il sapere non è mai troppo e che ha molti colori e sfumature.

Sappiamo per certo che chiunque ti abbia conosciuto, ha conosciuto una persona di grande valore umano e spirituale.

Tu vivi con noi nel nostro ricordo.>>

 

La comunicazione ai Crotonesi

Caro Virginio, dopo qualche ora dalla terribile notizia, ho sentito l’urgenza di gridarla e condividerla con la città e gli amici, con lo strumento tradizionale del necrologio tramite stampa… Spontanea e facile l’elaborazione sintetica della tua personalità; laboriosa invece la scelta della foto, per rendere la giusta lettura dell’espressione del tuo corpo, specchio dell’anima e della mente:

<<Il Crotonese (8 marzo 2018) – Ha destato grande cordoglio la notizia dell’ improvvisa scomparsa del dirigente scolastico in pensione Virginio Lerose, morto, all’ età di 71 anni, mercoledì 28 febbraio 2018 all’Ospedale di Cittadella (Pd), dove era stato ricoverato a seguito di un malore / Originario di Crotone, dove aveva insegnato per diversi anni, dopo il superamento del concorso a preside del 1983, si era tra-sferito in Veneto, dove ha svolto con alta professionalità la funzione dirigenziale e di educatore / Legato alle proprie radici e innamorato della sua terra,ha mantenuto sem-pre affettuosi rapporti con amici e parenti, tornando a Crotone ogni anno per le ferie e le feste più importanti / Gli amici lo ricordano con affetto e sincero rimpianto>>

 

Il ricordo degli amici

Caro Virginio, tanti amici hanno voluto testimoniare, con naturale slancio, la stima che avevano della tua persona e l’affettuosa vicinanza alla tua famiglia:

<<Saluto di Valeria (amica di famiglia e testimone di nozze) – Cara Osanna, Vera e Dora, vi abbraccio forte e vi stringo al mio cuore.

Non ci sono parole che possano lenire il vostro e il mio dolore, ma sono sicura che la sua luce illuminerà sempre la vostra vita.

Mi sembra di vederlo lassù, seduto, con un libro in mano, che spiega a LUI le sue idee.

Vera e Dora, eravate il suo orgoglio e la sua gioia, e da lassù vi terrà ancora per mano nel percorso della vostra vita.

Osanna, tu sei sempre stata una grande donna e sicuramente lo sarai anche in questo triste momento.

Vi abbraccio tutti con tristezza, incredulità e amore infinito.

Aurelia cara, in questo doloroso momento sono vicina e te e ai tuoi fratelli. Sono incredula, non posso credere che sia tutto vero. Vorrei svegliarmi e pensare che sia un brutto sogno. Domani dai un bacio al mio caro compare. Coraggio, sii forte, purtroppo la vita è anche questa. Idealmente vicina, ti stringo al mio cuore.>>

<<Saluto del prof. Ennio Toniato (S. Giorgio in Bosco, 3-3-18) – Osanna carissima, so che non ci sono parole, pensieri… nulla che possa alleviare la tua sofferenza.

Non c’è che il silenzio e il profondo rispetto davanti al tuo dolore.

Desidero, tuttavia, dirti che ti siamo vicini, Vi siamo vicini, a te, Dora, Vera, ai vostri cari e a tutte le persone che soffrono perché hanno amato, amano e stimano Virginio.

Non ci resta che far vivere in noi le cose più belle che Lui ci ha donato: la sua umanità, il suo amore per il dovere, la sua pacatezza, la sua allegria, la visione positiva delle cose. Sapeva incoraggiare: con me l’ha fatto più volte.

Quando ho perduto mio papà e poi mia mamma ho avuto la netta sensazione di averli vicini; li ho sentiti vicini: un’aura speciale mi circondava. Capiterà anche a te: sentirai Virginio vicino.

Ho pregato per Voi: per Lui e per Voi tutti.

Vi penso, Vi pensiamo sempre con tanto affetto, Milly, Sarah, Massimo con un abbraccio e un saluto>>

<<Saluto di Riccardo e Maria Grazia Framba (compagni di Virginio ed Osanna in numerosi viaggi – durante quello in Portogallo anche di Vera e Dora) – Carissime Osanna e figlie, mai avremmo pensato di aver la possibilità di raggiungerVi con una e-mail solo per comunicarVi le nostre più accorate condoglianze in questo triste momento.

Il prof. Camillo Guidolin oggi ci ha informato della triste notizia della scomparsa del vostro marito e padre e nostro caro compagno di tante belle ed interessanti gite simpaticamente condivise.

Non avevamo avuto da tempo alcuna notizia da parte Vostra e, questa devastante notizia ci è giunta come un fulmine a ciel sereno.

Ci sentiamo come quasi ammutoliti per poter esprimere qualche pensiero di condivisione e di incoraggiamento.

Vicini nel vostro dolore e con forte commozione esprimiamo il nostro cordoglio per il vostro caro.

Quando una persona speciale ci lascia, un pezzo del nostro cuore ne va via con lei.

Possa il suo ricordo colmare questo vuoto.

Tutto quello che ci viene in mente sembra inutile, superficiale, quasi senza senso in un momento simile.

Chi soffre ha bisogno di sentire una parola in più, qualcosa di veramente accorato, oltre le scontate “condoglianze”.

Con le parole giuste vogliamo offrire sostegno, sollievo e dimostrarVi tutto il nostro affetto e rispetto.

Vogliamo essere con tutto il nostro cuore vicino a Voi per restare uniti e condividere anche questi momenti più spiacevoli.

Nel Vangelo possiamo trovare qualche ispirazione che ci permette di sopportare questo dolore immenso: “Io sono la resurrezione e la vita: chi vive e crede in me non morirà in eterno.” (Dal Vangelo di Giovanni, 11,25)

Quando una persona ci lascia, quando non è più qui e non possiamo più toccarla, o sentire la sua voce…sembra scomparsa per sempre ma un affetto sincero non morirà mai. Il ricordo delle persone che ci sono state care vivrà per sempre nei Vostri e nostri cuori, più forte di qualsiasi abbraccio e più importante di qualsiasi parola.

Ci viene in mente, in questo momento, un vecchio canto che gli indiani Navajos intonavano in queste tristi circostanze, e che ci fanno capire il loro pensiero e considerazione per questi devastanti eventi:“Non restate a piangere sulla mia tomba! / Io non sono lì. / Sono: mille venti che soffiano. / Sono: la scintilla di luce su un cristallo di neve. / Sono: la luce del sole sul grano maturo. / Sono: la pioggerellina d’autunno quando ti svegli nella quiete del mattino. / Sono: le stelle che brillano nella notte. / Quindi: non piangere sulla mia tomba, perché non sono lì!“

Preghiamo che il Padre Celeste possa mitigare l’angoscia del Vostro cordoglio e Vi doni solo il bel ricordo del Vostro caro papà e del tuo marito e la solenne consapevolezza che Vi deriva dall’avergli dedicato sempre tutto il Vostro affetto ed aiuto sull’altare del grande amore.

Coloro che ci hanno lasciati non sono degli assenti, sono d’ora in poi, solo degli invisibili e terranno i loro occhi, pieni di gloria e amore, puntati nei Vostri occhi pieni di lacrime.

Ci sentiamo vicini a Voi nel vostro grande dolore e con forte commozione esprimiamo il nostro più profondo cordoglio per la dipartita del Vostro caro congiunto e nostro amico. Quando una persona ci lascia, un pezzo del nostro cuore ne va via con lui.

Possa il suo ricordo colmare questo vuoto che ci pervade in questi tristi momenti.

Speriamo tanto che il trascorrere del tempo possa, in piccola parte, mitigare questo triste momento che rimarrà comunque indelebile nei Vostri e nostri cuori.

Vi offriamo con tanto affetto le nostre preghiere e tutto il nostro possibile sostegno per darvi un aiuto cercando di infonderVi un po’ di coraggio per superare questo difficile momento.

Profondamente commossi ci uniamo al vostro dolore con un caloroso grande abbraccio, nel ricordo e nel rimpianto della persona speciale che è venuta a mancare a Voi tutte ed a tutti noi.>>

<<Saluto di Maria Teresa Menegazzo e familiari (insegnante di lettere e compagna di numerosi viaggi) – Cara Osanna, sono vicina, assieme alla mia famiglia, a te, alle tue figlie, ad Antonio e a tutti i vostri parenti e familiari nel dolore del vostro animo.

