Letterina di Natale 2021
Anteprima – Defilato spesso sui social per non importunare e infastidire, mi concedo ogni anno, a ridosso del Natale, la licenza di fare gli auguri (ad amici, parenti e persone che stimo) con lo strumento ormai in disuso della letterina (come da bambino facevo con i genitori, infilandola sotto il piatto di papà il giorno della festa più bella), per condividere sentimenti, emozioni e qualche briciola di riflessione in libertà (convinto e ormai rassegnato che “io non ho il potere di cambiare il mondo, ma certamente sì la libertà di dire come vorrei che fosse…”)
Nel confessare che non ho mai accertato seriamente se la letterina è gradita oppure è sopportata o è motivo di disturbo, Vi abbraccio e invio i migliori Auguri!
Natale 2021 – Carissimi amici e parenti, l’anno “terribilis” del covid ha “modificato” le prospettive, le priorità, la visione della vita, i nostri piccoli e grandi “percorsi” quotidiani. Per me, anche nel rapporto con le Istituzioni e la Comunità, alle quali mi onoro ancora di appartenere. Tanto che, leggendo le precedenti letterine o altro ho avvertito un forte disagio dinnanzi ai tanti ragionamenti e riflessioni (in circolazione fino a poco tempo fa e condizionanti del sentire comune) e che all’improvviso mi sono sembrati chiusi alle complesse (e complicate) problematiche (esistenziali e di sopravvivenza) del mondo moderno; ho avvertito inoltre l’imbarazzo per chi, in modo egoistico, chiude la porta agli altri, con parole e opere più da fariseo che da buon samaritano; ho avvertito chiaramente la contraddizione tra ciò che viene sottolineato continuamente da tutti (“l’importanza di educare al senso civico, sviluppare una mentalità sociale, lavorare al bene e al progresso dell’umanità”) e la mancanza assoluta nei progetti della presenza degli uomini migliori, che rimangono, sullo sfondo della scena della vita, come zombi o comparse; avverto ogni giorno fastidio, malessere e imbarazzo dinnanzi al teatrino continuo dei nostri politici, non educati (ma proprio per niente), come i loro elettori, a tre valori essenziali per costruire sane e civili convivenze: l’identità nazionale, la sensibilità sociale, il rapporto fiduciario con lo Stato e le diramazioni burocratiche (il vero male delle nostre, pur sane, comunità).
Nonostante ciò, sono convinto però (e fiducioso) ogni giorno sempre di più che, per invertire la tendenza e per arricchire il percorso di crescita generale, è necessario il contributo di tutti, senza esclusione di nessuno; e che spetta soprattutto alle Istituzioni virtuose e ai singoli profetici spargere i giusti semi della saggezza e del buon senso, in continua lotta contro l’arroganza e la protervia del potere e contro i condizionamenti e le nuove schiavitù (quali il consumismo sfrenato, il denaro, l’uso improprio della tecnologia e della democrazia…).
Carissimi amici e parenti, ho desiderio di abbracciarvi, dirvi quanto vi ami e confessarvi, in condivisione e affetto fraterno, tante altre cose quasi a consuntivo:
– che la vita è stata generosa con me e mi ha sempre reso ricco e fortunato, in quanto mi ha fatto incontrare (negli ambienti da me frequentati), insieme a persone inguardabili, anche e soprattutto tante persone eccezionali;
– che sempre la vita mi ha dato la possibilità di condividere i miei “cammini esistenziali” con tanti amici e parenti (più di quelli che in genere è consentito), i quali, in periodi diversi e per brevi o lunghi tratti, aprendomi il loro cuore e la loro mente e permettendomi di affacciarmi (atteggiamento ampiamente da me ricambiato) nella “sacra misteriosità” dei loro animi, con complicità e amore, mi hanno permesso di crescere, di arricchirmi di umanità, di conoscenza e di sapienza (e per questo, li ringrazio e vi ringrazio, ad uno ad uno, con diversi abbraccioni…);
– che forti delle nostre convinzioni, dovremmo uscire di tanto in tanto dai nostri egoismi, proseguire i nostri viaggi formativi tra la gente; e se riusciremo in qualche modo ad accendere un piccolo cero, condividere la sua luce con tutti, senza pregiudizi e palizzate psicologiche… ;
– che la nostra presenza viva e concreta nel territorio è importante, soprattutto oggi, considerato che sono rimasti in pochi a indicare alle masse i valori che contano, e a ribadire con forza che il lavoro è strumento di liberazione, non fine alienante (come trasformato dall’odierna società dei consumi).
Carissimi, molti di voi sanno il mio debole per i valori cristiano-pitagorici, che hanno lasciato in me da iniziato tracce indelebili, che resistono al tempo e a qualsiasi nuova posizione giuridica o altre situazioni funzionali.
E proprio con tale spirito di orgogliosa appartenenza, sento il bisogno di rivolgermi a tutti voi (insieme e singolarmente), per condividere riflessioni, bisogni, debolezze, assistenza e solidarietà… Valorizzando al massimo e nobilitando il “dialogo” costruttivo (seppur figlio incestuoso della tolleranza e della fratellanza…).
