Il filo di Arianna (minisaggi/storie locali/miscellanee)
in omnibus requiem quaesivi et nusquam inveni nisi in angulo cum libro
dedicato a Nicola Dattilo, compagno caro di comuni valori ed esigenze
Parte prima: Il filo di Arianna
INTRODUZIONE
La presente è una raccolta dì brevi riflessioni su temi vari che inseguono un obietti-vo comune: la ricerca di una verità e di un senso, che diano valore, attraverso rappre-sentazioni e contenuti coscienti e responsabili, all’esistenza e alla vita di tutti i giorni.
La ricerca della verità non è un’operazione semplice e lineare, non è un’intuizione, non è una rivelazione, ma un processo serio e continuo, è una procedura scientifica sorretta da criteri e metodologie, è il frutto dì un confronto di opinioni, che obbedisce ad alcune condizioni: a) il rispetto e la tolleranza delle opinioni dell’interlocutore; b) il rispetto e la considerazione del valore e della pari dignità delle opinioni degli altri; e) il rispetto della dignità degli altri.
In caso contrario la verità non si raggiunge, le opinioni creano solo divisioni e rancori: a) la semplice opinione non si avvicina neppure di poco alla verità; b) l’opinione risentita è lontana dalla verità; c) le opnioni politiche, sportive o religiose sono lontanissime dalla verità; d) la cosiddetta verità storica non esiste in assoluto, in quanto essa è “scritta” dai vincitori di turno che non hanno rispetto dei vinti, e pochissime volte è raccontata con una piccolissima, minima considerazione dei perdenti; e) la presunzione di assumere a verità l’opinione personale impedisce ogni possibilità dì dialogo.
L’uomo saggio dà solo brevi risposte. In merito ritorna continuamente alla mente il consiglio di un Maestro di vita, che suggeriva alcuni criteri da seguire nelle discussio-ni e nelle conversazioni: prima di parlare di rispondere o interloquire, riflettete 15 secondi se vi trovate dinnanzi a situazioni lineari e persone normali; 45 secondi se le situazioni sono complesse e le persone dotte; per un tempo ragionevolmente lungo se le situazioni sono contraddittorie e le persone incomprensibili e incoerenti. In verità su diverse situazioni e persone io mi ritrovo a riflettere da diversi anni.
La ricerca di un senso richiede una costruzione intellettiva sull’uomo e sul mondo, con metodo anche se approssimativo. Anzi è prassi: ogni uomo, ogni essere pensante costruisce, più o meno superficialmente, un mondo di idee di fatti di valori. Un mondo che, quand’anche non avesse alcun valore per gli altri o non trovasse riscontro in altri mondi, avrebbe valore per l’interessato al quale darebbe un fine uno scopo di vita, anzi spesso la stessa forza di vivere. Per la sua costruzione ognuno adotta metodi diversi legati alla particolarità della propria struttura mentale, interiore, emotiva, sentimentale. Comune denominatore di ogni metodo è il senso della riflessione e concentrazione sui principi fatti e idee; della meditazione sui medesimi; della loro collocazione al posto che “meritano”. I motivi essenziali alla base di ogni costruzione sono la soddisfazione di bisogni intellettivi dell’uomo (singolo), l’unificazione e l’approfondimento dei dati conoscitivi già in suo possesso, la “scoperta” dì nuove conoscenze ( che uniti rappresentano, la cosiddetta cultura).
Ogni realtà esterna o interna all’uomo (e il suo ripensamento) è soggetta al princi-pio della relatività (ogni realtà fisico-materiale è relativa rispetto ad un’altra) e al principio della soggettività (ogni idea è soggettiva, in quanto frutto di particolari condizioni). I due principi non sono assoluti in quanto tali, ma sono soggetti a grada-zioni o graduazioni, i cui limiti sono il minimo e il massimo (esempi di massimo sono i termini di assoluto e di oggettivo). Naturalmente anche i termini espressivi usati sono soggetti a tali principi, sia dal punto di vista discorsivo e verbale che dal punto di vista del significato. I due principi, come pure i diversi metodi, si incontrano, si scontrano e danno vita a una verità relativa, cioè ad una verità che abbia il massimo di garanzia nella gradazione della relatività.
Oggetto della costruzione è il mondo naturale e umano. Il mondo “naturale”, in cui l’uomo non è altro che elemento integrato, è da intendersi nel senso lato della parola, ed è soggetto nell’analisi al principio della relatività. Il mondo “umano”, nel senso che l’uomo è protagonista delle idee e della loro costruzione, è al centro dell’intero sistema pensante, mentre è intermediano fra le realtà inferiori a lui e le realtà superiori; ed è soggetto al principio della soggettività. I due mondi naturalmente si intrecciano; solo per motivi espositivi e di economia mentale (la mente non può avere presente sempre tutto nello stesso istante) i due mondi sono divisi.
L’uomo è al centro di ogni sistema in quanto è il solo essere “pensante” a certi livelli. Come soggetto in quanto è lui a pensare analizzare mutare i rapporti esterni ed interni a lui, come oggetto in quanto in ogni analisi in ogni trattazione è sempre l’uomo al centro dell’interesse e come agente e come subente e come agente-subente nello stesso tempo.
Il filo d’Arianna -come ogni parola scritta- è un tentativo di orientamento nel labirinto della vita, è la pretesa di fermare il tempo, è la ricerca dell’elisir di eterna giovinezza, è la presunzione di trovare risposte alle angosce esistenziali. Minisaggi è una formula per indicare carenza di pretese nella forma e nel respiro.
L’ANGOSCIA DELL’UOMO
I) L’uomo e se stesso
La direzione ermeneutica deve partire dall’uomo verso gli altri, verso le altre cose, per spiegare la sua problematica, la su angoscia, e non viceversa, perché c’è il pericolo di soccombere subito, a priori? Potrebbe sembrare un assurdo ciò, ma non è così, in quanto l’uomo non è uno stadio terminale di una realtà o di una problematica (che dir si voglia), ma uno stadio iniziale, che non presuppone la fortezza, la soggetti-vità e la coerenza degli stadi iniziali, ma piuttosto presuppone (caso unico) la sua miseria, la sua incoerenza, la sua debolezza, la sua oggettività. Incapacità queste dell’uomo, che affiorano in superficie soltanto in base a un esame di coscienza, un profondo esame di coscienza, sincero, condotto veramente in profondità! E solo così si possono spiegare i tanti perché del comportamento umano! Si conduca l’analisi dal giovane, e poi la si trasporti all’uomo e a poco a poco ai vedranno, si chiariranno i rapporti di causa ed effetto, le tare, le disfunzioni, che portano all’angoscia dell’uomo maturo. Il giovane viene a trovarsi, in un tempo eterogeneo, dinnanzi a una realtà che non è tutta sua, ma che potrebbe essere sua, solo che egli lo voglia, e si illude così di potere, di essere potente, di essere il signore da adorare, da ammirare, da invidiare! Come si vede il giovane è pieno di vanità, di se stesso, di ipocrita presunzione. Presunzione che è basata proprio sulla sua giovinezza, su quella giovinezza che gli fa guardare la vita dall’alto, su quella giovinezza che gli fa sembrare la vita lunga, lunga, lunga e carca e piena di piene soddisfazioni. E di ciò, di queste speranze il giovane vive, speranze che piano piano diventano cose sicure, cose certe; si tratta solo di aspettare, di raggiungere una maturità fisica e intellettiva, si tratta solo di aspettare che la società lo consideri veramente! Si, aspetta proprio ciò, che la società lo consideri, in quanto il giovane già si dà una considerazione, è pieno di sé, è pieno della sua vanitosa, ma effimera, potenza. E il giovane non se ne accorge! Il giovane non può accorgersene perché vive di ciò, ama queste speranze, ama queste sue, e solamente sue, certezze. A questa ipocrita presunzione aggiunge poi l’egoismo, che lo rende infelice, perché non gli permette d’afferrare il vero senso della felicità e dell’amore, frutti proprio della mancanza di egoismo! E questa infelicità non sa proprio spiegarsela, no, no, non sa proprio spiegarsela lui che ha tutto dalla vita, lui che ha le speranze di una vita grandiosa, e quindi ha veramente tutto! E allora perché è infelice? Se lo domanda, una, due, cento, mille volte senza trovare una risposta adeguata, e l’infelicità aumenta, aumenta. Eppure la risposta è lì a due passi, la risposta la può trovare nel suo atteggiamento, la può trovare, ma non la trova! Dovrebbe fare un esame di coscienza, e il giovane ciò non lo fa, non ha tempo di farlo, e così continua ad essere infelice! Però ancora non siamo nel campo vero e proprio della angoscia; si tratta di infelicità più o meno acuta, più o meno cronica senza rasentare( salvo casi patologici) il campo di un’infelicità angosciosa. E poi altra caratteristica del giovane: la sua incoerenza nelle azioni e nelle intenzioni. Ha bisogno di sapere, vuole sapere, sapere, conoscere, perché la sua mente è pulita e vuota e capace, ma nella foga della conoscenza non ha sistemi, non ha schemi, e tutto diventa un caos di note, di notizie, di conoscenze confuse. Ha bisogno di stare con gli altri, ma sta solo. Ha bisogno di essere amato, ma non ama, non è amato in profondità -come egli vorrebbe, e come egli non ama. Incoerenze, contraddizioni queste che aumentano la sua infelicità, senza turbare le sue speranze, quasi certezze! Quasi certezze, non più certezze, perché qualcosa si va incrinando in questo metodo, in questo modulo di vita, poco tempo prima saldo e sicuro! Si va incrinando, in quanto il giovane comincia ad avere le prime esperienze, le prime piccole delusioni! Ma non turbano quelle che sono le speranze: ci vuole tempo, tempo e un po’ di pazienza! Certamente non c’è più la sicurezza di prima, ma non importa: “l’uomo non deve essere sicuro per essere uomo”, si giustifica! Quindi già c’è qualcosa che comincia ad essere messa in dubbio nell’animo del giovane, che perde così la sicurezza iniziale. Perdendo questa sicurezza iniziale nella sua forza e nella sua potenza, non verificata, ma agli occhi suoi sicura, il giovane si accinge a fare qualcosa, a tentare qualcosa, a tentare di fare qualcosa, qualcosa che dev’essere quasi per certo grandiosa e di fama. La certezza e la sicurezza di prima non ci sono, “ma io” dice il giovane “sono sempre grande, potente e riuscirò con la mia opera a dimostrare tale potenza. Io non sono come gli altri (ma è proprio identico agli altri), perché io sono un creatore, perché c’è in me il desiderio di creare qualcosa, qualcosa di nuovo, che non sia mai stato creato, c’è in me questo desiderio impellente, travolgente. Io non ho bisogno degli altri, non ho bisogno di cadere nell’identificazione, perché io ho la mia personalità, perché io sono originale. Io sento il bisogno di dire qualcosa, di dare qualcosa al mondo e a me stesso; io sento il bisogno di essere qualcuno. (Altra incrinazione questa, che porta a poco a poco alla eliminazione della sicurezza iniziale fino alla completa insicurezza e insufficienza di sé e della sua opera). Si, debbo dire qualcosa, si qualcosa, debbo sfogare questa mia “creatura passionale” che è la sede dei senti menti! Si debbo sfogare! Debbo creare qualcosa! No, no, non sono falso, non sono presuntuoso; sono soltanto sicuro con me stesso, con le mie possibilità! (Ecco per la prima volta affronta il problema del suo atteggiamento, ma è falso nelle risposte). Ho bisogno di sapere se io sono io, ho bisogno di stare solo solo solo! Ho bisogno di sapere se io sono parte dell’universo o dell’umanità; ho bisogno di sapere se il mio campo d’azione è fuor di me o in me stesso; ho bisogno di sapere la mia naturale ”posizione”, la mia “naturale” tendenza, libera da influenze. (Si apre così nel giovane una nuova problematica, sistematica e critica) Ho bisogno di sapere se la mia anima, o ciò che viene identificata con tale nome è “infinita” come l’infinito! Ho bisogno di sapere se Dio esiste e perché non ci illumina “naturalmente” e ci abbandona alle più schiave libertà! No, non è libertà questa dell’uomo: è una falsa libertà, un’apparente libertà, un’ingan-nevole libertà.” E continua così in questo tono la nuova problematica critica che si è aperta nel giovane, è il momento decisivo del trapasso dalla giovinezza alla maturità dell’uomo. Vengono a cadere quindi tutte le speranze del giovane che era certo di essere grande, ma che ora di fronte a questa situazione problematica si sente piccolo, misero, si sente travolgere! E da ciò nasce l’angoscia dell’uomo: è “niente” e vorrebbe essere “tutto”. Angoscia che lo strazia, lo travaglia, per tutta la vita. Angoscia che lo porta al tentativo di risollevarsi dalla sua condizione, a migliorarsi, a raggiungere una perfezione umana o divina che sia, inesistente perché irrealizzabile.
II) L’uomo e gli altri
“Non aver fiducia in nessuno, e nessuno abbia fiducia in me”: questo potrebbe essere il credo della società moderna, basata su un’angosciosa presunzione di tutto potere, ma con dei limiti netti, precisi e invalicabili, che danno appunto angoscia a questa presunzione. Si dice che con l’avvento dell’era atomica la storia sia diventata univer-sale; non più problemi di singoli stati, ma problemi di un unico stato mondiale, in quanto i timori e le speranze di un popolo diventano i timori e le speranze di tutti i popoli! Pur tuttavia l’angoscia dell’uomo non è scemata, anzi è aumentata! E’ aumentata per le condizioni di vita critiche e periclitanti, dovute all’avvento dell’era atomica e nucleare. E’ vero che la storia è diventata universale, ma soltanto per registrare, per far consapevoli, per informare e per far partecipi dei contrasti, oggi più che mai evidenti, degli uomini e della società moderna! L’uomo sa di non poter contare sull’appoggio degli altri, che ai suoi occhi diventano nemici, concorrenti. L’amicizia è scarsissima, e si basa sull’interesse, sull’utilità, sul rendiconto. Lo stato di angoscia dell’uomo in queste condizioni aumenta! Sa di non poter contare pienamente su se stesso per le incapacità e miserie umane, e nello stesso tempo si rende consapevole che un aiuto degli altri è altresì impossibile per la insincerità della natura umana. Lo stato di angoscia raggiunge profondità abissali. Nasce così la diffidenza verso gli altri, diffidenza che porta e accresce l’egoismo. Diffidenza anche verso le istituzioni della società, verso la giustizia umana. La società non potrebbe punire il singolo, perché soltanto Iddio avrebbe il potere di punire l’individuo: dovrebbe, e non ha, perché Iddio non è un concetto di conoscenza, ma soltanto di fede (e potrebbe essere anche un’illusione fantastica e umana). Se l’esistenza di Dio fosse certa, ecco non ci sarebbe bisogno della giustizia umana, in quanto il pensiero della giustizia divina (divina perché eterna) basterebbe a scacciare dalle menti umane ogni residuo di azione violenta, e contro il prossimo, e contro i propri simili. Ed ecco, in mancanza di una “prova certissima dell’esistenza di Dio”, ergersi “infallibile” la giustizia umana, incoerente, mutevole, partigiana e “non giusta”. Quindi diffidenza completa verso la società, dilaniata da lotte, da drammi! Ma il dramma più notevole forse della società è qui: il presente non ha nessuna voglia di ascoltare la lezione del passato, ma il passato a sua volta, negli uomini che lo rappresentano, fa di tutto per conservare il suo linguaggio retorico e antistorico. La verità non è né del passato né del presente; è di sua natura fuori del tempo, ma deve inserirsi nella cronaca vissuta, perché vuole essere “una verità vitale”.
III) L’uomo e la natura
L’uomo viene così a trovarsi sfiduciato sulle proprie capacità, su quelle degli altri, sull’aiuto e sull’appoggio che gli altri potrebbero dargli. L’angoscia del1’uomo conti-nua,incessante, di quell’uomo che ad un certo momento cerca di evadere dalle proprie responsabilità, dai propri problemi, dalle proprie ansie. E l’oggetto di questa evasione è la natura che purtroppo non accoglie l’uomo così a braccia aperte, ma con tutta la sua più crudele problematica. I suoi “perché” diventano per l’uomo un assillo, un tormento, un nuovo motivo d’angoscia. Vivere secondo natura è vivere contro la natura degli uomini: ma la natura richiede i suoi diritti, e una simile vita richiede i suoi schemi. Così si apre per l’uomo una problematica angosciosa, di più vaste proporzioni: se stesso, gli, altri, la natura. No, la natura non è matrigna crudele, ma matrigna inconsapevolmente, perché attraverso il suo aspetto ingenuo, attraverso la sua apparenza ingannevole, tormenta l’uomo. Non è colpa volontaria della natura, ma cieca obbedienza a leggi altrettanto cieche e meccaniche. In questa terza prospettiva affiora più che mai la condizione misera dell’uomo, ma ancora non siamo che all’inizio di una problematica ben più vasta e incontrollabile dai nostri sensi, dalle nostre conoscenze, dalla nostra ragione. Così l’uomo, che aveva voluto fuggire una situazione divenuta insopportabile, si trova ad essere prigioniero non solo di se stesso e degli altri, ma anche della natura. Unico rimedio a questa situazione impossibile sarebbe un ritorno alla semplicità, alla inconsapevole e gioiosa felicità degli anni puerili, senza eccessivi drammi, senza angoscia. Ma sarà poi davvero senza angoscia?
IV) L’uomo e il progresso
Non ci si raccapezza più in questa società moderna! Troppe cose che si dovrebbero conoscere, che si vorrebbero conoscere, che si potrebbero conoscere! Ed ecco la nevrosi della società moderna, dell’uomo moderno, nevrosi che è indice di altissima angoscia. Le tradizioni sono ormai considerate sorpassate, e un tentativo di ritorno a tali tradizioni è impossibile perché si è trascinati, di peso, dalla stessa società, di cui a poco a poco si diventa schiavi. Schiavi del progresso, di ciò che noi definiamo progresso tecnologico o progresso delle macchine. Poco tempo si dedica alle cose naturali, ai valori naturali, si, naturali e non istintivi (o almeno nel significato più lato che viene dato a questo termine, cioè di “istinto prettamente bestiale”.) Forse in cuor suo l’uomo moderno dileggia, disprezza e odia questo progresso che lo rende schiavo delle macchine, questo progresso che l’ha reso libero dai poteri dittatoriali, l’ha reso libero dalla schiavitù di altri uomini, ma lo ha sottomesso ad una schiavitù incontrol-labile, a quella delle macchine, contro cui nessuna rivoluzione è possibile, nessuna rivoluzione potrebbe riuscire utile. I vecchi comandanti, si, i vecchi despoti erano uomini e come tali soggetti agli errori degli uomini, e come tali muniti del loro “tallo-ne di Achille”, ma queste macchine no, non sbagliano, non si emozionano di fronte alle masse in tumulto, non tremano, perché sono perfette nel loro automatismo, sono perfette nei loro sincronismi, sono perfette! Si dice che una tale schiavitù sia solo apparente, perché il potere, il comando di queste macchine è sempre nelle mani dell’uomo; ma no, non è vero, perché se mai vi è qualcosa di apparente non è la schiavitù dell’uomo, piuttosto il comando dell’uomo! E l’uomo forse in cuor suo odia tutto questo, vorrebbe gridarlo questo odio, ma ha paura del progresso, ha paura che il progresso possa vendicarsi, potrebbe schiacciarlo. Vorrebbe gridarlo il suo odio, e poi liberarsi di tutte le sue “false coerenze”, di tutti i “complessi” di tutti i “supporti”, di tutte le influenze, di tutto, e vivere senza pregiudizi (che non significa senza pudore), senza schemi, senza orari, vivere e non “lasciarsi vivere”. E i giovani? Cosa fanno i giovani in una società simile? Non tentano di sganciarsi dai grandi, dagli schemi e dalle responsabilità dei grandi, dalle imposizioni di questa società, non tentano di “vivere” invece di “lasciarsi vivere”? no, il loro non è un nuovo modulo di vita, un vivere diversamente, ma piuttosto un atteggiarsi diversamente, un prendere una posizione, non nei confronti degli schemi e delle imposizioni della società moderna, ma piuttosto nei confronti di quei valori, considerati sorpassati, e che tali invece non sono. Non si vuole amare pudicamente, ma libertinamente, perché i tempi sono cambiati; no, no, non è così, perché se i tempi sono cambiati, l’amore non è cambiato, la dolcezza dell’amore non è cambiata, e soprattutto il mistero dell’amore, il mistero che porta all’amplesso morale e fisico di due esseri non è cambiato! No, i valori non cambiano mai nella loro essenza se sono veramente valori! Mutano i tempi, si, ma l’essenza di ciò che è prezioso, di ciò che è stato prezioso (perché ciò significa “valo-re”) non muta, non potrà mutare. E se questa è la diagnosi preventiva, quale sarà quella operativa? Semplicissima, anche se non facilissima da attuarsi, e consiste nel ripristino (se di ripristino si può parlare) dei valori della famiglia, del focolare dome-stico, del senso dell’amore coniugale, del matrimonio e della sua grandezza semplice e semplificante! Ecco la diagnosi più elementare, perché alla base e alla guida delle masse e dei popoli non c’é la società (che nella sua astratta complessità dice solo che i suoi problemi non possono essere determinati e quindi neppure determinanti), e non c’è neppure il singolo, l’uomo (che pur nella sua concreta individualità è impotente, è solo, è privo di forza e quasi indeterminato e indeterminante), ma la famiglia, nel cui seno l’uomo trova la sua perfetta qualificazione, la sua forza, un modo e un motivo di vita (per non dire il modo e il motivo della sua vita) e la donna trova il campo per esprimere la sua carica affettiva, di femminilità, di donna, dì madre, di elemento essenziale e insostituibile della famiglia e della società! Trovi l’uomo la sua famiglia e troverà un rimedio parziale alla sua angoscia, troverà l’amore, troverà la gioia di sorridere, troverà forza, troverà il coraggio di morire!
V) L’uomo e l’Infinito (Universo, Dio, Morte)
La mia capacità d’individuo e d’uomo rispetto all’universale è simile a quella della terra rispetto all’universo. Capacità limitata, ma che appare talvolta elevata perché ciò è frutto di menti limitate, di menti umane, che considerano grandezza la piccolezza, l’inizio fine. L’uomo si trova sbigottito e impreparato dinnanzi all’infinito, dinnanzi a problemi che interessano l’individuo, ma che nello stesso tempo sono di portata uni-versale. Esiste Dio? Cos’è la morte e dove ci porta? Che cosa bisogna intendere per universo? Ecco, questi sono i problemi insolubili che portano l’uomo ad un’angoscia perenne ed infinita. L’uomo si circonda di tante cose, l’uomo pensa a tante cosa per sfuggire a se stesso, alla morte che incombe perennemente, alla paura. Eppure la morte è una necessità della vita, si, proprio così, è “una necessità della vita”! Come l’oppio che dà una parvenza di felicità, così questi tentativi di evasione danno all’uomo un’illusione di eternità, di coraggio, di verità (falsa). Cosa si può dire riguardo la creazione dell’universo, riguardo l’uomo e la sua vita, riguardo la morte? Dio (assioma fideistico) ha creato l’universo con un determinato fine (per noi inconoscibile), e l’umanità è partecipe (quasi inconsapevolmente) di questo comples-so fine. Come i mondi si distruggono o sono distrutti, ma poi sono generati con nuove forze, così l’uomo perisce e rinasce in un ciclo continuo fino a quando…Possiamo dire solo: fino a quando? Lo spazio di vita di ogni uomo potrebbe costituire la prova per l’assegnazione di un posto nell’eternità! La varia e diversa età di morte degli uomini dipende dal concretarsi della prova nell’assegnazione finale dell’eterna vita. Esiste Dio o un ente eterno? Non ci si può pronunciare a proposito sempre per quella incapacità e deficienza che rendono umane le nostre considerazioni e i nostri pensieri. Una cosa è certa: Dio si deve accettare solamente per fede e non altrimenti, e credere come si crede alla persona amata, lontana. Che poi l’uni verso potrebbe essere una prova razionale dell’esistenza di Dio, non si deve dare per scontato. L’uomo si è trovato sempre sbigottito dinnanzi all’infinito e soprattutto dinnanzi all’universo, che è l’aspetto più tangente e più sensibile del concetto di infinito! Ecco il nostro sguardo dapprima si eleva e si sperde fra gli spazi siderali, nella profondità di abissi, incolma-bili, sterminati e lontani, lontanissimi a noi, alla nostre capacità presenti e forse future, finanche alla nostra immaginazione, alla nostra fantasia che si ferma tremante e paurosa! Eppure è un aspetto del suo mondo, del mondo della fantasia che giunge là dove ancora tutto è sacro, dove conoscenze profane e sensibili non hanno messo piede, ma ha paura, tre ma, ha paura di far capolino, ha paura di disperdersi e per sempre! E quindi lo sguardo umano può soltanto sfiorare la superficie dell’universo, può soltanto abbracciare la”scorza” la parte più vicina (anche se si tratta di una vicinanza non troppo vicina, ma è tale soltanto nei limiti, nei condizionamenti, nei rispetti di altre parti lontane, lontanissime). Quindi, dicevamo, lo sguardo umano può dare soltanto un’occhiata, dà soltanto un’occhiata a questa infinità e poi si rifugia di nuovo sulla terra, sul suo pianeta, su cui è nato, su cui si sente padrone, su cui si sente al sicuro. Ma la terra è ben misera cosa rispetto all’universo, ben piccola cosa rispetto all’universo, è ben misera cosa, è qualcosa dì definito e di non infinito e di non eterno, e quindi ben meschina cosa rispetto all’infinità, all’indefinità, all’ eternità dell’universo e degli spazi. Eppure l’uomo si sente sicuro su di essa, eppure l’uomo si sente perfetto, si sente a casa sua su di essa. Piccola cosa sperduta e nello stesso tempo schiava di leggi cosmiche, di un ordine cosmico, No, non è libera, perché guai se la terra fosse libera di muoversi negli spazi, guai! Come tutti i corpi degli spazi anche la terra è schiava (nella “bontà” di questo termine), schiava di un ente superiore, schiava di un ordine infallibile e non disordinato, di un ordine che non ha niente a che vedere con l’uso e l’applicazione di questo termine fra gli uomini. Quindi l’uomo si rifugia su questa incapacità sua, che (error suo) considera capace, bastevole, sufficiente e più che sufficiente. L’uomo fin dalle sue origini non vive così all’istinto, ma si domanda, si domanda, si chieda tanti perché, e intorno a questi perché sorgono altri e tanti ancora perché, e si danno soluzioni, e accanto a queste soluzioni che non sono mai definitive ma suscettibili di verifiche e di mutamento, sorgono tanti e tanti ancora perché, tanto che ormai nella nostra vita ci si confonde, c’è una confusione inarrestabile, e i problemi e i perché sono a iosa, a migliaia di migliaia. Ci sono i nostri perché e quelli dei nostri antenati e quelli sorti accanto le soluzioni dei perché dei nostri antenati).. E l’uomo così non vive, non può vivere per-ché non si sofferma su ciò che avviene, su ciò che sente ora, su ciò che pensa ora, e ogni cosa e ogni azione presente è vista e considerata come un lascito del passato e un preannunzio del futuro e così mai niente sarà presente. Quindi l’uomo fin dalle sue origini sente il bisogno di sapere, di conoscere, per potere meglio applicare la sua presunzione, per poter dare delle basi alla sua ipocrita presunzione. E tanto più cono-sce, tanto più diventa ingannevole, con un rapporto di esatta e reciproca proporziona-lità. Si, proprio così, tanto più si conosce, tanto più si diventa ingannevoli, falsi, pre-suntuosi. La presunzione di chi non sa, di chi non conosce è solo apparente, è l’ap-parenza della vera bontà, è una falsa imitazione della vera presunzione e della vera ipocrisia, perché in realtà è bontà, sincerità, amore. Si conosce, si vuol conoscere e sulle basi di questa conoscenza sorge la civiltà che è data dalle innumerevoli attività umane, definite scienze, che allungano le loro “mani”, le loro “branchie”, i loro “ten-tacoli”, dappertutto, nella terra, nelle nubi, nel cuore umano e nel fisico umano, dap-pertutto dove c’è da scoprire, dove c’è da riscoprire. E tali scienze nella loro diversità nascondono una essenziale univocità: la conoscenza e 1’opera umana. Lo scopo della vita umana è sconosciuto a noi, e quindi invisibile. Non può essere così il pensiero, il pensare, che è una”cosa naturale”, ma il non pensare, il vivere così senza intensa pro-blematica, che è modo di vivere sconosciuto ai mortali. Ritrovi l’uomo se stesso e il proprio naturale ambiente e ritroverà “Dio” e il coraggio di “vivere veramente”. (1976)
IL CONTRIBUTO DEL GIOVANE ALLA SOCIETA’ DEL DOMANI
Ogni epoca esprime problemi e situazioni che di fatto vengono “trasmessi” alle generazioni future e in primo luogo ai giovani che rappresentano l’elemento di unione tra il vecchio e il nuovo. Tuttavia, mentre il ruolo dei giovani nelle epoche passate era vincolato alle strutture rigide delle classi e della mentalità che tali classi esprimevano, oggi, periodo di grosse trasformazioni di rapidi mutamenti di continui aggiornamenti, si richiede al giovane un ruolo più impegnativo più responsabile più attivo. Libero da pregiudizi, per natura idealista e dotato di entusiasmi non logori, oggi più maturo nella comprensione della realtà, il giovane può dare, e in effetti lo dà, un notevole contributo alla formazione di una società migliore.