Ci uniamo alle preghiere di tutti coloro che hanno conosciuto, apprezzato e stimato Virginio per la sua onestà, generosità e profonda cultura, per la sua amicizia.

A noi si unisce pure Anna Maria Rizzo che ha avuto modo di avvicinarlo nel viaggio in Romania ricordando le sue conversazioni filosofiche.

Ti prego di accettare questa piccola somma destinandola come ritieni più opportuno in ricordo di tuo marito. Affettuosamente vi abbracciamo>>

<<Saluto di Valeria Tita Rebeschini (docente di italiano di Vera in prima media) – Carissima Osanna, la morte non porta via completamente la persona amata: rimane sempre il suo esempio che vi spinge a continuare.

Voglio condividere con te e le tue figlie un ricordo di Virginio: è stato il primo genitore a colloquio con me alla “Pierobon”. Con affetto>>

<<Saluto di Padre Maurizio Dessì, compagno d’università a Pisa (di origini sarda, vive a Pisa nella comunità dei Carmelitani Scalzi) – Vorrei anch’io deporre un fiore sulla tomba del carissimo amico, un fiore che emanasse un po’ del profumo della sua vita, nella gratitudine al Signore, che opera sempre meraviglie nelle sue creature.

E’ il ricordo profumato di un amico dell’umanità aperta, accogliente e delicata.

Quello delle esperienze universitarie degli anni ’60, con l’entusiasmo della ricerca in un periodo estremamente difficile e da parte mia l’apprezzamento di un’intelligenza vigile e penetrante.

Quello della ricerca del lavoro e della formazione della famiglia, con la celebrazione delle nozze di cui fui chiamato a presiedere il rito, dell’affetto per la sposa, della nascita delle figlie, accolte e seguite con tenerezza sempre più profonda, del periodo del riposo, del matrimonio di Vera e della gioia di pochi mesi addietro.

Ma il ricordo va ancora all’amore intenso per la mamma e il papà, per i fratelli e tutti i suoi cari, la stima e l’affetto per gli amici.

Non terminerei più.

Grazie con tutto il cuore al Signore della bontà per avercelo donato. sia Lui a concedere fortezza a Osanna, a Vera e Dora, alla sorella, ai fratelli, ai parenti, agli amici, a tutti noi in questo momento di dolore. Con un abbraccio affettuoso>>

 

Appena ieri…

Caro Virginio, il tempo non riesce ancora a lenire il dolore per la tua dipartita, ma la possibilità che mi hanno dato i tuoi familiari di parlare di te e di noi, mi aiutano a ripristinare equilibrio ed accettazione. Quella che segue è una lettera inviata ai tuoi familiari, per raccontare fatti e sentimenti della nostra bella storia di amicizia:

<<Carissime Osanna, Vera e Dora,la vostra richiesta di un’ulteriore testimonianza del mio rapporto con Virginio, per individuare e scoprire qualche aspetto meno noto della sua personalità, mi dà sì grossa responsabilità, ma altresì mi pone nella condizione (insieme, dolorosa e piacevole) di scavare ancora nella miniera dei ricordi.

Ma in effetti, da quando ci ha saluto non ho mai smesso di riflettere sul nostro rapporto e sulle cose fatte insieme.

Le poche righe scritte (e già inviate) sotto l’effetto traumatizzante della tremenda notizia rappresentano solo il filo conduttore di un lungo rapporto d’amicizia, infarcito e costellato di piccole e grandi cose, di gioco e di impegno serio, di crescita e di crisi, di dolcezza e di “incazzature” (scusatemi per il termine poco elegante), di voli alti e di percorsi terra-terra.

Non avevamo una visione univoca della realtà e del mondo, ma ciò non ha mai inficiato il sentimento di amicizia, che era vera, sincera, al di sopra di ogni contrasto, e qualche volta pure soggetta alle leggi della gelosia. Virginio era passionale nelle sue posizioni e sfacciatamente di parte, convinto e a volte manicheo (solo nell’ultimo decennio si era ammorbidito, più per mancanza di ideali sociali e politici che per convinzione personale); io più possibilista e sincretico, più portato a ricucire che a strappare, e a ricondurre tutto ad eventuale unità.

Il suo atteggiamento estremamente coerente e sanguigno mi poneva a volte in condizioni imbarazzanti, soprattutto quando dovevo esprimere cose che lo potevano contrariare o dispiacere. Ma la nostra amicizia vera e sincera ci ha sempre permesso di aprirci all’altro senza riserve, senza pudore, confessando anche le più intime debolezze. Non c’erano segreti tra di noi, tranne uno da parte mia, rimasto in sospeso per tanto tempo (non rivelato per timore di una sua reazione sfavorevole); mi ero già ripromesso di rivelarlo questa estate…

Il primo incontro con Virginio è stato alla scuola media, nell’anno scolastico 1957/’58, e subito abbiamo simpatizzato, diventando amici inseparabili. La scuola era allocata nell’edificio del Liceo classico, in tre aule del piano terra, per cui quella struttura è diventata poi per noi, e per ben otto anni, la nostra casa. Inizialmente abitava presso i parenti di Crotone (non ricordo per quanto tempo, ma sicuramente ciò è di vostra conoscenza); tornato a casa veniva con la bici o con i mezzi pubblici. Quello che segue è l’elenco dei compagni di terza media (classe rigidamente maschile):

Scuola Media “V. Alfieri” / classe terza media a.s. 1959/’60 / 1) Adamo Carlo 2) Alecce Evandro 3) Apolloni Domenico 4) Asteriti Vincenzo 5) Attiritano Giuseppe 6) Belcastro Domenico 7) Belfiore Raffaele 8) De Franco Vincenzo 9) Dell’Uomo Biagio 10) Diano Ennio 11) Fusto Giovanni 12) Gerace Pantaleone 13) Greco Francesco 14) Iannini Simeone 15) Isabella Vittorio 16) Lerose Virginio 17) Manfreda Giuliano 18) Megna Salvatore 19) Perri Antonio 20) Piperis Piero 21) Raimondo Leonardo 22) Ripolo Carlo 23) Ristagno Michele 24) Sacco Mario 25) Santo Pasquale 26) Scida Walter 27) Sessa Francesco 28) Siniscalchi Giuseppe 29) Sorrentino Marcello 30)Zocca Domenico

Per me e Virginio l’ammissione alla Scuola Media rappresentava già una prima vitto-ria, una iniziale forma di riscatto. Infatti fino al 1962 (anno della scuola media unifi-cata e obbligatoria), l’accesso avveniva tramite esame di ammissione (con selezione rigida); per gli altri che volevano proseguire gli studi c’era la scuola di avviamento professionale. Per me e Virginio, non è stata una esperienza esaltante: la scuola era rigidamente selettiva, la metodologia didattica piatta e mortificata dalla monotona, le attività non stimolavano nè gli interessi nè le predisposizioni individuali…

Si passa al Liceo, nello stesso edificio (come dicevo prima). Le classi del Liceo erano poche e poco numerose: 3 classi, la sezione A e C maschili, la B femminile (la classe quarta A del Ginnasio era l’unica concessione alla separazione netta dei sessi, che avveniva già fin dal mattino: le femminucce entravano dall’ingresso principale, i maschietti da una secondaria). I sopravvissuti della maturità:

Liceo Ginnasio “Pitagora”- classe terza sez.A a.s.1964/’65: 1) Ancora Giancarlo 2) Attianese Pasquale Giuseppe 3) Benevento Giovanni 4) Berlingieri Carlo 5) Caccavari Francesco 6) Cizza Nicola 7) Dell’Uomo Biagio 8) D’Ettoris Manlio 9) Fazia Luigi 10) Floccari Vincenzo 11) Giglio Giancarlo 12) Iuliano Giuseppe 13) Lamanna Domenico 14) Leofante Diego 15) Le Rose Luigi 16) Lerose Virginio 17) Liguori Francesco 18) Menniti Domenico 19) Pasquale Domenico 20) Ripolo Carlo 21) Scali Giuseppe 22) Tallarico Ludovico 23) Tricoli Giovanni