E sempre con tale respiro, carissimi, mi piace iniziare con il meditare, assieme a voi in condivisione, sul senso e la simbologia del solstizio invernale (il giorno più corto di luce), sforzandoci di elaborare e metabolizzare le nostre incertezze e le quotidiane umane sofferenze. Con la convinzione che ogni rituale discesa agli inferi del sole sarà sempre seguita dalla sua risalita verso lo “zenith” celeste e delle nostre coscienze; così come è possibile il passaggio dal buio e dalla fredda oscurità delle caverne allo splendore abbagliante della luce; o dalla morte fisica e spirituale alla rinascita piena e completa; o ancora dal caos indistinto all’ordine, dal banale alla sobrietà, dall’ arroganza e dalla protervia all’umiltà e alla moderazione, dalla normalità quotidiana al sacro e profano: ai tuoi fedeli, o Signore, la vita non è tolta, ma trasformata; e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un’abitazione eterna nel cielo (tuis enim fidélibus, Dómine, vita mutátur, non tóllitur, et, dissolúta terréstris huius incolátus domo, ætérna in cælis habitátio comparátur), esorta con speranzosa aspettativa la prefazio della messa ai defunti…
In particolare, nel dialogare con ognuno di voi, mi necessita deporre delicatamente nei vostri cuori e nelle vostre menti, sia le mie fragilità e debolezze che le poche convinte certezze, con l’unico obiettivo di riprendere la costruzione di una casa comune e del mio percorso individuale interrotto…
Vediamoci di nuovo (come facevamo prima della pandemia), cari amici Aldo, Nino e Franco. Ho bisogno di abbracciarvi e sentire il calore del vostro affetto fraterno; consigliatemi su come sciogliere i nodi intricati, confusi e contorti del rapporto tra la Morte e il Tempo, al fine di poter decifrare il giusto senso dell’esistenza e dare il meritato valore alla vita e a tutti i suoi preziosi momenti; aiutatemi a portare fra la gente quanto fortificato nelle nostre conversazioni…
Guardatemi negli occhi, cari fratelli (Bruno e Pino) e cari figli e nipoti, e in essi troverete solo voglia di verità e desiderio di bellezza, di giustizia e condivisione, attraverso il dialogo e la dolce complicità, non filtrati da ipocrisie, parvenze e secondi fini (“amicus Plato, sed magis amica veritas” amava dire Aristotele)…
Con te, cari fraterni amici Luigi e Oreste (esperti cultori delle belle arti), ho voglia e desiderio (da inguaribile apprendista) di alzare l’asta del piacere della conversazione dotta sull’arte, sui sommi poeti e filosofi, e provare a sollevare (anche di poco) il velo di Maya, che copre da sempre i misteri sia maggiori che minori…e di porre il frutto del nostro lavoro al servizio di amici e di concittadini.
Insieme a voi, carissimi cugini Pepè e Totò (da tempo impegnati in attività di crescita religiosa), voglio continuare a dedicare più tempo all’edificazione di un solido tempio interiore, e meno a costruire palazzi e muri terreni, destinati come tutti noi e ogni cosa umana a perire nel tempo e nello spazio…
E voi, carissime cugine Elisa e Rossella (insieme ai vostri figli), esperte nel dare conforto a chi soffre, aiutatemi ad elaborare amarezze e delusioni, e a fortificarmi nella disponibilità a servire i sofferenti e gli emarginati…
Telefonatemi di tanto in tanto, cari cugini Mimmo, Giuseppe e Margherita, e assistetemi nell’individuare e dare un senso alto all’essere uomo libero e di buoni costumi…e nel penetrarne l’intima essenza, per potermi accostare alle complicate problematiche dei nostri territori con umiltà e utilità…
Incontriamoci più spesso, cari amici Maria, Rino, Giovino e Pietro quando vi è possibile, confrontiamoci e insieme cerchiamo di determinare una possibile etica adeguata ai tempi, che possa dare altro vigore alle tante deontologie professionali, ispirate e rivolte solo all’interesse di parte… Indicatemi anche una chiave di lettura dei tanti problemi che attanagliano il nostro territorio, non sempre capaci di risposte, di soluzioni o anche di semplici prese di coscienza…
Aiutatemi anche voi, cari amici Bruno, Pippo e Salvatore, voi che vi muovete con il giusto equilibrio e la giusta misura tra etica, politica, associazioni e mondo professionale, a capire cosa significa essere bravi cittadini oggi e quale ruolo le Istituzione possono svolgere in campo educativo e nella formazione responsabile delle nuove generazioni…
Vediamoci spesso, cari cugini Felicina, Pepè, Luigi e Mariateresa (lontani fisicamente ma “pitagorici nel cuore e nella mente”), e suggeritimi, voi che possedete le armi della disponibilità e della fede calata nel quotidiano, gli strumenti atti a distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato, a riconoscere dai comportamenti sia i veri uomini che gli impostori e gli ipocriti…
Moltiplichiamo i nostri incontri, caro cugino Nicola (possibilmente insieme a Mimmo e Pepè) e le nostre escursioni, o le “serate-pizza” di Cavaleri (con tanti amici, parenti e belle persone, da te sempre ben selezionate), per godere del piacere della conversazione e dello stare bene insieme. Cerchiamo insieme di trarre da ogni sconfitta vere e durature lezioni di crescita, creiamo le condizioni che ogni “rinascita” possa aggiungere nuove risorse ai nostri percorsi individuali e collettivi: da fratello maggiore (tale per anagrafe e per aver sempre considerato i vostri genitori guide morali), mi piacerebbe condividere, oltre la gioia di stare insieme, la soddisfazione di aver capito e decifrato di recente il senso di alcuni insegnamenti e raccomandazioni di un ottimo insegnante di Liceo (solo dopo aver fatto la relativa esperienza e a distanza di ben 60 anni, da quando seguivo incantato le sue superbe lezioni su Dante e approvavo i suoi inviti a volare alto e guardare lontano).