Se oggi assistiamo a una revisione critica nei diversi campi delle attività socio-economiche politiche e culturali, il merito principale va senz’altro ai giovani, che con la loro contestazione, iniziata nel non lontano 1968, e con la partecipazione attiva e responsabile poi, hanno scosso dalle fondamenta delle strutture che si erano ormai irrigidite e fossilizzate. In campo politico il giovane partecipa direttamente alla vita dei partiti e non accetta più passivamente l’autorità degli anziani che vorrebbero monopolizzare il potere, per cui si ha uno svecchiamento dei metodi, del “far politica”, si accettano meno le forme clientelari, discriminanti, in contrasto con i principi di uguaglianza e di giustizia sociale sanciti dalla Costituzione, si tende a far gestire il potere in modo più corretto, più onesto, più disinteressato. E infatti solo in questa situazione politica è stato possibile fare emergere i molti casi di corruzione e di malgoverno, tanto abituali e tanto ben mascherati nella nostra vita politica. In campo sociale il giovane dà un contributo analogo. Contesta le forme discriminanti, l’esistenza di classi che si. arrogano il diritto di avere solo diritti scaricando su altre i soli doveri, vuole che i servizi sociali siano veramente tali e non occasioni di malgoverno e clientelismo, si organizza in cooperative per trovare soluzioni al grave problema della disoccupazione. In campo ecologico combatte ogni forma di inquinamento, pur cercando di conciliare le esigenze dello sviluppo industriale con quelle della natura e dell’ambiente, si dichiara contro lo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali, è per un ritorno alla natura nel senso di un ambiente a misura d’uomo. Un’analisi a parte merita il problema della violenza, non quella fine a se stessa, ma quella che ha risvolti di carattere politico e sociale. Certamente la violenza è uno strumento deprecabile e da condannare in blocco, ma spesso per il giovane risulta l’ultima risorsa, l’ultima reazione dinnanzi a delle situazioni che non può modificare diversamente, dinnanzi alle quali sì sente impotente, e sotto questo aspetto risulta quindi una forma di critica e di contestazione al sistema che a sua volta lo soffoca e lo violenta. In questi termini anche la violenza può essere un contributo per modificare uno stato di cose ingiusto e discriminante. Una conclusione si può trarre: il giovane di oggi desidera, e a volte in modo non cosciente, che i principi della Costituzione nati dalla Resistenza siano attuati nella pratica quotidiana e non rimangano affermazioni astratte e non vengano continuamente calpestati soprattutto da coloro i quali sono preposti per farli rispettare. (1977)
POEMETTO “SINFONIA MATERNA” di Antonio DI NATALE
Non tutti, nel corso della propria esistenza, riescono a vivere integralmente principi e valori autoimposti senza cedimenti compromessi o adagiamenti alle mode correnti e a dare contemporaneamente testimonianza ed esempi continui. Senz’altro Antonio Di Natale rappresenta un “caso” raro: è il galantuomo, la persona onesta, la persona corretta, “pulita” fino in fondo. E non lo nasconde. Attraverso la sua opera, attraverso la sua attività, incessante. La vita, i fatti, gli uomini sono osservati con occhi “buoni”, comprensivi, conscio che la “natura” umana possa essere educata. Non è uno scrittore obiettivo e distaccato, partecipa con palpitazione, vive le situazioni degli altri, dei protagonisti, con tenerezza con fede nei valori positivi con amore. E proprio l’amore, in tutte le sue forme in tutte le sue manifestazioni, ma soprattutto in quelle più durature, è presente in questa bellissima opera. La trama del racconto è abbastanza semplice e lineare, è la storia della maturazione di un giovane, Chris, che attraverso le esperienze della vita raggiunge quell’assestamento psicologico ed emotivo, che gli permetteranno di inserirsi nella comunità sociale con chiarezza di idee e con fede nell’uomo, testimonianza di un rafforzamento dei principi etici e sociali vissuti nell’ambito della famiglia e soprattutto attraverso l’educazione materna. Esaltazione quindi della funzione della famiglia nell’educazione delle giovani generazioni, ed è notevole, in un periodo di “crisi” di valori e di identità, di scollamenti sociali e di “deleghe educative” ad istituzioni che non sempre funzionano e bene. Il racconto è lo “spartiacque” dì analisi d’ambienti, di descrizioni di personaggi rappresentativi e di generazioni diverse e di studio dei tessuti sociali in cui essi si muovono, per la ricerca di soluzioni alternative a modelli di vita ormai logori e da trasformare. Opera “sinfo-nica” orchestrale, in cui tutte le situazioni tutti i personaggi hanno una funzione e un messaggio da trasmettere, e s’inseriscono armoniosamente in una costruzione corale e ad ampio respiro. E sullo “spartito” i valori, quale l’amore -in tutte le sue manifesta-zioni, e soprattutto quello materno- la bontà l’altruismo la giustizia la fratellanza la carità la fede -in se stessi nella natura nel prossimo-, si oppongono ai loro contrari, non solo sul piano religioso o ideologico, ma diventano positivi ed eterni per la loro carica intrinseca, che rendono possibile il progresso dell’umanità e danno senso e valore alla vita. E le varie situazioni concrete si trasfigurano in un simbolismo diffuso, che dà all’opera un valore indiscusso nel tempo e la colloca senz’altro al di là delle mode e del contingente, parametro e punto di riferimento per dibattiti e analisi di problemi sociali etici umani e di conseguenza anche politici. In tutto ciò l’Autore è un artista: le situazioni i luoghi i personaggi vengono descritti nei particolari con minuziosità quasi a voler penetrare -originale archeologo- in tutte le “secrete vie” coperte dal velo dell’abitudine della banalità e dell’indifferenza quotidiana. E il suo scrivere non è impersonale: l’autore è continuamente presente, più attore che spettatore, testimone continuo e partecipe dello svolgimento, con fede con tenerezza. Ovunque palpita la vita, e la vita è osservata con occhi buoni e lucidi. E la prosa diventa poesia e dispiega completamente la sua funzione catartica e liberatrice. (1980)
SIGNIFICATO DELL’ESSERE CITTADINI DEL PROPRIO TEMPO
Il fatto che il legislatore abbia indicato, per la scuola come finalità primaria, oltre agli obiettivi didattici specifici,la “formazione dell’uomo e del cittadino secondo i principi della Costituzione”, dimostra l’importanza notevole che acquista questa funzione nel contesto della vita socio-politica ed economica di un Stato. E anche se con motivazio-ni e strumenti diversi è stato sempre così nel corso delle trasformazioni storiche e sociali. Non è semplice “essere cittadini del proprio tempo”, se ciò significa com-prensione della realtà circostante, inserimento adeguato nelle varie strutture sociali produttive culturali e politiche di una determinata società precostituita e partecipazio-ne attiva per il miglioramento e la valorizzazione degli aspetti più qualificanti. Biso-gna creare le condizioni adatte, che spesso sono soltanto ideali, non realizzabili in parte o in tutto nel concreto dei rapporti; bisogna far convergere nella stessa persona motivazioni principi e interessi che riescano a vincere i vari condizionamenti d’ordine psicologico morale educativo politico tecnico. Non è facile a livello psicologico vincere il desiderio di affermazione sociale -spesso a scapito degli altri- o l’istinto di aggressività canalizzandolo nei limiti normali e positivi o l’esaltazione del proprio IO adeguandolo alle esigenze della civile convivenza. Non è facile a livello etico, soprat-tutto nei giovani, mediare -accettando a volte immani compromessi- i principi di onestà, di correttezza, di verità, di pulizia morale con quelli dell’arrivismo, del clien-tilismo, della disonestà, della violenza, della corruzione dilagante. Non è facile a livello sociale accettare -spesso senza poter reagire legalmente- l’ingiustizia, gli intrallazzi, la prepotenza, la raccomandazione, la delinquenza, la forza del denaro, la mancanza di un lavoro soddisfacente là dove il senso più elementare di una convivenza civile presuppone vera giustizia sociale, competenza, la forza delle idee, carriere e avanzamenti per meriti personali. Non è facile a livello politico “scegliere un partito” perché spesso le ideologie vengono stravolte da pratiche trasformistiche o accettare a pieno il concetto della strana democrazia, per cui solo una minoranza gestisce diretta-mente il potere disattendendo spesso le deleghe degli elettori. Non è facile avere –soprattutto nella società attuale soggetta a rapide trasformazioni- una conoscenza adeguata dei progressi tecnologici necessaria per capire determinati processi, per cui spesso si finisce con l’essere solamente degli spettatori passivi e strumentalizzati. Non è facile, infine, accettare i tentativi più o meno occulti di determinate forze eco-nomiche politiche sociali di massificare i gusti, le coscienze, la creatività comprimen-do quelli che sono gli aspetti individuali di ogni personalità. Tale impostazione, a mio parere, è valida per tutte le epoche storiche; c’è da dire però che sono cambiate le condizioni di partecipazione dei cittadini. Fino al secolo scorso solo pochi cittadini avevano la possibilità di partecipare alla vita sociale e politica, mentre la maggior parte veniva sfruttata e oppressa; è alla fine dell’ottocento che entrano prepotente-mente alla ribalta le masse operaie e contadine, che diventano i protagonisti e gli attori della vita politica ed economica dei vari stati. Certo diventare cittadino perfetto, con tanti e tali condizionamenti, è una cosa quasi utopistica. Avvicinarsi è senz’altro possibile, considerando che non bisogna accettare passivamente tutte le situazioni, ma battersi e lavorare per migliorare e soprattutto tenere presente che i diritti di tutti noi, quotidianamente, sono legati in modo inscindibile ai doveri e che la nostra libertà “limita” con quella degli altri. (1983)
TURISMO IN UN PAESE DI CALABRIA: analisi e prospettive
La storia del nostro paese assomiglia a quella di tanti altri centri della Calabria. Nei tempi passati, gli abitanti, per timore delle incursioni saracene di altri nemici, si sono arroccati su una collina vicino al castello del signore; in tempi più recenti, passato il pericolo, molti sono scesi in marina ed hanno costruito le loro case vicino al mare e vicino alla linea ferroviaria. Oggi, Ardore Marina è diventato un grosso centro, costruito con criteri moderni, è più importante di Ardore Superiore, che non può svilupparsi per la sua posizione difficile. La sua posizione è invidiabile: è servita discretamente dalla ss 106 e dalla linea ferroviaria Taranto-Reggio, il clima è mite, è immersa nel verde degli alberi e della campagna circostante, l’aria è pura e ossigenata per la mancanza di industrie, il mare è pulito e trasparente, la spiaggia è lunga e larga con brecciolino e sabbia per tutti i gusti, è vicino alla montagna per le escursioni domenicali (Zomaro e Aspromonte), è a pochi chilometri da alcuni centri di interesse archeologico e artistico come Reggio (i Bronzi), Locri (i resti e i ruderi dell’antica Locri Epizefiri), Gerace (la cattedrale e il centro storico), Bombile (la chiesa della Madonna della Grotta), Polsi (il santuario della Madonna della Montagna), Stilo (la Cattolica), Serra San Bruno (la Certosa), Crotone (Le Castella, i ruderi di Capocolonna), ecc. ecc. La gente è dedita all’agricoltura e a piccole attività commer-ciali; è cordiale, generosa, tranquilla e onesta. C’è molta emigrazione. Il turismo non è molto sviluppato, attualmente è legato al rientro degli emigranti per le ferie estive e alla presenza di pochi forestieri che hanno conosciuto il nostro paese, si sono affezionati e ritornano ogni anno per i bagni abitando case private in affitto o vivendo in roulottes e tende, in camping improvvisati. Tutto ciò a prima vista potrebbe apparire positivo per alcuni versi, in quanto non essendoci molti turisti non c’è confusione, possiamo farci il bagno tranquilli senza problemi di spazio e goderci l’estate in santa pace. Però noi sappiamo che, laddove c’è turismo circola denaro e ricchezza e si creano nuovi posti di lavoro, e il nostro paese ha tanto bisogno sia di denaro che di posti di lavoro. Pertanto noi tutti insieme dobbiamo cercare di incrementare il turismo, dobbiamo cercare di attirare i turisti come il nettare attira le api. Ma come fare? Visto che le bellezze naturali da sole non bastano ad attirare i turisti bisogna escogitare altri sistemi altri trucchi. Secondo me, per prima cosa bisogna costruire più alberghi (quelli che ci sono risultano insufficienti), pensioni e camping (che attualmente non ci sono) e stabilimenti balneari. Tali strutture dovrebbero però essere concorrenziali dal punto di vista economico e dei servizi, cioè alla portata delle masse dei turisti e non di pochi; cercare di dirottare vacanzieri dai paesi vicini altrettanto belli e più attrezzati del nostro. Per fare questo bisogna che la gente cambi mentalità, in quanto attualmente le categorie interessate approfittano dei pochi turisti che vengono e li “spellano” vivi, senza pensare agli anni successivi. Inoltre si potrebbe sviluppare l’agriturismo abbinato a quello del mare, come avviene in altre regioni tipo la Puglia, e cioè ristrutturare case di campagna, adibirle a pensioni e far vivere i turisti a contatto con la natura. In aggiunta bisognerebbe organizzare grosse manifestazioni di carattere culturale folkloristico o sportivo, con cadenza annuale e di forte richiamo, attraverso una campagna propagandistica e pubblicitaria gestita e patrocinata dall’Amministrazione comunale e dalla Pro-loco. Convincersi insomma che bisogna aprirsi agli altri con coscienza e conoscenza finalizzando l’apertura a fini prettamente turistici. (1983)
LE STRAGI TERRORISTICHE
Quando sembrava che il terrorismo fosse entrato in crisi per le rivelazioni dei pentiti e per i successi delle forze dell’ordine, dopo le stragi, spesso rimaste impunite, della Banca dell’Agricoltura di Milano, dì Piazza della Loggia a Brescia, della stazione di Bologna,dell’Italicus, ecco rifarsi viva la violenza destabilizzatrice, che,nell’intento di colpire le Istituzioni, si scaglia, con determinata lucidità, contro la “massa” inerme e indifesa, in un periodo dedicato a discorsi di pace e di fratellanza. C’è da rimanere senz’altro sgomenti, dal punto di vista umano, non ci sono mai parole sufficienti per esprimere lo sdegno e l’esecrazione nei confronti di chi, in un sistema aperto e democratico che dà la possibilità a tutti di esprimere le proprie idee e di lottare per l’affermazione dei propri ideali -giusti o ingiusti che siano-, si serve dei metodi più duri e più innaturali per esternare le proprie “opinioni”. Difficile diventa poi per l’uomo della strada capire le motivazioni “politiche” di questi atti terroristici, anche perché finora mai è stata fatta completamente luce su fatti analoghi e suaccennati, la verità non è mai venuta fuori con la chiarezza che fuga i dubbi, che spiega motivi e mandanti, che faccia capire quale logica si nasconde dietro eventi all’apparenza legati a menti fanatiche e maniache. Comunque sono atti che, pur nella difficoltà di capire e spiegare le motivazioni specifiche, vanno ricondotti a motivazioni più generali, legate alle contraddizioni e agli aspetti critici della società attuale. Società che, alla ricerca di un’identità, non riesce a far affermare ideali positivi quali il senso della giustizia e della solidarietà che si scontrano con forti interessi economici, privati e pubblici; società che non riesce ad attuare appieno, a distanza di quasi quarant’anni, i principi sancitì dalla Costituzione, soprattutto quelli che riguardano i diritti e i doveri più elementari dei cittadini; società che non riesce a ricucire con una certa stabilità il divario che esiste tra classe politica e cittadini, anzi accentua, per motivi vari e complessi, la sfiducia verso le istituzioni; società che partorisce fenomeni gravissimi quali la droga, la mafia, delinquenza di varia specie, senza poi riuscire a debellarli o a trovare soluzioni e misure che permettano il loro autoridimensionamento. Una società, dunque, in crisi, in cui sembra che l’interesse privato e partitario debba prevalere su quello pubblico e sul benessere della collettività; una società, in cui i meriti dei singoli, se non accompagnati da pressioni o raccomandazioni, sembrano non aver alcun valore; una società che, non offrendo validi sbocchi occupazionali per tutti, alimenta una “guerra continua fra poveri, fra disoccupati”, facile preda di deviazioni e inganni.. Eppure la soluzione di questa crisi non è poi tanto difficile da trovarsi. Essa è legata senz’altro alle energie sane che, seppur nascoste e difficili ad affermarsi, sono presenti nella società. Bisognerebbe portarle alla luce, con l’adesione dei singoli, nei posti di lavoro e di studio; bisognerebbe rafforzare gli ideali del bene comune, della fratellanza della solidarietà del senso dello Stato, per creare le motivazioni di una società più giusta; bisognerebbe rafforzare e credere nella funzione educativa della scuola, che ha come obiettivo primario la formazione integrale dell’uomo e del cittadino; bisognerebbe creare le premesse per un rafforzamento della funziona educatrice della famiglia, di primaria importanza in una società disgregata e disgregatrice; bisognerebbe soprattutto moralizzare il settore della vita politica -problema attualissimo- per creare le condizioni necessarie per un sereno e aperto sviluppo democratico, privo di dubbi di falsità di inganni e di gestione clientelari. Solo così una società, che riesce ad alimentarsi gradualmente attraverso la “bontà” dei singoli, attraverso l’unità della famiglia, attraverso la vitalità della scuola, attraverso la volontà effettivamente democratica delle istituzioni politiche, può dirsi veramente sana e civile, può veramente risolvere le sue crisi, le sue contraddizioni, i suoi problemi di crescita. (1985)
I MARTIRI DI GERACE
La lotta per l’affermazione dei principi di libertà di uguaglianza e di tolleranza è stata lunga sofferta e drammatica, e per noi calabresi quella dei Martiri di Gerace è stata una tappa molto importante. Non sarebbe fuor di luogo, anche in nome del loro eroico sacrificio, continuare ancora oggi a batterci per l’attuazione piena e completa di quei valori. I loro nomi: Michele Bello nato ad Ardore il 5/12/1822; Pietro Mazzone nato a Roccella il 21/2/1819; Gaetano Ruffo nato a Bovalino il 15/11/1822; Domenico Salvadori nato a Bianco il 24/12/1822; Rocco Verduci nato a Caraffa del Bianco l’1/8/1824. La loro età non superava i 28 anni quando furono fucilati per ordine del governo borbonico il 2 ottobre 1847 e i loro corpi furono gettati in una fossa comune detta “la lupa”. Purtroppo l’episodio non è noto come altri similari e dai testi scolastici è completamente ignorato: da qui la necessità, soprattutto per noi meridionali, di farlo presente alle nuove generazioni per non disperdere il loro messaggio e il patrimonio ideale per il quale si batterono sacrificando la loro giovane vita. Appartenevano a famiglie facoltose ed erano stati inviati a Napoli per frequentare gli studi universitari necessari per il loro brillante avvenire, verso il quale sembravano indirizzati. Nella città partenopea si nutrirono delle nuove idee liberali e patriottiche che ormai circolavano in Europa fra gli strati della borghesia illuminata, e per la loro vivacità furono rimpatriati dalla locale gendarmeria. Inoltre Michele Bello, Gaetano Ruffo e Pietro Mazzoni erano massoni (i primi due iniziati nella Loggia “Losanna” di Napoli e il Mazzoni nell’”Umanità Liberale” di Catanzaro) portatori e testimoni di una morale che impone di essere tolleranti e rispettosi nei confronti di tutti gli uomini e della loro dignità. (I Martiri furono ispiratori di tutte le logge sorte nella Locride). In Calabria i giovani elaborarono un piano insurrezionale, insieme a G.Domenico Romeo di Reggio Calabria e approvato dal Comitato di Napoli, che prevedeva la sollevazione contemporanea di Messina, non avvenuta perché fallita sul nascere, di Reggio Calabria, soffocata nel sangue con la decapitazione di Romeo, e del Distretto di Gerace, per propagarsi poi in tutto il Regno. I Cinque si attivarono nell’ambito del Distretto e occuparono Bianco, Ardore, Siderno e Gioiosa Ionica al grido di w Pio IX, w l’Italia, w la Costituzione, abbatterono gli stemmi reali, abolirono la tassa sul macinato, catturarono il Sopraintendente di Gerace, il palermi-tano Antonio Bonafede, che si era distinto per l’odio e la ferocia dimostrati nella cattura e condanna dei Fratelli Bandiera, nella qualità di sottointendente di Crotone, tanto da costringere le autorità a trasferirlo proprio nella sede di Gerace; al Bonafede, costretto a seguire gli insorti, non fu fatta violenza, né ad altri. Avuta notizia del fallimento dell’insurrezione di Reggio Calabria e di Messina, temendo uno sbarco delle truppe borboniche, i rivoltosi si dispersero. I capi, rimasti soli, furono costretti a trovare scampo nella fuga. Traditi da Nicola Ciccarelli di Caulonia, nella notte tra il 9 e il 10 settembre, furono arrestati Michele Bello, Rocco Verduci, Domenico Salvadori e Stefano Gemelli, che furono condotti in carcere a Gerace. Mazzone e Ruffo, che si erano separati dai compagni per dirigersi verso Catanzaro, in un primo momento evitarono la cattura, successivamente ritornati nella Locride furono arrestati, il 21 settembre Ruffo vicino Siderno e il giorno dopo Mazzone nei pressi di Roccella Ionica. Fallito il moto rivoluzionario con l’arresto dei capi della rivolta, venne il momento della resa dei conti. Il Bonafede manifestò di nuovo tutta la sua ferocia: sollecitò la Commissione militare giudicatrice a concludere subito i lavori, fece da “testimone implacabile con cinismo sfacciato e con viltà d’animo di fronte a quei giovani che,con tanta generosità, gli avevano salvato la vita, che ora egli così malamente usava vomitando accuse contro di loro”. Si attivò perché l’esecuzione fosse fatta in tempi brevi per non dare tempo al generale Nunziante inviato dal re a spegnere la rivolta di poter chiedere e ottenere la grazia sovrana, perseguitò dopo l’esecuzione anche i familiari e i compagni del moto con efferata determinazione, tanto da provocare un nuovo suo trasferimento.
Gli insorti furono condannati “per essersi macchiati di lesa maestà e per aver commesso atti prossimi alla esecuzione di detti misfatti” e furono fucilati il 2 ottobre 1847 sulla Piana di Gerace. In effetti erano “colpevoli” di aver chiesto la Costituzione e il riconoscimento della dignità dell’uomo, calpestati da un potere assoluto e dispotico, nonostante che la Rivoluzione Francese, anticipata da quella americana, avesse affermato i diritti inviolabili dell’uomo e del cittadino. I loro corpi martoriati vennero gettati nella fossa comune detta “la lupa”. Alla fucilazione erano stati condannati anche Stefano Gemelli di Bianco e Giovanni Rossetti di Reggio Calabria, entrambi di 47 anni, ma la pena capitale fu commutata in 30 anni di carcere perché non considerati capi. Il vescovo di Gerace mons. Luigi Maria Perrone qualche giorno dopo, durante una funzione religiosa tenuta nella maestosa cattedrale normanna, esultò per la fucilazione dei Cinque, tenendo un’omelia sul tema “Moestitia nostra conversa est in gaudium”! L’esecuzione dei Cinque Martiri riempì di sdegno e di orrore l’Italia e il mondo intero. In molte città si protestò e si celebrarono solenni esequie. Numerose furono le persone che, nelle varie regioni italiane, in onore della loro memoria, portarono il cappello alla calabrese. A Rocca di Neto, alcuni cittadini avevano organizzato il rapimento di Ferdinando II, ma furono traditi e arrestati. Il re, definito tra l’altro “ignorante e testardo, alieno dai buoni studi, che guardava di traverso gli uomini di lettere e scienze e li derideva col nome di pennaruli”, dopo quattro mesi dalla fucilazione fu costretto a concedere la Costituzione, che poco tempo dopo rinnegò…
Il movimento insurrezionale capeggiato dai Cinque non ebbe un grosso seguito perché la gente comune non conosceva il significato di libertà –abituati per secoli alla monarchia assoluta- né quello di libertà di stampa –per una popolazione per la maggior parte analfabeta. Non c’erano elementi culturali sufficienti per legare le aspirazioni della borghesia e quelle del proletariato. L’azione rivoluzionaria non era matura; il popolo non era sufficientemente educato a sopportare il peso della libertà perché non ne conosceva i termini. Il moto, che comunque contribuirà ad aprire le coscienze dei calabresi, fallì anche per l’impreparazione militare del seguito e per la mancanza di un capo che sapesse dirigere e coordinare la complessa operazione.
Sul luogo della fucilazione sorge un monumento inaugurato il 7 giugno 1931, sul quale è collocato un pannello bronzeo raffigurante la fucilazione degli Eroi, opera dello scultore Francesco Jerace. Una lapide in marmo bianco riporta scolpito: ripetano i secoli / che qui / vennero fucilati / a 2 ottobre 1847 / bello michele da siderno / mazzone pietro da roccella jonica / ruffo gaetano da bovalino / salvadori domenico da bianconovo / verduci rocco da caraffa / precursori di libertà / anno 1931. (1985)[1]
“BOVALINO UN BORGO DA SALVARE” di Antonio Ardore:
Presentazione
Nel libro di Edward Lear “Diario di un viaggio a piedi” effettuato nel 1847 si legge: “Bovalino scintillante, sulla sua cretosa altura, nell’ultimo raggio di sole è un posto di considerevole grandezza ed eravamo incantati per il marcato carattere calabrese. Mentre salivamo il tortuoso sentiero, osservavamo la lunga fila di paesani che tornavano a casa, il costume delle donne era il più bello che avessimo visto finora. Ci recammo dal Conte, ci ha portato in giro per tutta la città, le chiese, il castello, i viottoli, ci ha mostrato i paesaggi”. Mutate le situazioni sociali – per fortuna – al visitatore di oggi Bovalino Superiore può fare lo stesso effetto e la stessa impressione in quanto ha mantenuto il suo aspetto suggestivo e fascinoso, ma ha perso la grandezza e la vivacità di un centro attivo e popoloso. Ha seguito nell’ultimo cinquantennio, un processo di dissanguamento e di prosciugamento delle risorse vitali, comune a tutti i paesi collinari perdenti nella competizione con la marina. La vita e la storia di Bovalino Superiore infatti sono intimamente legate a Bovalino Marina: lo sviluppo di quest’ultima frazione rappresenta il decadimento ed il degrado del vecchio paese, che vive dal punto di vista economico e sociale una situazione di marginalità se non di vera emarginazione, pur se ricca dal punto di vista culturale. Anche nella trattazione dei vari aspetti del nostro Borgo s’intrecciano e sono presenti elementi che riguardano l’intero territorio comunale. La situazione è drammaticamen-te chiara, e urgente s’impone una riflessione e una presa di coscienza del problema di un recupero e di cosa fare, tenendo presente alcuni punti fermi: 1) Il Borgo necessita di un intervento radicale non solo per essere valorizzato ma soprattutto per essere salvato, in quanto gli edifici comuni hanno subito per l’incuria e per l’assoluta mancanza di manutenzione, un veloce inarrestabile processo di degrado. Un esempio emblematico è rappresentato dalle precarie condizioni in cui si trovano il portale e l’intera Chiesa di Santa Maria delle Grazie e del SS. Rosario, abbandonati a se stessi e in attesa della completa distruzione, per assistere poi alle teatrali inutili lamentazioni e imprecazioni generali, come è nel nostro costume. Solo un intervento mirato e convergente di tutti gli operatori che “contano” sul territorio, da quelli culturali a quelli religiosi e amministrativi, può bloccare questo processo negativo. 2) L’Arciconfraternita intitolata a Maria SS. Immacolata è impegnata da anni a mantenere vivi riti di forte impatto aggregativo, che richiamano gente da tutto il circondario. L’“Affruntata”, la festa dell’Immacolata, che eccezionalmente per dispensa papale si svolge l’8 settembre,l’artistico Presepe elettromeccanico realizzato con passione e amore, sono appuntamenti annuali attesi e vissuti in un’atmosfera d’altri tempi. 3) La memoria non va cancellata, anche se i modelli organizzativi economici e politici attuali rischiano, pur se non intenzionalmente, distruggere e annullare. Comunque non basta trasmettere solo su disco o sulla carta, importante è soprattutto incidere e lasciare impronte formative nella coscienza individuale e collettiva. 4) Questa ricerca vuole essere un piccolo contribu-to finalizzato a stimolare riflessioni, a pizzicare le corde dei sentimenti, a rovistare nello scrigno dei ricordi, a suscitare emozioni e possibilmente a sollecitare interventi.
Onori e meriti per questo lavoro vanno equamente distribuiti tra Antonio Ardore e Antonio Blefari. Il primo, autore del presente lavoro, nato nel 1973 a Bovalino, dove risiede, diplomato presso il Liceo Scientifico “F. La Cava”, è appassionato di ricerca storica riguardante il paese in cui vive e quelli del circondario. Collabora con propri articoli a giornali e riviste di circoli ed associazioni culturali locali, ha promosso i convegni: “Bovalino: 2000 anni di storia” nel 1996, “Elio Ruffo ed il cinema dimen-ticato” nel 2000 ed “Il lager di Ferramonti” nel 2002. E’ una vera risorsa culturale che andrebbe utilizzata e valorizzata dagli Enti locali e dalle Associazioni, spesso distratti nell’assegnare i giusti rilievi ai meritevoli e disattenti ai problemi del recupero della memoria storica, la sola che dà identità ad una comunità nel tempo. Antonio Blefari, medico di professione ed attuale priore dell’Arciconfraternita, domiciliato per scelta nel centro storico, crede fortemente nell’operazione di riscatto e recupero del Borgo verso cui sta indirizzando le sue forze con passione e amore. E’ sua l’idea di pubblicare questa ricerca, è sua la caparbietà di allestire un museo d’arte sacra. (Carlo Ripolo)
LE TRADIZIONI POPOLARI
Le tradizioni popolari vivono solo in contesti e ambienti dove sentimenti e sensibilità sono ancora vivi: altrove è solo folklore. In una società dai ritmi nevrotici e accelerati, le loro manifestazioni vivono solo se sentite dalla base, dal popolo e se non sono calate dall’alto… Non potrebbe essere diversamente, in quanto tutto viene consumato nello spazio di breve tempo, tutto viene dimenticato per dare spazio a nuovi modelli a nuovi spot. Non c’è tempo per dare sfogo alla fantasia, per riflettere, per dare possibilità di trasfigurazione simbolica della realtà, che scorre su pellicola incontrollata con passo più veloce rispetto a quello di ripresa.
I fuochi di Santa Lucia. A Crotone ancora resiste la tradizione dei fuochi devozionali in onore di Santa Lucia, il 13 dicembre di ogni anno. In ogni rione vengono allestiti artistici e fantasiosi “fuochi” con legna recuperata in ogni dove dai ragazzi nell’ultimo mese. I fuochi, accesi per dare luce alla cecità della Santa, rappresentano momenti di aggregazione e breve sosta nei vorticosi ritmi della vita moderna. Il rito, molto sentito dalle generazioni più anziane, sopravvive solo perché amorevolmente trasmesso dai genitori e amorevolmente recepito dai figli come elemento essenziale della loro formazione.
Le “vallie” di Civita e Frascineto. Esempio ammirevole di tradizioni che sfidano i tempi e le mode è quello rappresentato dalla cultura arbereshe, attraverso la quale gli albanesi di Calabria, costretti ad emigrare nei secoli XIV e XV, si legano alle loro origini, alle loro usanze, alla loro diversità. Tra le manifestazioni di questa diversità, le “vallie” sono particolarmente interessanti: i gruppi folkloristici rappresentano visivamente, attraverso canti e balli coreografici, l’epopea del popolo albanese guidato da Scanderberg, combattente per la libertà dai Turchi conquistatori. Ogni anno il martedì dopo Pasqua, si danno convegno soprattutto a Civita e Frascineto, i gruppi provenienti da altre comunità arbereshe d’Italia e celebrano unitariamente, con gradevole colpo d’occhio per la bellezza dei costumi, l’appartenenza alla stessa matrice di un popolo costretto dagli eventi alla disgregazione.
I riti della Settimana Santa. In pochi paesi della provincia di Reggio Calabria resistono ancora alcune manifestazioni rituali della Settimana santa, ereditate dalla lunga dominazione spagnola del Seicento. Fra questi Bovalino Superiore, dove i riti della Settimana Santa, che culminano con la sacra rappresentazione dell’Affruntata, vengono svolti a cura esclusiva dell’Arciconfraternita. Sono notevoli espressioni di religiosità popolare, sentitissime manifestazioni di fede profonda, le quali catalizzano l’interesse aggregativo della Comunità del Borgo e dei paesi vicini. Esse affondano le loro radici in tempi in cui l’esempio visivo e la rappresentazione servivano per far comprendere alla gente comune i misteri religiosi. Seguono regole non scritte, che il tempo per fortuna non è riuscito a scalfire, e che vengono tramandate attraverso l’attività della Confraternità. I tre momenti, che vengono rappresentati in modo scenografico, sono la Passione predicata, la Morte con la Via Crucis e l’Ascesa al cielo di Gesù Cristo. La “buona riuscita” della Passione è legata alla bravura del predicatore, che con sapiente “recitazione” deve coinvolgere e toccare le corde del sentimento religioso dei fedeli. Toccanti sono le due processioni al calvario di Cristo Morto e la Madonna Addolorata, che si svolgono la sera di venerdì (con la sola statua dell’Addolorata) e il mattino di sabato (con tutte le due statue). Centinaia di persone sfilano, lungo la strada principale, in religioso silenzio a dimostrazione di partecipazione e immedesimazione di tutti al dolore della madre di Cristo, la quale porta i segni, i simboli e i colori del lutto. Le varie fasi sono accompagnate da canti inerenti, che si tramandano da generazioni e “raccontano”, con la condivisione dei fedeli, l’immane sofferenza del Cristo. Il culmine dell’attività rituale della Settimana Santa si raggiunge con la rappresentazione dell’incontro fra Cristo Risorto e la madre Immacolata, avvisata da S. Giovanni che per tre volte fa la spola tra le due statue con ritmi e velocità gradualmente crescenti. L’incredula madre, ancora vestita a lutto, si avvia verso il centro della piazza dove si incontrerà con San Giovanni e Gesù: è il momento di massima emozione, il Figlio incontra la Madre che lascia cadere i suoi abiti neri, rimanendo vestita con i colori della gioia e della rinascita.…
I “vattienti” di Nocera Torinese. Danno il senso di quanto una tradizione sia radicata nella cultura di una piccola comunità senza, con elementi di esclusività senza possibilità di estendersi ad altre. Per gli interessati il rito dei “vattienti” ha il carattere della penitenzialità e del riscatto morale, con il coinvolgimento della famiglia e dell’intera collettività. Per i forestieri il rito, nei suoi aspetti sanguinari, ha il carattere di una religiosità arcaica e primitiva, difficile da “combattere” e gestito in opposizione alle direttive della Chiesa.