Il 17 maggio 2014 abbiamo festeggiato i 50 anni della maturità. Purtroppo fra gli assenti c’era Virginio, con molto dispiacere da parte di tutti. In quell’occasione sono stati ricordati diverse aneddoti e i soprannomi dati ad ognuno di noi, quello di Virginio era “Capitan Mike”, un personaggio di un fumetto molto seguito dai giovani di quel periodo: un ranger sempre in lotta per il rispetto della legalità… (Di quella giornata allego un filmino realizzato e montato da me, per darvi conto, immagini e atmosfere del piccolo ma importante mondo fisico e culturale, nel quale ci siamo “formati”) Quel giorno abbiamo ricordato anche la “bella” figura del preside Bellusci, ricordato e amato da intere generazioni…

La vita degli studenti del tempo era cadenzata da quotidiane abitudini, che ne segnavano e caratterizzavano in modo indelebile i comportamenti e la personalità: i momenti di aggregazioni a scuola e nel dopo; la ricerca continua del furtivo contatto con l’universo femminile, lo “struscio” sul corso e sotto i portici, mattutino all’uscita di scuola, serale con il rischio di incontrare i severi insegnanti, che ti condannavano già per l’indomani ad una sicura e pesante interrogazione; l’appuntamento mattutino con l’iris, il dolce del bar “La Siciliana”, che noi chiamavamo “pane di castagna” per il suo sapore montano, evocativo di boschi, di camini fumosi, di castagne e di colori autunnali, delicati intensi e cangianti;…

Il periodo universitario ci divide, ma solo fisicamente (lui a Pisa, io a Messina)… Ad ogni rientro il confronto di esperienze. Più intense le sue, per l’alto lignaggio dell’ Università di Pisa. Il ’68 ci sfiora e ci fa riflettere sulla possibilità che le cose possono sempre e comunque cambiare, in presenza di una solida ideologia e di giusta condivisione ..

Con la laurea in tasca, lui comincia subito a lavorare (perchè esonerato dagli obblighi militari), io, invece sono costretto a partire (pur essendo obiettore di coscienza) ed è proprio Virginio che mi accompagna in caserma ad Albenga, dopo aver trascorso due giorni insieme a Pisa.

Virginio ottiene il primo incarico da insegnante nella scuola media di Roccabernarda, che raggiunge ogni mattina, in modo avventuroso ma con entusiasmo, con una scassata “giardinetta”.

Iniziano le prime battaglie contro un sistema scolastico palesemente retrogrado e autoritario, con difficoltà ad aprirsi ad una gestione partecipativa e democratica.

La libertà d’insegnamento è continuamente messa in discussione, anche dopo i decreti delegati, del 1974 da presidi fascistoidi, con i quali pure Virginio entra in conflitto.

La lettera che segue, indirizzata al Preside della Scuola interessata (“Corrado Alvaro” di Crotone) e per conoscenza al Provveditore agli Studi di Catanzaro, è stata scritta da Virginio e rappresenta un esempio di come l’autoritarismo del Capo d’Istituto provoca vibrate reazioni da parte di un docente leso nel suo diritto a correggere gli elaborati secondo criteri e modalità non trattabili o imposti da altri d’ufficio (la pre-side si era permessa di controllare e ricorreggere i compiti già corretti da Virginio):

<Il sottoscritto Lerose Virginio, incaricato a tempo indeterminato per l’insegnamento di lettere presso codesta scuola, in risposta alla comunicazione della S.V. del 12/02/1974, intende porgere alla Sua attenzione le seguenti riflessioni sulla questione, che presenta due aspetti: A) correzione effettuata dalla S.V. sugli elaborati già corretti dal sottoscritto; B) conseguente comunicazione della S.V. del 12/02/1974.

  1. A) CORREZIONE – Sulla correzione degli elaborati il sottoscritto fa presente i seguenti motivi di legittimità e di merito.

A1. Legittimità: incompetenza – Non può il Capo d’Istituto correggere di propria mano gli elaborati già corretti dall’insegnante, né aggiungere propri giudizi accanto a quelli già espressi dall’insegnante. La S.V. ha invece ricorretto alcuni degli elaborati del 24/01/1974 già corretti dal sottoscritto aggiungendo personali giudizi accanto a quelli già espressi dal sottoscritto. L’art. 40, infatti, del R.D. 30/04/1924 n.965 attribuisce espressamente all’insegnante la responsabilità “dell’indirizzo didattico ed educativo del proprio insegnamento”. Rientra,appunto,nei compiti didattici dell’insegnante la correzione degli elaborati. Rientra, invece, nei compiti del Capo d’Istituto il “controllo degli elaborati come fonte d’esperienza” (circ. 28/01/1954 n.360, comma 17). Correggere, infatti, è “eliminare imperfezioni, difetti, errori”; controllare, invece, è “esaminare qualche cosa per verificarne.. la rispondenza a determinati criteri”. Per i motivi detti sopra il sottoscritto ritiene la ricorrezione degli elaborati da parte della S.V. un atto arbitrario sul piano strettamente giuridico.

A2. Motivi di merito – Entrando ora direttamente in merito alle correzioni effettuate dalla S.V., il sottoscritto tiene qui a precisare che:

1) le correzioni di cui sopra sono inopportune;

2) il sottoscritto non le condivide per una serie di ragioni d’ordine linguistico e didattico.

A2,1. Le correzioni della S.V. sono inopportune e anzi deleterie per il buon andamento dei rapporti scuola-famiglia, perché, se il Preside si sostituisce o si sovrappone all’insegnante nella correzione degli elaborati, i genitori non vedono più l’opportunità di rivolgersi a quest’ultimo per stabilire un colloquio proficuo sull’andamento didattico e disciplinare dei propri figli. Sono inopportune ancora perché l’insegnante non può illustrare ai genitori degli alunni una serie di correzioni apportate da altri (in questo caso dalla S.V.), perché non sono condivise. Infine sono inopportune perché, in ultima analisi, svalutano la funzione stessa dell’insegnante e la sua opera agli occhi dei genitori degli alunni.

A2,2. Il sottoscritto non condivide le correzioni per i motivi che seguono: Le correzioni della S.V. riguardano una serie di parole ed espressioni ritenute improprietà di lessico, alcune presunte inesattezze e due parole ritenute errori di sintassi. Il sottoscritto non condivide tali correzioni perché, quando il pensiero dell’alunno è comprensibile e chiaro, è controproducente che l’insegnante lo rifaccia a tutti i costi con espressioni proprie imponendo in tal modo il proprio stile e il proprio gusto estetico. Inoltre una serie di correzioni di tal genere serve solo a mortificare la personalità, in formazione, dell’allievo. Infatti il problema della correttezza linguistica non si riduce assolutamente ad una questione squisitamente, né, pertanto, la correzione degli elaborati ad un atto puramente meccanico ispirato ad una “norma ideale” di fronte alla quale tutto il resto è errore. Di questo passo si troverebbero errori perfino… negli scrittori più grandi! L’elaborato è invece cosa personalissima dell’allievo e, pertanto, va letto e corretto tenendo presente non una norma astratta e rigida, ma la realtà dell’ambiente in cui nasce e, specialmente, la personalità dell’allievo che scrive, il quale ha propri ritmi di apprendimento, proprie esigenze, un suo curriculum.

Più utile della correzione stessa, del resto, risulta la discussione sugli elaborati che si svolge in classe e che tende a mettere in rilievo gli errori più comuni alla classe e gli errori caratteristici dei singoli allievi. In questo modo si tenta di far prendere coscienza al discente del tipo di lingua e di strutture di cui si serve perché possa passare a forme più articolate lentamente ma liberamente, senza cioè l’imposizione violenta di una rigida norma (Su tale problematica cfr. N. Chomskj, Scritti linguistici, vol.III, Torino).