Diceva: “Sforzatevi di essere sempre corretti, liberi e di buoni costumi; accettate solo i compromessi che non ledono la dignità; non piegatevi mai alle logiche degli interessi personali e di gruppo; ricordate però che il prezzo da pagare è altissimo (soprattutto nei contesti sociali come i nostri, dove la civiltà relazionale è molto bassa), per chi è scrupoloso nel rispetto delle regole e dei contratti (amava fare riferimento a Grozio e alla sua massima giuridica pacta sunt servanda) e per chi sceglie di vivere nel culto della libertà di coscienza e dell’autonomia di giudizio (sottolineava con forza che solo una schiavitù è ammissibile e giustificabile, quella della verità)… il prezzo da pagare è la solitudine umana e la persecuzione dei potenti di turno“.
Ebbene tutto questo l’ho capito nel momento in cui l’ho vissuto e sperimentato sulla mia pelle, come solo da poco tempo ho capito anche il senso di una battuta, che mia nonna ripeteva spesso dopo aver raggiunto la terza età…a vecchiaia è ‘na carogna!
Segnalatemi, cari nipoti Giovanni, Roberto, Antonio e Sandro, e indicatemi, voi che conoscete bene la società e i suoi meccanismi, gli illuminati e i saggi che possano rappresentare (per giovani e adulti) paradigma da seguire e siano in grado di trasformare in circuiti virtuosi i tanti modelli negativi presenti sul territorio, incancreniti dal clientelismo, dal malaffare e dalla corruzione dilagante…
Ricordiamo (in primis a noi stessi), cari cugini Maria Carmela e Giuseppe, quando i sentimenti negativi corrodono i nostri animi in modo irresponsabile, che la parola è sacra e figlia del rispetto di sè e degli altri, che la normale dialettica tra le persone non deve distruggere amicizie e parentele, che gli strumenti essenziali di ogni ricomposizione sono l’umiltà e il silenzio per recuperare verità e buon senso…
Mostrami, caro amico Riccardo, mio primo maestro di vita, come raggiungere e condividere conoscenza e saggezza; aiutami a usare le chiavi giuste per socchiudere le porte dell’immortalità e dei misteri; indicami i moderni ippogrifi abili e capaci a recuperare il ragguardevole senno perduto… e le giuste strategie per allontanare dalla mente e dal cuore le tentazioni dell’amara metafora campanelliana “se torni in terra, armato vien, Signore, ch’altre croci apparecchianti i nemici, non Turchi, non Giudei: que’ del tuo regno“…
Sforziamoci di lavorare uniti (e con la passione e l’orgoglio dell’appartenenza), anche se in contesti non facili, cari cugini Domenico, Anna, Rosetta e Rina, noi che come genetica siamo predisposti ai percorsi di crescita: solo così ci sarà concesso di cercare e valorizzare ritagli e sprazzi possibili di verità, di bellezza, di certezze, di giustizia, di condivisione, di saggezza.
Venitemi in aiuto, cari cugini Giuseppe, Pina, Anna e Bruno, quando faccio fatica (in una società che non facilita le scelte, complicata, confusa, orba di riferimenti certi e sicuri) a trovare le coordinate giuste (per dare un senso pieno alla vita) dinnanzi ai tanti relativismi, alle crisi ricorrenti e alle incertezze quotidiane…
E se l’età avanzata fa tentennare principi e valori, aiutami a serbare memoria di tutto ciò che dà valore alla nostra esistenza e che è sempre importante vivere e morire con dignità…
Sforziamoci, cari parenti Bruno, Lidia, Antonio e Nicola, di educare i nostri comportamenti nell’arte della giusta misura, pur se difficile in comunità “esagerate”, complesse e sofisticate come le attuali; curiamo sempre la presentabilità, soprattutto interiore, spesso lasciata in balia della sciatteria, della banalità e dell’approssimazione … e usciamo a testa alta dalle nostre case e a trasferiamo nella società positivi e trasformanti modelli di stile e personalità…
Vieni a trovarmi, caro amico fraterno Stano, e tracciami il percorso migliore da seguire (pur nel rispetto delle sacre libertà individuali), per non deviare dalle indicazioni e dai precetti ricevuti all’atto dell’iniziazione alla vita, e immergermi nella comunità sociale con l’orgoglio di chi è nel giusto e non ha niente da nascondere…
Aiutatemi ad emozionarmi, cari parenti Pasquale, Enzo, Tiziana, Federico e Maria, nel percepire (con il cuore e la mente) lo stridìo dei martelli, il crepitio delle fiamme, il rumore metallico delle spade e il brusio delle nostre officine e delle nostre fabbriche, prima del sacrale silenzio dei lavori rifiniti nella nostra coscienza…
Da te caro don Lorenzo (unico prete e orgoglio di famiglia) ho bisogno di un saggio e autorevole parere su una ricerca che da tempo mi occupa (e preoccupa): l’individuazione di analogie tra battesimo cristiano e iniziazione esoterica. Sempre immerso nel dubbio e nel caos, ma continuamente alla ricerca di luce e di ordine, ho sempre creduto che anche con i nemici più accaniti è possibile costruire ponti di dialogo e abbattere muri di incomprensione. Tale richiesta trae origine parte dalla considerazione che entrambi le Istituzioni utilizzano riti esoterici (battesimo e iniziazione), che invitano al cambiamento e all’assunzione di nuovi percorsi etici e comportamentali. In questi aspetti individuo sostanziali analogie, che potrebbero dare un contributo a superare i contrasti e le reciproche diffidenze, alimentati da pregiudizi e da tradizione consolidata; che potrebbero aiutare le persone a liberarsi dai condizionamenti mentali, che impediscono l’utilizzo dell’unico strumento valido nella ricerca della verità, il dialogo libero in libertà…
Intanto per concludere, sento il bisogno di condividere, con tutti voi, parenti e amici (quelli qui ricordati e quelli non menzionati, ma tutti e sempre serbati nel cuore), alcune mie riflessioni sui tempi che viviamo… e l’ultima mia lettera indirizzata a Pitagora, sullo stato di degrado del nostro territorio, che anche voi sicuramente conoscete bene; augurandomi che la libertà di espressione (da usare sempre con gioia, passione e orgoglio) possa diventare simbolo e strumento di crescita mentale e morale, di liberazione, di integrazione, di energie positive; mai camicia di forza, segno di integralismo, di schiavitù ideologiche e di settarismo stupido, che non porta da nessuna parte e impedisce di volare alto…
<<Cari amici e parenti, ricordate la frase di Bartali, che sciorinava ad ogni intervista: è tutto sbagliato, è tutto da rifare? Ebbene in “sul calare della mia sera”, queste parole mi risuonano sempre più incalzanti, nella mente e nel cuore, per condannare quasi senza appello un percorso che mi sembrava dignitoso e preparatorio di un ritorno altrettanto dignitoso (si spera) al “Padre”.