“U rollu” e altri giochi. Non è solo un gioco. “u rollu”, forse come altri giochi popolari tipo la corsa dei sacchi l’albero della cuccagna la rottura “di bumbulelli”, è un modo di esprimersi di una comunità, un modo di stare insieme, un modo di far valere le abilità personali. In alcuni ambienti, dove tali esigenze sono ancora presenti, ancora sopravvive questo gioco che è caratteristico di alcuni momenti festivi, quali il Natale o di riposo come le ferie estive. “U rollu” è la forma di formaggio stagionato, detto “pazzotta” nel dialetto reggino, che viene lanciato con una cordicella avvolta intorno al formaggio e agganciata al polso, su un percorso determinato da coprire con il minore numero di lanci. Oggi al suo posto si usa una forma in legno, in quanto il percorso è segnato sull’asfalto o sul duro cemento, che potrebbe provocare facilmente lesioni sul formaggio. (2003)
PROGETTO DI VITA
A volte ci si assenta dalla realtà, quando questa è piatta monotona e poco stimolante, per andare “a pescare” in altre più ricche e stimolanti. Quando lo si fa con effettiva coscienza e desiderio di conoscenza, si è in presenza di un progetto di vita finalizzato alla crescita in coscienza e in conoscenza in tutte le direzioni e organizzato secondo tempi modalità e considerazioni significativi: 1) la vita non va vissuta per caso o a caso, come se fosse priva di prospettive; 2) la vita non va vissuta senza un progetto; 3) la vita non va vissuta come proposizione di modelli, ma come modello diretto attraverso i comportamenti e l’operatività; 4) la vita va vissuta non come propedeuti-ca della morte o come condanna, ma come se fosse immortale, superando la tentazione di “non vivere” per mancanza di prospettive; 5) la vita dell’individuo deve poggiare sul principio della libertà, intesa come capacità o possibilità di creare o aderire a un modello di vita ideale, extratemporale, da trasformare in atteggiamenti e comportamenti, temporali, con le responsabilità consequenziali, in tutte le manifesta-zioni della vita: a)i luoghi di nascita; b)i luoghi e i momenti di lavoro; c)i luoghi e i momenti del tempo libero e degli hobbies; d)le esperienze personali psico-fisiche; e)i rapporti interpersonali; f)i rapporti ideologici; g)l’unità delle esperienze; 6) la vita va vissuta con gli occhi dello stupore, per percepire l’enorme e misterioso movimento di energia che avviene continuamente intorno a noi, per allontanare la tentazione della noia che porta alla superficialità e all’esteriorità; 7) la vita va vissuta senza correre per imitazione o perché lo fanno tutti; senza la fretta nevrotica dettata dalla falsa sensazione di stare perdendo tempo prezioso, senza l’affanno che impedisce il raggiungimento di equilibrio e di saggezza; 8) la vita va vissuta in positivo e con un pizzico di fiducia nei valori di sempre (anche se oggi sembrano superati): la famiglia, l’amore e il rispetto del prossimo. (2003)
ISTITUZIONE FAMIGLIA
L’importanza della funzione educativa della famiglia è riconosciuta in tutti i sistemi sociali e politici. E’ nella famiglia che l’individuo forma e struttura la sua personalità, ricevendo i primi rudimenti dei comportamenti sociali, che l’accompagneranno per tutta la vita. Nell’ultimo secolo la società ha subito notevoli trasformazioni, coinvol-gendo anche il modo di vivere in famiglia. Alla famiglia di tipo patriarcale, a struttura piramidale, soggetta al rispetto di precise regole da rispettare, codificate dall’esperi-enza di intere generazioni, si è sostituito, sotto le spinte di una società che ha sacrifi-cato i valori della civiltà contadina sull’altare del consumismo e del vivere frivolo, un modello di convivenza parentale senza regole precise e ruoli ben definiti. La famiglia oggi è considerata una “zona” di passaggio di sosta di parcheggio-orario, dove i membri non hanno un progetto educativo o di convivenza, ma soddisfano solo le proprie esigenze con libertà senza regole e senza orari. All’interno di questa “struttura libera” è scomparsa la tradizionale figura dei nonni, ai quali in passato era spesso delegata l’educazione dei nipoti e la cui presenza oggi è considerata “ingombrante”. Questo sistema favorisce comportamenti permissivi deresponsabili e di mancanza di rispetto per cose persone regole e ruoli. Chi può sostituire oggi il vecchio ruolo educativo della famiglia? E’ difficile dirlo. Ma di certo la società deve registrare meglio i suoi meccanismi se non vuole imboccare una strada senza uscita e senza prospettive, non finalizzate alla formazione dell’uomo e del buon cittadino. (2003)
LE NOSTRE RADICI
Le radici culturali della Calabria affondano in diverse direzioni multietniche. Nel corso della sua storia questo territorio ha accolto numerosi popoli, diversi per lingua religione e cultura, a volte pacificamente, spesso con la violenza e con l’invasione, trasformatesi poi però in civile convivenza. Per questo da noi termini quali razzismo difficile integrazione o rifiuto dello straniero hanno un suono e un senso diversi che altrove, comunque non hanno basi concrete e solide. Tanti sono i gruppi etnici che si sono inseriti e integrati con la popolazione indigena, rendendo la nostra società effettivamente multietnica: greci, latini, normanni, arabi, bizantini, ebrei, albanesi, valdesi, spagnoli, francesi, zingari. Altri convivono con spirito di tolleranza e con ricchezza di contatti, lingue ed etnie considerate veramente risorse da valorizzare: la lingua arbereshe in provincia di Cosenza e Crotone, la lingua grecanica nella fascia ionica reggina, l’etnia curda che vive a Badolato, paese in disarmo e messo in vendita ma vitalizzato negli ultimi tempi. I caratteri multietnici della nostra società, ad una attenta osservazione, sono visibili nei diversi tratti somatici degli abitanti, nei dialetti che conservano parole di origine latina francese araba e greca, nella cucina ricca di sapori e di odori, negli usi e nelle originali tradizioni. Gli unici due episodi di violenza e di intolleranza, nei confronti di gruppi minoritari in Calabria, non ha coinvolto le popolazioni locali ma sono legati ad interventi esterni e motivazioni particolari di politica religiosa o economica. Il primo riguarda lo sterminio dei Valdesi di Guardia Piemontese, di origine piemontese e di religione luterana, operato nel ‘500 dalla Chiesa appoggiata dalla cattolica Spagna, per impedire che gli stessi potessero professare pubblicamente la loro religione. Il secondo episodio è quello relativo alla cacciata da Reggio degli Ebrei nel 1511 da parte degli Spagnoli, aizzati dai Pisani e dagli Amalfitani che subivano la concorrenza economica nel campo della seta. Al contrario a Ferramenti di Tarsia, dove sorse un campo di concentramento per ebrei durante la seconda guerra mondiale, furono le popolazioni locali ad aiutare i malcapitati perseguitati, impedendo di fatto che fossero uccisi. Con questa premessa è chiaro che da noi qualsiasi integrazione è possibile, come in effetti sta avvenendo. Solo bisogna evitare che si trasformi in omologazione culturale: ogni etnia deve mantenere vive le proprie radici culturali, che sono “punti di riferimento” e di guida nelle vicende umane di ogni popolo, e offrirle come risorsa e arricchimento agli altri, nel rispetto delle leggi del nostro Paese. Ulteriori elementi, che favoriscono comportamenti di comprensione, sono rappresentati sia dalla particolare posizione geografica della Calabria, al centro del Mediterraneo, che ha favorito e favorisce rapporti e contatti di vario genere con tutti i popoli “confinanti”, sia dall’esperienza dell’emigrazione, analoga a quella attuale degli extracomunitari, che ha portato diverse generazioni di calabresi a cercare fortuna altrove per riscattarsi dalla miseria e dal bisogno. (2003
I SEGNI DEL RISCATTO
La Locride da parecchio tempo ormai vive una situazione di estremo disagio in tutti i settori economici per la presenza inquietante della delinquenza organizzata e non. Pochissime le reazioni e i tentativi di riscatto, repentinamente soffocati. La paura individuale e quella collettiva hanno creato situazioni di involontaria omertà e di difficoltà a gestire la cosa pubblica secondo legalità e a far rispettare diritti e doveri.
Solo la Chiesa in queste condizioni ha tentato sempre con intensità e determinazione variabili di reagire e di “fare qualcosa”. In passato con risultati poco evidenti, oggi con qualche certezza e concretezza in più, per la presenza di un vescovo uso ad affrontare i problemi con soluzioni mirate e concrete e di un prete combattivo sul fronte del recupero dei tossicodipendenti. Monsignor Brigantini è il tipico rappresentante di una Chiesa militante, che non si limita a fare solo opera di evangelizzazione, ma cala la dottrina cristiana nel concreto delle problematiche per trovarne soluzioni adeguate e che riscattino la dignità dell’uomo e del cittadino. A questo era finalizzata la sua condivisione concreta e partecipata allo sciopero della fame insieme ai lavoratori della Montedison di Crotone, da sacerdote combattivo per l’affermazione dei più elementari diritti dei cittadini. A questo è finalizzata tutta la sua attività pastorale nella diocesi di Locri, quando tenta di offrire occasioni di riscatto attraverso la realizzazione di progetti occupazionali a giovani senza prospetti-ve oneste e senza futuro. Don Gelmini con l’ubicazione di una sua comunità di recupero in Aspromonte, ristrutturando in contrada Zervò una maestosa costruzione degradata e inutilizzata dai tempi del fascismo, ha raggiunto un duplice ordine di risultati: in primis le finalità specifiche della sua attività, che è quella di dare possibilità ai giovani tossicodipendenti di recuperare dignità e la gioia di vivere; inoltre, il risultato, forse non intenzionale e diretto, di rendere vivibile un territorio fino a poco tempo fa inaccessibile e pericoloso, gestito con violenza da mafiosi e delinquenti, non facilmente controllato dalle forze dell’ordine spesso presenti numerosi con corpi e strutture speciali. Sono questi gli uomini di un possibile riscatto, sono queste le attività che possono far intravedere una speranza, sono questi insomma i modelli positivi che possono far recuperare un corso di sviluppo, ormai da molto tempo violentemente interrotto. (2004)
LA LOGICA DEL BUON SENSO
- E’ la logica che avvicina la forma alla sostanza.
- E’ la logica che tenta di conciliare le esigenze e gli interessi di tutti i “coinvolti” nel problema o nell’evento.
- E’ la logica che ricerca una soluzione funzionale.
- E’ la logica che rende funzionale la soluzione indicata.
- E’ la logica che non esaspera i rapporti.
- E’ la logica che considera equamente i diversi punti di vista, senza privilegiare in modo provocatorio i più “forti” o quelli che appaiono tali.
- E’ la logica che considera le attività umane sacre e come dovere e nobile impegno. “non come strumenti per far carriera, per assicurarsi privilegi immeritati, per compiacere la propria vanità o brama di potere”.
- E’ la logica che opera rivendicazioni unitarie per interessi comuni, superando la somma di egoismi personali.
- E’ la logica che invita la Scuola a presentarsi agli alunni, alle famiglie e alla società con immagine di unità per l’accredito di maggiore e dovuta considerazione.
- E’ la logica che trasforma il dovere in piacere.
- E’ la logica che consiglia ai docenti (e a tutte le componenti della società intenzionalmente o non formative) di proporsi come modelli educativi (e non come trasmettitori di modelli spesso non condivisi) per finalizzare contenuti e metodi al raggiungimento di risultati effettivamente formativi. (2004)
VERSO UN’ETICA MONDIALE
Vi sono valori morali / verso i quali possono convergere / nonostante le diversità e le differenze / grandi religioni istituzioni politiche / e importanti associazioni laiche. / Su questi bisogna puntare / in un mondo globalizzato / percepibili quali criteri validi / e condivisibili per funzionalità / e concreta ragionevolezza / finalizzati alla definizio-ne / di una base comune / e di un’etica mondiale / in opposizione ai dilaganti / relativismi etici. / Obiettivo da perseguire / a tutti i livelli / per consentire il recupero / di essenziali valori umani / e la ripresa del dialogo / tra le religioni / e l’incontro di esse / con la ragione secolare e laica / all’orizzonte di un sincretismo concreto / effi-ciente e funzionale / Porsi la servizio di questo progetto / è opera giusta e meritevole / i massoni da tempo lavorano / in questa direzione / aspettando tempi maturi / per una rinascita morale / e un recupero valoriale / di un mondo ancora strano / e irto di contraddizioni / dove i riti comunitari / si svolgono ormai / nei campi sportivi / e si consumano / nei centri commerciali / le nuove cattedrali / delle società consumistiche / mentre le famiglie / nel chiuso delle loro case / diventano campi e terreno / di battaglie cruente. / Vi sono valori morali / verso i quali possono convergere / nono-stante le diversità e le differenze / grandi religioni istituzioni politiche / e importanti associazioni laiche / tanti sono i valori presenti / nelle società positive / utili e funzionali / per creare circuiti virtuosi / e abbattere divisioni e steccati. (2005)
LA QUESTIONE MORALE
In una fase storica come l’attuale / caratterizzata da una società segnata / da un profondo degrado comportamentale, / le cui cause sono da ricercare / nella sacralizza-zione machiavellica / degli interessi economici e del malaffare, / si pone con prepo-tenza la questione morale / per riaffermare e recuperare / un concetto alto della dignità umana. / Necessariamente, / se si vogliono raggiungere / concreti e duraturi risultati, / la questione morale passa dal rinnovamento / di tutte quelle Istituzioni / che ricoprono una funzione educativa e formativa: / i partiti politici, le associazioni culturali, / le associazioni di servizio, gli enti locali, / la scuola e le altre agenzie similari. / Attraverso la loro attività e impegno / si possono recuperare valori / che hanno contraddistinto / altre determinate generazioni: / la coerenza di pensiero, / la trasparenza nei comportamenti, / le regole scritte e non della convivenza, / il senso dell’immagine individuale e collettiva, / la politica intesa come servizio e non come un’azienda / organizzata per realizzare un profitto / mortificando e penalizzando / le classi più deboli / e la democrazia veramente partecipata. / Come e da dove iniziare / per spezzare un circolo / diventato ormai vizioso / e renderlo diverso altro / possibilmente virtuoso? / L’adozione volontaria di un codice etico, / e non per legge o decreto, / nell’organizzazione del lavoro, / nei rapporti interpersonali, / nei rapporti sociali e politici, / nella selezione dei candidati, / nelle assunzioni in posti pubblici, / nell’impegno in eventi quotidiani, / potrebbe rappresentare un timido avvio / nel rafforzamento continuo / di principi meritocratici / ricacciando come vergognosi quelli “cencelliani”, / e nel rimuovere finalmente / il malcostume politico / insieme al malgoverno delle Istituzioni, / ormai diventati prassi / e consuetudini largamente accettati / da praticare e subire normalmente. / Soprattutto in periodi di forte crisi morale / bisogna prendere chiara e netta posizione / la neutralità e lo stare affacciati alla finestra / fa gli interessi dei furbi e profittatori, / l’ignavia in ogni tempo è condannata / come quella di coloro / “che visser senza infamia e senza lodo” / o senza adattato compromesso / “di colui che fece per viltate il gran rifiuto”. (2005)
QUALE DEMOCRAZIA
Non di destra esclusiva e neppure di sinistra, / la democrazia è prerequisito necessario / per esprimere liberamente percorsi e idee / di matrice e cultura diversa, / ma altresì risultato delle capacità di regolare / in modo possibilmente condiviso / la dialettica tra forze politiche economiche / culturali ideologiche e sociali diverse. / Un mezzo attraverso il quale una comunità / esercita le proprie naturali libertà / in tutte le sue accezioni e applicazioni / e le proprie sentite aspirazioni / con l’espressione di un governo, / limitato per l’impossibilità di poter realizzare / la democrazia in modo completo e diretto / nella sua accezione letterale e immediata. / Non esiste una vera sovranità popolare, / non esistono autogoverni e autogestioni di massa / da “agoraico comune rustico”, / ma sempre un governo di pochi, / a volte minoritario ed oligarchico, / che può operare nell’interesse di molti / o nel tornaconto di gruppi; / un’accettabile e sopportabile democrazia / è quella delle illuminate minoranze / che governano e amministrano / nel modo più trasparente possibile / avendo come fine l’interesse generale / il rispetto delle singolarità / il valore di ogni dignità. / Comun-que nel suo nome, / attraverso un processo storico / che interessa gli ultimi tre secoli, / non sempre in modo incruento, / si sono affermati i diritti civili e politici / di tutti gli uomini e di molti stati / compreso il suffragio universale, / prima espressione di pari dignità. / La democrazia è un grande mezzo / uno strumento necessario / per sperare in una società migliore, / che tutela gli interessi generali / con un’attenzione particolare / verso le categorie più deboli / e condivide i valori essenziali della convi-venza. / Non di destra esclusiva e neppure di sinistra, / nel primo caso la democrazia rischia / di diventare plebiscitariamente autoritaria / se diretto è il rapporto tra leader e popolo, / nel secondo la stessa si avvia / di diventare paternalisticamente autoritaria / se viene sottratta al libero confronto delle opinioni. / Oggi nell’era della globalizza-zione / rappresenta un’idea da rifondare / soprattutto in Occidente, / in questo minacciato dal potere economico / mediatico e tecnocratico, / che con i suoi tentacoli cerca di soffocare / aneliti e valori di libertà / di fratellanza uguaglianza e di umana dignità. (2005)
EROE PER CASO…
Eroe per caso, forse vittima, in una società ferma a mezzanotte e al buio più completo. Eroe per caso, forse vittima, in una società che ha una visione personalistica e privatistica del pubblico potere. Eroe per caso, forse vittima, in una comunità le cui Istituzioni sono assopite o compromesse e la Politica è intesa come strumento di potere e non servizio. Eroe per caso, forse vittima, in una comunità che delegittima gli amministratori onesti e offre solo solidarietà occasionale e formale. Eroe per caso, forse vittima, in una società, spesso involontariamente omertosa, che cura gli interessi dei malavitosi, indebolendo il ruolo delle Istituzioni e la stessa democrazia. Eroe per caso, forse vittima, in una società che ha difficoltà a diffondere la legalità, anche attraverso le Istituzioni ufficialmente educative, come la Scuola e la Chiesa. Eroe per caso, forse vittima, in una comunità, che fa il vuoto attorno all’amministratore onesto e coerente, minacciato e fatto oggetto di violenze.
Il primo fatto. Il vice-sindaco e assessore al Lavori pubblici di Bovalino è stato fatto oggetto di minacce e intimidazioni… solito clamore… attestazioni di solidarietà… solito rituale… e l’intervento dell’interessato al Consiglio straordinario convocato per l’occasione il 12 settembre 2003: <<Vorrei iniziare dicendovi: Grazie! Grazie per essere qui in tanti, in una dimostrazione di passione politica, di forza, di voglia di esserci che dice di quante straordinarie risorse dispone la nostra Regione, Provincia, Comune. E grazie anche per la manifestazione di solidarietà che mi avete voluto personalmente tributare, che mi emoziona e di cui vi sono immensamente grato. Un ringraziamento particolare a tutte le forze dell’ordine. Inizio le mie riflessioni con le parole di Martin Luther King che possono servire a descrivere bene le nostre emozioni oggi, a qualche settimana dagli attentati: “E’ mezzanotte nell’ordine sociale… e le nubi di un nuovo gesto incombono pericolosamente basse… E’ mezzanotte nell’ ordine psicologico…E dense nubi di ansietà e di depressione sono sospese nei nostri cieli mentali… E’ mezzanotte anche nell’ordine morale…” Ho apprezzato tutti gli interventi effettuati e vorrei aggiungere, caro Sindaco anche quando hai fatto i nomi delle istituzioni invitate a partecipare a questo Consiglio… Esistono anche le deleghe! ! ! E mi fermo qui… Considero doveroso esprimere le mie considerazioni sugli incresciosi episodi che hanno turbato la quiete della tranquilla comunità bova-linese, e di questo chiedo personalmente scusa a tutti i cittadini, e tentato di scalfire, senza però riuscirci, la serenità delle nostre famiglie, che per fortuna sono istituzioni sicuramente più solide e solidali di quelle pubbliche che spesso non riescono a garantire al cittadino la necessaria sicurezza. Se un amministratore è vittima di attentati malavitosi vuol dire che il suo operato va oltre l’interesse di certe persone prive di rappresentanti dello Stato, in primis, e a tutti gli altri dopo, che ogni sforzo della comunità tutta teso a superare la visione particolaristica e personalistica del pubblico potere, che purtroppo è da sempre insita nella cultura socio-politica meridionale, è vano; e se la comunità bovalinese, superato un primo momento di stupore e rammarico, lascerà passare in silenzio questi avvenimenti, se essa non coglierà l’occasione per compiere una più profonda presa di coscienza e non deciderà di stare accanto a chi cerca quotidianamente di dire no alla cultura del favoritismo, del particolarismo, di dire no all’ idea della politica come strumento di potere anziché di servizio per la comunità, allora saremo costretti a dare ragione, nostro malgrado, a queste persone e a chinare il capo, a sopportare ancora il peso dell’atavico giogo del sopruso e della vessazione che questi signori ci impongono. Non vorrei che il mio intervento venisse inteso come una sterile protesta di circostanza, né come le lamentele di un amministratore che è stato intimidito. Le mie riflessioni invece vorrebbero offrire un contributo affinché queste situazioni, stigma-tizzate oggi dall’ufficialità e dalla rilevanza istituzionale di questa riunione, non vengano traslocate domani nell’oblio del “dimenticatoio”, sino a che non avverranno nuovi gravi episodi di cui parlare o persone da commemorare. In questo periodo ho intensamente esaminato mentalmente ogni aspetto che rende particolar-mente difficoltoso condurre con serietà ed onestà l’attività di amministratore in questa particolare zona geografica d’Italia e ho acquisito la determinazione che coloro che hanno responsabilità di pubblica gestione, oltre a dover affrontare i nemici conosciuti (ovvero coloro che vivendo costantemente nell’illegalità pretende-rebbero che anche gli amministratori si piegassero alle loro sporche esigenze e ai loro criminali interessi) devono purtroppo “fare i conti” anche con nemici più subdoli, quelli che non sempre si percepiscono, ma che rappresentano un’analoga insidia per chi amministra. Mi riferisco ad esempio a quelle Istituzioni che sono assopite, e che da decenni, continuano nei fatti a sottovalutare l’attività degli amministratori onesti e il pericoloso ambiente in cui essi operano. E’ oramai opinione diffusa che chi fa politica, anche se è onesto, viene accomunato al binomio: politica malaffare, creato inopportunamente anche dai tanti processi politici, per la gran parte conclusasi con altrettante assoluzioni, portati avanti da una parte da quella parte di magistratura politicizzata a partire dagli inizi degli anni ‘90. L’amministratore, che si trova privo di ogni forma di “protezione”, è costantemente sospettato, tanto da essere sempre considerato da taluni in “libertà provvisoria” ed a volte bastano falsi ed artificiosi “teoremi” o lerci calunnie, prodotte anche in forme anonime, per far partire suntuose e costose indagini, che “offerte” alle prime pagine dei giornali, espongono al “pubblico ludibrio” il malcapitato che perde in un attimo una reputazione di onestà costruita in tutta una vita, che nessuna assoluzione poi mai gli restituirà. Al contrario, altri amministratori, che svolgono il loro mandato pubblico nel completo arbitrio e nell’illegalità diffusa, nonostante le denuncie effettuate alle Autorità competenti, non vengono rimossi, né risulta che alcun tipo di indagine giudiziaria è stata intrapresa. Dall’altro lato, ancora, si assiste allo scioglimento d’interi consigli comunali sul semplice sospetto, trovando giustificazio-ne sulla cattiva fama che detiene il territorio del comune interessato dal provvedimento. Ma esistono anche i nemici subdoli in seno agli stessi ambienti politici o istituzionali in cui l’amministratore opera. La dialettica politica infatti non deve assolutamente mai superare i limiti del confronto corretto. Allorché si raggiunge l’eccesso di offrire alla popolazione notizie imprecise o addirittura calunniose nei riguardi di rappresentanti amministrativi con il solo intento di estorcere il consenso, si sottovaluta che tra la moltitudine di gente onesta si annida chi, vivendo in ambienti criminali, reagisce con i metodi che gli sono consoni, qualora suppone di aver subito un torto. Pertanto a volte un’opposizione politica condotta ad personam, ben oltre una normale e legittima critica all’attività amministrativa, può complicarsi in non previste ripercussioni che giungono talvolta agli attentati agli amministratori ritenuti “colpevoli” ed al loro patrimonio. Qui si vorrebbe far perdere il rispetto dei ruoli e qualche volta anche per le persone. Tutti si sentono di dire la loro e questo è giusto, ma fino ad un certo punto, a qualcuno non vanno giù le decisioni prese dall’Amministrazione, ma le scelte si discutono sempre in maniera civile. A nostro avviso nell’ambito degli organi collegiali di gestione e degli apparati burocratici degli Enti deve albergare la massima correttezza istituzionale. A nostro avviso anche al fine di rendere effettiva l’applicazione di norme e di responsabilità, troppo spesso rimaste sulla carta, andrebbe ripensato il criterio di scelta del Direttore generale, figura fondamentale dell’Ente locale che non può essere lasciata all’ improvvisazione. A nostro avviso la normativa che consente la scelta del Segretario Generale non è del tutto positiva, si rischia di far prevalere sulla sua professionalità la capacità di adattamento ai desiderata dell’ Amministrazione. A volte infatti diffondere notizie su proposte amministrative prima che vengono deliberate ed in difformità dal reale contenuto o peggio far ricadere su singoli componenti di un organo politico-gestionale le responsabilità delle decisioni meno popolari, oltre che essere un atto di profonda slealtà, condotto contro ogni deontologia, è un’azione estremamente pericolosa. Ogni Istituzione presente sul territorio può e deve incidere sulla vivibilità e concorrere alla diffusione della legalità. E’ sufficiente senza andare oltre citare la Scuola, la Chiesa (vedi ultima Conferenza Episcopale), le molteplici forme di organizzazione e di espressione della Società, che possono costituire la ricchezza di tutto il territorio, e soprattutto alla politica che spesso si affanna a difendere ruolo e competenze, senza poi spendersi in maniera efficace per rafforzare valori e progetti ed affidarli a personale politico adeguato. Concludo dovendo purtroppo affermare di vivere un periodo di disorientamento, dal punto di vista amministrativo, poiché non sono più convinto che si possa fare politica in un modo chiaro e onesto senza sovresporsi e senza purtroppo sentire lontane le altre istituzioni. Spero che lo stare insieme in questi momenti rappresenti una risposta di cultura e un baluardo contro chi pensa di commettere impunemente atti vili e incivili. Noi vorremmo essere fiduciosi, e crediamo che la coscienza civile di un paese non può essere messa a tacere così facilmente. Bovalino è un paese che ha dato i natali a santi, martiri ed eroi…non ultimo il compianto Lollo’, un paese dove è eroe colui che si comporta con onestà e coerenza morale. E’ stato detto e qui lo ripetiamo che è nel suo esempio che questa comunità deve rinascere, per garantire ai nostri figli un futuro in cui possano camminare a testa alta, da uomini liberi, liberi dalla paura di potere morire solo per aver fatto il proprio dovere. Dobbiamo cominciare da oggi, e mi rivolgo in primis ai miei amici consiglieri, ad attrezzarci per il proseguo. Occorre sviluppare un enorme lavoro culturale, politico, di informazione e di educazione. Il virus della violenza è vivo ed agisce anche all’interno della nostra società: è un virus arrogante, esclusivista e -come la storia dimostra- è anch’esso perfettamente capace di sovvertire qualsiasi responso. Quando tutti avremo fatto un passo in queste direzioni, forse sarà mezzanotte e un minuto. G. Albanese – Bovalino 12/09/2003>>
Eroe per caso, forse vittima, in una società ferma a mezzanotte e al buio più com-pleto. Eroe per caso, forse vittima, in una società che ha una visione personalistica e privatistica del pubblico potere. Eroe per caso, forse vittima, in una comunità le cui Istituzioni sono assopite o compromesse e la Politica è intesa come strumento di potere e non servizio. Eroe per caso, forse vittima, in una comunità che delegittima gli amministratori onesti e offre solo solidarietà occasionale e formale. Eroe per caso, forse vittima, in una società, spesso involontariamente omertosa, che cura gli interessi dei malavitosi, indebolendo il ruolo delle Istituzioni e la stessa democrazia. Eroe per caso, forse vittima, in una società che ha difficoltà a diffondere la legalità, anche attraverso le Istituzioni ufficialmente educative, come la Scuola e la Chiesa. Eroe per caso, forse vittima, in una comunità, che fa il vuoto attorno all’amministratore onesto e coerente e crea le condizioni perché lo stesso non sia rieletto e il suo lavoro neppure ricordato o considerato.