Il sottoscritto non condivide le correzioni della S.V. per ragioni linguistiche. La vita della lingua è contraddistinta da due esigenze fondamentali: l’esigenza verso una sempre maggiore specificazione delle unità linguistiche che porta all’introduzione di un numero infinito di unità; l’esigenza verso un risparmio massimale dello sforzo necessario per servirsi del codice linguistico che riduce il numero degli elementi del codice stesso. Questo principio, verificato dallo Zipf negli anni ’30, è stato ripreso in seguito dal Martinet e da altri studiosi su tutti i livelli dell’analisi linguistica. La maggior parte di parole ed espressioni usate dagli allievi e che la S.V. ha ritenuto errori non sono altro che unità linguistiche nate dalla seconda esigenza ed ampiamente diffusa nella collettività nazionale. A tale proposito è illuminante il recente saggio di R. Simone “La statistica e la didattica delle lingue”, di cui si riportano qui di seguito i passi più significativi. “…Le indagini di statistica linguistica ci mostrano con la inoppugnabile chiarezza dei numeri che la lingua che parliamo nelle nostre faccende quotidiane è completamente diversa da quella che le nostre grammatiche (e spesso purtroppo i nostri insegnanti) tentano di inculcarci: la lingua che la statistica ci indica come “normale” è fatta di alte frequenze, di unità altamente comunicative, condivise da una massa larghissima di parlanti; è una lingua che per forza di cose rifugge da preziosismi e da pedanteria e che si vale praticamente di strumenti elementari e poco costosi. E’ la lingua che tutti i nostri connazionali capiscono… un patrimonio comune faticosamente conquistato e a suo modo perfettamente funzionante, che però è di continuo insidiato dalla minaccia del purismo e dell’accademismo… Nell’ambito di una stessa lingua esistono zone caratterizzate da frequenze disparate, cioè… non tutte le unità costituenti un paradigma poniamo lessicale hanno la stessa frequenza d’uso… Perduto il carattere statisticamente stratificato della lingua, che gli viene appiattita tutta dinnanzi, lo studente non riesce a maturare una chiara nozione della varietà dei “registri” che la sua lingua, come tutte le altre, consente… Il “registro” di lingua che la gram-matica tende a fissare nello studente di scuola media è burocratico-notarile, cioè… tendenzialmente caratterizzato dalla ricerca, sempre faticosa, di unità linguistiche peregrine…La grammatica scolastica falsa il volto della reale “norma” dell’italiano (che è “norma”, per così dire, “normale”), sostituendolo con un’altra norma…“normativa”, in forza di cui alcune forme vengono bollate come improprie e volgari e sostituite… con altre più “corrette”, “più eleganti” e “italiane”. Questo atteggiamento…da un punto di vista psicologico induce lo studente a sforzi inutili, il cui esito, nel caso migliore la formazione d’un modo di esprimersi sempre togato e fastidioso… completamente in disaccordo con l’andamento della vita che ci circonda… In alcuni casi in cui il ragazzo usa spon-taneamente forme linguistiche colloquiali, l’insegnante interviene per sostituirle con corrispondenti più o meno togati. Estremamente istruttivo da questo punto di vista è l’esame comparato degli elaborati scritti di allievi di scuola media e delle correzioni apportate.

Tutti sappiamo che un insegnante dinanzi ad una frase come “ho visto Franco e Luigi gli ho detto…”, si chiede se bisogna correggere “gli” con “loro”, e di solito si finisce per intervenire; allo stesso modo è difficile che non si arricci il naso dinanzi a modi di dire “realizzare come stavano le cose” e simili, che denoterebbero uno scarso senso di italianità linguistica in chi se ne serve. Di fatto, la sostituzione di “gli” a “loro”, o la neutralizzazione dell’opposizione “gli-le” (gli dissi-le dissi), rispondono ad una precisa esigenza di economia che niente toglie alla chiarezza dell’atto comunicativo; analogamente, il diffondersi di anglicismi come “realizzare” nel senso di “rendersi conto di” risponde anch’esso alla tendenza verso una semplificazione tutt’altro che indifferente nei rapporti di reggenza. Il problema del “correggere” usi linguistici “erronei” va dunque, anche con l’aiuto della statistica linguistica, ricondotto ai suoi limiti autentici. Non si tratta di condannare forme indegne indicando forme pure, né di instillare nello studente una mentalità puristica che solo per malinteso si può considerare “italiana”. Si tratta invece di mostrare…come alcune forme linguistiche non riescano a soddisfare la funzione comunicativa per la quale vengono utilizzate…mentre altre forme alternative ci riescano meglio. L’obiettivo da tener presente nel corso della educazione linguistica…è non quello di formare nell’allievo una lingua “corretta”, per la ragione molto semplice che non si dà in terra una correttezza linguistica assoluta, una norma universale; si tratta piuttosto di educare alla libertà linguistica compatibilmente con la possibilità di comunicare in sede intersoggettiva: non una lingua bella o elegante, ma una lingua che risponde nel modo più pieno possibile alla infinita varietà delle situazioni comunicative.

Fin qui, magistralmente e con grande chiarezza, l’autore sopra citato. Ora è più utile passare agli elaborati in questione e fare in breve qualche esempio pratico.

La S.V. ha sottolineato una serie di vocaboli (ad esempio: “cose”, “scappare”, “libera”, “interminabili”, “veniva”, “diceva”, “dirmi”, “fatto”) perché si presume, non le ritiene abbastanza pure, eleganti o italiane.

Il sottoscritto, ritenendole invece abbastanza chiare, non ha creduto opportuno intervenire per proporre altre forme.

La S.V. ha, per esempio, sottolineato un “lui” usato come soggetto.

Il sottoscritto, invece, lo ha trovato non solo in regola col codice linguistico (tanto che è raro trovare gente che si scandalizzi di tale uso), ma anche rispondente allo stile colloquiale dell’alunna che lo ha usato.

Infine la S.V. ha sottolineato, per esempio, “rapinatori” evidentemente perché ritiene che nel contesto la forma corretta sia “rapitori”.

Il sottoscritto, invece, tenendo presente come la mente della fanciulla ha funzionato per giungere a formulare la parola che poi è stata usata, si sa spiegare benissimo perché la fanciulla ha usato proprio quella parola e non l’altra che si potrebbe ritenere corretta solo ad una superficiale lettura.

Il sottoscritto non ha corretto perché ha capito chiaramente il pensiero della fanciulla.

La S.V., se ha corretto, non ha evidentemente capito.

(A tale problematica che concerne l’aspetto psicologico del linguaggio ha dedicato gran parte del suo tempo di studioso Piaget, i cui saggi ci sono di valido aiuto nella pratica quotidiana dell’insegnamento).

  1. B) COMUNICAZIONE – In conclusione, per i motivi detti sopra e per eventuali altri aggiunti di cui si fa riserva, il sottoscritto denuncia l’arbitrarietà delle correzioni apportate sugli elaborati dalla S.V., ne rileva l’inopportunità da un punto di vista linguistico e didattico e ritiene, di conseguenza, non motivata la comunicazione del 12/02/1974 con cui viene invitato “a correggere con maggiore attenzione gli elaborati del 24/01/1974 e a modificarne, di conseguenza, il giudizio”.

In ultima analisi, prima di inviare al sottoscritto una comunicazione con cui lo si invita ad essere più attento nella correzione, più opportunamente la S.V. avrebbe potuto chiedergli i criteri didattici che ha tenuto presente.> / Data 5 marzo 1974

Un momento importante per la nostra amicizia e per la nostra crescita è stato il concorso a preside, trasformato in occasione formativa: entrambi individualisti e gelosi delle nostre metodiche di studio, ci siamo preparati separatamente, ma ci incontravamo un giorno alla settimana per confrontarci sulle tematiche del concorso, sviluppare notazioni critiche e scambiarci scalette e appunti.

Ricordo ancora quel periodo con molta dolcezza. La stessa sperimentata tanti anni dopo, in occasione della preparazione del libro su canti popolari.

Il rapporto di amicizia e il dialogo non si sono mai interrotti, nonostante la lontananza fisica, e dopo i rispettivi matrimoni, con il coinvolgimento delle rispettive famiglie. I nostri incontri diventavano occasioni per rinsaldare l’amicizia e aggiornare i nostri cammini..

Educati al rapporto diretto, usavamo poco le nuove diavolerie tecnologiche, e quando ciò avveniva le telefonate e le email diventavano lunghissime, per il bisogno di dirci tante cose, come gli esempi che seguono:

  • email del 12 dicembre 2016

Amico carissimo, faccio fatica anch’io a telefonare, ma a scrivere un po’ meno anche se è più impegnativo.

Quest’anno non scenderemo per le feste e ci accontenteremo di passarle tra le nebbie e i rigori invernali del Nord.

Mi sarebbe piaciuto condividere in una pacata conversazione con te stati d’animo e progetti intellettuali. Mi auguro che l’occasione si presenti presto.

Tuttavia non bisogna aspirare ad una “location” perfetta per scambiarsi opinioni e pensieri, altrimenti si attende a lungo.

Un abbraccio forte a te e Valeria,un saluto caro a Gianfranco e a Giovanna con tutta la sua famiglia.

Trattatevi bene, come sapete fare voi, e godetevi un sereno NATALE. Virginio

P.S.: Mi auguro che tu abbia votato no al referendum contro chi voleva stravolgere la Costituzione in cambio di un pugno di mosche avvelenate!!