Hai sbagliato tutto nella vita, mi dicono gli occhi degli amici, le battutine dei parenti e il sorrisetto dei conoscenti. Hai sbagliato quando hai creduto veramente alle omelie dei sacerdoti, alle lezioni morali dei docenti, alle ramanzine dei genitori, ai comizi dei politici…
La memoria mi riporta agli anni della fanciullezza e della giovinezza, sempre in cerca di modelli, consigli e indicazioni di maestri e adulti capaci e competenti. Tanti, ho incontrato, a darmi consigli e indicarmi un percorso. Tanti a dirmi che il percorso formativo andava agganciato all’etica e che un’effettiva crescita è solo frutto di impegno costante, di studio, di preparazione solida, di scelte responsabili, nel rispetto della propria e altrui dignità e libertà. Tanti a indicarmi l’obiettivo finale: equilibrio e saggezza per un’esistenza sana e al servizio degli altri.
Ricordo ancora con vivida memoria le parole che il mio professore di filosofia ripeteva spesso e che mi hanno sempre indicato le coordinate del mio essere e del mio percorso di vita: “Il saggio è colui che argina, con l’amore e la conoscenza, l’odio e l’ignoranza connaturati al genere umano. Il vero saggio è umile, capisce i limiti dell’ orgoglio e degli uomini, mette la sua conoscenza al servizio degli altri e della quoti-diana normalità, mai delle proprie ambizioni. La saggezza è frutto solo di un percorso volontario di coscientizzazione e di conoscientizzazione, lungo e complicato”
Ed io a tutto ciò ho creduto ciecamente… e ciecamente ho messo per realizzarlo impegno e studio.
Oggi, in età carica e matura, mi ritrovo a “essere messo in discussione” dai contesti familiari, sociali e culturali, nei quali per caso mi trovo a vivere… “È tutto sbagliato, è tutto da rifare” come un’eco continua ripete la mia mente.
Mi si dice (e la realtà lo testimonia tutti i giorni) che non serve studio, impegno, serietà, correttezza, onestà per crescere e inserirsi nella società e “fare carriera”. Servono invece furbizia, cattiveria, falsità e tutte quelle doti camaleontiche e trasformistiche, che danno la possibilità di vivere nelle stanze del potere o almeno nell’atrio, nella sala d’attesa o nelle adiacenze.
Cancellati ormai dalla memoria e dai nuovi modelli socio-economici sono tutti quei valori sui quali si è cercato di costruire la civiltà umana (da Atene a Roma, da Budda a Cristo a Maometto, da Socrate a Gandhi…). Il senso del dovere, il senso dello Stato, l’impegno, il senso della parola data, il rispetto: solo termini da utilizzare nelle favole.
Per fortuna in aggiunta e quasi per compensazione, trovo sollievo in qualcosa che sembra un escamotage letterario, ma posso assicurare che non è così…
Da quando i miei figli hanno deciso, il 28 luglio del 2016, di festeggiare in modo originale i miei 70 anni, dedicandomi uno spettacolo del Teatro della Maruca (con una performance di Carlo Gallo), finalizzato ad emozionarmi e stimolare crisi esistenziali, ho cominciato a sottoporre a consuntivo il mio percorso di vita e le mie prese di coscienza.
Ebbene, da quel giorno, le mie riflessioni hanno trovato conforto e assistenza in un’autorità morale, che dà valore e validità ai miei passi a volte incerti e claudicanti. Una presenza, una figura, che periodicamente mi appare in sogno, difficile da descrivere per le molteplici sfumature dei suoi tratti somatici (che lo fanno somigliare a volte a Cristo e a Pitagora ed altre volte a Maometto e a Budda), molto vicine a quelli tramandati dall’iconografia tradizionale.
In clamide bianca, il saggio del sogno mi appare a volte seduto con le gambe incrociate in riva al mare, altre volte in piedi presso i monumenti più interessanti di Crotone o sotto giganteschi gelsi.
A lui espongo le mie perplessità e i miei dubbi, confesso le mie debolezze e le mie incertezze, chiedo chiarezza sulle contraddizioni di una realtà, che spesso non capisco per limiti intellettivi e caratteriali…
Il saggio (che io chiamo Maestro) non si scompone mai: per ogni quesito ha le risposte giuste, per le amarezze parole di conforto e per ogni dubbio espressioni di chiarezza, invitandomi ad applicare nelle valutazioni le categorie del buon senso e nei comportamenti quelli della sensibilità e della solidarietà. Non dimenticando mai, ad ogni apparizione onirica, l’invito a recuperare un buon rapporto con la natura e con i bisogni primari dell’uomo, ricacciando quelli artificiosi e indotti da modelli socio-economici falsi e deleteri per l’intero pianeta e i suoi abitanti.