Il secondo fatto. Il vice-sindaco e assessore al Lavori pubblici di Bovalino, ripresen-tatosi alle ultime elezioni amministrative del 3 e 4 aprile 2005, solo per dare conti-nuità al lavoro iniziato a favore e per il bene della collettività, non è stato rieletto pur ponendo durante la campagna elettorale con forza e passione, come è nel suo stile, la questione morale, che forse nel contesto ambientale interessa poco o nulla…e il suo impegno spazzato via dai vincitori che applicano alla lettera il principio che “la storia dei piccoli e grandi eventi è scritta e riscritta sempre dai vincitori”… <<Buonasera… Buonasera a Voi tutti, presenti qui che ci avete seguito in questi giorni. Buonasera a Bovalino e consentitemi un saluto particolare agli amici presenti in altre liste… Ogni lungo cammino inizia dal primo passo, recita un vecchio detto popolare che sta a significare che per quanto difficile possa sembrare un’impresa e per quanto lungo possa essere il percorso per raggiungere l’obiettivo prefissato il momento più importante è quello della partenza. Sia per il coraggio necessario per intraprendere il viaggio, sia per l’importanza che riveste il momento d’avvio. A giorni inizierà un cammino di cui tutti conosciamo con certezza l’obiettivo: cercare di garantire al nostro Paese anni di buon governo e di buona amministrazione. E non certamente per carpire la vostra benevolenza permettetemi di ricordare che in questo paese ci sono valori che ci hanno insegnato i nostri umili genitori e che in questi anni di amministratore ho cercato di praticare spesso: Onestà, Sincerità, Trasparenza. A nessuno, a nessuno, ho permesso di offendere questa storia nobile, questa storia scritta anche con i vostri valori. Questi valori hanno tenuto impegnato la cronaca politica bovalinese e di questo ho chiesto scusa alla nostra Comunità. La mia, la nostra filosofia, è sempre stata il rispetto della dignità dell’uomo, di qualsiasi uomo, forse perché ho sempre preferito fare la mia parte, il mio ruolo in umiltà. E chi vuole intendere… intenda… altrimenti continui a rimanere sordo. Mi hanno insegnato che un impegno politico si qualifica nella continuità, nell’affrontare quotidianamente problemi e bisogni della gente, confondendosi con essa, e non apparendo e sparendo, e non vestendosi da demonizzatori o moralizzatori dell’ultima ora, intrisi di uno spirito furfantesco… Io ho lavorato per gli impegni precisi che ho preso in questa stessa piazza e ne sono onorato, al servizio della comunità che mi ha eletto contando anche sulla collaborazione di tutti. Nei momenti amministrativi più delicati, per avere guardato ai più deboli, ai loro bisogni e per costruire luoghi di rappresentanze dei loro diritti e delle loro esigenze, sono stato oggetto anche di intimidazione e non potrò dimenticare gli attestati di stima che ho ricevuto. Badate bene, ho parlato di diritti e non di elemosine clientelari. Queste non appartengono certo ai nostri metodi di governare. Io credo e ne sono confortato dalle delibere consiliari e di giunta che i tre anni e mezzo dell’Amministrazione uscente ha segnato profondamente anche il destino del nostro Paese. Abbiamo avuto tanta attenzione istituzionale e credo che l’amico Racco nel suo intervento sarà più dettagliato. Comunque vadano le cose, rimane alla fine la soddisfazione di avere seminato come da programma elettorale tanti e tali progetti che ogni futura amministrazione potrà fare un abbondante raccolto. E questa è già storia politica bovalinese. Molti in questi giorni mi hanno chiesto di rispondere agli attacchi continui fatti alla forza politica a cui appartengo. Io avrei tante cose da dire. Ma non abbiamo scelto volutamente le polemiche: noi vogliamo il confronto sui programmi. Loro su questo non hanno nulla da dire, perché nulla hanno fatto prima in altre competizioni elettorali ed in questa li devo ringraziare per avere reclamizzato nei loro programmi quanto già fatto, iniziato, progettato e finanziato. Ancora oggi le nostre schede progettuali per il risanamento delle zone di periferia hanno prodotto un finanziamento di cinquecentomila euro. E’ stato detto in questa piazza che l’amministrazione Carpentieri cade per il tradimento del NPSI, sono termini che non accettiamo perché questa parola nel nostro vocabolario non esiste, perché la nostra cultura politica ci ha sempre imposto la lealtà, perché siamo stati sempre i cirenei di turno e perché vi erano assessori e consiglieri politicamente della Margherita che avevano ( ben cinque) la possibilità di evitare quanto accaduto. Amici, qui non si vuole né fare processi né tanto meno rifiutare il passato. Un passato che, nel bene e nel male, resterà nella storia amministrativa di questo paese. Chiudo su questo argomento ricordandovi quanto è stato da me detto a proposito nella seduta del Consiglio Comunale “Saremo di stimolo per chi dovrà nei prossimi mesi dimostrare nei fatti e non a parole quanto vale. Lavoreremo con lo spirito costruttivo di sempre per il bene del paese e della sua Gente.” Infine ricordo ai consiglieri della maggioranza, che il ruolo che ci è stato affidato è un ruolo di alta responsabilità che non abbiamo fatto voto di obbedienza a nessuno, se non ai programmi su cui ci siamo impegnati e che la testa dobbiamo usarla anche autonomamente. Nella nostra lista ci sono forze sane, ci sono giovani competenti che rappresentano il futuro del nostro paese, alla nostra esperienza amministrativa loro porteranno le energie dell’innovazione. La nostra lista è una lista civica e come tale ha al suo interno candidati che fanno riferimento a molte idee politiche e guarda caso anche al NPSI. Certamente è facile e comodo per motivi apparentemente sconosciuti etichettarla come la lista del sen. Crinò. Questo è il regalo riservato all’Istituzione per essersi interessato di unificare prima eventuali responsabili di partiti, poi per l’assenza di questi, dialogare con cervelli ben pensanti, cultori momentanei di politica, soggetti inamovibili dalla carica di Sindaco e politici riesumati per l’occasione. Certamente bisogna ringraziare caro Senatore quanti si interessano all’argomento, ma nel contempo non possono evitare di farci assistere a coabitazioni strane, a logge ben etichettate, a invisibili timonieri e presunti capitani. Questo silenzio è strano! Qui è tutto concesso! Il 3 e 4 Aprile saremo chiamati a rinnovare il Consiglio Comunale e sceglieremo il nostro Sindaco. Non dovremo decidere sul destino del mondo né sull’assetto politico dell’Italia; più modestamente, ma per noi è molto importante, sceglieremo chi dovrà guidare la nostra comunità. I margini di azione amministrativa sono stabiliti da leggi chiare e rigorose. Si tratta di gestire, con risorse purtroppo sempre più esigue, la nostra vita quotidiana nella prospettiva di migliorare il futuro della nostra generazione, tramandando alle prossime anche quanto di buono è stato a noi consegnato. Bovalino, per la sua storia, per l’ambiente in cui è immerso, per la connotazione topografica del territorio, è il posto ideale in cui possono convivere la memoria del passato e i progetti di crescita economia e culturale. Il nostro Programma, breve-mente sintetizzato nel documento allegato alla presentazione della lista, non è sicuramente il libro delle favole. Sognare appartiene all’età dell’adolescenza ed in molti casi può aiutare a vivere, ma noi dovremo amministrare ed i sogni aiutano poco. Noi non pensiamo di dover promettere il paradiso per ottenere il consenso elettorale, possiamo solo garantire che, nella più assoluta trasparenza, amministre-remo nell’interesse di Bovalino e per il bene di tutti i Bovalinesi, impegnando tutto il nostro tempo e le nostre capacità per ottenere il miglior risultato possibile. Non vogliamo costruire la Città del Sole, vogliamo soltanto con intelligenza e con tenacia continuare a costruire un paese vivibile ed accettabile. Dico a tutti ed aggiungo a tutti gli uomini di buona fede: siate protagonisti assieme a noi del riscatto di questo nostro paese. Un paese a cui la politica può e deve ancora dare tanto, un paese che ancora rischia, però, di essere trascinato indietro nella storia perché non sono del tutto tramontati vizi e vizietti del passato e tra questi l’impedire che ogni cittadino, donna o uomo che sia, scelga in perfetta libertà il proprio sindaco e la propria amministrazione. Quando si sceglie il capo di una comunità, al di là delle comprensibili simpatie personali, bisogna riflettere sulle qualità che questa figura deve avere e sugli aspetti di carattere, di personalità e di comportamento che sicura-mente non deve avere. Sulle qualità nessuno può avere dei dubbi: dovrà essere come un buon padre di famiglia, dovrà essere onesto, dovrà essere disinteressato, dovrà avere buone capacità amministrative, dovrà essere politicamente equilibrato, concreto ed aperto alla discussione; possibilmente dovrà avere carisma che poi è quella qualità per cui tutti lo guardano con la fiducia più completa. Tutto questo è certamente indispensabile. Ma è altrettanto importante, se non fondamentale, che non abbia quelle che possiamo chiamare “non qualità”. E’ pericoloso che un sindaco si comporti come un capopopolo che accarezza ed aizza e pensi alla gente come a un gregge di pecore mansuete ed obbedienti. E’ dannoso che un Sindaco pensi di poter fare tutto da solo e rifiuti o consideri inutile confrontarsi con partiti e istituzioni. E’ improponibile che un Sindaco si ritenga il capo di una banda di mercenari pronto a vendere tutto e tutti a chi paga di più. Per nostra fortuna Enrico Tramontano non è questo inquietante personaggio. Vi invito quindi a votare per la lista civica Noi con Voi per Bovalino e per il suo candidato a sindaco E. Tramontano. G.A – apr 2005>> <<Dice un adagio spagnolo “Qui es despierto, nunca se acostumbra”……”chi ha gli occhi aperti, non può adattarsi”……che, in senso lato, vuol dire che: chi ha cognizione di causa e conosce ogni retroscena di una determinata situazione, non può restare indifferente allo stravolgimento di fatti e di eventi da parte di persone che dichiarano talune cose ma agiscono in senso inverso a quanto dichiarato. Giorni fa i cittadini Bovalinesi hanno avuto la gioia di poter riprendere ufficialmente pieno possesso della piazza principale del paese, dedicata al Beato Camillo Costanzo. Dopo un anno di lavori, condotti con alterne vicissitudini, la nostra piazza, il principale luogo di incontro e di dialogo per noi tutti bovalinesi, ci è stata riconse-gnata nella sua nuova veste; una “veste” più bella, a mio giudizio; più spaziosa di prima, con grandi fioriere colorate e tante panchine. Ci è stata riconsegnata, dicevamo, e l’evento è stato festeggiato in maniera più che degna, con una bella festa, con canti e balli che hanno avuto come protagonisti i tanti talentuosi giovani del nostro paese, con la degustazione di ottimi stuzzichini e con un gran finale accompagnato dai coloratissimi fuochi d’artificio. Dunque, non c’è che dire: la riapertura della nostra piazzetta è stata celebrata in pompa magna. Se non fosse che…Se non fosse che in realtà la cittadinanza bovalinese, quella sera, non era stata invitata dalla nostra Amministrazione Comunale per celebrare questo bell’evento che avrebbe dovuto riunire la comunità tutta in un momento di gioia comune… No, in realtà l’Amministrazione, guidata dal Sindaco Zappavigna, ha invitato tutta la popolazione a festeggiare la vittoria (avvenuta più di due mesi fa!) della propria lista elettorale “Rinascita e sviluppo”. Ora la cosa impone qualche riflessione: cioè, mi chiedo e chiedo a chiunque possa darmi una valida risposta: è stato solo un caso che la prima festa tenuta nella piazza ristrutturata (e quindi la sua inaugurazione) sia coincisa con una ritardata festa per la vittoria elettorale, o forse si è trattato di un piccolo “stratagemma” ideato per non coinvolgere in questo evento chi avrebbe dovuto prendersi a pieno diritto i meriti dell’opera, ossia i rappresentanti della vecchia amministrazione, considerato che tutti i lavori si sono svolti durante l’Amministrazione Carpentieri? Il nostro attuale Sindaco (che, corre l’obbligo di ricordare, a suo tempo, come consigliere di opposizione, votò contro il piano di ristrutturazione della piazza) ha solo dovuto togliere le recinzioni poste lungo il perimetro della piazza: forse è stato un lavoro talmente stancante che per questo motivo si sarà sentito in diritto di prendersi ogni merito. Certo, è doveroso dire che il nostro Sindaco, quella sera, non ha nominato neanche una volta la piazza, o ricordato i recenti lavori… Aveva cose ben più importanti da ricordare, e promesse ben più solenni da fare, come quella di risolvere entro un anno ogni problema del nostro piccolo paese (che diventa sempre più piccolo, visto che anche la nostra linea ferroviaria è ormai diventata un tranvai). Ricordi, caro Sindaco, che la solidarietà è un sentimento nobile, che dovrebbe partire dal cuore. E’ un’azione in genere spontanea che risponde ad una convergenza di idee, sensazioni, interessi… Si può manifestare in mille modi, a seconda dei popoli, della cultura, delle situazioni. Mentre attendo con grande fiducia il futuro roseo che ha promesso per Bovalino, Le devo ricordare che la Storia non riserva un destino felice a chi si attribuisce meriti non suoi…Ribalzi – giugno 2005>>
ARTE E RICORDI
a margine di due mostre, riflessioni
Sembrava una visita ordinaria, come tante nella vita di chi è ancora curioso e attratto dalla bellezza e dalla cultura. Dopo aver tentato di curarla e prepararla con l’assistenza degli amici esperti nel settore della pittura e dell’arte in genere, d’istinto ho deciso un pomeriggio di fine dicembre, sottraendo mia moglie alla frenesia consumistica del periodo natalizio e avendo la gradita presenza di mio figlio “senese”.
Prima a Capocolonna, nella bella struttura del Museo, ancora vuota e deserta –chissà per quanto- all’interno del Nuovo Parco Archeologico, per visitare la mostra dedicata a Mario Schifani, l’ecclettico pittore della sabbia e dei deserti, nato in Libia e morto nel 1998 a Roma, impregnato dei colori e della cultura mediterranea.
Deserts. Dieci monumentali tele dedicate ai luoghi della sua memoria e dell’infanzia, il deserto e la sabbia trasfigurati in giardini lussureggianti pieni di colori e in continua trasformazione.
L’altra mostra presso la Torre Comandante del Castello di Carlo V. Altro tema, altra esperienza, altri percorsi, all’interno di sottili comunanze culturali. Il giovane Antonino Romanò in Lavori in corso – Progetto Egagropoli, Rinascita e Movimento, tutto dedicato e avvolto ai residui della Posidonia, l’alga che lavorata dall’azione del mare e del vento si trasforma in palline rotondeggianti dal colore bruno e dalla consistenza feltrosa…
Le due mostre mi hanno catapultato nei ricordi dell’infanzia, trascorsa e vissuta in riva al mare, sulla spiaggia dalla rena particolare simile a quella del deserto, dagli odori cangianti e le forme i colori diversi nelle diverse stagioni, nutrimento delle nostre fantasie e dei progetti alati. Materia e luogo di giochi, la sabbia ci avvolgeva ci accarezzava scivolava tra le dita.
Dopo le mareggiate la spiaggia si copriva di foglie marce di posidonia, che asciugandosi prendeva l’aspetto di tappeto o di materasso, trattenendo l’odore pregnante della diffusa salsedine. (2006)
PROBLEMATICHE ATTUALI
a margine di un convegno, riflessioni
- La nostra società è sempre più complessa sul piano della sua organizzazione politico-istituzionale, tecnica e strumentale, mentre è sempre più stereotipata, semplificata per esigenze funzionali e di cambiamento, su quello culturale. In tale società prevalgono l’anonimato e la solitudine. I valori del successo, del consumismo, della rinascita sociale e in genere tutti quelli più rivolti all’avere che all’essere sono elementi che creano un’influenza negativa sui rapporti umani e interpersonali, rendendoli estremamente difficili. In contraddizione la società invece esprime esigenze di solidarietà.
- Come sarà l’uomo tra cent’anni? In poche decine di anni l’Umanità ha superato traguardi nemmeno pensabili appena mezzo secolo fa, ma non in modo indolore e con costi elevatissimi sul piano ecologico. La natura è stata stravolta, alterata e trasformata violentemente. Senza un serio ripensamento individuale e collettivo, senza uno sforzo di riconciliazione dell’uomo con la natura, senza un cosciente recupero degli strumenti espressi dalle società umane nel loro massimo splendore per affermare una rinnovata coscienza etica individuale, si può solo ipotizzare per la Terra e l’Umanità un futuro pessimisticamente senza ritorno e senza futuro.
- Possono esistere Stati multi-culturali e multi-razziali? Certamente, a patto che tale ipotesi presupponga lo sviluppo della cultura del dialogo, l’esistenza di una minima base comune tale da permettere il raggiungimento della reciproca conoscenza senza privare alcuno della propria soggettività, il recupero di un ruolo sociale delle Chiese per limitare l’intolleranza spesso presente come mentalità e substrato culturale e combattere gli integralismi religiosi forieri di antagonismi etnico-religiosi e di conflitti socio.politici. Di conseguenza, anche la fratellanza e la pace universale, che oggi appaiono ancora come orizzonti utopici, possono diventare realtà.
- A proposito di realtà televisiva, non basta la competizione e la concorrenza per migliorare i programmi e garantire il loro valore e la loro qualità. Solo l’obbligo e l’osservanza di criteri morali può consentire che le televisioni svolgano nella nostra società un ruolo educativo e formativo, incidendo nelle grosse trasformazioni, regolandole, delle comunità umane nell’epoca della globalizzazione.
- A chi sottovaluta il ruolo della Poesia nelle moderne società, bisogna dire con forza che la poesia è vita e la vita sarebbe ben poca cosa senza il conforto della poesia. La poesia scioglie l’angoscia e il dolore; esprime la protesta; fa condividere i sentimenti; rende profeti, perché ci fa vedere o intravedere ciò che con la prosa non riusciamo neppure a immaginare.
BALLIAMO COME SE NESSUNO CI GUARDASSE (G. Marziano)
Siamo convinti che la nostra vita sarà migliore quando lavoreremo, quando saremo sposati, poi quando avremo un primo figlio, un secondo.
Poi ci sentiamo frustrati perché i nostri figli sono troppo piccoli… per questo o quello, e pensiamo che le cose andranno meglio quando saranno cresciuti.
In seguito siamo esasperati per il loro comportamento da adolescenti.
Siamo convinti che saremo più felici quando avranno superato questa età.
Pensiamo che ci sentiremo meglio quando il nostro partner avrà risolto i suoi problemi, quando cambieremo l’auto o la casa, quando faremo delle vacanze meravigliose, quando non saremo più costretti a lavorare.
Ma se non conduciamo una vita piena e felice ora quando lo faremo?
Dovremo sempre affrontare delle difficoltà, di qualsiasi genere. Tanto vale accettare questa realtà e decidere di essere felici adesso, in questo momento, qualunque cosa accada!
“… Per tanto tempo ho avuto la sensazione che la vita sarebbe presto cominciata, la vera vita! Ma c’erano sempre ostacoli da superare, qualcosa di irrisolto, un affare che richiedeva ancora del tempo, dei debiti che non erano ancora stati regolati, in seguito la mia vita sarebbe finalmente, cominciata. Finalmente un giorno ho capito che questi ostacoli erano la mia vita.”
Questo modo di percepire le cose ci aiuta a capire che non c’è un mezzo per essere felici, ma che la felicità è il mezzo. Di conseguenza gustiamo ogni istante della nostra vita e gustiamolo ancora di più perché lo possiamo dividere con una persona cara per passare insieme dei momenti preziosi della nostra vita.
Ricordiamoci che il tempo non aspetta nessuno Smettiamola di aspettare di perdere 5 kg per essere felici, di finire la scuola, di avere dei figli di vederli crescere, smettiamola di aspettare di cominciare a lavorare per essere felici, di aspettare di andare in pensione per essere felici di sposarci, di divorziare, smettiamola di aspettare di comprare la macchina nuova per essere felici, di aspettare il venerdì sera, smettiamola di aspettare la primavera, l’autunno, l’inverno, smettiamola di aspettare di lasciare questa vita e rinascere nuovamente per essere felici e decidiamo che non c’è momento migliore per essere felici che quest’istante.
La felicità e le gioie della vita non sono delle mete, sono il viaggio.
-Lavoriamo come se non avessimo bisogno di soldi.
-Amiamo come se non dovessimo mai soffrire.
-Balliamo come se nessuno ci guardasse.
TUTTA COLPA DELLA PROSTATA
La storia della nostra terra è intessuta di iniziative che hanno solo un fine: la gestione clientelare del potere delegato da elettori-cittadini e l’uso allegro e interessato del denaro pubblico, senza scrupoli d’ordine etico ed estetico noncuranti dell’interesse generale e delle vere esigenze collettive. La lettera sottoriportata evidenzia il disagio di un impotente cittadino dinnanzi alla boriosa tracotanza dei nostri governanti, anche nei fatti che riguardano il settore artistico e culturale, che deve ugualmente obbedire, secondo una visione partitica e privatistica del potere, alla logica che tutto è concesso solo ai vincitori delle elezioni e niente è concesso ai vinti. L’ironia del linguaggio serve solo a far risaltare l’assurdità della situazione: <Come tutti gli uomini di una certa età, anch’io ho problemi di prostata, per cui sono portato ad urinare spesso. Potete immaginare la mia gioia quando, trovandomi giorni fa a Le Castella, ho visto che stavano costruendo sulla scogliera (non quelle bianche di Dover ma quelle di tufo ocra!) un candido locale rivestito di ceramica bianca (non so se Pozzi-Ginori o altro!). Complimentandomi con gli addetti ai lavori dell’urinatorio in costruzione, mi è stato però detto, con tono risentito, che trattasi di “finestra sul mare”, una delle opere di un progetto riguardante i pianeti del sistema solare, dislocate tra Crotone e Le Castella. Non avevo ben compreso, ma sempre entusiasta delle possibilità di dar sollievo alla mia vescica, ho seguito le indicazioni datemi dai presenti. / Nel piazzale della stazione ho trovato la prima opera; non è propriamente un cesso pubblico ma un telaio che contiene due poster tipo cartellone pubblicitario; poco importa, tanto nella stazione esistono già i w.c. Sulla salita dell’Irto troneggia la seconda opera, non male per chi non ha voluto sforzare la propria fantasia più di tanto: in effetti non è un cesso ma una “vera palla”. Finalmente a Capocolonna ho trovato il luogo ideale per fare la pipì: un grosso scoglio messo ai lati della strada, vicino al museo mai aperto. “Ignorante cosa stai facendo, pisci su un meteorite!”, mi ha rimproverato un passante. La mia minzione si è interrotta bruscamente a causa di un crampo psicologico: da anni i giardini di tutte le case della costa sono abbellite con questi massi, ma non pensavo che quello fosse un pezzo unico, tra l’altro proveniente dallo spazio. Continuando nella ricerca necessaria alle mie esigenze, mi sono imbattuto sulla salita di Salica in due strutture metalliche, una bianca l’altra nera, tipo tavoloni messi in piedi. Anche queste non mi sembravano esattamente un cesso. Ho proseguito e al bivio Isola-discesa Tufolo sono stato attratto da un muro sul quale c’era scritto Crotone 0 – Urano 0 e sulla parete opposta dello stesso muro, Crotone 1 – Urano 0. Pensando alla tifoseria locale, ho proceduto oltre. Nel piazzale dell’aeroporto nove tubi-rinsecchiti sostengono, ciascuno, un ovale di plastica. Anche questo non era il bramato cesso. E allora… / L’ho scoperto qualche giorno dopo, quando ho letto dell’abbellimento della nostra costa con opere d’arte realizzate da nove artisti provenienti dalla biennale di Venezia, per una spesa di 560 euro circa. “Minchia” mi sono detto, “cose grosse sono!” Ben venga un progetto destinato a dare soldi e prestigio alla mia città, e lavoro ai Crotonesi, secondo le promesse di coloro che alterniamo al potere, ma le promesse dove sono finite? Si poteva cominciare, vista l’occasione, cercando di valorizzare ed aiutare, anche con un concorso, gli artisti della provincia di Crotone che sono tanti e capaci di fare qualcosa di meglio di quanto è stato fatto. Purtroppo la gente vive nel menefreghismo, nell’inerzia, nella confusione e nella rassegnazione, lasciando totale spazio agli amministratori di fare il bello e il cattivo tempo: infatti delle persone interpellate, artisti e non, nessuna, tranne un pittore di Castella, si è scandalizzata più di tanto. Anzi una, con tono rassegnato, ha aggiunto: “Ma tanto…la costa è già un cesso, uno in più, uno in meno…>. Giugno 2005. Un artista locale e incontinente. P.S.: Tutte le opere artistiche subito dopo l’inaugurazione hanno cominciato a perdere frammenti e pezzi…
FERDINANDO PALASCIANO
Il medico italiano Ferdinando Palasciano è considerato uno dei precursori della fondazione della Croce Rossa. Nacque a Capua il 13 giugno 1815, da Pietro, originario di Monopoli (BA), trasferitosi a Capua per lavoro in quanto segretario comunale, e Raffaella Di Cecio originaria di Capua. Si laureò giovanissimo in Belle Lettere e filosofia e Veterinaria. Era l’epoca delle grandi tappe della medicina e Palasciano, entusiasta dei continui progressi di questa scienza, s’iscrisse all’Ateneo di Messina, conseguendo, nel 1840, la laurea in Medicina e Chirurgia. Dopo la laurea entrò, con il grado di alfiere medico ed assegnato all’Ospedale Militare, nell’esercito borbonico. Così, a soli 25 anni e con tre lauree il giovane ufficiale dell’esercito borbonico Ferdinando Palasciano si trovava a Messina durante i moti insurrezionali del Risorgimento del 1848, adoperandosi per prestare le cure mediche anche ai nemici rimasti feriti durante i combattimenti. Il generale Filangeri aveva però ordinato che nessun soccorso o cura si sarebbe dovuto portare ai nemici feriti. Per la sua insubordinazione Ferdinando Palasciano stava per essere fucilato, nonostante avesse giustificato col Filangeri il proprio comportamento argomentando con queste parole: I feriti, a qualsiasi esercito appartengano, sono per me sacri e non possono essere considerati come nemici. L’intervento del Re Ferdinando di Borbone fece commutare la pena in un anno di carcere da scontarsi a Reggio Calabria. Anche durante la reclusione Ferdinando Palasciano venne incaricato di soccorrere i feriti dell’esercito napoletano, che le navi trasportano da Messina. Fu in prima fila nel 1860 a Capua, durante la battaglia del Volturno. Questa esperienza, esposta nelle sue successive dichiarazioni al Congresso Internazionale dell’Accademia Pontaniana di Napoli del 1861 in cui affermò: Bisognerebbe che tutte le Potenze belligeranti, nella Dichiarazione di guerra, riconoscessero reciprocamente il principio di neutralità dei combattenti feriti per tutto il tempo della loro cura e che adottassero rispettivamente quello dell’aumento illimitato del personale sanitario durante tutto il tempo della guerra, ebbe una vasta risonanza in tutta Europa e fu una delle basi della Convenzione di Ginevra, approvata il 22 agosto 1864, che dette vita alla Croce Rossa. Pertanto “virtualmente” la città di Messina potrebbe considerarsi la culla della Croce Rossa Italiana. Il Palasciano vede finalmente mettere in pratica quei pensieri che quattordici anni prima gli avevano messo in pericolo la vita, la convenzione reca come sottotitolo esplicativo parole molto simili a quelle di Ferdinando Palasciano: “Convenzione per il miglioramento della sorte dei feriti e malati degli eserciti in guerra”. Ma ciò non basta ancora a tranquillizzare la sua coscienza. Nel giugno del 1870, quando egli denuncia ancora con grande energia tutti gli “episodi di crudeltà” verificatisi tra gli eserciti combattenti durante il conflitto franco-prussiano. Per tale denuncia fu deferito al Tribunale di Guerra e per il medico capuano fu richiesta, l’immediata fucilazione. Ferdinando II, che aveva intuito la grandiosità di Palasciano, lo graziò e pare che, in quella occasione, avesse esclamato, alludendo anche alla bassa statura del medico: “che male po’ ffà, è accussì piccerillo.” Nel 1859, durante la battaglia di Solferino, il Sig. Dunant, svizzero, presente in quei luoghi come semplice spettatore, venne a conoscenza, tramite il dott. Appia, delle innovazioni propugnate dal Palasciano: rimase affascinato da tali idee al punto che le fece sue. Poco dopo Dunant pubblicò a Ginevra “Un souvenir de Solferino”, in cui Dunant esponeva, appunto, il principio della neutralità del combattente ferito. Il libro fu tradotto in molte lingue. A di stanza di poco tempo fu istituita la “Croce Rossa” e il Dunant fu riconosciuto ufficialmente, ma non del tutto meritatamente, il fondatore. Nel contempo Palasciano venne nominato Professore di Clinica Chirurgica presso l’Università di Napoli 1865 e fondò nel 1883, insieme ai Proff. Loreta dell’Università di Bologna e Bottini dell’Università di Milano, la Società Italiana di Chirurgia. Nonostante la rinomata fama di cui godeva nel suo campo sia in abito nazionale che internazionale (si pensi che venivano da tutta Europa per imparare la sua tecnica), si dimise in aperto contrasto con il Rettore dell’Epoca prof. Imbriani a causa dello spostamento d’autorità di alcuni reparti della Facoltà presso il Convento di Gesù e Maria che era stato “convertito” in poco tempo e che Palasciano stesso riteneva non adeguato agli standard igienici indispensabili. Il suo nome, comunque, era noto in tutto il mondo e numerosi erano i congressi cui partecipava: Parigi, Bruxelles, Londra, Ginevra. Fu chiamato a consulto da Garibaldi per curare la sua ferita da arma da fuoco al malleolo mediale dell’arto inferiore destro subita durante un combatti-mento sull’Aspromonte. Palasciano consigliò ai medici curanti di Garibaldi di intervenire chirurgicamente per estrarre il proiettile ritenuto nell’osso ma non fu ascoltato perché sostenevano che non vi fosse più ritenzione di proiettile. Se ne convinsero solo dopo alcuni mesi. Tra Palasciano e Garibaldi rimase però una profonda amicizia testimoniata da una corrispondenza epistolare da poco scoperta e conservata al Museo S.Martino di Napoli. Fu Deputato al Parlamento nella quattor-dicesima, quindicesima e sedicesima legislatura, Senatore del Regno, Consigliere ed Assessore al Comune di Napoli. Nel 1886 cominciarono a manifestarsi i primi sinto-mi di una grave demenza mentale che, intervallata da brevi momenti di lucidità, lo accompagnò fino alla morte, avvenuta il 28 novembre 1891 a Napoli avendo sempre a fianco, in tutti i lunghi anni di malattia, pochi amici e la moglie Olga de Wavilow, una nobile di origine russa. Fu sepolto nel recinto degli uomini illustri del cimitero di Poggioreale. A Palasciano, dunque, va il grande merito di aver proclamato, per la prima volta, con le sue sole forze e senz’alcun appoggio politico, il principio della “neutralità del combattente ferito”. Pertanto, il suo nome e la sua memoria stanno, idealmente, accanto a quelli delle più grandi figure della Croce Rossa.
LA SCUOLA DI FRANCOFORTE
Premessa.
