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Non partono più bronzi…

Non partono più bronzi dall’Esaro

torbido e sonnacchioso,

riposano tanti ancora nei mari

a ridosso di coste sinuose

dalla sabbia fine e policroma.

Solo gli echi di battaglie antiche

risuonano le valli del Bonamico

e lo Stilaro, con in testa Carlomagno,

Agolante e Rolandino, dall’aspro monte

alle mura di Risa, oggi altre guerre

impegnano indigeni e combattenti.

Una colonna solitaria in solitario e

continuo ascolto di comandi divini,

ricarica di energie le genti locali.

Le amo sempre tutte queste terre

che profumano di storia, di gerani e di zagare.

 

In pace ormai con la morte, che tutto

livella, riposa con i più fidati Alarico,

tra le sponde del fiume bruzio deviato.

Da innumeri e fragili mosaici, tra ruderi

di terme greche e romane, mai qui

curati e ben protetti, il drago di Kaulon,

le Nereidi fattive nel tiaso marino

e i delfini saltellanti di Capo Nao,

mandano da tempo inascoltati e vani

messaggi di civiltà, a gente ignava

con lo sguardo fisso solo sul presente.

Intanto Zaleuco, serio e accigliato, osserva

l’amata terra spogliata della grande madre,

cui si ispirarono grandi artisti e pinakes…

Ma io le amo sempre tutte queste terre

che profumano di storia, di gerani e di zagare.

 

Inappagato di perfezione, bellezza e armonia,

con misura s’aggira ancora, anima vagante,

il Maestro chiomato, tra antichi ruderi,

alla ricerca da opporre, di una nuova tetraksis,

ai numeri irrazionali e agli esseri tali…

Più a sud, da Stilo, fiero e con sguardo fermo,

un giovane osserva il mare che guarda la Grecia,

a fantasticare inquieto sulla prima incerta visione

di un nuovo mondo da conoscere e rinnovare,

sfocato era ancora il prezzo da pagare alla libertà

e all’autonomia di pensiero: la solitudine umana

e la persecuzione dei potenti di turno…

Non è bella la vita dei pastori: Alvaro mai tornò

al paese natio, dolore grande per una madre afflitta.

Ma io le amo sempre tutte queste terre

che profumano di storia, di gerani e di zagare.

 

A capo chino i contadini per secoli hanno declinato

solo terreni con sudore da coltivare, animali da accudire,

olive da trasformare, uve da pigiare, materne fattrici

di nettare divino… E bachi da nutrire con foglie di gelsi,

rigate di sangue, e more corvine baciate dal sole…

Ma nei giorni di festa, un po’ l’utopia si realizza e i giganti

diventano reali, il “cavalluccio” saltella scoppiettante,

guidato da vivace musica pizzicante. I ricchi addobbi

delle feste patronali, tra musiche canti e processioni,

danno alle grame giornate il tocco della magia infantile.

Tra chiamate incanti e confrunte, i riti pasquali esalta

ogni voglia di rinascita. Ma il carnevale del riscatto

purtroppo dura poco. Con nostalgia gli arbereshe e

i grecanici continuano a scrutare e fissare l’Oriente.

Io intanto le amo da morire tutte queste terre

che profumano di storia, di gerani e di zagare…

 

 

da “I tempi nuovi” di Carlo Ripolo

 

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