Per me l’incontro con il Maestro è diventato vitale come il respirare: mi aiuta a perfezionare le capacità critiche per poter leggere la realtà con occhi lucidi e senza pregiudizi e a capire le motivazioni vere dei comportamenti e degli eventi (spesso di dubbia lettura, in quanto coperti da ipocrisia e falsità). Come direbbero i filosofi: scoprire e capire le cause prime…
Con l’affetto di sempre… e un grande fraterno abbraccio>>.
<<Caro Pitagora, finora mi sono rivolto a te, da buon e convinto pitagorico, sempre con il dovuto rispetto che si porta ad un grande Maestro, riconosciuto tale da tutti e in tutti i tempi.
Nel mio percorso esoterico e nei miei scritti essoterici ho sempre cercato di attualizzare e diffondere, nei limiti concessimi dalle mie capacità, il tuo pensiero ricco di indicazioni etiche, scientifiche e comportamentali. E sforzato di ispirarmi ai modelli di vita da te proposti nella tua scuola ai tuoi talentuosi discepoli. E condiviso anche la tua sofferenza e amarezza, provocata sia dai numeri irrazionali, che hanno sfrangiato i tuoi sistemi perfetti, che dai nemici personali e politici, i quali per bassa invidia hanno tentato anche di screditarti e ucciderti.
Oggi però, con questa lettera, voglio parlarti (se me lo consenti) con tono diverso familiare e istintivo, per dirti in piena libertà quello che penso su alcune cose che ti riguardano. Seguimi e cerca di capire del mio dire motivazioni e finalità.
Dunque, tu hai ragione ad essere incazzato con i Crotonesi per come ti hanno trattato e per quello che ti hanno fatto. Cose gravissime. E la tua dura reazione giustificabile, che ti ha portato a maledire crotonesi e calabresi.
Ma ti prego di riflettere un po’ su tali fatti e di considerare che anche con Gesù non hanno scherzato. Lo hanno messo in croce (e non solo fisicamente) e ancora oggi da molti è offeso e dileggiato, tanto da far dire a Campanella “se torni in terra, armato vieni, Signore; / ch’altre croci apparècchianti i nemici, / non Turchi, non Giudei, que’ del Tuo regno”. Eppure il Cristo (che in te ha trovato ispirazioni dottrinali) ha perdonato dalla croce (Padre, perdona loro perché non sanno quel che fanno!) e perdona sempre chi riconosce i propri errori e si pente.
Tu al contrario ci hai maledetto e non hai mai voluto ritirare e annullare la maledizione lanciata, mentre eri costretto a fuggire verso Metaponto, lasciando molti fratelli privi di vita tra le fiamme e le macerie della tua casa.
Proprio tu, che hai indicato al mondo il giusto mezzo, la proporzione e la giusta misura nelle cose e nei comportamenti, hai perso l’equilibrio e il buon senso e ti sei lasciato travolgere dagli stessi sentimenti che hanno animato i tuoi avversari e nemici.
Credo che sia colpa della tua maledizione se proprio i nativi di questa terra siano stati scelti per crocifiggere Gesù; credo che sia stata la tua maledizione a rendere la nostra regione terra di forti contraddizioni e paradossi, terra da amare e da odiare, terra madre e matrigna, paziente e senza regole, terra di santi e di delinquenti, terra di geni e di cafoni incivili, terra indecifrabile non solo agli stranieri, ma anche agli stessi calabresi. Credo che tutto ciò che è stato scritto di negativo (da visitatori e viaggiatori) fino ai giorni nostri sui meridionali (e i calabresi in particolare) sia ascrivibile alla tua giusta ma pesante reazione.
Credo ancora che le teorie lombrosiane siano state suggerite dalla tua maledizione; credo che tu ti sia divertito un mondo nel leggere infine il tagliente giudizio della borghesia dell’Italia del Nord (riportato da Antonio Gramsci in “La questione meridionale”) riferito ai meridionali in generale e ai calabresi specificatamente:
“Il Mezzogiorno (e in particolare la Calabria) è la palla di piombo che impedisce più rapidi progressi allo sviluppo civile dell’Italia; i meridionali sono biologicamente degli esseri inferiori, dei semibarbari o dei barbari completi, per destino naturale; se il Mezzogiorno è arretrato, la colpa non è del sistema capitalistico o di qualsivoglia altra causa storica, ma della natura che ha fatto i meridionali poltroni, incapaci, criminali, barbari, temperando questa sorte matrigna con l’espressione puramente individuale di grandi geni, che sono come le solitarie palme in un arido e sterile deserto”. (Dimenticano gli autori di tale giudizio che concausa di tale situazione è stata la politica coloniale del Nord nei confronti del Sud, mai allentatasi e modificata dalla cosiddetta unità d’Italia del 1861).
Perché tutto l’oro che toccano i calabresi si trasforma in ferro scadente? Perchè lunga è nei meridionali l’elaborazione delle frustrazioni, delle amarezze e dei complessi, (solo appena leniti da alcuni strumenti liberatori come i film, i sogni, i romanzi, quando si concludono con la vittoria del giusto e della verità)? Anche in questo credo e sono convinto che ci sia lo zampino della tua maledizione.