Vi sono analisi che non vanno al di là delle contestualizzazioni storiche, che perdono efficacia e considerazione nel tempo, altre invece hanno quel carattere di universalità che le rendono in ogni periodo storico interessanti e attuali. Credo che quest’ultima considerazione si possa applicare al “laboratorio” di idee che è stato la cosiddetta Scuola di Francoforte. Il contributo dialettico di idee offerto da questo gruppo di pensatori tedeschi, teso a dimostrare le contraddizioni interne del pensiero marxista e della società, si dimostra stimolante al di là della caratterizzazione storica, dispiegando utilità e sorprendente efficacia anche nelle problematiche attuali legate alla globalizzazione dell’economia e della comunicazione, le cui soluzioni vanno trovate non solo con mezzi e strumenti del pensiero moderno. Non a caso: è conoide-razione diffusa che le “crisi” trovano in genere soluzioni e risposte nel recupero del pensiero “classico”, ovvero nelle idee che superano gli “angusti sentieri del tempo” (concetto presente anche in Cicerone e Pitagora), attualizzandone le indicazioni sulla ripresa di una seria progettualità e sui valori “eterni” dell’uomo, e soprattutto sulla difesa dell’umanesimo nella società moderna per “superare” violenza e consumismo. In questa direzione la cultura tedesca, nell’ambito della cultura europea moderna e contemporanea, occupa una posizione preminente, risultando la più problematica e la più rilevante come capacità di modificare gli orientamenti dell’uomo nei riguardi della realtà. Noi, in fondo, pensiamo come pensiamo perché sono esistiti Hegel, Marx, Schopenhauer, Nietzsche, Freud, Einstein, tutti uomini di cultura tedesca che hanno contribuito, in modo diverso, a condizionare la nostra visione della realtà. Hegel è il primo a stabilire che ciò che esiste è una realtà spirituale,globale, dinamica, drammatica, sempre in mutamento contraddittorio (dialettico), per cui non c’è una storia che abbia dei valori perenni; i valori, le concezioni mutano con il mutare dello Spirito.Lo Spirito nega continuamente se stesso, afferma continuamente se stesso, va sempre avanti. Ogni epoca ha una sua razionalità. La razionalità di un’epoca è quella che corrisponde allo Spirito dell’epoca. Chi non riesce a vivere lo Spirito dell’epoca, si isola dal suo tempo, quindi s’isola dalla razionalità (la cosiddetta “coscienza infelice”). Marx accoglie la dialettica, ma non ritiene il mutare della storia come mutare dello Spirito nel tempo, il mutare della storia deriva dal mutare della struttura economica. Secondo Marx al mutare della struttura economica, mutano anche le ideologie degli uomini che sono strettamente dipendenti dalla struttura economica, e cambiando gli strumenti di produzione cambiano i rapporti di produzione, le classi e quindi le concezioni e le ideologie delle classi (teoria detta del materialismo storico). Schopenhauer e Nietzsche negano totalmente il processo della razionalità come l’avevano inteso Hegel e Marx. Per il primo è impossibile che sia così. Le forze costitutive dell’uomo sono forze irrazionali, dovute alla volontà di vivere. Tutto ciò che noi pensiamo è condizionato dalla volontà di vivere, dai desideri e dalle passioni. La ragione, quindi, è, eventualmente, una razionalizzazione, non è razionalità. Lo stesso per Nietzsche., il quale però, a differenza di Schopenhauer, non ritiene che sia la volontà di vivere la base costitutiva dell’uomo, bensì la volontà di potenza, la quale determina una differenza radicale secondo come è posseduta da ciascun uomo. Tutti cercano d’imprimere nella realtà il loro segno (potenza), ma c’è chi lo fa in maniera vitalistica e chi invece lo fa in maniera mortuaria, afflitta: il signore ed il gregge. Il signore crede in se stesso, crede nella sua forza vitale. Il gregge non crede nella sua forza affermativa, si afferma negando la vita. Siccome il gregge non è capace di vivere, sostiene che la vita va negata, per questo concepisce Dio, un al di là, ritiene che chi si afferma in questo mondo non vale niente; nasce il Cristianesimo, il Comunismo ecc.. Nasce la ribellione dei più deboli che da singoli nulla possono, ma organizzati sono una grande forza. Per Freud, che filosoficamente deriva da Schopenhauer e da Nietzsche, l’Inconscio (l’Es) è la volontà di vivere e la volontà di potenza, le quali si biforcano in una volontà vitale, Eros, e in una mortuaria, Thanatos. La Teoria Critica della Scuola di Francoforte nasce in questo clima cultu-rale e in un momento storico particolare, la fase successiva alla Prima Guerra mondiale. La Germania ha perduto la guerra, l’Austria ha perduto il suo impero; c’è la sconfitta degli Stati Centrali. Si sono avute guerre civili e tentativi di rivoluzioni sociali. La Germania è stata smembrata, vive una crisi completa dopo il crollo di Wall Street del 1929. Il proletariato è nella massima disperazione. Assistiamo a tentativi di rivoluzione comunista e a tentativi di stato autoritario. Era già sorto il Nazionalsocialismo, razzista, dittatoriale, militarista, imperialista, revanscista.. Intel-lettuali ebraici, i quali di per sé hanno sempre avuto un atteggiamento critico nei riguardi del potere, per ragioni legate sovente alla loro emarginazione, si che considerano il potere come autoritario e negativo, facendoli schierare con le minoranze ed i ceti perseguitati; ebbene alcuni intellettuali ebrei decidono di formare un gruppo che analizzasse i fenomeni della società. Nasce in questo contesto storico e culturale la Scuola critica di Francoforte. Il termine critica è un termine decisivo nella cultura tedesca. E’ un termine specificamente tedesco. Si usa anche in altri paesi, ma in lingua germanica assume un significato preciso e particolare. Il termine è legato specialmente a Kant, che scrisse: Critica della ragion pura, Critica della ragion pratica, Critica del giudizio, tre opere che propongono un atteggiamento d’analisi pregiudiziale nei confronti della realtà e dell’uomo stesso. Critica significa valutazione, osservazione, analisi, vaglio della realtà. Non va intesa nel senso comune del termine cioè di giudizio negativo, piuttosto, ripetiamo, come analizzare, vagliare, osservare, non lasciarsi andare ad un’adesione sentimentale nei confronti della realtà. Il sentimento non deve prevalere sulla ragione. Tutta la teoria critica è basata su quest’aspetto fondamentale. Bisogna vagliare, analizzare, esaminare, mai abbando-narsi all’intuizione, al sentimento, all’irrazionalità, perché questo significa non sapere dove si va a finire. Bisogna essere critici anche verso la ragione. La Teoria critica s’innesta in tale problematiche. Essa ritiene che non si deve vivere di sentimenti, di passioni, d’emozioni, e questo contro Schopenhauer e Nietzsche, i quali avevano sostanzialmente negato il valore della ragione. La Teoria critica nega questa posizione, secondo la Teoria critica non si può assegnare un ruolo subalterno alla ragione. Negli Stati Uniti inizia un’altra fase della Teoria critica. Il collegamento tra le concezioni di Marx, Schopenhauer, Nietzsche, Hegel con la cultura americana, rappresenta un impatto decisivo: la grande e complessa cultura europea viene in contatto con lo sviluppo avanzatissimo della società americana. Gli intellettuali tedeschi della Scuola di Francoforte, colsero una società totalmente diversa da quella in cui avevano vissuto. Si trovarono di fronte una società di potentissime corpora-tions, d’enormi gruppi industriali e finanziari, un proletariato non più rivoluzionario, inserito nel sistema dei consumi. Capirono che le formulazioni europee non si addicevano alla società americana. Da quest’incontro della complessa cultura europea e della possente società produttiva americana, nasce il tentativo dei francofortesi di salvaguardare l’eredità culturale europea in una società che spazzava via questa eredità, e che forniva il modello anche per il futuro delle società europee. Tutto ciò rappresenta la grande avventura della Teoria critica, tenendo però conto che Horkheimer, Adorno, Marcuse, e Fromm, si differenziano notevolmente. Nei primi due, che forniscono alla Teoria critica stessa il libro più famoso e fondamentale: Dialettica dell’Illuminismo prevale l’aspetto critico; in Marcuse c’è un’aspetto propositivo, ma il più propositivo di tutti è senz’altro Fromm, che vuole salvare l’eredità dell’umanesimo europeo anche nel mondo della tecnologia, del consumismo e dell’integrazione del proletariato com’è proprio della società americana e, in genere, del capitalismo avanzato. Nel suindicato saggio, Horkheimer ed Adorno sostengono che l’Illuminismo nel momento in cui pone la Ragione a fondamento dell’agire umano, pone la premessa del dominio razionale degli strumenti di produzione, della razionalità dei processi produttivi, i quali s’impongono all’uomo. Pertanto la ragione si è spostata, dalla razionalità dell’uomo alla razionalità della produzione. La situazione è degradata. La razionalità risiede nelle strutture produttive che, però, strumentalizzano l’uomo, facendone uno strumento del sistema produttivo. Non è la ragione dell’uomo ad imporsi agli strumenti, bensì la ragione e la razionalità degli strumenti ad imporsi all’uomo. L’uomo è diventato una macchina tra le macchine. La dialettica dell’Illuminismo è una dialettica di asservimento dell’uomo; la ragione illuminista è diventata, trasferendosi nei sistemi produttivi una prigione per l’uomo. Nei sistemi industriali, moderni, tanto che siano capitalistici in senso proprio che socialisti, non c’è scampo e possibilità di uscire dal dominio della razionalità degli strumenti. Solo l’intellettuale comprende questi processi di asservimento e quindi li critica, cerca di denunciare la situazione. L’Illuminismo si è capovolto, da concezione in cui l’uomo guidava se stesso con la ragione a concezione in cui la ragione è degli strumenti, è un processo razionale di mezzi e scopi non della ragione nel senso di trovare valori: giustizia, umanità e cosi via. La Scuola accentua quest’aspetto nelle ricerche sulla Personalità autoritaria, attraverso le quali si cerca di dimostrare tramite parametri dette “scale” sulla formazione dei ragazzi, che costoro, se hanno avuto un padre autoritario, tendono a volere anch’essi l’autorità, l’obbedienza. Chi ha avuto un padre autoritario è abituato ad obbedire e vuole che gli altri obbediscano come ha obbedito lui. Quindi si diventa autoritari con gli altri per volerli servi come lo è stato il soggetto che ha subito l’autorità. Si spiegherebbe in tal modo la massificazione della società. Successivamente, Adorno svolse delle analisi sulla società capitalistica avanzata; se è vero che la società moderna capitalistica è una società di razionalità che asservisce l’uomo, e se è vero che in una famiglia con padre autoritario nasce la tendenza all’autoritarismo, è vero anche che la società capitalistica è oltre che una società di produzione una società di consumi, il che causa quella che Adorno una “cultura di massa”, la società dei consumi di massa. La società in cui pure la cultura è “consumata” come una qualsiasi altra merce, anche la cultura è ridotta a merce. Per esattezza bisogna dire che Adorno e Horkheimer rifiutano il termine di “cultura” per questo tipo di società, preferendo adottare come più appro-priato, anche sul piano descrittivo, il termine di “industria culturale” (Kulturindu-strie), espressione adoperata per la prima volta nella Dialettica dell’Illuminismo nel 1947, che sostituiva quella di “cultura di massa” presente nella prima stesura. Questa espressione fu sostituita con industria culturale per eliminare subito l’interpretazione che fa comodo ai suoi difensori: che si tratti di qualcosa come una cultura che scaturisce spontaneamente dalle masse stesse, della forma che assumerebbe oggi in arte popolare. Da cui viceversa l’industria culturale si differenzia nel modo più assoluto.” La ragione oggi è considerata solo un accorto uso dei mezzi per i fini: chi riesce a impiegare mezzi idonei ai fini è razionale. Questa concezione appare ai teorici di Francoforte decisiva per interpretare la nostra epoca: non c’è più razionalità sostanziale che cerca e trova verità, giustizia, bene piuttosto razionalità strumentale che sa impiegare mezzi per fini, un delitto ben compiuto diventa in tal senso razionale. I teorici di Francoforte fanno risalire questa concezione della razionalità strumentale all’Illuminismo, il quale si sarebbe incarnato nella razionalità dei sistemi produttivi industriali. A tal punto l’uomo scompare, diventa meccanismo del sistema produttivo, strumento degli strumenti, funzione del “sistema” (da ciò la critica al funzionalismo) e, da ultimo, funzione consumatrice dei sistemi produttivi che riduco-no perfino la cultura a merce. C’è possibilità di rifondare l’uomo al di là della sua strumentalità nei sistemi produttivi e consumistici?
Oggetto di questa ricerca è il pensiero politico di Max Horkheimer e la sua «teoria critica della società», con la quale cerca di dimostrare che c’è un rapporto reale tra situazione storica e teoria: nessuna teoria è autonoma o neutrale e ogni teoria ha sempre, implicitamente o esplicitamente, l’aspirazione a cambiare la realtà; perciò il fascismo è l’espressione ideologica e istituzionale di ciò che è il capitalismo moderno in crisi; in tal senso il fascismo, come il nazismo, è anche un fallimento teorico, e il suo significato va al di là dei limiti storici dei regimi che l’hanno incarnato. La società attuale, figlia dell’illuminismo, della fiducia nella ragione, rappresenta il capovolgimento dell’illuminismo; anzi lo stesso illuminismo, da strumento di liberazione dell’uomo, s’è trasformato in strumento del suo assoggettamento.Tale società tuttavia è in trasformazione; da società borghese, strutturata sul capitalismo privato, si va trasformando in società di massa, funzionale al capitalismo monopoli-stico; tale trasformazione produce un’ulteriore razionalizzazione dell’esistenza umana, ma a condizione di una piú intensa alienazione dell’uomo, costretto a conformarsi, con le sue scelte private, ai modelli dell’«opinione pubblica» che, a sua volta, è mano-vrata da raffinati strumenti di propaganda. L’intellettuale quindi non può «astrarsi» dalla situazione concreta; si deve invece assumere il compito di coscienza critica contro l’integrazione dell’uomo nel sistema sociale ed il suo assoggettamento ad esso.
Max Horkheimar e la Scuola di Francoforte
1.1 – Gli sviluppi del marxismo e sua dialettica . Per il pensiero marxista tutta la storia è riconducibile alla lotta di classe, analizzata seguendo le leggi della dialettica scoperte da Hegel, con gli elementi capovolti: non movimento storico dello Spirito dell’Idea o dell’Assoluto, ma sviluppo dell’economia (materialismo storico). La tesi è rappresentata dal mondo feudale, l’antitesi dal capitalismo borghese, la sintesi sarà la futura società comunista. (Comunque l’idea-base è che in ogni periodo storico vi sia stata una classe dominante e una sfruttata…). La moderna società borghese, nata dalla società feudale, non ha superato i contrasti di classe, ma ha posto nuove classi e nuove condizioni di oppressione, quindi di conseguenza nuove forme di lotta. Tale delicato passaggio è stato evidenziato nel saggio dell’Archivio Marx-Engels “Le lotte di classe in Francia dal 1848”, capitolo I “La disfatta del giugno 1848”. In esso è detto che sotto Luigi Filippo regnava solo una parte della borghese francese, quella finanziaria e speculatrice, mentre la borghesia industriale si trovava all’opposizione e la piccola borghesia e la classe dei contadini erano escluse completamente dal potere politico. Il diffuso malcontento, accelerato da due avvenimenti economi mondiali (la malattia delle patate e i cattivi raccolti del 1845 e del 1846 in Francia e la crisi generale del commercio e dell’industria in Inghilterra, portò alla rivolta e alla proclamazione della Repubblica borghese, del 25 febbraio 1848, circondata da istituzioni repubblicane e perfezionata il 4 maggio 1848.La rivoluzione di febbraio era stata conquistata dagli operai con l’aiuto passiva della borghesia. Per questo i proletari si consideravano a ragione come i vincitori di febbraio e avanzavano le pretese orgogliose del vincitore. L’Assemblea Costituente al contrario emanò una serie di decreti provocatori contro il proletariato, come la proibizione degli assembra-menti popolari, iniziative seguite tra l’altro da insulti e scherni derisori nei confronti degli operai. A quest’ultimi non rimase altra alternativa che morire di fame o scen-dere in campo contro la borghesia. L’insurrezione avvenne il 29 giugno e fu la prima grande battaglia tra le due classi in cui è divisa la società moderna, la borghesia e il proletariato, ovvero il capitale e il lavoro. Gli operai, senza capi e senza un piano comune, senza mezzi e con poche armi, tennero in scacco per cinque giorni l’esercito, la guardia mobile, la guardia nazionale di Parigi e la guardia nazionale accorsa dalle province. Al posto delle rivendicazioni, che gli operai volevano strappare come concessioni alla repubblica di febbraio, subentrò l’ardita parola di lotta rivoluzionaria: “Abbattimento della borghesia! Dittatura della classe operaia!” Così “mentre il proletariato faceva della sua bara la culla della repubblica borghese, costringeva questa a presentarsi nella sua forma genuina, come lo Stato il cui scopo riconosciuto è di perpetuare il dominio del capitale, la schiavitù del lavoro. Avendo continuamente davanti ai propri occhi il suo nemico coperto di cicatrici, irreconci-liabile, invincibile -invincibile perché la sua esistenza è condizione dell’esistenza stessa della borghesia- il dominio della borghesia, sciolto da ogni catena, doveva trasformarsi ben presto nel terrorismo della borghesia. Eliminato provvisoriamente dalla scena il proletariato, riconosciuta ufficialmente la dittatura della borghesia, gli strati medi della società borghese – piccola borghesia e classe dei contadini – nella misura in cui la loro situazione si faceva più insopportabile e più acuto il loro contrasto con la borghesia, dovevano sempre di più unirsi al proletariato. Come prima l’avevano trovata nella sua ascesa, così ora dovevano trovare la ragione della loro miseria nella sua disfatta. Se l’insurrezione di giugno rafforzò dappertutto sul continente la coscienza di sé della borghesia, e la spinse ad una alleanza aperta con la monarchia feudale contro il popolo, chi fu la prima vittima di questa alleanza? La stessa borghesia del continente. La disfatta di giugno le impedì di consolidare il suo dominio, e di mantenere il popolo, mezzo soddisfatto e mezzo illuso, sull’ultimo scalino della rivoluzione borghese. Infine la disfatta di giugno rivelò alle potenze dispotiche d’Europa il segreto che la Francia era costretta ad ogni costo a mantenere la pace all’esterno, per poter condurre la guerra civile all’interno. In questo modo i popoli che avevano iniziato la lotta per la loro indipendenza nazionale vennero dati in balìa alla prepotenza della Russia, dell’Austria e della Prussia, ma in pari tempo la sorte di queste rivoluzioni nazionali venne subordinata alla sorte della rivoluzione proletaria; esse vennero spogliate della loro apparente autonomia, della loro apparente indipendenza dal grande rivolgimento sociale. Né l’ungherese, né il polacco, né l’italiano possono essere liberi fino a che rimane schiavo l’operaio! Infine, in seguito alle vittorie della Santa Alleanza, l’Europa ha preso un aspetto tale che ogni nuovo sollevamento proletario in Francia dovrà coincidere in modo diretto con una guerra mondiale. La nuova rivoluzione francese sarà costretta ad abbandonare immediatamente il terreno nazionale e a conquistare il terreno europeo, sul quale soltanto la rivoluzione sociale del XIX secolo può attuarsi. Solo con la disfatta di giugno dunque sono state create le condizioni entro le quali la Francia può prendere l’iniziativa della rivoluzione europea. Solo immergendosi nel sangue degli insorti di giugno il tricolore è diventato la bandiera della rivoluzione europea: la bandiera rossa! E il nostro grido è: La rivoluzione è morta! Viva la rivoluzione!” Il capitalismo si è sviluppato dalle contraddizioni del feudalesimo, semplificando la struttura sociale: due classi sole, borghesia e proletariato si contendono il potere. Lo stesso sarà investito da analoghe contraddizioni, legate alle crisi cicliche dell’econo-mia, ma a differenza del passato la causa delle crisi è la sovrapproduzione di merci. La libera concorrenza produce un sistema industriale caotico e ogni crisi ciclica verrà provvisoriamente superata allargando il sistema capitalistico. Il ruolo rivoluzionario della borghesia, in nome dell’economia, ha prodotto: -lo smantellamento del sistema feudale insieme alla demistificazione dell’ideologia religiosa medievale; -la trasfor-mazione della famiglia in azienda economica; -il processo di continua trasformazione della società; -l’abolizione delle frontiere economiche attraverso il colonialismo e la globalizzazione dei commerci, con ridi-mensionamento degli stati e delle culture nazionali; -la trasformazione dell’economia di tutti i popoli; -l’accellerazione del pro-cesso di inurbamento e crisi del mondo contadino; -il dominio dell’Occidente sull’Oriente; -la centralizzazione della politica in dipendenza della centralizzazione dei mezzi di produzione; -la trasformazione della natura e la creazione di un mondo nuovo per causa del progresso tecnologico. Il comunismo si propone di abolire lo stato di cose esistenti, attraverso la lotta di classe che deve portare ad una società senza classi e quindi senza Stato, dopo la fase borghese-capitalistica della Storia. Nel comunismo non esisterà più la proprietà privata dei mezzi di produzione, rappresentati dalle fabbriche; la ricchezza sociale si distribuirà in base al principio: “a ciascuno secondo i bisogni, da ciascuno secondo le sue capacità”. La lotta operaia nasce come protesta individuale e di gruppo: inizialmente gli operai individuano nelle macchine il loro nemico e la lotta operaia è guidata dalla stessa borghesia; solo successivamente si sviluppa una coscienza egualitaria e le crisi cicliche del capitalismo accelerano l’unificazione del profetaria-to. La centralizzazione delle lotte operaie è favorita dalla nuova tecnologia industriale e dai nuovi mezzi di comunicazione; le insanabili contraddizioni interne della borghesia e la proletarizzazione dei ceti medi offrono ulteriori vantaggi al movimeto. Il proletariato alla fine vince perché non possiede nulla e non ha nulla da perdere. La Rivoluzione bolscevica del 1917 costituì la realizzazione del programma politico di Lenin, mirante alla presa del potere da parte del proletariato sotto la guida di un partito che ne doveva rappresentare l’avanguardia cosciente. Il retroterra e il supporto teorico di tale progetto erano rappresentati dall’analisi che integrava la concezione marxista con i nuovi sviluppi riscontrabili nel capitalismo a livello internazionale e la realtà della situazione concreta della Russia zarista, caratterizzata da masse conta-dine. Esperienze di realizzazione di teorie marxiste e leniniste si sono avute dopo la seconda guerra mondiale in molti paesi, mostrando caratteri diversi a seconda dei differenti contesti storici in cui si sono inseriti. Particolare rilievo e risonanza, sia per le dimensioni della nazione che per la specificità delle sue forme di applicazione, ha avuto l’esperienza del comunismo cinese. Il pensiero di Marx e di Engels, dopo la morte dei suoi autori, divenne in Germania la dottrina ufficiale del partito socialdemocratico, il quale con la Seconda Internazionale si configurò come il partito guida del movimento socialista europeo. All’interno di questo partito si sviluppano due tendenze opposte: a) revisionistica, orientata a trasformare il marxismo da ideolo-gia rivoluzionaria in dottrina riformista (Eduard Bernstein); b) ortodossa, decisa a conservare immutata la dottrina originale di Marx (Karl Kautsky), ma finì col praticare alla fine una politica riformista, persa la fiducia nell’inevitabilità della rivoluzione proletaria. Socialismo rivoluzionario rimase quello di Rosa Luxemburg in Germania e di Lenin in Russia. Bernstein parte dalla constatazione che, in seguito allo sviluppo della società industriale, le condizioni degli operai, anziché aggravarsi sempre più, come aveva sostenuto Marx, sono in realtà migliorate, per cui bisogna abbandonare il progetto di fare la rivoluzione, che non considera ineluttabile, ma cercare di contribuire ad un miglioramento sempre più accentuato della situazione economica della classe operaia attraverso una serie graduale di riforme. Kautsky ritiene che, malgrado le apparenze, il capitalismo dà segni di grave crisi economica e che il suo crollo, e quindi la rivoluzione proletaria, siano inevitabili. Rosa Luxemburg riprende contro i due sopra la concezione marxiana della dialettica quale metodo di analisi della realtà, interpretandola come indicazione di una tendenza della storia sociale verso la società senza classi mediante l’azione rivoluzionaria, non solo ad opera di un gruppo ristretto come il partito comunista, bensì dell’intera classe operaia, cioè del proletariato internazionale. L’austro-marxismo con Max Adler interpreta il marxismo, ed in particolare la dialettica, essenzialmente come metodo di ricerca scientifica da applicarsi nell’ambito delle scienze sociali… Il materialismo dialettico di stretta osservanza fu portato avanti e sviluppato da Lenin, Plechanov, Stalin, Trotski e Mao… Altra strada seguì il “marxismo occidentale”. Infatti, mentre il socialismo riformista rimase l’ispirazione di fondo dei partiti socialdemocratici nati con la Seconda Internazionale e il materialismo dialettico di osservanza sovietica divenne la filosofia ufficiale dei vari partiti comunisti europei collegati nella Terza Internazionale, il marxismo continuò a svilupparsi nell’Europa occidentale al di fuori dei partiti, ad opera di intellettuali più o meno isolati, ma spesso di grande originalità, come Lukacs, Korsch e Bloch…
1.2 – La Scuola di Francoforte. Uno degli sviluppi più interessanti ed originali del marxismo nel Novecento è la cosiddetta Scuola di Francoforte. Con questa espres-sione si intende un gruppo di pensatori riunitisi inizialmente attorno all’Istituto di ricerca sociale (Institut fur Sozialforschung) fondato nel 1924 a Francoforte sul Meno, per compiere ricerche in primo luogo di tipo sociologico e poi anche di carattere filosofico più in generale. Il primo direttore dell’Istituto fu Karl Grumberg, professore di scienze politiche e storico austriaco di orientamento marxista, poi l’economista Friedrich Pollock e poi dal 1930 il sociologo Max Horkheimar. Nel periodo della sua direzione collaborarono con l’Istituto gli economisti Pollock e Henrik Grossmann; sociologi come Karl-August Wittfogel; filosofi come Theodor Wiesengrund Adorno e Herbert Marcuse; critici letterari come Walter Benjamin e Leo Lowenthal; psicologi come Erich Fromm. L’Istituto pubblicò dapprima una rivista denominata “Archivio per la storia del socialismo e del movimento operaio” (“Archiv fur die Geteschichte des Sozialismus und der Arbeiterbewegung”), che proseguiva la pubblicazione del “Grunbergs Archiv”, fondato a Vienna nel 1910 da Karl Grunberg, alla quale collaborarono Lukacs, Korsch e Riazanov, direttore dell’Istituto Marx-Engels di Mosca; poi “La Rivista di ricerca sociale” (“Zeitschrift fur Sozioalforschung”) dal 1932 al 1941 alla quale contribuirono quasi tutti i membri. Con l’avvento del nazismo in Germania il gruppo si sciolse, ma l’Istituto, che già nel 1931 era stato trasferito a Ginevra, aprì una sede prima a Parigi dal 1934 al 1940 e poi negli Stati Uniti, presso la Columbia University di New York, riunendo ancora intorno a sé vari membri della Scuola, tranne Benjamin che rimase a Parigi e si suicidò nel 1940, per non cadere nelle mani della Gestapo. Opere collettive dei membri dell’Istituto furono gli “Studi sull’autorità” nel 1936 a Parigi e gli “Studi sulla personalità autoritaria” nel 1950 a New York. Alla fine della seconda guerra mondiale alcuni tornarono in Germania: Horkheimar, Adorno e Pollock a Franco-forte, dove nel 1950 riaprirono l’Istituto; altri rimasero in America: Marcuse, Fromm, Lawenthal e Wittfogel. Definirono il loro pensiero sociologia critica o teoria critica della società, per distinguersi dalla corrente allora in voga, che si ispirava a Max Weber. I contributi più importanti riguardano infatti lo studio della personalità autori-taria e l’elaborazione di una teoria critica della società…I più importanti della “Scuola”, Horckheimar Adorno e Marcuse, sono filosofi di orientamento marxista, che si rifanno, più che al materialismo dialettico con il quale anzi sono in forte polemica, al “marxismo occidentale” specialmente di Lukacs, e attraverso questo a Hegel, anche se in alcuni di essi sono presenti altre influenze, come quella di Heidegger e quella di Freud. Diversi i contributi del gruppo, alcuni dei quali di forte impatto sociale. Evidenziarono tra l’altro che ciò che si deve realizzare nel comunismo e il comunismo deve realizzare è l’individualità come individualità reale: infatti non per caso in Marx –affermano- il comunismo è appropriazione individuale, sulla base del possesso collettivo dei mezzi di produzione, dei prodotti e delle attività da parte degli individui associati; cercarono di capire ancora come si fosse prodotta la spaventosa uniformità di giudizio, di valori, di coscienza e di comportamento che rendono vano e derisorio il richiamo alle libertà individuali nel mondo del capitalismo avanzato, pur essendo consapevoli che nelle società capitalistiche avanzate –ma un processo analogo riguarda il proletariato- il tratto emergente sembra proprio quello dell’omologazione e dell’appiattimento degli individui, per cui la loro massificazione è priva di slanci e di desideri di rivolta.Non a caso erano convinti che il feticismo e la legge del valore sono originati dall’assenza di coscienza e di controllo da parte degli individui sui rapporti di produzione e sulle forze produttive, e dunque il capitalismo sarà vinto solo se gli individui prenderanno la guida coscientemente della produzione e della riproduzione. Consideravano perplessi che le libertà giuridiche e politiche diventano finzioni tanto più convincenti quanto più ci si appella al loro esercizio: sono spariti infatti i soggetti, gli individui titolari di quei diritti formali, il mondo ha una dimensione sola, quella delle cose, dei fatti, della conformità; ritenevano che la ragione, per dominare, si è fatta simile alla cosa che progettava di dominare, si è fatta essa stessa cosa, si è reificata nella tecnica, e così l’umano si è trasformato esso stesso in cosa della tecnica, tecnologia non più soltanto della produzione, ma del consumo, dell’informazione, della formazione, della convinzione. Gli studi di Theodor Wiesengrund Adorno (1903-1969) spaziarono in diversi campi, da quelli filosofici a quelli sociologici e soprattutto a quelli musicali. Insegnò filosofia e sociologia a Francoforte e diresse anche lui per un certo periodo l’Istituto per le ricerche sociali. Dal 1934 al 1950 emigrò, per sfuggire al nazismo, negli Stati Uniti; tra le sue opere più importanti sono da ricordare: – “Dialettica dell’Illuminismo”, scritta nel 1947 in collaborazione con M. H.; – “Filosofia della musica moderna” del 1949; – “La personalità autoritaria” del 1950; – “Minima moralia” del 1951; – “Critica della teoria della conoscenza” del 1956; – “Lezioni di sociologia” del 1956, in collaborazione con Horkheimar. Fra i temi trattati da Adorno il nuovo concetto di dialettica, non di tipo idealistico ma materialistico, in particolare la concezione della conoscenza come analisi delle specificità oggettive e come interpretazione dei fenomeni mediante categorie non totalizzanti. I fatti non sono “problemi” da interpretare e da discutere, ma inerti “dati” da registrare e classificare. Altri riguardano l’elogio della “esagerazione”, la polemica contro il “buonsenso” e la critica della “chiarezza”… Come gli altri esponenti della Scuola di Francoforte, anche Adorno mosse aspre critiche al sistema dei mass-media: una vera “industria culturale” che manipolerebbe l’individuo per integrarlo in un sistema di produzione oppressivo. L’idea che muove Adorno in questa critica è che i mezzi di comunicazione di massa fanno introiettare all’individuo il sistema esistente e i valori (da lui considerati disvalori) della società esistente. Al fondo di questa critica c’è un presupposto ben preciso, e cioè che i mass-media non sono qualcosa di neutro, non sono meri contenitori che possono essere riempiti con i contenuti più vari, ma sono essi stessi ideologia, perché il loro compito precipuo è quello di diffondere un’immagine del mondo che sia accettabile da tutti e di sviluppare linguaggi uniformi e standardizzati che vadano bene per tutti e che quindi inevitabilmente contribuiscono a un conformismo generale. Di qui l’attenzione di Adorno alla pubblicità, alla quale ha dedicato saggi importanti di analisi sociologica, perché nella pubblicità ha visto il tipico strumento di manipolazione delle coscienze: la pubblicità sembra uno strumento innocente, ma in realtà è uno strumento di seduzione delle coscienze, di manipolazione delle coscienze, di addomesticamento degli individui, uno strumento diabolico per manipolare la coscienza individuale, per trasformare gli uomini in robot, in manichini, in qualcosa che possa servire agli scopi del sistema sociale esistente. La critica e la diffidenza verso la cultura di massa si configurano come critica e diffidenza verso una forma di potere intellettuale capace di condurre i cittadini a uno stato di soggezione gregale, terreno fertile per qualsiasi avventura autoritaria. Altro membro di rilievo della Scuola di Francoforte fu Herbert Marcuse (1898-1979). Emigrato negli Stati Uniti a causa del Nazismo, insegnò in varie Università americane, nell’ultimo periodo in California. Studiò e analizzò le caratteristiche della società contemporanea industriale, mettendone in luce gli aspetti autoritari e repressivi. Il suo pensiero fu una guida per il movimento studentesco del 1968, che individuò nei suoi scritti la base ideologica per una rivolta: “Ragione e rivoluzione” del 1941; “Eros e civiltà” del 1955 e “L’uomo a una dimensione” del 1964. L’idea, al centro di quest’ultimo libro che diede all’autore fama mondiale, è molto semplice: la società industriale avanzata ha leggi ferree di funzionamento e l’uomo è asservito a queste leggi ferree. La società industriale avanzata è un enorme apparato, che non può non essere un apparato di dominio appunto perché non lascia mai margini alla libertà umana, all’iniziativa individuale: l’uomo è, per così dire, solo e soltanto una semplice rotella, un piccolo ingranaggio di un sistema enorme che lo sovrasta e di cui egli deve semplicemente subire l’esecuzione. In altre parole l’uomo nella società industriale, nella società tecnologica è sempre e comunque alienato; e infatti la critica di Marcuse si indirizza non a una società in particolare, ma si dirige alla società industriale in generale. E’ significativo che in questo contesto Marcuse contrapponga al lavoro il gioco. Il gioco, dice Marcuse, è il momento in cui veramente l’uomo realizza la propria libertà: nel gioco l’uomo crea le regole, non trova regole create da altri, ma per l’appunto le regole del gioco sono create dall’uomo stesso. Nel gioco l’uomo non è succube della cosa, delle cose esterne, della oggettività, della cosalità, della naturalità. Nel gioco l’uomo è veramente presso di sé e giunge in una dimensione della sua libertà che gli è invece completamente negata nel lavoro. Perciò Marcuse non esita ad affermare, e si tratta di un’affermazione impressionante, che un singolo lancio di palla da parte di un giocatore rappresenta un trionfo della libertà umana sull’oggettività, che è infinitamente maggiore della conquista più strepitosa del lavoro tecnico. Interessante anche la considerazione che l’organizzazione del consenso si realizza in un sistema di bisogni che alza continuamente la soglia della soddisfazione, ingigantendosi quantitativamente e moltiplicandosi qualitativamente in modo fittizio.