  • email del 20 dicembre 2016

Caro Virginio, le tue parole mi stimolano alcune riflessioni, che in libertà e succintamente… quasi da letterina di Natale, tento con piacere di condividere con l’amico di sempre…

1) Gli eventi della vita e il mio percorso esistenziale mi hanno convinto che non esistono verità assolute nè relative… e neppure condivise in una società estremamente “liquida” e irrazionale come quella attuale, dove un vecchio sistema (seppur discutibile) è entrato in crisi  da diverso tempo e uno nuovo ed equilibrato ancora non è in cantiere… dove il singolo è fortemente condizionato dalle nuove sottili schiavitù psicologiche e dai nuovi pregiudizi esistenziali, con le quali forgia le proprie catene rintanandosi in nuove profonde caverne. Impedendo che ognuno sia liberamente artefice della propria sorte (“faber est suae quisque foertunae”)…

Esistono solo costruzioni o ricostruzioni mentali, catalogabili e strutturabili in due tipologie: 1) logiche, possibili, equilibrate, sensate, sostenibili, solide, condivisibili, le prime, e resistenti alle prove del sillogismo aristotelico…2) illogiche, insostenibili, precarie, schizofreniche, istintive, le seconde, che franano dinnanzi allo strumento logico dello stagirita.

Anche le leggi seguono questa “logica”, sia nella fase della loro formazione che in quella della loro applicazione, nello sforzo di regolare con equità e giustizia i rapporti tra gli individui e gli Stati… Non sempre però con successo, considerato che non è diffusa l’educazione a sviluppare un “cuore intelligente”, come richiesto da Salomone a Dio (Primo Libro dei Re 3, 5-15)…

Salomone, su precisa domanda di Dio (“chiedimi ciò che vuoi che io ti conceda”), fa richiesta di dargli un “cuore intelligente”, che lo faccia essere giusto e lo aiuti a distinguere il bene dal male (“concedi dunque al tuo servo un cuore che sappia giudicare il tuo popolo, in modo da distinguere il bene dal male; altrimenti chi potrà mai governare questo tuo popolo così numeroso?). “Piacque al Signore che Salomone avesse fatto questa richiesta –continua il passo biblico– Dio perciò gli disse: ‘Poiché tu hai domandato questa cosa e non hai domandato per te una lunga vita, né le ricchezze, né la morte dei tuoi nemici, ma hai domandato per te intelligenza per ben discernere il diritto, ecco, io faccio secondo la tua parola: ti dono un cuore saggio e perspicace come non ci fu prima di te, né uguale sorgerà dopo di te. Anzi io ti dono pure quanto non hai chiesto, cioè ricchezza e onore, così che tra i re non ci sia mai alcuno uguale a te. Se poi camminerai nelle mie vie, custodendo i miei precetti e i miei ordini, come ha fatto Davide tuo padre, io prolungherò anche la vita…”

Credo che in questo dialogo possa trovarsi il senso di ogni viaggio spirituale; è soprattutto nella risposta di Re Salomone il significato di ogni percorso esistenziale… Ispirarsi a questa richiesta, credo, rende senz’altro i nostri “cammini” proficui, utili, vivificatori di modelli e comportamenti condivisibili…

2) Caro Virginio, forse perchè educati alla sobrietà e ai sacrifici (“cu carma e candelia”, direbbe il poeta grecanico), non riusciamo a “sfruttare” al massimo le moderne diavolerie tecnologiche (telefonino, computer, skype, whatsapp,…), privandoci anche di più occasioni di confronto o di semplice conversazione… a fronte però di una componente positiva, oggi sottovalutata: il loro utilizzo equilibrato, critico, non schiavizzante, ci consente di essere più coscienti e più consapevoli, anche se più “ignoranti”…

Comunque, caro Virginio, per noi è già una conquista, non aver assunto atteggiamenti di rifiuto totale…

Grazie degli auguri, che ricambio a nome di tutti… Un abbraccio e a presto…

  • email del 04 gennaio 2017

Caro Carlo, grazie per le riflessioni acute e stimolanti che largamente condivido.

Mi trova specialmente d’accordo il nucleo centrale del tuo ragionamento innestato sul “cuore intelligente”. Non so se per te è stato un dono fin dalla nascita oppure una tua conquista lenta ma sicura. Fatto sta che tu ti trovi nella felice e invidiabile condizione di avere un cuore intelligente. E mi compiaccio con me stesso per aver colto nel segno quando i tuoi figli mi chiedevano di mandare  una riflessione su di te (attraverso le moderne diavolerie  tecnologiche) che avrebbero assemblato per il tuo compleanno. Ebbene nella prima “video clip” (si chiama così?) evidenziavo come tratto caratterizzante della tua personalità “la intelligenza affettiva” che era misura e norma delle tue relazioni e leva efficace per capire e sistemare il mondo dentro di te.

Purtroppo la comunicazione è sembrata troppo seriosa a Gianfranco, che mi ha chiesto di rifarne un’altra più briosa e su altro registro (ma se non  ha del tutto cancellata la prima, è forse reperibile e consultabile da parte tua.).

Quanto a me sono molto più indietro rispetto al cammino che tu stai percorrendo.

Avverto momenti di insana e nervosa ribellione verso la vecchiaia che avanza, che si avverte sulla stanchezza fisica e si misura sulle cose in meno che si  riescono a fare da un anno all’altro. Dovrò decidermi a fare i conti con qualche fantasma o parvenza di giovinezza e gestirmi con relativa saggezza e con tenacia intellettuale (per fortuna ancora presente anche se lenta) le sensate esperienze che mi sono consentite .

Ti abbraccio. Auguri per il nuovo anno; ci vorrebbe tanta serenità e forza d’animo per compensare gli orrori dei tempi moderni!

Sentiamoci quando ne abbiamo voglia e senza impegno. Virginio>>

 

Note finali

Caro Virginio, il consuntivo di una vita è inscindibile da quello della coppia, quando si è scelta la strada (non facile) della convivenza e del matrimonio. Per voi il giudizio è senz’altro positivo, sfrondato dai limiti e dalle debolezze umane e dalle difficile prove della quotidianità. Non a caso né per caso, in quanto il vostro rapporto di coppia è stato progettato e costruito sui saldi pilastri dell’intelligenza, del buon senso, equilibrio e di comuni interessi… Merito di Osanna, dotata di “cuore intelligente” (l’unico capace di sedare le tempeste della vita e farne godere i momenti di serenità), che ha saputo dosare i comportamenti e gestire il menage familiare con equilibrio e saggezza (è quasi naturale regola di coppia che sia la donna a disfare e a tessere la tela dei rapporti). È per questo, se tu permetti caro Virginio, voglio qui ricordare alcune riflessioni di Osanna, che confermano e danno il senso di quanto detto (con l’aggiunta finale di mie riflessioni in prosa e poesia, a mo’ di saluto e illudendomi? di sottoporle al tuo sempre rispettabile e “temuto giudizio”):

Parentele biologiche e parentele elettive

ovvero come si cresce in un contesto sociale integrato

Alcuni dicono che si invecchia quando si guarda indietro.

Altri affermano che guardando indietro si trovano le motivazioni per vivere meglio la propria vita.

Sono vere entrambe le affermazioni, ma non c’ è dubbio che l’albero di ogni vita affonda le radici principali nell’esperienza dei genitori e dei nonni, quelle secondarie nei molteplici incontri con persone che hanno lasciato segni, ricordi, stimoli utili al proprio cammino.

Per me è stato così.

Nata in un borgo, voglio esprimere la mia gratitudine a tutti coloro che mi sono stati maestri e compagni.

Erano appena trascorsi gli anni ’50 e la mia infanzia trascorreva ascoltando racconti e vicende della guerra che impregnavano le parole di chi l’aveva vissuta. Mio padre e i vicini, quando si ritrovavano la sera, facevano confronti tra il poco benessere che si profilava all’orizzonte e gli stenti vissuti durante il conflitto.

Gli anziani partecipavano apportando considerazioni sulla guerra del ‘15-‘18. Questi erano gli argomenti dominanti, ai quali poi si aggiungevano le preoccupazioni sul presente, sui lavori dei campi, sugli animali della stalla, sulla casa da ingrandire per fare posto ai figli che intanto erano nati.