Credo che pensasse anche a te e ai tuoi avversari Umberto Eco, quando parlava della “necessità” e dell’importanza di avere un nemico (e i tuoi avversari ne avevano scelto uno “pesante”) “non solo per definire la nostra identità ma anche per procurarci un ostacolo rispetto al quale misurare il nostro sistema di valori e mostrare, nell’affrontarlo, il valore nostro”. Però io sono convinto che capire e inquadrare un problema, significa avere già intrapreso un percorso per risolverlo. Capire ad esempio le motivazioni che hanno portato i tuoi avversari a rivoltarsi contro di te (e tu con la tua intelligenza sei in grado di farlo egregiamente), significa innescare già (per essere le stesse superate) processi e percorsi di conoscenza e di coscientizzazione di valori positivi, i soli che possano esaltare comportamenti e atteggiamenti di condivisione,di compassione e di fratellanza.
Credo che sia proprio colpa della tua maledizione se la nostra città è da molti gratuitamente maltrattata (con sofferenza di una sparuta minoranza, sensibile ai problemi ambientali e innamorata di questo territorio, come lo sei stato tu per averla scelta a suo tempo come sede per la tua importante scuola); credo anche che sia effetto dei tuoi strali malefici la presenza di ampio disordine, di estesa sporcizia, di diffuso abusivismo e illegalità, di largo degrado. Per non parlare dei quotidiani indecenti spettacoli d’inciviltà: macchine parcheggiate dappertutto, sui marciapiedi, in doppia e tripla fila, davanti agli scivoli dei marciapiedi e nei posti riservati, tali da impedire il passaggio e la sosta dei disabili; attraversamento con il rosso, da parte di incoscienti che sfidando il rischio di provocare incidenti; linciaggio dei pochi rispettosi della segnaletica e del codice della strada, additati come “alieni pericolosi” perché rallentano le corse automobilistiche, che in ogni momento della giornata si svolgono sulle strade cittadine trasformate in vere piste da corsa.
Dovunque in città situazioni di abusivismo: case costruite in ogni luogo a dispetto delle più elementari regole edilizie e della salvaguardia del patrimonio archeologico e paesaggistico; venditori in tutti gli angoli delle strade con la merce esposta al sole, alla polvere e agli scarichi delle macchine, senza alcun rispetto delle norme igieniche; cani portati a passeggio privi di museruola e liberi di spargere cacche e urine nelle aiuole, nelle strade, sulla spiaggia e sui marciapiedi; tutti gli spiazzi liberi e le zone accanto ai cassonetti trasformati in discariche a cielo aperto, piene di tutto, frigoriferi cucine divani materiale edilizio vario vetri televisori e tanti altri rifiuti… Con amministratori e vigili urbani assenti, veri fantasmi; mai un controllo serio, mai un provvedimento nei confronti degli sporcaccioni per far rispettare la legge.
E in aggiunta le conseguenze delle bravate notturne dei vandali: auto danneggiate o incendiate; giardinetti distrutti, insieme ai giochi dove si divertono i bambini e alle panchine dove riposano gli anziani stanchi; le cabine telefoniche sfasciate; tutto l’arredo urbano insomma sporcato e saccheggiato. Uno spettacolo indecente. Per non parlare poi delle nuove opere pubbliche, costruite spesso con materiale scadente da costruttori disonesti favoriti dalla mancanza di controlli da parte di chi è preposto a farli, opere che vengono inaugurate con la banda musicale e in pompa magna, ma subito dopo abbandonate a se stesse senza un minimo di cura e manutenzione, per cui in poco tempo diventano inservibili e inutilizzabili. E che dire poi di tutti gli alberi piantati e subito dopo abbandonati al loro destino, senza acqua e costretti a seccare e morire sotto i raggi del cocente sole meridionale. Anche la stranezza di tali comportamenti sono da addebitare secondo me, caro Pitagora, senz’altro alla tua maledizione. Non ci sono altre motivazioni logiche e comprensibili.
Incomplete o parziali mi risultano le analisi e le risultanze degli studiosi (per intenderci, di quelli che dicono di sapere di tutto), che addebitano i comportamenti negativi a tare ereditarie: “la colpa è dei nostri antenati, noi siamo i discendenti di popoli mediterranei, che hanno sviluppato nel loro codice genetico l’individualismo sfrenato e scarso senso civico, che li porta in modo naturale a non sopportare gli altri e a non rispettare le regole che servono ad una comunità per vivere civilmente e serenamente insieme..” Credo fermamente invece che sia stata la tua maledizione, caro Pitagora, a rafforzare caratteri sociali e predisposizioni genetiche, che neppure un intervento divino potrebbe deviare, lasciando senza adeguata risposta la reiterata domanda: “Perché i nostri concittadini non amano la loro città, la distruggono giorno per giorno, non progettano niente per farla crescere e si comportano in modo incivile e irrispettosi dei principi e delle regole dello stare insieme?”