1.3 – Il contesto storico. Il contesto sociale e gli eventi storici, che li videro loro malgrado partecipi protagonisti, condizionarono ed esaltarono posizioni e riflessioni, soprattutto nel periodo iniziale della loro attività. Nei suoi diari, Horkheimer ci lascia l’impressione terribile che ha avuto allo scoppio della prima guerra mondiale, e perché. Egli racconta: “ero appena stato in Francia – era tedesco – avevo camminato lungo i Boulevard, avevo mangiato la choucroute, per dire tutta la verità mi ero innamorato di una francesina e non potevo immaginare nulla di così terribile che i francesi potessero avere commesso da meritare che io scendessi in trincea con il fucile in mano per uccidere o per farmi uccidere da loro…” La storia della Scuola di Francoforte e dell’Istituto per le Ricerche Sociali inizia all’indomani della prima guerra mondiale. Dal punto di vista della vita intellettuale tedesca, l’effetto più importante di questo avvenimento storico fu lo spostarsi verso oriente del centro gravitazionale del socialismo. La rivoluzione bolscevica del 1917 aveva posto gli intellettuali tedeschi di sinistra, centro del marxismo europeo fino a quella data, di fronte alla scelta tra il restare accanto ai socialisti moderati della Repubblica di Weimar, oppure riconoscere la leadership di Mosca e unirsi al partito comunista tedesco di recente formazione per contrastare i moderati. Ma c’era anche una terza linea d’azione, consistente nel riesaminare criticamente i fondamenti stessi della teoria marxista per capire i precedenti errori e prepararsi per l’azione futura. Questa scelta portava ad una rivisitazione del passato filosofico di Marx. La successiva analisi ebbe come punto centrale il rapporto tra teoria e prassi, o meglio “praxis” , termine impiegato per indicare una specie di azione autocreatrice che differisce dal comportamento motivato dall’esterno e determinato da forze che si sottraggono al controllo dell’uomo. Il termine compare per la prima volta nell’opera aristotelica, come opposto al termine “theoria”, ma nel lessico marxista la praxis era messa in relazione dialettica con la teoria. Infatti, una delle caratteristiche della praxis come opposto della semplice azione, era quella di essere guidata da considerazioni teoriche. Lo scopo dell’azione rivoluzionaria doveva quindi essere l’unificazione tra teoria e praxis che sarebbe stata in diretto contrasto con la situazione predominante sotto il capitalismo. Quando i socialisti presero il potere in alcuni paesi, fu chiaro che quello scopo era molto problematico. Il partito comunista sovietico ritenne che il proprio compito fosse quello di mantenere la sua sopravvivenza al potere, più che la realizzazione degli scopi socialisti, ed anche i socialisti moderati della Repubblica di Weimar si preoccuparono molto di più del mantenere in vita il nuovo governo piuttosto che realizzare il socialismo. Difatti, i membri del secondo Reich persero diverse occasioni di rivoluzionare la società tedesca e la scissione tra un movimento operaio diviso tra un Partito comunista bolscevizzato (KPD) e un partito socialista non rivoluzionario (SPD) di certo non poteva che dispiacere a coloro che sostenevano la purezza della teoria marxista. Qualcuno provò ad avvicinarsi ad una fazione o all’altra, ma molto spesso il prezzo da pagare consisteva nel tradire la propria libertà intellettuale.Tuttavia, quando una tendenza personale portava ad avvicinarsi più alla teoria che al partito, si potevano avere risultati in termini di innovazione teorica molto fecondi. Fu proprio la relativa autonomia degli intellettuali, che rese possibile la costituzione della Scuola di Francoforte, permettendo loro di raggiungere attraverso una stretta collaborazione determinati risultati teorici. L’indipendenza fu considerata un requisito necessario a chi si proponesse il compito di un’innovazione teorica. Ciò fu possibile grazie a Felix J. Weil, figlio di un ricco mercante tedesco, il quale pensò nel 1922 alla creazione di un struttura istituzionale nel cui ambito potessero essere raggiunti questi scopi. Dopo essersi laureato presso l’Università di Francoforte con una tesi sui problemi pratici per la realizzazione del socialismo, cominciò a partecipare a diverse iniziative dei radicali tedeschi, e a sovvenzionarle. La prima di queste fu la EMA (“Prima settimana di studi marxisti”) che si tenne a Ilmenau, nella Turingia, nell’estate del ‘22. Durante questo incontro tra gli esponenti delle diverse correnti marxiste, Weil concepì l’idea di un istituto più stabile. Questo progetto fu messo a punto più chiaramente grazie ai suoi amici dell’Università di Francoforte, tra cui spiccava Frederick Pollock. Nato nel 1894, figlio di un uomo d’affari ebreo convertito, aveva studiato anche lui a Francoforte, Monaco e Friburgo, e aveva conseguito la laurea in scienze economiche con una tesi sulla teoria monetaria di Marx. Prima di partire per la guerra aveva stretto amicizia con Max Horkheimer, il quale sostenne il progetto dell’amico e di Weil. Nato nel 1895 a Stoc-carda da un grosso industriale ebreo, durante al giovinezza aveva viaggiato molto, assieme all’amico Pollock per imparare il francese e il tedesco, ma non aveva mai dimostrato una propensione a seguire la carriera del padre. Dopo il 1918 cominciò a studiare nelle stesse università frequentate da Pollock. Il suo interesse iniziale fu per la psicologia, ma poi si rivolse allo studio della filosofia e il suo maestro fu Hans Cornelius, la cui influenza fu notevole su Horkheimer tanto che, sebbene non avesse alcun rapporto diretto con la Scuola di Francoforte, il suo pensiero influenzò la formulazione della teoria critica. Horkheimer si laureò presso l’università di Francoforte nel 1922 con una tesi su Kant, e dopo tre anni si “abilitò” e tenne la sua prima lezione come “Privatdozen” (primo grado della carriera accademica tedesca) nel 1925, sempre su Kant e Hegel. Horkheimer e Pollock rimasero amici per tutta la vita. Avevano due caratteri complementari: il primo era un uomo attraente e ricco di calore umano, l’altro un tipo più schivo e riservato e nutriva una fiducia assoluta nell’amico.Questa complementarità delle loro personalità contribuì non poco al successo dell’Istituto, anche se forse la carriera di Pollock ne risentì in una certa misura. I due sposarono volentieri il progetto di Weil, perché pensavano che un Istituto indipendente dal punto di vista economico poteva essere il luogo adatto in cui raggiungere un sapere radicale che veniva non poco ostacolato nella rigida gerarchia accademica istituzionale. Lì avrebbero potuto approfondire argomenti ed indagare in campi che non figuravano nei normali programmi della vita universitaria, come la storia delle origini del movimento operaio, o le origini dell’antisemitismo. Il progetto fu sovvenzionato da alcune donazioni di Hermann Weil, padre di Felix, e queste permisero la creazione ed il mantenimento di un’istituzione la cui indipendenza finanziaria si dimostrò di notevole vantaggio per la sua storia successiva. I fondatori cercarono comunque un rapporto con l’Università di Francoforte (creata nel 1914). Si stabilì così che per accedere alla direzione della nuova istituzione, che venne chiamata solo Istituto per le ricerche sociali (senza alcun riferimento a Weil e agli studi marxisti), si doveva essere titolari di una cattedra all’università in qualità di professore ordinario pagato dallo Stato. Weil non volle intraprendere la carriera accademica, e quindi non poteva andare alla direzione dell’Istituto. Egli stesso propose per questo incarico l’economista Kurt Gerlacih, le cui simpatie politiche andavano decisamente a sinistra, e che fu definito da Pollock come un socialista apartitico. Nel ‘22 Gerlach preparò un memorandum sulla fondazione dell’istituto, sottolineandone il suo fine interdisciplinare. Ma non poté portare a termine i suoi propositi perché morì proprio in quell’anno, colto da un improvviso attacco di diabete. Nella ricerca di un successore ci si rivolse verso una persona relativamente anziana, una sorta di direttore provvisorio, fino a quando uno dei membri fondatori non avesse raggiunto l’età per ottenere una cattedra all’università. La scelta finì col cadere su Karl Grunberg, professore di legge e scienze politiche all’Università di Vienna, il quale lasciò la cattedra per trasferirsi a Francoforte. Politicamente egli era un marxista dichiarato, e a Vienna aveva cominciato a pubblicare l’Archivio di storia del socialismo e del movimento sociale, più noto come “Grùnbers Archiv”. Il suo interesse era fortemente di carattere storico più che di carattere teorico, e mantenne questa linea anche durante la sua direzione dell’Istituto, ma condivideva l’idea di fondare un Istituto interdisciplinare che potesse interessarsi all’analisi radicale della società borghese. L’apertura ufficiale dell’Istituto fu il 3 febbraio deI 1923, con un decreto del ministero dell’istruzione mediante un accordo fra quest’ultimo e l’ente amministrativo e finanziario dell’Istituto diretto da Weil, e la prima sede, in via del tutto provvisoria, furono alcune stanze del museo di scienze naturali, offerte dal direttore stesso del museo. La nuova sede fu costruita tra il marzo del ‘23 e il giugno del ‘24, quando fu inaugurata con un discorso del direttore, in cui si sottolineava l’esigenza di un’accademia in cui la ricerca fosse privilegiata, anche a scapito dell’in-segnamento, in una tendenza di segno opposto rispetto a quella che si riconosceva in quegli anni nella vita accademica tedesca. Il nuovo Istituto avrebbe quindi evitato di diventare una scuola per “mandarini”, cioè un centro d’istruzione specializzata. Era un punto molto dibattuto, quella della diversità tra accademia e università: quest’ultima doveva dedicarsi all’insegnamento pratico, la prima alla ricerca pura, ma col tempo l’accademia, in Germania, era stata messa da parte. Grùnberg rilevò anche le differenze di amministrazione che ci sarebbero state tra l’Istituto e le altre società di ricerca, e che invece di una direzione collegiale ci sarebbe stato un unico direttore che avrebbe avuto un controllo “dittatoriale”; era garantita l’indipendenza dei membri, ma il controllo della direzione sarebbe stato rivolto all’impiego dei fondi e all’orientamento dell’attività. Inoltre Grùnberg dichiarò apertamente che la metodolo-gia scientifica sarebbe stata quella marxista, anche se la sua visione dell’analisi marxista come eminentemente induttiva, con un significato storicamente condiziona-to, che non ha pretese nel tempo e nello spazio, non era condivisa da tutti i membri, e in particolare da Horkheimer. Ma in ogni modo nei primi anni fu la tesi predominante. Grùnberg rimase alla direzione dell’Istituito fino al 1929, anno in cui decise di ritirarsi per gravi problemi di salute. Nel corso di quegli anni si era formato un gruppo di giovani assistenti di varia formazione culturale e con diversi interessi, fra i quali Richard “Ika” Sorge, socialista indipendente e poi comunista dal 1918, che fu una spia per i russi in Estremo Oriente. Allievo di Gerlach, lo seguì quando quest’ultimo si trasferì a Francoforte nel 1922, e dopo la sua morte improvvisa, rimase per un breve periodo nell’Istituto con il compito di organizzare la biblioteca. Molto probabilmente usò questa attività come copertura. Tra gli altri assistenti, comunque, anche altri erano politicamente attivi e iscritti al partito comunista. Non si sa se Horkheimer era iscritto al partito comunista tedesco, ma nei suoi scritti si trovano alcune note che sembrano smentire la sua partecipazione. Le sue prime simpatie politiche concrete furono verso Rosa Luxemburg, per la sua critica al centralismo bolscevico. E quando lei fu uccisa nel 1920 egli non trovò un leader socialista degno di essere seguito. Horkheimer, esprimeva in un saggio contenuto nel “Crepuscolo”, “L’impotenza della classe operaia”, sosteneva che l’esistenza di una scissione all’interno della classe lavoratrice fra un’élite impiegata e integrata e intere masse di disoccupati umiliati e frustrati prodotte dal capitalismo nella sua forma attuale, ha portato alla scissione fra un partito socialdemocratico privo di motivazioni e un partito comunista paralizzato dalla sua ottusità teorica. In ogni caso, né sotto la direzione di Grùnberg, né sotto quella successiva di Horkheimer, l’Istituto si sarebbe schierato politicamente, e al suo interno venivano accettati membri che fossero politicamente attivi, a patto che il loro lavoro non avesse carattere politico. Tra i membri dell’Istituto più impegnati politicamente dobbiamo ricordare Karl August Wittfogel, che entrò a far parte dell’istituto nel 1925 e che pubblicò importanti saggi sulla società asiatica. Rimase un po’ isolato dai colleghi dell’Istituto, i quali non vedevano di buon occhio il suo attivismo politico (mentre lui rimproverava loro la neutralità politica), e fu sostenuto solo nei suoi studi sulla società asiatica. Anche Franz Borkenau non rientrava fra i membri del circolo ristretto dell’istituto. Forse entrò nell’Istituto come protetto di Grùnberg, e qui condusse degli studi circa i mutamenti ideologici che accompagnarono la nascita del capitalismo. I risultati della sua ricerca furono pubblicati dall’Istituto con un certo ritardo nel 1934. La tesi fondamentale di Borkenau era che la nascita di una filosofia astratta e meccanicistica doveva essere collegata alla nascita del lavoro astratto nel sistema capitalistico della manifattura, e il collegamento andava inteso come un rinforzo reciproco. L’unica attenzione che fu rivolta a questo saggio da parte degli altri membri fu la risposta critica di Heryk Grossmann. Anche Grossmann non può essere considerato come una figura di rilievo dell’Istituto, alle cui attività partecipò, su invito di Grùnberg, dal 1926 al 1940. Anche lui era politicamente impegnato e più vicino alle tendenze marxiste di Engels e Kautsky, che non a quello del materialismo dialettico neohegeliano dei membri più giovani dell’Istituto. A Borkenau egli contestava che la datazione del passaggio dall’ideologia feudale a quella borghese (anticipata di 50 anni rispetto a Borkenau) e l’importanza della tecnologia nel determinare il cambiamento (da attribuire, secondo lui, a Leonardo e non a Cartesio), ma non mise mai in discussione il rapporto causale tra struttura e sovrastruttura. Per le sue tesi in campo economico egli fu sempre in contrasto con l’altro economista dell’istituto, Pollock. I due ebbero soprattutto un atteggiamento diverso per quanto riguarda l’esperimento russo: Grosmann ne fu un sostenitore entusiasta, Pollock, invece si dimostrava più cauto, soprattutto dopo un viaggio in Unione Sovietica per la celebrazione del decimo anniversario della sua fondazione, durante il quale ebbe modo di confrontarsi con gli esponenti delle correnti più deboli del partito bolscevico e di analizzare gli effetti non del tutto positivi della pianificazione forzata degli anni ’20 e gli altri membri dell’Istituto sembravano condividere il suo atteggiamento; a proposito degli eventi russi, Horkheimer li descrive come “il perdurante, doloroso tentativo di superare la terribile ingiustizia del mondo imperialista”. Le speranze nell’Unione sovietica furono abbandonate definitivamente negli anni 30, al tempo delle Purghe. Quando Horkheimer cominciò ad interessarsi ad una revisione dei principi marxisti, fu seguito da Pollock, e verso la fine degli anni ‘20 si unirono a loro anche due giovani intellettuali: Leo Lowenthal e Theodor Adorno. Lowenthal era figlio di un dottore ebreo, era nato a Francoforte e qui aveva studiato, conseguendo la laurea in filosofia, e qui aveva conosciuto Horkheimer, Pollock e Weil. Egli entrò a far parte dell’Istituto nel ‘26, e il suo interesse fu rivolto verso argomenti artistici e culturali, mentre acquisiva un’importante esperienza in campo editoriale. I suoi contributi all’Istituto furono come sociologo della letteratura e studioso di cultura popolare. Adorno entrò a far parte dell’Istituto nel 1938. Condivideva con Horke-himer un interesse verso diversi campi artistici, ma se quest’ultimo s’interessava maggiormente al campo letterario, il primo era invece più attratto dalla musica (era cresciuto, del resto in un ambiente stimolante, in quanto la madre era figlia di una cantante tedesca e lei stessa aveva avuto una brillante carriera come cantante fino al matrimonio, mentre sua zia era una concertista di pianoforte di notevole livello). Quando Grùnberg lasciò la direzione dell’Istituto per motivi di salute, la scelta del successore cadde su Horkheimer, perché Pollock, che era stato direttore provvisorio tra il ‘29, anno in cui Grùnberg si ritirò, e il 1931, anno in cui Horkheimer ebbe ufficialmente l’incarico, scelse di occuparsi dell’amministrazione, e Weil, come si è detto, non aveva mai intrapreso la carriera accademica, e dunque non aveva i titoli necessari per diventare direttore. Horkheimer, invece, aveva ottenuto nel 1929 la prima cattedra di “Filosofia sociale” che veniva assegnata in un’università tedesca, grazie all’appoggio di Weil, e nel gennaio del 1931 assunse ufficialmente la direzione dell’Istituto. La differenza della sua direzione rispetto a quella del predecessore fu evidente da subito. Horkheimer illustrò la storia della filosofia sociale per mostrare la situazione sociale attuale. Iniziò col fondare la teoria sociale sull’individuo che all’inizio aveva caratterizzato l’idealismo classico tedesco, si era poi sviluppato attraverso il sacrificio hegeliano dell’individuo in favore dello Stato e nel successivo crollo della credenza in una totalità oggettiva operata da Schopenhauer. Sarebbe poi passata attraverso i neokantiani ed i sostenitori del totalitarismo sociale che avevano tutti cercato di superare quel senso di perdita che era collegato al crollo della sintesi classica. La filosofia sociale, secondo Horkheimer, doveva essere una teoria materia-listica, integrata con il lavoro empirico e collegata alle altre discipline. L’Istituto, quindi, avrebbe continuato la propria attività sulla linea dell’interdisciplinarità, e il suo primo compito sarebbe stato lo studio degli atteggiamenti degli operai e degli impiegati di fronte ad una serie di problemi in Germania e nel resto dell’Europa, anche grazie all’apporto di statistiche pubbliche e questionari, e della interpretazione sociologica psicologica ed economica dei dati; e proprio per facilitarne la raccolta si sarebbe creata una sede distaccata a Ginevra. Quest’ultima decisione era dettata anche da una valutazione della situazione politica che si stava creando in Germania, e che di sicuro non favoriva l’Istituto. Pollock fu inviato alla direzione di Ginevra e i fondi dell’Istituto furono trasferiti per tempo in Olanda. Uno spostamento del baricentro attraverso l’ampliamento del raggio di attività si manifestò anche nei mutamenti della composizione dei collaboratori più rappresentativi dell’Istituto, tra cui i già citati Lowenthal e Adorno, a cui si aggiunse un vecchio amico di Lowenthal, Erich Fromm. Fromm, fortemente influenzato dalle sue origini ebraiche, aveva studiato sociologia, psicologia e filosofia prima a Francoforte e poi a Heidelberg, dove si era laureato nel 1922; sempre negli anni Venti fu docente della Libera accademia ebraica di Francoforte, ed in quegli anni conobbe la sua futura moglie, la psicoanalista ebrea Frieda Reichmann, e cominciò a studiare la psicoanalisi; divenuto anch’egli psicoanalista, esercitò in quegli anni la professione a Berlino, e contempo-raneamente fu docente dell’Istituto psicoanalitico e collaboratore di psicologia sociale per l’Istituto per la ricerca sociale a Francoforte; ben presto fu annoverato nel numero di quei freudiani di sinistra che si erano lanciati nel tentativo di combinare dottrina freudiana e teoria marxista delle classi. Grazie ad una catena di conoscenze personali tra Fromm, Löwenthal, Horkheimer, l’Istituto psicoanalitico di Francoforte, fondato nel 1926, fu ospitato nei locali dell’Istituto per la ricerca sociale, e questo avvenimen-to costituì il primo collegamento tra psicoanalisi e università, e il concretizzarsi di un connubio istituzionale fra la psicoanalisi e la ricerca sociale storico-materialistica. Altro segno del cambiamento fu l’accettazione come membro dell’Istituto, nel 1932, di Herbert MARCUSE, anch’egli di origini ebraiche, il quale era stato membro del partito socialdemocratico, ma aveva abbandonato totalmente l’attività politica dopo il fallimento della rivoluzione tedesca. Aveva conseguito la laurea in letteratura presso l’Università di Berlino, ed era stato libraio e editore. Nel ‘29 aveva iniziato a studiare a Friburgo filosofia con Heidegger e Husserl, che avrebbero influenzato notevol-mente il suo pensiero, come si sarebbe notato nel suo primo studio del 1932 su Hegel. Poi i suoi rapporti con il maestro si raffreddarono per divergenze politiche.Quindi lasciò Friburgo alla volta di Francoforte, dove fu raccomandato da Husserl a Horkheimer. Un altro cambiamento che introdusse Horkheimer fu la cessazione della pubblicazione del “Grünbergs Archiv”, visto l’impedimento fisico del suo direttore, e l’inizio della pubblicazione di una rivista propria dell’Istituto, la “Zeitschrift für Sozialforschung”, attraverso la quale l’Istituto presentò la maggior parte dei suoi lavori nei dieci anni successivi. La rivista rispecchiava il carattere interdisciplinare delle ricerche dell’Istituto, ed il lavoro di ricerca collettivo fu riconosciuto come centrale. Il 30 gennaio 1933 i nazisti presero il potere, e il futuro dell’istituto appariva tutt’altro che roseo. A febbraio Horkheimer sospese le sue lezioni sulla logica per parlare del problema della libertà; a marzo se ne andò in Svizzera, proprio quando l’Istituto stava per essere chiuso per tendenze ostili al regime; ad aprile il suo nome figurava nella lista dei primi membri dell’università di Francoforte ad essere espulsi dalla città. In quel momento tutto l’organico dell’Istituto aveva abbandonato Francoforte, e i membri si sparpagliarono, chi a Londra, chi a Parigi, chi a Ginevra. Nel febbraio del ‘33 la sede di Ginevra fu collegata ad un consiglio con 21 membri che aveva funzioni amministrative. Riconoscendo il suo carattere europeo l’Istituto assunse il nome di “Société internationale de recherches sociales” alla cui presidenza stavano Pollock e Horkheimer. La Scuola di Francoforte diventava non solo svizzera ma anche inglese e francese. Fu offerta la possibilità di creare delle sedi a Parigi e a Londra, e la Rivista, che non poteva più essere pubblicata dall’editore tedesco, fu edita in Francia. Il primo numero della rivista con il nuovo editore apparve a Parigi nel 33 e chiudeva il primo periodo tedesco dell’Istituto. Le sovvenzioni della famiglia Weil continuarono a garantire l’indipendenza dell’Istituto. Il primo anno a Ginevra fu di riassestamento ma non d’inattività, e la Rivista continuò ad essere pubblicata regolarmente, grazie anche ai contributi di nuovi collaboratori. Si cercò poi una sede che rispondesse maggiormente al carattere internazionale che l’Istituto e la sua attività andavano sempre più assumendo. Pollock fece un viaggio in Inghilterra per valutare la possibilità di spostare lì la sede della Scuola, ma si convinse che ciò non era possibile. Anche a Parigi, dove la classe accademica era ancora più chiusa rispetto all’Inghilterra, le prospettive sembravano limitate. Alla fine, sfruttando i contatti che negli anni precedenti erano stati instaurati con diversi intellettuali e personalità del mondo accademico americano, si decise per il trasferimento della sede in America, dopo un primo viaggio di Horkheimer negli USA nel 1934, durante il quale gli fu offerto dal preside della Columbia’s University di associarsi all’università. I problemi che ebbero i membri dell’Istituto erano quelli della lingua e dell’adattamento culturale, ma non di tipo finanziario. Non avevano nessuna intenzione di dimenticare il loro passato, e per mantenere un contatto con la Germania, si rifiutarono di pubblicare in inglese le loro opere e continuarono a scrivere in tedesco, perché ciò poteva impedire l’identificazione del nazismo con tutto quello che era tedesco. Dal 1936, di nuovo riunito nella nuova sede a Morningside Heights, l’Istituto poteva così raccogliere, senza molte difficoltà, il lavoro iniziato in Europa. E benché tutti fossero rattristati per il trionfo del Nazismo, a loro restavano ancora delle speranze per il futuro; scriveva Horkheimer nel “Crepuscolo” (1934) che “Il crepuscolo del capitalismo non annuncia necessaria-mente la notte dell’umanità che oggi certo la sembra minacciare”. Il modo migliore per contribuire alla disfatta del nazismo era quello di continuare ad analizzare la crisi del capitalismo e la fine del liberalismo tradizionale…
Il pensiero politico di Horkheimar
2.1 – Le analisi di Horkheimar. Max Horkheimar, come già detto, nato a Stoccarda nel 1895 e morto nel 1973, professore di Filosofia sociale, fu uno dei fondatori del-l’Istituto per le ricerche sociali di Francoforte, del quale divenne nel 1930 il direttore. Di famiglia ebrea, con l’avvento del Nazismo fu costretto ad emigrare negli Stati Uniti, dove rimase fino al 1949. Vasta è la sua produzione scritta. Tra le opere più significative sono da annoverare le due scritte in collaborazione con Adorno: “Dialet-tica dell’Illuminismo. Frammenti filosofici” del 1947, nella quale gli autori vedono nella storia un processo dialettico che va dall’illuminismo al mito e da questo di nuovo all’illuminismo, come si presenta alla ricerca sociale comparata; e “Lezioni di sociologia” del 1956. Altre opere significative, nelle quali l’autore passa da un umanismo critico combattivo iniziale ad una versione più pessimistica e distaccata anche se mai rassegnata, sono: “Eclissi della ragione” del 1947, “Sul concetto di ragione” del 1952, “Per la critica della ragione strumentale” del 1967, “Teoria critica” del 1968, “Ragione e autoconservazione” del 1970, “La nostalgia del totalmente altro. Un’intervista” del 1970, “Hegel e il problema della metafisica” del 1971. La sociologia di Horkheimar non si limita a descrivere e a spiegare i comportamenti sociali come se fossero una parte della realtà separata da tutte le altre, come ha fatto Max Weber, ma inserisce i fatti sociali nella totalità della realtà storica, ritenendo che la parte non possa essere compresa se non nella sua relazione col tutto. Pertanto la sociologia non può essere semplicemente una scienza particolare, ma deve far parte di quella considerazione generale della totalità che è la filosofia. La stessa ancora non può essere semplicemente descrittiva e non valutativa (Weber), ma deve farsi carico di vere e proprie valutazioni, cioè deve essere “critica” nei confronti dello stato di cose esistente: da qui la concezione di essa come teoria critica della società. Il punto di vista della critica è quello di un’antropologia materialistica, secondo la quale l’uomo, inteso come individuo, aspira essenzialmente alla felicità attraverso l’eliminazione della miseria. La società capitalistica, invece, pur disponendo dei mezzi necessari per eliminare la miseria -la scienza, la tecnica e l’industria-, impedi-sce al maggior numero possibile di individui il raggiungimento della felicità e li costringe ad accettare l’ordine sociale esistente. Il sistema capitalistico si rivela in tal modo profondamente irrazionale. In particolare nell’ “Eclissi della ragione”, Horkheimar critica il tipo di razionalità di cui si serve la scienza, che a suo avviso è la ragione strumentale, cioè una ragione che non determina razionalmente i fini, ma li presuppone come già dati –assumendo come fine esclusivamente la produzione e il profitto- e si preoccupa solo di scoprire i mezzi più efficaci per realizzarli. Questo tipo di ragione, chiamata ragione soggettiva, ha soppiantato la ragione oggettiva, cioè la fiducia nell’esistenza di un ordine razionale intrinseco alla realtà, che aveva dominato la filosofia antica, medioevale e moderna fino all’idealismo. Della ragione soggettiva o strumentale sono espressioni filosofie come il pragmatismo e il neopositivismo, le quali accettano lo stato di cose esistenti e si preoccupano esclusivamente di razionalizzarlo, cioè di giustificarlo. Della ragione soggettiva è espressione anche la scienza, la quale non ha altro scopo che il dominio dell’uomo sulla natura, il quale poi si risolve necessariamente, come evidenziato nella “Dialettica dell’Illuminismo” in dominio dell’uomo sull’uomo. E’ proprio la scienza l’oggetto principale della sua critica, in quanto anch’essa legata alle condizioni generali della società in cui si è sviluppata, cioè della società capitalistica, e perciò considerata come “funzione sociale” dipendente dalle forze e dai metodi della produzione capitalistica e perciò riflettente in sé le contraddizioni di quest’ultima. L’alternativa che il Nostro propone alla razionalità strumentale è una razionalità dialettica, che concepisca la realtà sociale come totalità in continuo divenire e pertanto critichi l’ordine sociale esistente, prendendo coscienza della sua irrazionalità e preparando in tal modo l’instaurazione di un ordine sociale più razionale. Ma l’Autore capisce che una razionalità assoluta non è mai totalmente realizzabile nella storia e lo porta ad esprimere nelle ultime opere alcune riserve nei confronti dello stesso marxismo, ad ammettere il carattere finito, cioè limitato, dell’uomo e a dichiarare che la sua critica dell’ordine esistente esprime la nostalgia di una giustizia non mai realizzata, appartenente a un ordine completamente diverso da quello realizzato nella storia. Gli anni, in cui Horkheimar e gli altri pensatori della Scuola elaborano le loro idee, coincidono con una fase storica estremamente complessa, a livello planetario e globale. Sono gli anni del primo dopoguerra, del New Deal di Roosevelt, delle originali teorie di Keynes sull’intervento statale nella regolamentazione del mercato, gli anni bui dello stalinismo, l’età oscura in cui il totalitarismo fascista e nazista, germinato dalla crisi dello Stato liberale, fa la sua drammatica comparsa sullo scenario politico europeo, segnandone, inevitabilmente, le sorti e precipitando il mondo in un secondo, devastante conflitto. La “Dialettica dell’Illuminismo. Frammenti filosofici” fu scritta dai due pensatori tedeschi sotto il condizionamento dell’esperienza della guerra, che aveva portato in Europa lutti e devastazione, e dell’“esilio” in America, dove si erano rifugiati per sfuggire alle persecuzioni. Il sottotitolo “Frammenti filosofici” esprime il carattere di una struttura non sistematica del testo, organizzato in una tesi (“Concetto di Illuminismo”, inteso come razionalismo irrazionale, un affrancarsi dal mito che non si libera della mitologia); in due excursus storico-intellettuali, che trattano di due modalità di repressione delle passioni naturali (“Odisseo o mito e illuminismo”, l’eroe che impedisce a se stesso di seguire il canto delle sirene, che pure vuole ascoltare per non privarsi dell’esperienza negata invece ai lavoratori-rematori, di immaginare, benché vi rinunci, il piacere la libertà e la conciliazione del sé con la natura; e “Juliette o illuminismo e morale, sul sadismo, che esprime l’ostilità verso la natura ormai diventata norma di vita per l’uomo occidentale); in due capitoli esemplificativi della tesi principale (“L’ industria culturale. Quando l’illuminismo diventa mistificazione di massa”, in cui la cultura di massa è descritta come il volto patinato del totalitarismo e avviato a un degrado senza ritorno, in contrasto ai canoni ideali di verità e di bellezza della grande cultura e della grande arte del passato, che erano di fatto critici della società; e “Elementi dell’antisemitismo. Limiti dell’illuminismo”, nel quale la questione dell’antisemitismo è affrontata, non solo riferita alla sfida nazista, ma soprattutto a un livello più radicale come verità dell’intero processo storico occidentale sulla falsariga del sadismo, come odio e lotta contro la natura repressa in noi e negli altri: il carnefice vuole allontanare da sé chi, come l’ebreo o il disadattato, gli ricorda le sofferenze del dominio, quelle medesime sofferenze con le quali i carnefici hanno pagato il loro adattamento al dominio) e in una serie di Appunti e Schizzi quali “Contro