Si discuteva tutto insieme: si progettava, si chiedeva consiglio, si cercava la collaborazione per portare a termine lavori di costruzione, di riparazione, che con l’aiuto dei vicini venivano portati a compimento lavorando di domenica, quando si interrompevano i lavori dei campi e ci si dava una mano.

Noi bambini eravamo sì impegnati a giocare a nascondino, a ladri e carabinieri, ai quattro cantoni; ma, terminati i giochi, sedevamo vicino agli uomini e ascoltavamo i loro discorsi. Ed è stata la scuola dell’ascolto a farci capaci, una volta cresciuti, di ascoltare con discrezione e partecipazione le persone che incontriamo.

L’esperienza vissuta nell’infanzia ora si affaccia alla mia memoria come una risorsa a cui attingo, e alcuni valori che mi porto dentro sono stati alimentati e suscitati proprio nel contesto di una famiglia allargata dove le generazioni vivevano fianco a fianco e ogni età della vita si esprimeva con spontaneità. Il rispetto dei nonni e degli anziani non ci veniva inculcato con ammonizioni e prediche, ma innanzitutto con l’esempio degli adulti, che chiedevano consiglio ai più vecchi e tenevano in gran conto i loro pareri.

Quando tutto taceva, e ci si coricava, udivo le preghiere del nonno Momi, che incominciava a recitare: “Ah, Padre nostro che sei nei cieli..”. Lo chiamavo così, dato che il nonno paterno è morto quando mio padre era in tenera età. Io avevo bisogno di averne uno vicino, così avevo adottato quello di una mia compagna di giochi. La stessa invocazione al “Padre” ritornava la mattina successiva, si ripeteva con regolarità. A volte mi fermavo a guardarlo mentre pregava: si trasformava, viveva in un’altra dimensione.Terminato il suo rito diceva ”ora posso cominciare la giornata”.

Ho dovuto crescere per rendermi conto del valore di quel suo abbandonarsi alla volontà divina.

Ora, che la difesa dell’ambiente diventa importante dopo che intere generazioni hanno usato senza criterio le comodità che la tecnica ha messo a disposizione, provo nostalgia del bucato fatto con la cenere: “a lissia”. Panni collocati nel mastello di legno e coperti da un telo bianco su cui si versava cenere setacciata, venivano irrorati di acqua bollente e il giorno dopo erano insaponati e lavati da suocera e nuora insieme, sullo stesso mastello con due assi da parti opposte. Nel frattempo le due donne chiacchieravano, davano sguardi di controllo ai bimbi e pensavano a quello che avrebbero messo in tavola per il pranzo.

Non si buttava nulla, e i pochi avanzi di cucina andavano a ingrassare polli e maiali.

L’uccisione del maiale era preceduta dal lavaggio dei budelli, eseguito dal capo famiglia (il nonno) e il giorno seguente aveva inizio una lunga giornata di lavoro. Dopo che l’animale era stato sgozzato dal norcino con l’aiuto di tutti gli uomini del borgo, la nonna preparava il sanguinaccio, la mamma cominciava a cucinare i “fagioli con gli ossi” e gli uomini tagliavano, macinavano la carne, insaccavano i salumi.

I bambini spesso venivano invitati ad allontanarsi dal luogo di lavoro per cercare dalle vicine lo “stampo per le martondèe” (specie di polpette composte dalle parti come reni, polmoni, mescolate con uva passa: salate, pepate e avvolte nel pericardio, venivano poi cucinate con olio e irrorate di vino bianco). Era uno stratagemma: i bambini tornavano con un sacco in cui la vicina di turno aveva collocato alcuni sassi. Intanto il lavoro era stato terminato, e ancora i bambini venivano spediti dai vicini a fare la visita di cortesia che consisteva nel portare “il presente” cioè alcune salsicce, “martondèe” e pezzi di sanguinaccio.

Le generazioni quindi si divertivano, anche. Perché anche se il tenore di vita era modesto, se non addirittura precario, esisteva un’allegria diffusa che rendeva interiormente soddisfatti e addirittura contenti.

Per preparare il falò dell’epifania i ragazzi un po’ più grandi che avevano il permesso di girare con la bicicletta percorrevano la “stradona” (= statale 47) già dal mese di ottobre e si recavano da tutti i “meccanici di biciclette” per farsi regalare vecchi copertoni. Una volta a casa li consegnavano al nonno che li ammucchiava in luogo sicuro. Intanto il mucchio si faceva sempre più voluminoso e finalmente il 6 gennaio ci si metteva all’opera: i padri i nonni e i “scavesòti” (ragazzi grandicelli) cominciavano a piantare in mezzo a un prato la grande pertica su cui successivamente avrebbe legato con filo di ferro i copertoni.

Ci sono due persone che hanno segnato la mia infanzia: Mariasunta e Carlo, figli dei compari di nozze dei miei genitori: entrambi hanno “seminato” qualcosa per la mia crescita: l’amore per il lavoro e la fantasia. Mariasunta era sempre allegra: lavorava in casa, andava nell’orto, lavava e stirava per i suoi familiari, mi portava in bicicletta a prendere il pane nel paese vicino, e soprattutto non si lamentava mai: Metteva una gioia in tutte le sue occupazioni, che io, diventata grande, ho apprezzato come modello. Ora che ho figlie grandi e marito, mi appoggio al suo esempio quando mi verrebbe la voglia di sbuffare. E non è poco, visto che una certa mentalità corrente intenderebbe mettere al primo posto la soddisfazione personale e non invita certamente alla pazienza, alla necessità di prendersi carico degli altri. Io insegno, ne sono felice, e nel mio quotidiano rapporto con ragazzi dagli undici ai quattordici anni faccio tesoro dell’esempio che quella ragazza ora settantenne mi ha dato. Nella mia memoria la sua figura insiste come “mariasunta”: come l’aria necessaria a respirare, come il sole, il vento la pioggia. Ci sono e basta.

Carlo invece ha rappresentato la fantasia, la creatività, mi ha comunicato la possibilità di giocare con tutto: con le botti, con i trampoli, fabbricando zoccoli ricoperti dalla pelle di anguilla (perché “a Brenta” era il luogo dove pescare, e col pesce pescato si mangiava e con i loro resti si giocava): quali sogni facevamo quando lui tentava di camminare con gli zoccoli…! Cadute e ruzzoloni non si contavano, facevano parte del gioco. La sua immaginazione, il suo modo di renderci partecipi attivi delle sue trovate ci facevano sentire straordinari, potenti, ricchi come si può essere quando si è interiormente appagati. Quando scendevamo dal “granaro” eravamo principi e re, e potevamo ritornare alle nostre abitazioni e riprendere le attività che la vita modesta di quei tempi richiedeva.

Ma la fantasia di Carlo mi si è incisa nelle emozioni, e me la conservo come un “talismano” cui ricorro ormai automaticamente quando incontro alunni in difficoltà ai quali spiego giocando il Teorema di Pitagora o la proporzionalità.

La mia non è nostalgia, che sarebbe naturale considerato che è lontano il tempo della mia infanzia, ma gratitudine che da adulta riconosco a chi mi è stato, anche inconsapevolmente, di esempio.

E’ a queste esperienze dell’infanzia che addebito con emozionata riconoscenza la mia “attuale gioventù interiore” che mi reca gioia nel lavoro di docente e mi fa sentire “ragazzina” ogni volta che mi dedico alle piante dell’orto e del giardino.

Sì. Perché ho vissuto i miei primi approcci con le coltivazioni seguendo come un’ombra zia Pina e zia Giustina, due vecchiette senza età che io ho sempre viste così, anche se alla loro morte ho assistito già ventisettenne. Ma erano senza età, come ai bambini sembrano le persone anziane: anziane e basta.

Erano due sorelle, una sposata, diventata madre due volte, che due volte aveva visto morire le sue bimbe: quando nascemmo mia sorella e poi io siamo state “adottate” da loro perché faceva loro piacere essere chiamate zie.

Ogni volta che nostra madre usciva ci affidava loro; le zie continuavano le faccende e ce ne rendevano partecipi: se andavano nell’orto noi le seguivamo, se invece “andavano a erbe” nei campi ci spiegavano come riconoscere “e rosoine” (rosolacci) dai “radici mati” (tarassaco), oppure i “brustangoi” (luppolo) dalle “tajadèe dea Madòna”(selene).