Il responso dei saggi è sempre lo stesso: “Tutto quello che succede è conseguenza della maledizione che Pitagora lanciò contro la città e i suoi ingrati abitanti, allorquando lo costrinsero a fuggire, per evitare di essere ucciso, dopo avergli bruciato la casa e massacrato i compagni. Si, proprio quel Pitagora, che con la sua intelligenza e la sua Scuola, aveva contribuito a far diventare la città grande e importante tanti secoli fa, ma l’invidia e la gelosia di pochi lo avevano costretto ad andare via di notte, inseguito e braccato come una bestia. Una grande maledizione lanciata contro i cittadini del suo tempo, ma anche contro tutti i discendenti e quelli che si erano mostrati ingrati e per nulla riconoscenti. Una maledizione che costringe le persone a vivere nell’ignoranza e quindi nel disordine e nell’inciviltà… E’ difficile toglierla, eliminarla o trasformarla in qualcosa di positivo. Non ci sono talismani, infusi o altri preparati che possano allontanarla o esorcizzarla. Neppure cento chili di sale basterebbero per toglierla…”
Interrogato in merito, un grande saggio, conoscitore dell’animo umano e delle sue contraddizioni, un giorno mi disse convinto e speranzoso: “Si, un tentativo per modificare le cose si può fare… Bisognerebbe sistemare in tutte le piazze, gli incroci e le rotonde della città, ad altezza naturale, statue scolpite del grande Pitagora e dei suoi discepoli più famosi (Milone, Alcmeone, Faillo…) e allestire dei pannelli in cui siano riportate le cose più interessanti che questi uomini hanno creato per far diventare la città più importante, più civile, più ricca: la tabellina pitagorica, senza la quale non è possibile fare i calcoli e i conti nella vita di tutti i giorni; il teorema, che permette di conoscere meglio le proprietà dei triangoli rettangoli; le numerose gare vinte ad Olimpia da Milone, osannato e famoso per le sue imprese in tutte le città della Grecia e della Magna Grecia; gli studi di Alcmeone, uno dei primi grandi medici della storia, rivolti alla conoscenza di come funzionano gli organi del corpo umano e che hanno permesso poi notevoli progressi nella ricerca scientifica; il coraggio, la generosità e la coerenza di Faillo, unico magno greco presente alla battaglia di Salamina. Dinnanzi alle sculture e ai pannelli i cittadini sarebbero costretti così a ricordare la loro storia più bella, più grande e più interessante. Solo così la città potrebbe recuperare la memoria e valorizzare la sua storia. Solo così i cittadini potrebbero sentirsi orgogliosi dei loro antenati e seguire il loro esempio e le loro virtù. Solo così, può darsi, Pitagora farebbe cessare la sua maledizione…”
Pieno di speranza, pensai per qualche giorno che quanto detto fosse la giusta soluzione, fino a quando un giovane liceale del posto, incontrato per caso nell’agorà cittadina, non mi avesse fatto riflettere meglio con le seguenti parole: “Hai visto quanti fannulloni affollano il corso? Hai considerato l’incapacità genetica e strutturale degli amministratori? Chi potrà mai in questa città comatosa, con questa umanità indolente e autolesionista, fare ciò che ha suggerito il saggio? E noi giovani, i soli con idee e passione, ma senza bacchette magiche e potere, cosa possiamo fare con le nostre minute forze?” La risposta è una sola: ritirare la maledizione!
Caro Pitagora, è chiaramente colpa della tua maledizione se in tutte le graduatorie nazionali (ed europee), relative alla qualità della vita e a tutti i parametri economici, sociali e culturali, Crotone e la sua provincia risultano agli ultimi posti; è anche colpa tua se da noi non si fanno opere pubbliche utili (ma solo quelle private, spesso abusive e sempre per speculazione), e quando ne viene iniziata qualcuna, o non viene mai completata oppure viene completato non secondo il progetto iniziali (le famose “varianti per far lievitare i costi). Una maledizione insomma che ha fatto sviluppare anche nel settore edilizio la logica truffaldina dell’interesse privato a discapito di quello collettivo e pubblico, con sperpero di denaro dei contribuenti (favorito da una burocrazia accondiscendente). Per non parlare poi della politica continuamente maltrattata e supportata dal teatrino delle campagne elettorali, con il trito e ritrito copione, sempre lo stesso, fatto di promesse impossibili da mantenere e di progetti difficili da realizzare. Con attori (i politici) sempre gli stessi, che ad ogni tornata sono tesi a mostrare nuove “castità e verginità” e a gestire le clientele -unica interessata novità- con le nuove tecnologie. Mai un consuntivo del loro operato, nè autocritica per tutte le inadempienze e le mancanze che hanno ridotto la città in condizioni pietose e incrinato il rapporto fiduciario fra amministratori e cittadini.
Una città degradata, priva spesso anche dei servizi primari, priva di una visione del proprio futuro, dove la tua maledizione ha estirpato dagli animi lo spirito di servizio e l’amore per la propria terra, ed ha sviluppato di contro solo ambizioni sfrenate e interessi personali.
Una città, che dopo il crollo dell’apparato industriale, il cui sito è diventato una landa inquinata e deserta, ancora non è riuscita (e forse mai ci riuscirà) a trovare altri percorsi economici, pur in presenza di notevoli potenzialità.
Una città senza identità, che non si è mai sforzata di trovarne una, dove latita sia cittadinanza attiva che partecipazione, dove i diritti e i meriti vengono calpestati e trasformati in favori e clientelismi.
Una città che sta morendo e che non riesce a gestire neppure i servizi più semplici (raccolta rifiuti, sanità, strade, cimitero…), per incapacità e disorganizzazione.
Una città che ha perso la sua dignità e la memoria della sua antica grandezza, sporca, sciatta, trasandata, stanca, sfinita, letteralmente isolata dal resto della Regione e dall’Italia, per mancanza di strutture viarie moderne.
Una città che deve recuperare l’antica dignità e orgoglio, superare il complesso d’inferiorità (indotto e alimentato da chi ha interesse), con la coscienza di appartenere ad una comunità vasta, con eguali diritti e doveri.
Una città ogni giorno da ricostruire, partendo dal fondo in cui la tua maledizione la spinge continuamente.
Caro Pitagora, è da secoli ormai che la tua maledizione (per uno strano gioco di contrappasso all’incontrario) ha favorito la tracotanza e l’arroganza dei potenti di turno, tesi solo a curare i propri interessi e ad angariare il popolo, calpestando sistematicamente regole e giustizia. Un tempo in modo evidente, oggi in modo subdolo e ipocrita.