quelli che se ne intendono”, “Metamorfosi dell’idea in dominio”, “Per la critica della filosofia della storia”, “Società di massa” o “Sulla genesi della stupidità”. In essa i due Autori sostengono che la storia della civiltà coincide con la storia dell’Illuminismo, inteso come espressione di quanto vi è di più valido nella vita umana, cioé la ragione il pensiero la libertà: “l’Illuminismo, nel senso più ampio di pensiero in continuo progresso, ha perseguito da sempre l’obiettivo di togliere agli uomini la paura e di renderli padroni…il suo programma era di liberare il mondo dalla magia…di dissolvere i miti e di rovesciare l’immaginazione con la scienza”. E in Bacone, definito “il padre della filosofia sperimentale”, indicano l’esempio sul piano metodologico di questa attività: l’intelletto deve vincere la superstizione e comandare alla natura disincantata. Ma l’Illuminismo è avviato verso la propria distruzione, cioè a convertirsi nel suo opposto, nell’irrazionalismo, nel totalitarismo, nella barbarie. Le loro esperienze dimostrano che il rovesciamento nel suo contrario dell’Illuminismo non avviene solo nella barbarie e nel totalitarismo nazista, ma anche nell’“asservimento totalitario delle masse attraverso la blandizie dell’industria culturale”. In ciò consiste la sua dialettica e il suo destino contraddittorio; e la causa principale di tale dialettica è la concezione propria dell’Illuminismo stesso, della ragione come strumento di dominio, cioé come strumento per instaurare il “regnum hominis”. In particolare gli autori evidenziano che ci si trova davanti a diversi volti del dominio quali il capitalismo, il fascismo o il comunismo sovietico, che pur differenti nella forma, sono tendenzialmente analoghe nella struttura e nell’organizzazione politica. Da qui la necessità, sostengono gli Autori, che si prenda coscienza di questa dialettica, per evitare anche le distruttive conseguenze del progresso tecnologico, se essa sia superabile, e come e da chi, o se piuttosto comprometta irreparabilmente la ragione e il suo procedere. Una chiave privilegiata per comprendere meglio la “Dialettica dell’Illuminismo” è il coevo saggio di M.H. sullo “Stato autoritario”. In questo testo, elaborato all’interno del dibattito che divise i francofortesi sul “capitalismo di Stato” –e di conseguenza sul fascismo- che vide l’autore, insieme a Pollack al quale la “Dialettica” è dedicata, teorizzare una qualche diversità tra capitalismo borghese e capitalismo di Stato, si afferma che il capitalismo di Stato esiste, appunto lo Stato autoritario, assunto come sinonimo di fascismo, termine con il quale la Sinistra tedesca indica il nazismo. In questa opera, come in altri libri che affrontano le stesse tematiche, c’è qualcosa della forza e della dignità intellettuale e morale della grande filosofia classica; e proprio in questa caratteristica è la sua attualità, oltre al fatto che la disamina riesce a generare un po’ di turbamento nei nostri scetticismi o nelle nostre compiaciute sicurezze. L’ “Eclissi della ragione” è il frutto di una serie di lezioni tenute alla Columbia University nel 1944, durante il “soggiorno” americano di M.H. Oggetto della disamina è in primo luogo la crisi della ragione oggettiva, che nella società industriale è stata sostituita dalla ragione soggettiva e strumentale della filosofia pragmatica o neopositivista, che non bada alla razionalità dei fini ma solo all’efficacia dei mezzi (i fini sono “ragionevoli” in senso oggettivo, cioé devono rispondere all’interesse dell’individuo singolo o della comunità per la loro autoconservazione, l’idea che un fine possa essere ragionevole in sè, indipendente-mente dai vantaggi soggettivi, è completamente estranea alla ragione soggettiva anche quando assume la parvenza di un interesse collettivo); in secondo luogo la necessità, secondo M.H., di conciliare la ragione soggettiva con quella oggettiva, obiettivo difficile da conseguire in un mondo, come il nostro, non ancora emancipato. Al progresso delle risorse tecniche, che dovrebbero servire all’uomo per migliorare la qualità della vita, si accompagna purtroppo un processo di disumanizzazione, in quanto le conoscenze tecniche ampliano l’orizzonte del pensiero e dell’azione dell’uomo, ma riducono la sua autonomia come individuo, la sua capacità di difendersi dal potere mediatico e propagandistico, la forza della sua immaginazione, l’autonomia e l’indipendenza di giudizio. Il progresso insomma crea le condizioni per distruggere la finalità che dovrebbe realizzare, cioé l’idea e l’affermazione dell’uomo. Il superamento di questa situazione di crisi, intrinseca alle condizioni di progresso e necessaria in questa fase, è legato alle capacità dell’uomo di capire e interpretare i cambiamenti in corso. In queste condizioni, in piena fase relativistica, la ragione è condizionata completamente dal processo sociale: unico criterio valutativo è l’uso strumentale e la sua funzione di mezzo per dominare gli uomini e la natura. Sul piano politico le conseguenze sono pesanti: il principio democratico, privato delle sue fondamenta razionali, diventa esclusivamente l’espressione degli interessi del popolo, che in concreto sono funzioni di forze economiche cieche o fin troppo consapevoli. Tali condizioni creano facili premesse per l’affermazione di atteggiamenti tirannici e oppressivi: qualsiasi potente gruppo economico può decidere di instaurare una dittatura sostituendola al governo della maggioranza, senza poter opporre obiezioni di carattere razionale, morale o di verità. Venute meno le basi filosofiche della democrazia, senza un supporto teorico adeguato, la dittatura ha le stesse possibilità di affermazione delle altre forme di governo, senza che si gridi allo scandalo o che si frappongano ostacoli d’ordine morale. Il passaggio dalla ragione oggettiva alla soggettiva non è avvenuta per caso, in quanto il processo di sviluppo delle idee non può invertire arbitrariamente o a piacimento. Se la ragione soggettiva, sotto forma di illuminismo, ha potuto distruggere le fondamenta filosofiche di convinzioni che hanno rappresentato il supporto della cultura occidentale, significa certamente che quelle fondamenta erano troppo deboli e fragili, e qualsiasi tentativo di rivitalizzarle risulta artificioso. In tale contesto la crisi della ragione si traduce in crisi dell’individuo, in quanto nella concezione classica i due termini sono intimamente legati, essendo il primo strumento del secondo. Per M.H. la conservazio-ne dell’io diventa il tema di fondamentale importanza, ma di difficile soluzione per le condizioni obiettive del tempo e l’esperienza orribile della guerra e del nazismo: tentare di salvare l’individualità in una fase storica di accanimento nei confronti degli individui, e con essa salvare la cultura dai totalitarismi. Individualità non solo intesa come entità storica nella sua esistenza spazio-temporale e sensoriale di un essere umano, ma anche consapevolezza della sua individualità di essere umano dotato di coscienza, la cui percezione varia nelle persone, in base all’età la cultura la civiltà e altri elementi. Nella Premessa della “Teoria critica”, ripubblicata nel 1968, H. evidenzia come:“Il pessimismo metafisico, momento implicito di ogni pensiero materialistico genuino, mi è sempre stato famigliare. Il mio primo contatto con la filosofia lo devo all’opera di Schopenhauer; il rapporto con la dottrina di Hegel e Marx, la volontà di comprendere e modificare la realtà sociale, non hanno –nonostante il contrasto politico- cancellata l’esperienza che ho tratto della sua filosofia. La società migliore, la società giusta è un fine che si intreccia con l’idea di colpa”. La metafisica hegeliana rappresenta uno dei bersagli continui di M.H.. Essa viene messa sullo stesso piano di quella, moderna e rarefatta, di M. Heidegger. In entrambi i casi si tratta di una costruzione-funzione concettuale mostruosa che si sovrappone al soggetto. Altro aspetto del pensiero shopenhauriano tenuto presente, è la diffidenza contro ogni progetto storico che presupponga un disegno unitario; ogni forma di progresso storico, di “storia universale”, il modello di filosofia della storia adottato da Hegel, deve essere ricusato completamente. Schopenhauer vede nel processo storico soltanto il ripetersi di una stessa cosa “sotto altri nomi ed in altra veste” e rinuncia perciò pregiudizialmente a qualsiasi teoria unitaria della storia, guardando con sfiducia inguaribile alla possibilità di assumere strutture e tendenze superindividuali. “Perfino ciò che è più generale nella storia, in se stesso però è sempre una cosa singola ed individuale…”. E’ questo anche il punto di partenza di M.H.: la storiografia è ciò che è assolutamente singolare e individuale, contro la concezione di metafisiche conciliative che neutralizzano la sofferenza degli individui o addirittura la sublimano, inserendola in una totalità, presuntivamente sensata e significativa, del decorso storico. Questa istanza antimetafisica e antifilosofica della storia, intesa come sommario concettuale di eventi che risultano dal processo sociale di vita degli uomini, viene a saldarsi con il marxismo. Il materialismo storico filtrato attraverso il parametro Schopenhauer porta alla conclusione che “la storia non deve essere compresa panteisticamente, come se fosse una sostanza indipendente, teologicamente precostituita”. La “storia” non dà e non toglie la vita ad alcuno, non pone compiti né li risolve. Solo gli uomini reali agiscono, superano ostacoli e posso-no riuscire a ridurre sofferenze singole o generali che essi stessi o le potenze della natura hanno creato. La storia autonomizzata panteisticamente in entità sostanziale unitaria altro non è che metafisica dogmatica”. L’esperienza e la storia insegnano che i popoli e i governi non hanno mai appreso nulla dalla storia, né hanno mai agito secondo dottrine che avessero potuto ricavare da essa. Ciascun popolo si trova in una situazione così individuale che si deve decidere, e si deciderà, da sé. Le situazioni storiche dei popoli sono così individuali, che rapporti precedenti non si adattano mai completamente quelli seguenti, a causa della totale diversità delle circostanze. Nell’incalzare degli eventi mondiali a nulla vale un principio generale, a nulla il ricordo di casi analoghi; perché qualcosa di simile a un pallido ricordo non ha alcun potere nel tempestoso presente, non ha alcuna forza contro la vivacità e la libertà del presente. In M.H. sono presenti insomma due atteggiamenti apparentemente “stridenti”, ma in realtà, complementari: 1) da un lato la rivendicazione, posta astrat-tamente, del primato del compito infinito, del Sollen, che non dovrà, per principio, mai arrivare a coincidere con la realtà; 2) dall’altra, il recupero della dimensione autenticamente “vissuta” della storia umana, quello spaccato “minimale” che la storia filosofica trascura. Ad uno sguardo retrospettivo il secolo XX appare innanzitutto come un’epoca di estremi, come qualcosa difficile da definire con un’unica parola e di cui si può parlare solo al superlativo; e nonostante siano molti che assegnano un ruolo centrale al “socialismo” e al “mondo socialista”, in realtà è stato il capitalismo a dominare l’intero secolo. In questi termini Horkheimer e Adorno affermarono l’intrinseca contraddittorietà di un’epoca che creava nello stesso tempo sia le condizioni per la realizzazione delle promesse di liberazione dell’illuminismo sia quelle del dispiegamento della barbarie, del rovesciarsi del progresso in regresso e catastrofi, tanto da far assimilare ai detrattori tale posizione a quella dell’irrazionali-smo antiscientifico. In effetti i due criticavano una logica sociale, non la razionalità in genere né la stessa razionalità strumentale. Dice Michele Nobile nel saggio L’economia mondiale del capitalismo: sviluppo economico e catastrofi sociali: “Essi criticavano la riduzione degli uomini e dei loro reciproci rapporti a rapporti tra cose, la combinazione della naturalizzazione dei rapporti sociali e della pretesa alla integrale socializzazione o del dominio assoluto sulla natura. Due tendenze complementari, che si rafforzano a vicenda ed il cui effetto estremo è la negazione di ogni intrinseco valore tanto dell’essere umano quanto della natura. La causa di queste tendenze, a ben vedere, è la logica sociale del capitalismo, che Horkheimer e Adorno caratterizzavano come mossa dalla riduzione delle concrete particolarità umane e naturali all’astrazione del valore di scambio mediante la manipolazione meramente strumentale. Essi respingevano la pretesa di dissolvere la contradditto-rietà del reale nell’identità totalitaria della feticizzazione mercantile, a cui collega-vano la dissoluzione dell’individualità autentica, anche nei paesi liberali. Indicavano così i nessi tra pretesa ad un dominio assoluto sulla natura e dominio sugli uomini, tra microrazionalità strumentale e irrazionalità della totalità sociale, tra liberalismo e tendenze totalitarie”. La teoria critica francofortese prese forma proprio mentre nell’Unione Sovietica la frazione staliniana avviava la collettivizzazione forzata dell’agricoltura e l’industrializzazione a tutti i costi. Essa suonava, quindi, anche come una critica radicale alla statalizzazione del socialismo ed alla burocratizzazione delle organizzazioni operaie, ma il terreno su cui nasceva era quello dell’emergere, in una formazione sociale per molti versi all’avanguardia quale era la Germania di Weimar, delle tendenze totalitarie latenti nella società capitalistica e che presto avrebbero trovato il modo di dispiegarsi nel modo più aperto e feroce. I francofortesi concettualizzavano filosoficamente la paradossalità della modernità, la coesistenza di istanze di liberazione con la riproduzione ed il rinnovarsi del dominio degli apparati del potere economico e politico sugli individui massificati, anche mediante la mutilazione e funzionalizzazione delle originarie istanze di liberazione. La teoria critica francofortese costituisce una autocritica in forma moderna e razionale della modernità capitalistica e del predominio della razionalità strumentale; si tratta di una interpretazione filosofico–sociologica, che resta un punto di partenza imprescindibile per avviare la riflessione sulla realtà della barbarie e della catastrofe nel seno stesso della civiltà borghese e dello sviluppo economico. In questo oggi è forse anche più attuale che nell’epoca della sua formazione. Continua Nobile: “Si può osservare che nessun sistema sociale prima del capitalismo ha concentrato in modo così spinto in mani private i poteri economici, in particolare la gestione diretta, monocratica e ’scientifica” del processo di lavoro, dal che deriva lo straordinario sviluppo delle capacità di manipolazione delle forze naturali; e nello stesso tempo si può osservare che nessun sistema sociale prima del capitalismo ha concentrato in modo così spinto la potenza politica e militare nelle mani di un apparato specializzato e “separato”. Da questa enorme, duplice concentrazione dei poteri economici e politici in apparati specializzati, distinti ma strutturalmente complementari, derivano le lotte e le speranze di liberazione della modernità, ma anche i suoi tremendi rischi ed i suoi orrori”. Max Horkheimer, nell’approfondire il nesso tra consenso e forza proprio in relazione alla continuazione del dominio borghese capitalistico con altri mezzi, constatava, nell’anno del patto di Monaco, che: “il fascismo non contrasta con la società borghese ma, al contrario, in determinate condizioni storiche ne è la forma più conseguente”. Dopo la sconfitta delle potenze dell’Asse gli elementi fondamen-tali della teoria del fascismo degli anni ’30 vengono trasferiti nell’analisi della società del trentennio 40–60. Horkheimer, nel 1959, con tono lievemente nostalgico, ricono-sce la dialettica della «bürgerliche Gesellschaft» nel fatto che essa “trapassa nella violenza onnicomprensiva del futuro, e viene divorata dagli avvenimenti senza poter trarre in salvo il suo principio, l’individuo”: essa ha formato, in quanto «società autoritaria», la personalità ad essa corrispondente, la personalità de-individualizzata.
2.2 – La personalità autoritaria. L’elaborazione della teoria sulla «personalità autoritaria» impegna diversi ricercatori della Scuola di Francoforte, per la necessità di dare risposte esaurienti, in particolare psicanalisti freudiani come Paul Federn (1871-1950) e i giovani Erich Fromm (1900-1980) e Wilhelm Reich (1897-1957) e studiosi di teoria politica, tra cui Max Horkheimer e Theodor Wiesegrund Adorno. Alle origini c’è la repressione sessuale nell’infanzia, che fissa l’individuo nelle fasi orale e anale impedendo l’ordinato passaggio alla fase genitale. Tale repressione – che è precisamente più diffusa nei ceti disagiati – prepara al sadismo e al masochismo anche nelle loro versioni ideologico-politiche: masochismo come sottomissione al capo, sadismo come violenza verso gli oppositori. In secondo luogo, la personalità autoritaria – già preparata dalla repressione infantile – è coltivata da una manipola-zione culturale operata da tre agenzie: la religione, gli slogan patriottici che riducono la politica a uno schema rozzo di opposizione fra «noi» e «loro», e la cultura popolare. (Non tutta la religione –preciserà in seguito lo psicanalista austriaco Erik Homburger Erikson (1902-1994- prepara all’adesione al totalitarismo, ma solo quella definita come «fondamentalista» o «settaria»; non tutta la cultura popolare, ma solo quella rozza e di bassa lega; non tutte le forme di patriottismo e di nazionalismo, ma solo quelle spurie come il nazismo o il comunismo). In terzo luogo – certo, senza una consapevolezza né uno studio scientifico – la propaganda autoritaria si inserisce su questa preparazione e manipola ulteriormente l’individuo reclutandolo come militante nazista.
2.3 – La Teoria critica. Più che una teoria complessiva della classe politica, quella di Horkheimer e Adorno è una teoria critica delle classi dominanti e dei gruppi che nella società hanno la funzione di esercitare il potere. Attraverso una prospettiva realistica, che Horkheimer nel 1930 riconduce a Machiavelli, essi individuano nel dominio l’essenza della politica e cercano di comprenderne la natura, identificando i gruppi che lo esercitano e quelli che lo subiscono. Una volta riconosciuto che il potere-dominio assume diverse tendenze, riassumibili nella concentrazione e nell’incremento della propria forza, nell’omologazione delle società su cui si esercita e nella strumentalizzazione di valori e istituzioni, Horkheimer e Adorno distinguono i gruppi che “toccano” il potere a seconda del tipo di organizzazione sociale. Nella società capitalista questi gruppi sono soprattutto quelli economici; nello stato autoritario sono i “gangsters” che tendono a un controllo monopolistico (sia politico che economico e culturale) e alla monocrazia (attraverso un partito unico e un dominio centralizzato); nella democrazia sono quelli che fanno parte della maggioranza (e che come per Tocqueville tendono a instaurare una tirannide della maggioranza) e dei gruppi dominanti al suo interno (che ne prospettano una plausibile deriva oligarchica e plebiscitaria); nell’industria culturale esiste invece un’élite intellettuale, che ha la funzione di omologare e di stimolare la rassegnazione producendo cittadini schiavima contenti. Adorno, in particolare, nel saggio “Riflessioni sulla teoria delle classi” del 1942 percepisce l’oligarchia come una degenerazione quasi ineliminabile, in quanto storicamente necessaria, della democrazia. A suo giudizio, infatti, la democrazia formale diventa compatibile col dominio delle oligarchie perché, ad esempio attraverso l’utilizzazione di un linguaggio criptico, conduce alla diminuzione della partecipazione dei cittadini e all’apatia politica. In Horkheimer è possibile individuare nel corso della sua carriera intellettuale un cambiamento di prospettiva analitica che, da un discorso politico strettamente marxista negli anni Trenta impostato sull’analisi della concentrazione di potere nella classe dominante e su una lettura dicotomica dei rapporti di classe, evolve negli anni Quaranta in un’ottica più ampia e deideologizzata. Nelle ricerche del 1942 su “Lo stato autoritario”, ad esempio, spiega come i partiti politici, con un chiaro riferimento al PCUS, possano andare verso una deriva autoritaria e reprimere ogni forma il dissenso. Nel 1947, in “Eclisse della ragione”, la sua analisi delle élites di potere è apertamente indirizzata verso una prospettiva non dicotomica ma, secondo un approccio foucaultiano, interna a una rete di poteri e ad un insieme di rapporti di dominio differenziati. La maturità acquisita consente così a Horkheimer di riconoscere, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, due tendenze delle società contemporanee: una democratica, basata sui piccoli partiti e i piccoli gruppi, e una antidemocratica, con forze occulte che acquisiscono potere per cercare di realizzare un’amministrazione globale. In questa situazione, sostiene Horkheimer, e a causa della corruzione a cui sono stati soggetti il proletariato e la sua élite sindacale, questa classe non può più ambire ad assurgersi a forza negativa par excellence nella lotta contro il dominio. L’unico gruppo che può ancora rappresentare un baluardo contro la forza omologatrice del potere è quello degli intellettuali, sempre che mantengano un approccio critico nelle loro analisi della società.
2.4 – Il dibattito sulla democrazia. Alla classica tripartizione aristotelica delle forme di governo fondata sul principio quantitativo (governo di tutti, di pochi, di uno), Montesquieu contrappone una diversa tripartizione fondata sul principio qualitativo: esistono tre forme di governo, il repubblicano il monarchico e il dispotico; il governo repubblicano è quello nel quale il popolo tutto, o almeno una parte di esso, detiene il potere supremo; il monarchico è quello nel quale uno solo governa, ma secondo leggi fisse e stabilite; nel governo dispotico, invece, uno solo, senza né leggi né freni, trascina tutto o tutti dietro la sua volontà ed i suoi capricci…Non è tanto importante sapere se il potere sia nelle mani di uno, di pochi, di tutti, ma come il potere è esercitato dal governo..infatti si può andare verso il dispotismo di uno solo o verso il dispotismo di tutti. E’ da considerare dispotico quel governo nel quale i poteri esecutivo giudiziario e legislativo non sono divisi. (Montesquieu, Lo spirito delle leggi, 1748). Nel tomo IV della “Enciclopedie” (1754) si trova la definizione della democrazia, tratto sempre dall’“Esprit des lois”: ogni repubblica, dove la sovranità risiede nelle mani del popolo è una democrazia, se il potere sovrano si trova in una parte soltanto del popolo è una aristocrazia; la democrazia apre ai cittadini il cammino degli onori e della gloria; per conservare la democrazia è necessario “la virtù”, ossia l’amore delle leggi e della patria, l’amore dell’eguaglianza e della frugalità. Il principio della democrazia si corrompe, quando si perde lo spirito d’eguaglianza, ma anche quando prevale l’eguaglianza estrema. Tutto il processo storico, che va dalla seconda metà del Settecento alla prima metà dell’Ottocento, segue le linee ideologiche giustificative nel quadro dottrinale esposto nell’“Esprit des lois”, che ha introdotto criteri nuovi nella valutazione delle forme di governo. Nel “Contratto sociale” Rousseau chiarisce in quale forma di stato si realizza la democrazia, identificata con la volontà del popolo; è la sovranità del popolo che caratterizza lo Stato repubblicano democratico. Se il popolo è libero, si ha una repubblica; se il popolo è asservito ad uno solo, si ha il dispotismo: con il dispotismo “non c’è bene pubblico né corpo politico”. Il popolo è popolo prima di darsi un re: con il contratto sociale ciascun associato aliena i suoi diritti a favore di tutta la comunità; ma la premessa è che si tratti di eguali; essendo eguali, nessuno ha interesse a rendere l’alienazione più gravosa per gli altri. La Repubblica democratica federativa, teorizzata da Montesquieu fu realizzata nell’ordinamento politico degli Stati Uniti d’America del 1776, attraverso un elemento politico che sarà distintivo del Sistema americano: la rappresentanza, negli organi locali, nelle Istituzioni federali, nelle due Camere del Congresso. Anche Tocqueville evidenzia che il modello di società democratica è quello “realizzato” negli Stati Uniti d’America, considerato il paese nel quale si è sviluppato il principio della democrazia, fondato sulla eguaglianza delle condizioni. In Marx la democrazia proletaria non tendeva “a costituire nuovi privilegi e monopoli di classe, ma a stabilire per tutti diritti e doveri eguali e ad annientare ogni predominio di classe”; quindi, fine della “soggezione economica del lavoratore nei confronti dei detentori dei mezzi di lavoro”, fine “di ogni dipendenza politica” nei confronti delle classi governanti. Per realizzare l’emancipazione della soggezione economica e della dipendenza politica, Marx considera necessaria una “unione” di carattere internazionale fra le classi lavoratrici dei diversi paesi; l’emancipazione della classe operaia, non essendo né un problema locale, né nazionale, ma sociale, doveva abbracciare i paesi nei quali esisteva la società moderna, ossia doveva essere opera dei lavoratori dei paesi più industriali d’Europa. Per la Sinistra “rivoluzionaria” era da rifiutare “la democrazia” che riproponeva la vecchia visione borghese del liberalismo, ma ancor più era da condannare la “democrazia” che, in nome del socialismo, si alleava con il sistema capitalistico di produzione; la “democrazia borghese” dimenticava le esigenze della classe operaia e tradiva le ragioni della “democrazia proletaria”. Il “revisionismo socialista” sperava con il riformismo di ridare credito alla corrotta democrazia parlamentare, ma in realtà finì con l’imborghesire il movimento operaio e modificare in senso reazionario i metodi di lotta. Nel 1917 Lenin accentuò la sua polemica contro la “democrazia borghese” e contro la “repubblica democratica”, inneggiando alla “democrazia rivoluzionaria”, profondamente diversa dalla “democrazia riformista”: la democrazia rivoluzionaria, quella vera, non poteva accordarsi con i capitalisti; essa doveva “rompere con il passato e riconquistare la fiducia degli operai e dei contadini”. I democratici borghesi potevano anche avere la “maggioranza nel governo”, ed il blocco dei socialisti e dei menscevichi potevano anche costituire “il partito dominante in Russia”, ma la situazione politica restava piena di “contraddizioni fondamentali” e sfociava in una politica piccolo-borghese; il partito bolscevico comunista, invece, si atteneva ai principi della democrazia rivoluzionaria. La guerra non portò a soluzione i problemi, anzi li aggravò, e certi valori, che facevano parte delle consuetudini civili, sembravano sul punto di crollare. Il perdurare delle ostilità aveva moltiplicato le speranze di un domani migliore, ma la situazione attuale sembrava peggiore di quella di ieri, e profonda era l’irritazione per le promesse non mantenute. Gli entusiasmi si confusero con le delusioni, e gli inni all’avvenire si mescolarono con i rimpianti verso il passato. Nel biennio 1919/20 quasi ogni intellettuale ebbe la sua crisi di pensiero, la sua momentanea esitazione, il suo momento di amara riflessione; e certe adesioni fideistiche a nuove tendenze furono sovente il risultato di un periodo di incertezza e di sbandamento. Alcuni intellettuali, che avevano avversato le strutture rappresentative tradizionali, all’indomani della guerra si resero conto dei pericoli connessi con la fine della democrazia parlamentare. All’orizzonte, con la crisi dell’Occidente si profilava il pericolo di oligarchie tiranniche; la distinzione tra democrazia borghese e democrazia proletaria poteva rivelarsi astratta. Il parlamento fissava, senza dubbio, la separazione tra governanti e governati, in quanto i primi avevano una posizione di predominio e gli altri di subordinazione, ma il parlamento aveva svolto una funzione di coordinamento sociale per dare ai cittadini una eguale dignità evitando scontri tra ordini e classi. Qualche scrittore politico modificò il proprio atteggiamento critico nei confronti del sistema parlamentare, ma sembrarono essere i messaggi di una generazione che si spegneva, e, infatti, furono accolti con diffidenza, e spesso lasciati inascoltati. Il socialismo, inteso come l’idea della democrazia realizzata nei suoi contenuti, nei paesi del materialismo dialettico si è trasformato in strumento di manipolazione, come il verbo cristiano nei secoli sanguinosi della cristianità. In un sistema liberale il cittadino, entro determinati limiti, può sviluppare le proprie forze, e in una certa misura la sua sorte è il risultato della sua attività. Estendere a tutti tale possibilità è il postulato della libertà e della giustizia. M.H. condivide dei giovani l’aspirazione a una situazione migliore e a una società giusta, l’incapacità di adattarsi all’esistente, le riserve nei confronti dell’attività formativa nelle scuole; non condivide invece il rapporto con la violenza, che nella sua impotenza fa il gioco degli avversari. Sottolinea che la “dubbia democrazia” con tutti i suoi difetti è pur sempre meglio della dittatura…come aveva affermato Rosa Luxemburg, a proposito della rivoluzione russa, “che la liquidazione della democrazia in genere… praticata da Trockij, e Lenin è un rimedio ancora peggiore del male a cui vuole por fine”. I Paesi liberi professano la democrazia, ma il rapporto fra i cittadini e il governo non è diretto, ma mediato dai partiti, dagli organi dell’opinione pubblica, dai mezzi di comunicazione di massa, dai giornali, dalla radio, dalla televisione e da altro ancora. Il meccanismo di mediazione spesso è complesso, come ad esempio quando i mass media influiscono sul rapporto dei partiti con il governo e i cittadini oppure i partiti sui mass media. Rousseau, considerato a buon ragione il primo teorico della democrazia nell’Europa continentale, temeva gli sviluppi di tali meccanismi, sostenendo l’importanza che gli elettori e il governo si conoscessero direttamente, restassero continuamente a contatto, si parlassero e comunicassero, affinché la democrazia non perdesse il suo significato e la sua qualità. In concreto però il modello di Rousseau, applicato in Francia dal suo pedante discepolo Robespierre, ha contribuito a creare il terrore. Il potere democratico deve appartenere ai governati, che si debbono interessare agli affari del loro paese per sviluppare la coscienza-conoscenza di ciò che è meglio per la collettività, che anteponendo con convinzione gli interessi della collettività a quelli personali. In questa ottica il bene dello Stato, a cui si appartiene, deve costituire, secondo Rousseau, il punto di vista supremo. Tale dottrina ha rivelato però il suo punto debole, allorquando il concetto di nazione è diventato un idolo, e in suo nome sono state combattute guerre e rivoluzioni. Kant correge il pensiero di Rousseau: le azioni private devono osservare quei principi che devono poter valere per la comunità intera e ognuno quindi deve sempre operare in modo da essere convinto che la massima della sua azione possa valere per tutta la collettività, offrendo alla coscienza un criterio per giudicare il potere. Gli Stati democratici hanno la vita più difficile delle dittature, poiché nei primi la coscienza può interferire nel potere, contro la tendenza generale. L’apparato totalitario funziona in modo più scorrevole. La regolamentazione centrale della vita, l’amministrazione che programma ogni dettaglio, la razionalità rigorosa risulta essere un compromesso storico nel movimento della società verso l’estensione a tutti del postulato della libertà e della giustizia. Durante il movimento l’affermazione degli uni suole essere pagata con l’avvilimento degli altri. Il perfezionamento della tecnica, la diffusione del traffico e della comunicazione, l’aumento della popolazione conducono alla rigida organizzazione. La resistenza, per quanto disperata, è insita nel corso delle cose che si propone di modificare. Esprimere ciò che compreso e in tal modo contribuire forse a evitare nuovo terrore, resta il diritto del soggetto ancor vivo.