E noi imparavamo, ci impadronivamo di conoscenze e competenze che ancora oggi sperimentiamo quando in primavera il “richiamo “ della natura si fa più energico e ci spinge a uscire nei prati appena verdeggianti per raccogliere queste “erbe”. E che sapore conservano queste verdure , quando sono cotte! Contengono ricordi, esperienze, memorie che hanno nutrito la nostra giovane età.

A casa loro poi c’erano i fagioli ancora caldi che ci venivano serviti “col tecèto” (piccola ciotola di smalto bianco bordata di azzurro) e una presa di sale.Ce li gustavamo sedute con le gambe penzoloni sulla scala che saliva al granaio. Ci sentivamo principesse.

Le zie possedevano una stalla spaziosa, che la sera diventava il luogo caldo dove “fare filò” durante l’inverno. Gli uomini intagliavano o riparavano utensili agricoli, le donne facevano la calza e noi bimbe guardavamo e ascoltavamo. Abbiamo imparato a lavorare ai ferri, e ora riusciamo a preparare qualche maglione per i nostri mariti o i nostri figli; lì abbiamo giocato a tombola nei giorni di festa, lì recitavamo il rosario, lì sentivamo le notizie che riguardavano le famiglie della “strada de soto” (la postumia di Ponente era a duecento metri in linea d’aria, eppur sembrava lontana!). Al filò partecipava sovente zio Bepi Basso (cognato delle zie): quando arrivava coperto dal tabarro ci piaceva sentire lo sventolio che provocava togliendolo dalle spalle: la gioia si completava quando lui diceva che saremmo “ndate in leto coi calcagni par da drio” ( ci ricordava a modo suo che avremmo portato a dormire tutto il nostro corpo…)

Quando anche lui recitava con noi il rosario, alla fine, rito che si chiudeva con “sempre sia lodato” lui continuava: ”l’anima a Dio, ‘a testa al gato”; il che provocava sorrisi negli adulti e sghignazzate da parte dei bambini.

Questi sono ricordi di cui ora sono consapevole: per averli potuti esprimere rendo grazie alla vita di tutti coloro che me li hanno fatti assaporare con l’esperienza e renderli preziosi con la mia memoria riconoscente. Osanna Menegazzo

“Cara Osanna, ho letto con gioia apprezzamento e ammirazione le tue condivisibili riflessioni sulle “prime vere agenzie educative” della nostra formazione, seppur involontarie inconsce e ignare del loro importante ruolo. Credo che proprio l’eclissi di tale mondo valoriale abbia messo in crisi il ruolo educativo della scuola, privata completamente dell’essenziale collegamento costruttivo con le famiglie. Con le tue parole, ricordi e immagini mi hai trasportato, con un pizzico di nostalgia, in un mondo molto simile al mio (e di quello di Virginio). / Invio in allegato altre riflessioni e frammenti di vita, legati a Virginio e alla nostra amicizia (riportate a pag. 19), con la speranza che possano farti capire o percepire, in aggiunta a tutto quello che già sai, i contesti e le atmosfere, in cui eravamo immersi. / La stessa motivazione mi ha spinto ad inviarti anche un filmato, da me montato, riassuntivo dell’incontro con i vecchi compagni di liceo (al quale purtroppo Virginio invitato non ha potuto partecipare), per festeggiare i 50 anni dalla maturità classica. / Un’ultima cosa. Ho riaperto, dopo due anni di sospensione, il mio vecchio sito www.carloripolo.it (seppur ancora in ricostruzione) e mi piacerebbe inserire anche tutto ciò che mi hai inviato, per poterlo condividere con gli amici. In merito attendo il tuo permesso. / Un abbraccio / Carlo 21 maggio 2018”

22 dicembre 2004

Sei venuto senza fare strepito, / senza destare l’attenzione dei grandi, / senza ricevere l’omaggio dei potenti. / Per questo ci hai colto di sorpresa: / chi se l’aspettava un Dio che arriva / nella povertà e nella semplicità / e viene al mondo in una capanna?

Sei venuto a condividere la nostra vita, / senza esigere privilegi, / senza essere esonerato dalle sue fatiche, / uno di noi, in mezzo a noi. / Per questo ci hai messo nell’imbarazzo: / chi se l’aspettava un Dio che nasce e che cresce, / impara a parlare e a lavorare, / come un qualsiasi figlio d’uomo?

Sei venuto per stare con noi, / per essere uno dei nostri, / per ascoltare le nostre attese, / per soffrire le nostre miserie. / Per questo abbiamo fatto fatica / a riconoscerti per quello che eri: / chi se l’aspettava un Dio / che pianta la sua tenda in mezzo a noi / e non si limita a mandare messaggi?

Eppure in te avviene / quello che nessuno avrebbe mai immaginato: / Dio prende carne, / Dio diventa uno di noi, / Dio accetta di ferirsi, di lacerarsi, / addirittura di morire per cambiare la nostra vita. / Nessuno da quel giorno / può più affermare di essere solo, / abbandonato al suo destino, / alla sua miseria e alla sua pena, / perchè tu sei accanto a lui, / sei venuto per lui.

….. anche quest’anno il Natale è arrivato nel caos dei regali e di mille / pensieri, ma oggi siamo ancora qui insieme per regalarci l’ennesimo sorriso / e raccontarci dell’anno che sta finendo. / Vi auguro altri mille pensieri e mille corse per i regali, perchè vorrà dire / che saremo ancora insieme… / per un altro anno ancora… / Buon Natale e Felice Anno Nuovo. / Osanna 8 gen. 2005

Nonni

due volte / “diversamente” / genitori. // La prima volta / esperienza di corporeità / fisicamente tangibile. // La seconda volta / esperienza spirituale / fatta di gocce / distillate / che solo la paziente attesa / accoglie e comprende. / Con affetto / Osanna

Donne

6 settembre 2005 / Tieni sempre presente che la pelle fa le rughe, / i capelli diventano bianchi, i giorni si trasformano in anni…. / Però ciò che è importante non cambia; / la tua forza e la tua convinzione non hanno età. / Il tuo spirito è la colla di qualsiasi tela di ragno. / Dietro ogni linea di arrivo c`é una linea di partenza. / Dietro ogni successo c’è un’altra delusione. / Fino a quando sei viva, sentiti viva. / Se ti manca ciò che facevi, torna a farlo. / Non vivere di foto ingiallite…insisti anche se tutti si

aspettano che abbandoni. / Non lasciare che si arruginisca il ferro che c`è in te. / Fai in modo che invece che compassione, ti portino rispetto. / Quando a causa degli anni non potrai correre, cammina veloce. / Quando non potrai camminare veloce, cammina. / Quando non potrai camminare, usa il bastone. / Pero` non trattenerti mai!!! / Madre Teresa di Calcutta / Invia questo alle donne speciali che conosci.

19 novembre 2007 – Ti rendi conto di vivere nel 2007 quando…

  1. Per sbaglio inserisci la password nel microonde.
  2. Sono anni che non giochi a solitario con carte vere.
  3. Hai una lista di 15 numeri di telefono per contattare i tuoi 5 familiari.
  4. Mandi e-mail alla persona che lavora al tavolo accanto al tuo.
  5. Il motivo per cui non ti tieni in contatto con i tuoi amici e familiari è che non hanno indirizzi e-mail.
  6. Rimani in macchina e col cellulare chiami a casa per vedere se c’è qualcuno che ti aiuta a portare dentro la spesa…
  7. Ogni spot in tv ha un sito web scritto in un angolo dello schermo.
  8. Uscire di casa senza cellulare, cosa che hai tranquillamente fatto per i primi 20, 30 (o 60) anni della tua vita, ora ti crea il panico, ti fa tornare indietro per prenderlo.
  9. Ti alzi al mattino e ti metti al computer ancora prima di prendere il caffè.
  10. Cominci ad arrovellarti il cervello alla ricerca di modi per sorridere.
  11. Mentre leggi tutto questo ridi e fai Sì con la testa.
  12. Sei troppo occupato per accorgerti che su questa lista manca il punto 9.
  13. E ora . sei tornato indietro per vedere se davvero manca il punto 9…

… E ora stai ridendo da solo….

Vai… manda questo messaggio a chi sai già…!