Come vedi, caro Pitagora, è un quadro veramente drammatico quello descritto, che solo tu puoi modificare, ritirando la pesante maledizione. E’ il tempo di recuperare completamente la tua saggezza, diventata proverbiale (come quella di Salomone) e per la quale sei in eterno famoso. E metterla al servizio di una città, alla quale un tempo hai dato tanto, ma che pur ingrata nel finale, ti ha accolto con favore e ti ha dato la possibilità di sperimentare le tue ipotesi scientifiche e di dare concretezza alle tue idee politiche e formative.
Torniamo a pensare che la personalità e il benessere psico-fisico non sono frutto solo di un percorso virtuoso o di una costruzione intenzionale, ma principalmente e soprat-tutto di una reazione del singolo agli attacchi che provengono sul piano fisico dai virus e dai batteri e sul piano psicologico dalle fobie, dalle sindromi, dalle paure, dai complessi e dalle schiavitù. Per raggiungere quel “benedetto” equilibrio, sintetizzato mirabilmente da te, caro Pitagora, nella formula Per tutto il meglio è la misura. Ritira quindi la maledizione, perdona per il male ricevuto, aiuta questa terra a riprendere un percorso di grandezza e civiltà, interrotto bruscamente dagli egoismi e dalle ambizioni. Quelli che amano queste terre, ti saranno riconoscenti in eterno, compreso il sottoscritto, che continua ancora a scrivere il suo amore per questa terra martoriata:
Non partono più bronzi dall’Esaro / torbido e sonnacchioso, / riposano tanti ancora nei mari / a ridosso di coste sinuose / dalla sabbia fine e policroma. / Solo gli echi di battaglie antiche / risuonano le valli del Bonamico / e lo Stilaro, con in testa Carlomagno, / Agolante e Rolandino, dall’aspro monte / alle mura di Risa, oggi altre guerre / impegnano indigeni e combattenti. / Una colonna solitaria in solitario e / continuo ascolto di comandi divini, / ricarica di energie le genti locali. / Le amo sempre tutte queste terre / che profumano di storia, di gerani e di zagare.
In pace ormai con la morte, che tutto / livella, riposa con i più fidati Alarico, / tra le sponde del fiume bruzio deviato. / Da innumeri e fragili mosaici, tra ruderi / di terme greche e romane, mai qui / curati e ben protetti, il drago di Kaulon, / le Nereidi fattive nel tiaso marino / e i delfini saltellanti di Capo Nao, / mandano da tempo inascoltati e vani / messaggi di civiltà, a gente ignava / con lo sguardo fisso solo sul presente. / Intanto Zaleuco, serio e accigliato, osserva / l’amata terra spogliata della grande madre, / cui si ispirarono grandi artisti e pinakes… / Ma io le amo sempre tutte queste terre / che profumano di storia, di gerani e di zagare.
Inappagato di perfezione, bellezza e armonia, / con misura s’aggira ancora, anima vagante, / il Maestro chiomato, tra antichi ruderi, / alla ricerca da opporre, di una nuova tetraksis, / ai numeri irrazionali e agli esseri tali… / Più a sud, da Stilo, fiero e con sguardo fermo, / un giovane osserva il mare che guarda la Grecia, / a fantasticare inquieto sulla prima incerta visione / di un nuovo mondo da conoscere e rinnovare, / sfocato era ancora il prezzo da pagare alla libertà / e all’autonomia di pensiero: la solitudine umana / e la persecuzione dei potenti di turno… / Non è bella la vita dei pastori: Alvaro mai tornò / al paese natio, dolore grande per una madre afflitta. / Ma io le amo sempre tutte queste terre / che profumano di storia, di gerani e di zagare.
A capo chino i contadini per secoli hanno declinato / solo terreni con sudore da coltivare, animali da accudire, / olive da trasformare, uve da pigiare, materne fattrici / di nettare divino… E bachi da nutrire con foglie di gelsi, / rigate di sangue, e more corvine baciate dal sole… / Ma nei giorni di festa, un po’ l’utopia si realizza e i giganti / diventano reali, il “cavalluccio” saltella scoppiettante, / guidato da vivace musica pizzicante. I ricchi addobbi / delle feste patronali, tra musiche canti e processioni, / danno alle grame giornate il tocco della magia infantile. / Tra chiamate incanti e confrunte, i riti pasquali esalta / ogni voglia di rinascita. Ma il carnevale del riscatto / purtroppo dura poco. Con nostalgia gli arbereshe e / i grecanici continuano a scrutare e fissare l’Oriente. / Io intanto le amo da morire tutte queste terre / che profumano di storia, di gerani e di zagare…
L’ultimo verso “gridato”, chiusa di un’analisi critica “sussurrata”, evidenzia un concetto chiarissimo, che mi accompagna da sempre: si critica (con dolore ed amarezza) ciò che si ama appassionatamente, tutto l’altro diventa oggetto solo di indifferenza…
Necessaria premessa per dire che forse la presente letterina riflette, come tutte le riflessioni di questo tormentato periodo di pandemia (o forse no, non lo so), le attuali difficoltà a trovare il giusto equilibrio dinnanzi a qualcosa che non è inquadrabile completamente… La nostra, come dice bene l’amico Luigi Dima, con mirabile sintesi, attualmente sembra “una vita estranea alla vita…”
Però l’importante, mi dico spesso, è sforzarsi di gestire le nostre paure (e compagnia similare) e non trasformarle in forme patologiche… per essere pronti dopo a riprendere il camino e a ricucire i rapporti generazionali sbrindellati e valorizzare i nostri patrimoni culturali e morali…>>
A tutti i parenti ed amici un abbraccio affettuoso:
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Quaderni di famiglia n. 5: “Epistolario familiare” di Carlo Ripolo