Che dire… ci siamo proprio dentro tutti

Kalòs kai agathòs

Cara Osanna, tu sai che ogni “cammino” di tipo spirituale è difficile; che i momenti di crisi, gli ostacoli, i dubbi, le paure sono compagni fedeli del “lungo” e non facile viaggio; che ogni scelta implica a volte delle rinunce; che bisogna ricercare e alimentare di continuo il fuoco vivificatore, che è dentro di noi (il demone interiore avrebbe detto Socrate), dal quale si origina l’energia necessaria, che fa muovere i nostri passi e guida ogni nostra azione, e la giusta forza che fa superare gli ostacoli che s’incontrano nel nostro cammino. Il tutto con purezza, passione e curiosità (Einstein ammetteva candidamente di non avere talenti particolari, ma di essere sempre appassionatamente curioso…) e non dimenticando mai che un uomo è interamente santo o interamente peccatore.. Per la precisione, specifica Hesse in Siddharta, “mai un uomo o un atto è tutto samsara o tutto nirvana”

I principi-guida che sono indicati dalle religioni e dai sistemi etici, spesso a caratteri cubitali per non passare inosservati, restano delle chimere o sogni irrealizzabili, se non accompagnati da giusti stimoli e da un preliminare bagno purificatore di umiltà, perché troppo distanti dalla cruda realtà della vita quotidiana, che cuce sulla nostra pelle egoismi, invidie, cattiverie, odio, diffidenza…

Ecco su questa riflessione s’innesta il tuo invito a decifrare la scritta che mi hai mandato (Villa Freja o Villa Pasquali?)… I riferimenti “storici” delle due lapidi sembrano chiari: la prima riferita al soggiorno di Napoleone, che in quella zona ha combattuto; la seconda un recupero di una massima latina, diffusa nella dottrina cristiana ma anche nella morale laica. Le due lapidi non credo siano state messe a caso, in quanto i collegamenti sono evidenti:la seconda in latino è un invito-ammonimento a ridimensionare quella che fu l’ambizione e la grandezza di Napoleone… Comunque è chiaro che “omnia si mundis munda omnia sint mihi munda” sia una variazione, un adattamento, una modifica (quasi un sillogismo tronco) della massima che risale al Nuovo Testamento (Lettera a Tito 1,15-16) e ripresa anche dal Manzoni nei Promessi Sposi…

A ben riflettere è di sorprendente attualità, in quanto i sofisticati tempi moderni soffocano le condizioni di base, necessarie per ricercare e accostarsi a verità possibili… Senza purezza d’animo, privi del senso dello stupore e della meraviglia non si va lontani e sulla strada giusta… Nuove e continue domande, nuovi dubbi rendono ancor di più impervio il sentiero che conduce alla luce. I nostri piedi vacilleranno sempre, e poi ancora di fronte all’ennesimo bivio, la tentazione di fare la scelta più comoda, meno costosa in termini di rinunce e di tempo, sarà sempre più forte quanto più importante sarà l’oggetto della scelta stessa.

Diceva Agostino di Tagaste: “Noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore anima habitat veritas…” Ebbene sull’uscio della coscienza, parafrasando il Macchiavelli, dovremmo spogliarci delle vesti quotidiane, piene di fango e di brutture, e indossare i “panni reali e curiali” per discutere con gli “antichi uomini” e interrogarli sulla “ragione delle loro azioni” e nutrire la mente del loro pensiero…

Non sempre da soli però: bisogna lavorare con gli altri e confrontarsi, bisogna uscire dalla trincea, che ognuno di noi ha scavato per vivere, per proteggere le più intime paure, per sentirsi al riparo di possibili attacchi… Ricordi il tenente Drogo, nel Deserto dei Tartari di Buzzati? Comandante della poderosa fortezza Bastioni, vive in attesa della grande occasione, un assalto anche minimo dei Tartari, sospendendo ogni altra attività e consumando così la vita…

Così non va bene; occorre uscire, stare insieme agli altri, volare alto per conquistare osservatori elevati, dai quali poter osservare con stupore e meraviglia, l’insieme intricato e interconnesso delle relazioni umane, che spesso sono inficiate e compromesse dal pregiudizio e dalla paura. Restare al riparo in un porto, in una barca con vele ammainate, non basta per sentirsi vivi, recita un epitaffio nel cimitero di Spoon River… Bisogna avere il coraggio di rischiare, di affrontare il mare aperto, le paure e le gioie della navigazione…

Sforziamoci di essere portatori sani di un sentimento puro, che spesso smarriamo con troppa facilità e tentiamo poi di recuperare con estrema fatica; cerchiamo di essere nel concreto esemplari: anche Ignazio di Antiochia scriveva nel II sec. d.C. “Si educa con ciò che si dice; di più, con ciò che si fa; ancora più si educa con ciò che si è”

Solo così potremo recuperare l’unità classica di kalòs kai agathòs, affinchè ciò che è buono e funzionale sia anche bello e viceversa… Carlo

Tra attese e speranze

Per dare senso a dignitosa esistenza, / sospeso tra attese e speranze, / vivo spesso nel ricordo di un “ricco” passato, / straniero sognatore e combattente visionario, / con occhi a volte stanchi, ma sempre / curiosi attenti e indagatori, / vagando da Pintammati alla Valle del Neto, / tra la Locride e il Marchesato,,,

A consigliarmi, in sogno, avanza Nosside, / leggiadra nel portamento, / la poetessa dai versi melodiosi…”Straniero, se navigando ti recherai a Mitilene dai bei cori, per cogliervi il fior fiore delle grazie di Saffo, dì che fui cara alle Muse, e la terra Locrese mi generò. Il mio nome, ricordalo, è Nosside. Ora va’!”

Ma andare dove? Sicuramente da emigrante, / qui i tempi sono e sono stati sempre tristi, / lo ricorda ancora Alvaro, con magistrale / e cesellata maestria… “Non è bella la vita dei pastori in Aspromonte, d’inverno, quando i torbidi torrenti corrono al mare, e la terra sembra navigare sulle acque. I pastori stanno nelle case costruite di frasche e di fango, e dormono con gli animali. Vanno in giro coi lunghi cappucci attaccati ad una mantelletta triangolare che protegge le spalle, come si vede talvolta raffigurato qualche dio greco pellegrino e invernale. I torrenti hanno una voce assordante.”

Assordante come la voce del grande stilese, / che dal monte Consolino, ancora ammonisce, / con indice inquisitore…

Io nacqui a debellar tre mali estremi: tirannide, sofismi, ipocrisia; carestie, guerre, pesti, invidia, inganno, ingiustizia, lussuria, accidia, sdegno, tutti a que’ tre gran mali sottostanno, che nel cieco amor proprio, figlio degno d’ignoranza, radice e fomento hanno.

Ma debellar mali è difficile qui e forse inutile, / ce lo ricordano tutti i martiri, compresi / quelli uccisi nella bella Gerace.. / Ripetano i secoli che qui vennero fucilati il 2 ottobre 1847 Michele Bello da Siderno, Pietro Mazzoni da Roccella, Gaetano Ruffo da Bovalino, Domenico Salvadori da Bianco, Rocco Verduci da Caraffa. Precursori di libertà.

E gli fa eco “speranzoso” dalla Petrosa tirrenica, / per amore e passione della terra natia, / il più noto scrittore palmese… “Quando fu il giorno della Calabria Dio si trovò in pugno 15000 km. quadrati di argilla verde con riflessi viola. Pensò che con quella creta si potesse modellare un paese di due milioni di abitanti al massimo. Era teso in un maschio vigore creativo il Signore, e promise a se stesso di fare un capolavoro… Operate tutte queste cose nel presente e nel futuro il Signore fu preso da una dolce sonnolenza, in cui entrava il compiacimento del creatore verso il capolavoro raggiunto. Del breve sonno divino approfittò il diavolo per assegnare alla Calabria le calamità: le dominazioni, il terremoto, la malaria, il latifondo, le fiumare, le alluvioni, la peronospora, la siccità, la mosca olearia, l’analfabetismo, il punto d’onore, la gelosia, l’Onorata Società, la vendetta, l’omertà, la violenza, la falsa testimonianza, la miseria, l’emigrazione. Dopo le calamità, le necessità: la casa, la scuola, la strada, l’acqua, la luce, l’ospedale, il cimitero. Ad esse aggiunse il bisogno della giustizia, il bisogno della libertà, il bisogno della grandezza, il bisogno del nuovo, il bisogno del meglio…

Già duemilacinquecento anni fa, / il chiomato di Samo, sentenziava…“In ogni cosa il meglio è la misura.”

(Da “Ultimi percorsi – E’ giunta già la sera” di Carlo Ripolo)

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