2.5 – Capitalismo avanzato. Nel saggio “Gli inizi della filosofia borghese nella storia”, Max Horkheimer afferma che Machiavelli sarebbe stato non solo il fondatore della scienza politica, ma anche il primo teorico dello Stato borghese, partendo dall’assunto che lo Stato borghese è uno Stato avente in sé la propria razionalità: autonomo nelle sue strutture, funzionale e finalizzato all’emergere dell’economia borghese in quanto ha la funzione di garantire lo sviluppo delle forze e delle attività economiche. Per questo, secondo Horheimer, Machiavelli rifiuta il sistema gerarchico medioevale e il potere aristocratico e, nella stratificazione sociale, considera la nobiltà “oziosa”, concede un posto privilegiato alla borghesia, soprattutto cittadina, attiva e collegata al denaro, e sollecitando gli scambi del commercio e il libero gioco delle varie forze economiche, sottolinea l’importanza della “virtù” che è laboriosità e capacità di guadagno. Il borghese ha la propria regola nel perseguire il proprio utile e questo stesso consegue solo agendo in un modo razionale: per sapere come agire, non alza certo gli occhi al cielo, ma opera in piena autonomia e laicità: Machiavelli “chiede la subordinazione di ogni scrupolo allo scopo che giudica supremo: la conservazione di uno Stato forte come condizione del benessere borghese”. Il liberalismo, borghese ed economico, con l’abolizione del mercantilismo e del protezionismo, è un tutt’uno con il liberalismo politico, pungolo per rimuovere gli ostacoli al libero interscambio. La proclamazione dello “Stato forte”, in Machiavelli, si fonda pertanto sulla fede nel progresso spirituale, morale e culturale, elementi-fulcro del liberalismo e il grado della cultura umana è rapportabile alla misura della libertà borghese. Machiavelli tuttavia, secondo Horkheimer, commette l’errore di considerare la violenza come necessaria per l’ascesa borghese. e, in generale, per la necessità dello Stato. La suindicata posizione, che spinge Horkheimer a considerare Machiavelli il primo teorico dello Stato borghese, ha suscitato le critiche di quegli studiosi che ritengono invece che le condizioni storiche dell’Europa e dell’Italia del periodo di Machiavelli non consentono di parlare di accumulazione capitalistica e di sviluppo delle forze borghesi, anche se, per costoro, l’affermazione che vede nel Machiavelli “il primo teorico dello Stato borghese” è un elemento per confermare nello stesso il momento “genetico” del pensiero laico e liberale moderno.
2.6 – La “crisi” del liberalismo. Fra le due guerre mondiali, da parti opposte o diverse, è stata dichiarata la crisi o la morte definitiva del liberalismo, per cui, secondo alcuni, esso potrebbe essere soltanto oggetto di curiosità o di erudizione storica. La critica più serrata ed ostinata venne dalla cultura tedesca, e in particolare, con posizione dominante ed egemone, dalla Scuola di Francoforte. Tre sono i saggi più significativi o emblematici: La situazione attuale del capitalismo e le prospettive di un riordinamento pianificato dell’economia di Friedrich Pollock (1932), La lotta contro il liberalismo nella concezione totalitaria dello Stato di Herbert Marcuse (1934), Lo Stato autoritario di Max Horkheimer (1940). In essi il liberalismo è giudicato non in base ai suoi princìpi (i diritti individuali, il costituzionalismo), ma come semplice ideologia della società capitalistica: al centro dell’interesse è soltanto la trasformazione in atto del capitalismo da capitalismo concorrenziale o di mercato a capitalismo monopolistico e poi organizzato dallo Stato. Il liberalismo è, così, soltanto una (mera) forma di “dominio” borghese, necessariamente destinata a con-cludersi in uno Stato totale e autoritario; (il “dominio”, con il controllo sociale e con i mezzi di comunicazione di massa, elimina anche ogni autentica forma di comunica-zione, imprigionando l’individuo nel privato; in seguito Jurgen Habermas affronterà il tema dell’agire comunicativo, il cui spazio è l’opinione pubblica, con la rivaluta-zione dell’etica del discorso). I detrattori considerano questa tesi semplicistica, anche alla luce della sperimentazione della differenza fra il “dominio” liberale e quello totalitario, e per alcuni versi suicida, in quanto li ha resi inermi proprio nella difesa dei valori che essi volevano tutelare. Chiusi marxianamente nel primato dell’economia, si sono dapprima imbattuti in nascoste incertezze teoriche, dato che alle volte sembrano aver nostalgia del dominio borghese, basato sull’anarchia del mercato e sul primato del privato, altre volte sembrano guardare con simpatia (socialista) a una pianificazione razionale e cosciente dell’economia nel primato della politica, o all’utopia illuministica della ricostruzione razionale del mondo. Ma, dato che entrambe queste forme sono condannate, la Scuola culmina con il saggio di Horkheimer, nel quale il concetto di “capitalismo monopolistico di Stato” finisce per comprendere tutto: non solo l’economia (capitalistica) pianificata della Germania nazista, non solo l’economia (capitalistica) con scarsi elementi di programmazione degli Stati Uniti nell’età rooseveltiana, ma anche, e soprattutto, l’economia (con la proprietà statale dei mezzi di produzione) pianificata dell’Unione Sovietica. Il pensiero, per sua natura, dovrebbe essere capace di fare delle distinzioni, ma qui, perseguendo il mito della “totalità”, c’è un’ossessione nevrotica contro la società contemporanea simbolo del dominio, contro la scienza, contro i mezzi di comunica-zione di massa, che rivelano la vera e – per tanto tempo nascosta – sensibilità della Scuola: è una reazione romantica contro la modernità, la fuga in una impossibile utopia dell’anima bella. Senza sbocchi pratici, perché non si sono voluti cercare: l’opposizione al dominio, all’autoritarismo, al totalitarismo è propria del pensiero liberale. Ma la Scuola di Francoforte, nel suo sincretismo, tenta di recuperare spunti liberali, mescolando Marx con Freud, ed è tutta dominata dall’ansia di una libera-zione finale e totale dell’uomo, quasi per recuperare un paradiso perduto: infatti, nel recuperare l’analisi economica di Marx, ha rivolto anche la sua attenzione alla psicologia e alla psicoanalisi, proprio per una migliore comprensione della realtà, anche a costo di cadere in palesi contraddizioni: infatti la coscienza dell’individuo è ancora marxianamente l’espressione del suo essere sociale, mentre restano confinati e isolati la sua vita istintuale e l’inconscio. L’individuo non è una maschera, un epife-nomeno, ma una vera realtà: ma, proprio per la natura delicata e problematica dell’io, per la debolezza della sua soggettività, esso deve essere tutelato da tutte quelle spinte sociali che provocano una “fuga dalla libertà”, deve essere difeso da quelle angosce che, provocando nevrosi persecutorie, favoriscono il dispotismo. Ancora più impor-tante: l’individuo deve essere difeso dalla società di massa, che tende silenziosamente a rendere sempre più uniformi ed eguali gli individui, per farne dei “gregari”.
2.7 – I vari totalitarismi ovvero Dallo Stato totalitario al nuovo ordine globalitario. Nella Dialettica dell’illuminismo motivo centrale della ricerca è la convergenza storica che pare sussistere tra dispotismo fascista e sistema di potere stalinista. (Uno studio analogo sul totalitarismo è portato avanti da Hannah Arendt). Horkheimer e Adorno cercarono di rintracciare le cause del totalitarismo impostosi nella contempo-raneità, risalendo fino all’inizio della storia umana; a loro avviso la patologia sociale che si manifesta nel sistema di potere fascista, è talmente profonda da poter essere adeguatamente spiegata soltanto come conseguenza di un errore evolutivo dell’intero processo di civilizzazione. Non a caso questa idea di fondo assomiglia formalmente alla premessa dalla quale già Rousseau si era lasciato condurre nella sua critica della cultura: anche allora il regresso allo stato di natura era motivato dalla convinzione che lo straniamento percepito nel presente altro non fosse che il segnale di un antico disturbo del comportamento umano. Ma mentre per Rousseau il vizio evolutivo iniziale del processo di civilizzazione era collegato in principio alla comunicazione tra gli uomini, questo per Horkheimer e Adorno ha origine nel primo atto razionale volto a disporre dei processi naturali: nello sforzo del lavoro il soggetto sviluppa la capacità di controllare razionalmente le proprie pulsioni naturali, mentre attraverso l’attività lavorativa l’ambiente è ridotto a mero terreno di conquista dei fini umani. Entrambe le ipotesi permettono una sola interpretazione, secondo cui il processo di civilizzazione viene ridotto, non meno che nel caso di Rousseau, a una logica del degrado. Se per Rousseau il processo di degrado culmina in uno scontro incontrollato di tutti contro tutti, per Horkheimer e Adorno esso sfocia nel regime totalitario della contemporaneità. La spirale storica della progressiva reificazione raggiunge così il suo apice, creando all’interno della società una nuova condizione naturale in cui gli individui, del tutto svuotati psichicamente, sono consegnati alle grandi organizzazioni operanti secondo fini razionali, inermi di fronte a esse esattamente come lo erano nella preistoria di fronte all’incontenibile violenza della natura. Gli stessi indagano sullo sviluppo dei mass media e si sforzano di considerare le predisposizioni del comportamento psichico, ma l’analisi di questi processi viene ogni volta ricondotta a ulteriori formulazioni del totalitarismo, visto come culmine di un processo di razionalizzazione, i cui inizi affondano nella preistoria umana, diventa impossibile coglierne l’anomalia. Pertanto non è la realtà sociale del totalitarismo in sé, bensì il processo di civilizzazione nel suo complesso a essere considerato socialmente patologico. (Arendt al contrario concepisce la nascita del regime totalitario proprio come conseguenza di una patologia sociale sviluppatasi solamente nelle società moderne). Quando l’Occidente celebrava la caduta del totalitarismo nazista e guardava alla democrazia liberale americana come nuovo modello di sistema politico, in un clima diffuso di crescente ottimismo, dovuto allo sviluppo economico postbellico, la critica dei «francofortesi» fu considerata una forte provocazione in quanto rivolta, non tanto verso la società autoritaria tedesca, razzista e necrotizzata dall’angoscia della scomparsa, bensì verso la società americana, che pur li aveva accolti come esuli e perseguitati alla Germania, quella democratica dei diritti civili, delle libertà dell’individuo, ma anche quella dell’incipiente e irreversibile consumismo con i paralleli processi di massificazione e di omologazione che mettevano in crisi gli stessi fondamenti originari della libera realtà individuale, attaccata ormai da potentissimi procedimenti occulti – quali la pubblicità e il mercato – e assediata dai nuovi strumenti del potere: i mass media. Questo nuovo ordine è ciò che oggi chiamiamo «globalizzazione»; un sistema in grado di utilizzare sapientemente sia «le forme tradizionali della repressione politica esercitate dalle forze dell’Ordine», come la violenza, le sanzioni economiche e la discriminazione, sia «un apparato d’indottrinamento tecnico e ideologico in costante perfezionamento», come i media e la scuola, ecc., forme di controllo sociale tipiche del mondo unidi-mensionale del secondo dopoguerra e che il nuovo ordine neoliberista si apprestava ad intensificare.Di fronte alla società opulenta del consumismo americano e tedesco-occidentale, prevedono quale unica risorsa di salvezza la responsabilità dell’individuo in una sorta di riproposta della filosofia di Schopenhauer.
2.8 – La fine dell’individuo. Il pensiero borghese ha sempre esaltato l’individuo e ha accusato il marxismo di volerlo distruggere nel concetto di classe, proletariato, eccetera. Nell’Eclissi della ragione Max Horkheimer mostra come la stessa società borghese abbia distrutto l’individuo e nello stesso tempo evidenzia come ciò, al contrario di molti marxisti dogmatici, sia un gravissimo errore nello sviluppo e nella promozione dell’uomo: “.…Un tempo l’individuo vedeva nella ragione solo uno strumento dell’io; ora si trova davanti al rovesciamento di questa deificazione dell’io. La macchina ha gettato a terra il conducente, e corre cieca nello spazio. Al culmine del processo di razionalizzazione, la ragione è diventata irrazionale e stupida…. Fra le masse l’individualità è assai meno integrata e stabile che in mezzo alla cosiddetta Elite. D’altra parte le élites si sono sempre preoccupate soprattutto del come conquistare e mantenere il potere. Oggi più che mai al potere sociale si arriva attraverso il potere sulle cose; ma quanto più intensamente l’individuo si preoccupa di acquistare un potere sulle cose, tanto più le cose lo dominano e tanto più egli perde ogni genuino carattere individuale e la sua mente si trasforma in un automa della ragione formalizzata…” Anche la cultura di massa serve a rafforzare la pressione della società sull’individuo, precludendogli ogni speranza di preservare la propria individualità, di salvarla dalla disintegrazione. L’individuo scompare interamente nelle nuove istituzioni impersonali, condannato alla estraniazione da se stesso, trasformandolo in semplice anello di una catena di montaggio, dove le ragioni del “calcolo” prevalgono sulla ricerca di senso. E’ necessario che si sviluppi la consapevolezza che l’insopportabile pressione esercitata dalla società sull’uomo non è inevitabile, e che essa non sia la diretta conseguenza delle esigenze puramente tecniche della produzione, bensì abbia radice nella struttura sociale. Solo in una economia umanizzante e “donatrice di senso” propria della dimensione fraterna, il dispotismo imprenditoriale dell’homo oeconomicus viene trasceso e superato, in una integrazione sintetica, in un atto di autocritica radicale, che consentano all’uomo smarrito del nostro tempo di vivere e di orientarsi responsabilmente, perfino al fondo di quel nichilismo alienante in cui sembrerebbe caduto. La disciplina industriale, il progresso tecnico, l’educazione scientifica, cioè gli stessi processi economici e culturali che portano al venir meno dell’individualità, promettono -benché al momento non possiamo sperare che la promessa si avvererà tanto presto -di dar vita a un mondo nuovo in cui l’individualità potrà riaffermarsi come elemento di una forma d’esistenza meno ideologica e più umana. Il fascismo ricorse a metodi terroristici nello sforzo di ridurre gli esseri umani ad atomi sociali, perché temeva che, sempre più consapevoli del nessun valore delle ideologie, gli uomini potessero avviarsi a realizzare le più profonde potenzialità loro e della società; ed è vero infatti che in alcuni casi la pressione sociale e il terrore politico hanno temperato la volontà, profondamente umana, di combattere l’irrazionalità; e la resistenza all’irrazionalità è sempre la radice dell’individualità genuina. I veri individui del nostro tempo sono i martiri che passarono attraverso inferni di sofferenza e di degradazione nella loro lotta contro la conquista e l’oppressione; non già i personaggi, gonfiati dalla pubbli-cità, della cultura popolare. Quegli eroi, che nessuno ha cantato, esposero consapevolmente la loro esistenza individuale alla distruzione che altri subiscono senza averne coscienza, vittime dei processi sociali. I martiri anonimi dei campi di concentramento sono i simboli dell’umanità che lotta per venire alla luce.
2.9 – La “critica” di Habermas. Habermas, accantonata la filosofia della storia in chiave hegeliana e marxista, ha elaborato una sua “teoria critica” del diritto e della democrazia fondata sul tentativo di conciliare il liberalismo (Locke e Kant) con la teoria della volontà popolare (Rousseau). E’ il teorico che maggiormente si è sforzato di ripensare la teoria della sovranità popolare in senso discorsivo e ha cercato di fondare la democrazia politica e lo stesso Stato di diritto sul principio del dialogo: in altri termini, egli suggerisce di articolare reciprocamente i diritti di libertà, i diritti democratici e i diritti sociali, in quanto tutti e tre risulterebbero essenziali per configurare un sistema coerente di diritti e una democrazia «non apparente», ma concretamente efficace.
Conclusioni
L’indicazione, che M.H. fa del recupero della persona nella sua individualità e singolarità, ci indirizza direttamente alle problematiche di oggi legate a tutti i fenomeni di globalizzazione, che hanno reso il mondo un villaggio, da quelli economici a quelli politici, della comunicazione, delle conseguenze della crisi delle ideologie, dell’integralismo religioso, del terrorismo e delle questioni ecologiche di un pianeta “ammalato”. Un villaggio, però, in cui sono preminenti gli interessi econo-mici e gli scambi commerciali e gli uomini, anch’essi, sono “oggetti di scambio” e “strumenti economici”, dove recuperare la centralità dell’uomo, con i suoi valori e le sue caratteristiche, diventa l’obiettivo primario dei nuovi Horkmair, di tutti quelli che con lucidità riescono a capire le contraddizioni del nostro tempo e si battono per il loro superamento. La simultanea presenza, nell’era della globalizzazione, di una degradante miseria per la maggioranza del genere umano e di una opulenza senza precedenti per pochi privilegiati pone di fronte a fondamentali questioni etiche e pratiche. Il problema non è rinunciare alle conquiste della scienza e ai vantaggi della tecnologia, né agli incontestabili benefici che derivano dal vivere in società aperte, ma come fare buon uso della liberalizzazione dei rapporti economici e dei risultati del progresso. Certamente bisogna rivedere i meccanismi dell’economia globalizzante per creare le condizioni di una globalizzazione equa giusta e solidale e di pari opportunità per tutti i popoli nel rispetto della loro identità culturale e autonomia e della loro dignità. Solidarietà intesa soprattutto come coscienza dei paesi “forti” di sentirsi responsabili di tutti gli esseri umani e come coscienza dei singoli ad assumere stili di vita, e di consumi più sobri per non soffocare, in nome di bisogni fittizi personali, i bisogni vitali altrui. Le nuove problematiche non possono essere superate con una mera ingegneria sociale o con soluzioni strettamente economico-finanziarie. I processi di globalizzazione non devono essere considerati in modo indipendente dalle condizioni di vita dell’uomo sia materiali che spirituali e quindi devono essere guidati dai valori ponendo sempre l’uomo al centro dell’attenzione. Spesso si tende a considerare la società e la vita dell’uomo nell’ottica delle mere regole del mercato, dimenticando che l’uomo deve essere la misura di tutte le cose. In effetti, il mercato non ha un’anima ed esprime logiche di espansione e di esclusione delle risorse planetarie discriminando uomini e popoli. Per questo è necessaria una svolta epocale: l’umanizzazione del mercato fondandosi su un’etica del mercato che non nega le regole mercantili ma le pone al servizio delle concrete esigenze di tutti gli uomini e non di una sola parte di essi. Bisogna rafforzare i valori tradizionali che reggono la vita sociale e ricercarne dei nuovi che siano adeguati alle condizioni dell’uomo attuale: una nuova etica di frontiera che permetta di superare al contempo le mere logiche economico-finanziarie e tutte quelle concezioni che considerano la vita solo da un punto di vista materiale, individualistico, egoistico ed edonistico, al fine di salvaguardare le esigenze di tutti in base ai principi etici del rispetto della vita umana e della persona, della promozione della diversità, delle fedi e delle culture, della eguaglianza dei diritti, della giustizia sociale e delle pari opportunità di vita per tutti gli uomini del pianeta. Una delle domande chiave del nostro tempo è come mantenere una società libera, tollerante e pluralista in un’era di migrazioni costanti? La globalizzazione richiede libera circolazione dei capitali ed è virtualmente impossibile bloccare la libera circolazione della forza lavoro, e chi arriva nei paesi progrediti porta un insieme di valori che, se vanno a cozzare con i cardini di tolleranza e pluralismo rischiano di seminare odio e violenze. Nel ricordare come la tolleranza sia valore recente, nato in ambito laico e poi adottato dal mondo religioso, è importante che la nostra libera società non si basi solo sulla “tolleranza” del diverso, come postulata da Voltaire, ma soprattutto sul “credere nel valore della diversità”. La società pluralista non “tollera” il dissenso, come Horkheimer scriveva in una Critica della tolleranza, ma se ne alimenta; senza diversità la democrazia langue, finché c’è pluralità c’è movimento della Storia. Tali fenomeni di globalizzazione comunque non sono nuovi, ma risultano presenti anche in altri periodi storici, con nomi caratteri e finalità diversi, con i quali però non è difficile stabilire paralleli e confronti, anche sulle tipologie e modalità di opposizione. E’ dell’XI sec. la prima globalizzazione, che cominciò a smantellare l’economia e la cultura del Medioevo, così come quella odierna demolisce le strutture dell’era industriale. Allora come oggi, l’opposizione era ed è fatta contro un’autorità ritenuta illegittima, ad una giustizia considerata a difesa dei privilegi; allora come oggi, si faceva e si fa invito alla disobbedienza a ciò che si potrebbe chiamare consumismo. Non mancava, allora come oggi, la difesa della natura -si pensi a San Francesco- ed il disprezzo dell’arricchimento fine a se stesso. Oggi, il discorso più economico e politico dei cosiddetti “antiglobal” maschera i suoi presupposti filosofici; allora erano le eresie che celavano sotto l’aspetto di controversia religiosa una rivolta complessa, che era economica, perché i contadini e gli artigiani si sentivano minacciati dal nascente capitalismo mercantile, ed anche politica, perché gli eretici trovavano appoggi in molti nobili che miravano ad appropriarsi dei beni ecclesiastici e difendevano una specie di “nazionalismo” regionale limitato ai loro feudi, contro la spinta centralizzatrice delle monarchie. In quest’ultimo aspetto è possibile trovare analogie nell’odierna globalizzazione che intacca le prerogative degli Stati nazionali. Allora si contestavano i sacramenti del battesimo e dell’eucarestia ed oggi, con lo stesso effetto dirompente e disgregante, si contestano il Wto, il Fmi, la Nato. Allora il “Dio del male” era il mondo materiale e la Chiesa che ne costituiva il perno su cui tutto ruotava, e da esso scampavano solo gli “eletti”, i “puri” con l’astinenza dal lusso, dal sesso, dalla proprietà privata. Oggi il “Dio del male” è il capitalismo globale che ha il suo fulcro negli Stati Uniti d’America e si articola nelle organizzazioni economiche e finanziarie internazionali. Lo sfondo per la diffusione di quelle eresie fu il risveglio economico che nel XII secolo era già ben definito, grazie ai Comuni ed alle città marinare, e che costituì la prima spinta globalizzatrice dell’economia occidentale post-medievale. Forte analogia può rilevarsi con la nostra epoca, caratterizzata dal passaggio dall’economia industriale a quella dominata dalla rivoluzione informatica che suscita un’uguale e radicale opposizione come mille anni fa. Come quella odierna, la prima globalizzazione di nove-dieci secoli fa nacque per la convergenza di tre forme di comunicazione: -la comunicazione commerciale, che ruppe di colpo le chiusure dell’economia medievale, aprì agli scambi le grandi vie marittime e terrestri, e gettò le basi del capitalismo imprenditoriale; -la comunicazione culturale, che dai centri più evoluti propose al resto d’Europa un nuovo stile di vita, di arte e di letteratura, aperto ai valori terrestri della vita umana, considerata invece dagli integralisti religiosi come un prodotto del “Dio del male” e quindi da rifiutare fino al suicidio; -la comunicazione socio-politica che sotto l’aspetto di disputa teologica rappresentò lo scontro fra i fautori del nuovo -la nuova arte del commercio imprenditoriale e capitalistico senza confini- ed i difensori un po’ nostalgici ed un po’ utopistici di un mondo solidale ed a dimensione umana. Approfittando della debolezza dell’Impero ed in assenza di strutture statali solide ed autorevoli, erano state le città, Venezia in testa a partire dal secolo XI, a dare impulso alla prima forma moderna di globalizzazione, mettendo in contatto il mondo dell’Europa occidentale con il mondo bizantino e musulmano, e poi con l’estremo Oriente. I Comuni e le città marinare dettero slancio al commercio, crearono una coltura mercantile fondata sui valori terreni del coraggio, dell’intraprendenza e del rischio, preparando così l’Umanesimo e il Rinascimento che mettevano l’Uomo, e non più Dio, al centro della storia. La nuova cultura del rischio –non solo economico, ma anche politico ed artistico- ebbe l’effetto di provocare nei “vincitori” della nuova competizione e dinamica sociale un aumento della fiducia in sé e, parallelamente, un aumento di insicurezza nei “perdenti” che si traduceva in rivolte distruttive, autoemarginazione, delegittimazione del nuovo ordine. Così, di fronte agli stessi stimoli economici, politici e culturali che si riscontrano nella odierna globalizzazione, gli antenati dei Black Bloc reagirono allo stesso modo dieci secoli fa. Per quasi due secoli essi mantennero incerto lo sviluppo dell’Occidente, diffondendosi dalla Bulgaria alla Spagna, dall’Inghilterra all’Italia centrale, raggiungendo la massima concentrazione in Francia, nelle Fiandre, nella Germania e nei Balcani, questi ultimi già allora terre di forti contrasti etnici e religiosi. Allora non c’era Internet, ma questi gruppi comunicavano facilmente muovendosi da un capo all’altro dell’Europa, approfittando dei loro mercanti. Allora non c’era la televisione, ma le frequenti dispute nelle piazze fra eretici e gli inviati della Chiesa diffondevano le loro teorie. Gli eretici accettavano e cercavano il dialogo perché era un’occasione per diffondere i loro slogan: contro la Chiesa ed il clero per il loro lusso, contro la proprietà privata e la ricchezza, contro le autorità repressive e la loro giustizia. E’ proprio vero, “niente di nuovo sotto il sole” ! La storia ci racconta come andò a finire. Dopo un secolo di dibattiti, ci fu una Crociata contro gli eretici, ma ci volle un altro secolo per estirpare l’eresia difesa dai nobili che si opponevano alla spinta omogeneizzante delle monarchie nazionali. Se si fa attenzione agli slogan degli antiglobal dei nostri giorni, si può pensare che l’eresia riemerge dopo essere sprofondata nel subconscio collettivo e dopo il fallimento del progetto marxista. Nelle polemiche di quell’epoca lontana si raggiunsero toni forti e non mancò la violenza, come oggi. E come oggi gli antiglobal medievali si distinguevano in moderati e violenti. Il problema che si ponevano è quello che attraversa tutta la storia: perché nel mondo ci sono il male e la sofferenza. In termini di G-8 di Genova: come combattere la povertà, la malnutrizione, le malattie, come diffondere i prodotti positivi dell’ingegno umano. Il parallelo storico tra due epoche distanti che presentano però analogie servono a far notare ed evidenziare che, sia i fenomeni di globalizzazione che quelli della loro opposizione, devono essere studiati nelle loro radici affinché i mutamenti che costituiscono l’essenza stessa della storia siano sempre più percepiti con lungimiranza e capacità previsionale. Tutto ciò, probabil-mente, non porterà all’armonia fra i popoli, ma accrescerà la comprensione dei fenomeni accelerando la lenta marcia verso la loro gestione razionale. E’ evidente l’urgenza di una presa di coscienza, finalizzata al tentativo di capire quale sarà il nostro futuro, come recita il saggio: “Chi è ragionevole può apprendere, attraverso un percorso storico del passato e l’esperienza di altri contesti, come trovare la strada giusta da prendere, come se sulla sabbia trovasse le orme di qualcuno che è passato prima di lui. Studiate la storia delle culture antiche. Gli antichi hanno lasciato testimonianze di silenzio interiore, radiosità, benedizione e bellezze, mentre le popolazioni future seguiranno la via della malattia e della morte. Le nuove generazioni svilupperanno armi di distruzioni più terribili rispetto alle precedenti, e questo processo non si potrà fermare perché gli uomini saranno diventati schiavi della loro stessa paura. Noi stiamo per entrare in un’epoca nuova, in cui verranno posti in discussione nuovi fini, nuovi valori e dove emergeranno con prepotenza nuovi temi politici. La posta finale del XXI secolo è il governo mondiale. La sua natura, la sua filosofia, i suoi protagonisti, tutto è in gioco.” I temi trattati suggeriscono altre considerazioni di carattere generale, relativi alla storia del secolo appena trascorso. Il Novecento è stato un secolo che nel suo decorso storico ha conosciuto la nascita ed il dissolvimento di regimi totalitari di massa, ma per contro anche la nascita e lo sviluppo di sistemi democratico-rappresentativi. In questo senso esso ha rappresentato una tappa fondamentale nella evoluzione del pensiero politico in genere, che è giunta in più di qualche caso alla individuazione di soluzioni alternative, le quali pur rielaborando schemi istituzionali consolidati sembrano sempre di più affermarsi come proposte alternative al «dogmatismo ideologico» da un lato e all’«utopismo democratico» dall’altro, al punto da configurare il Novecento come il secolo della «Terza Via». Il dibattito interno alla Sinistra negli ultimi anni del secolo sembra riproporre da diversi punti di vista le critiche ed i tentativi di rinnovamento ideologico del marxismo tradizionale che la Scuola di Francoforte cercò di realizzare, ad opera dei suoi maggiori esponenti (Adorno, Marcuse, Horkhei-mer), nella prima metà di questo secolo; un tentativo che andava anch’esso nella direzione di una proposta di «Terza Via» tra Totalitarismo e Capitalismo, attraverso una rivisitazione di concetti come quello di classe o egemonia, nonché mediante la critica al centralismo partitico. La Scuola di Francoforte, nella ricerca di una nuova strada nell’interazione tra il livello economico e quello politico-culturale della vita sociale, ha sottolineato in maniera più diretta il coinvolgimento degli individui nella crisi, derivante proprio dalla esasperazione del momento economico nei rapporti sociali. La soluzione che la Scuola prospetta per questo tipo di problematica è ancora una volta la ricerca di una mediazione tra più e diversi punti di vista, che sfoci nell’accettazione di quello che consensualmente sia ritenuto in generale il più convincente. Il Novecento è stato terreno di lotte ideologiche; alcuni l’hanno interpretato come lotta mortale tra dittatura e democrazia, fra ideologia di tipo totalitario (fascismo, nazionalismo, comunismo con le loro più recenti variazioni terzomondiste) e la democrazia liberale (considerata spesso quasi una non-ideologia o quantomeno la più pragmatica delle ideologie ovvero la meno ideologica, sicuramente la meno intollerante, anche se è proprio con la Rivoluzione francese, dalla quale scaturisce la democrazia liberale, che si inaugura l’era delle ideologie e dei totalitarismi moderni attraverso le pretese universalistiche di quella rivoluzione). Tale lotta ruota attorno all’idea di progresso, in quanto il liberalismo è cresciuto insieme alla moderna idea di progresso, con il quale ha un rapporto realistico, concreto e razionale. Perciò ad ogni crisi del progresso o dell’idea di progresso corrisponde, secondo gli stessi, una crisi della democrazia ed una crescita delle tentazioni totalitarie, come è avvenuto fra le due Guerre con la nascita del comunismo, del fascismo e del nazismo. I totalitarismi di destra e di sinistra hanno in comune il disprezzo per la democrazia, ritenuta inadeguata a fronteggiare le enormi lacerazioni sociali prodotte dalla modernizzazione, ma si distinguono per l’atteggia-mento che assumono di fronte al progresso. Le ideologie di destra, irrazionalistiche, sono pessimiste nei confronti del progresso, non ci credono anche se lo usano (il nazismo si distinse per l’uso della tecnologia nella propaganda oltre che, natural-mente, nel settore militare). Le ideologie totalitarie di sinistra, razionaliste, almeno in origine, credono al progresso, però non a quello reale, concreto, acquisito, ma a quello a venire. Da tale impostazione ne consegue che qualsiasi critica al progresso e al razionalismo si trasforma in un attentato alla democrazia, per cui vengono messi alla berlina tutti quelli che si permettono di sottoporre a critica gli aspetti della democrazia, compresi naturalmente Horkheimer e tutti i rappresentanti della Scuola di Francoforte. Il rischio reale di una concezione individualistica ed atomistica della società, dalla quale deriva necessariamente una mera difesa della sfera privata, cioè una concezione negativa della libertà (la libertà da), a sostegno di una pratica sostanzialmente egoistica, e di una concezione del liberalismo che, abbandonando ogni fede in un valore assoluto, riconosce la validità di tutte le opinioni, è quello di preparare la strada al relativismo, e quindi allo scetticismo e all’indifferentismo. La critica conduce anche ad una contraddizione della politica odierna: se è vero che alla guida di un Paese debbano esserci, per il bene di tutti, i migliori, i più preparati, i più capaci, i più onesti, oggi in questi ultimi anni, il sistema ha naturalmente selezionato i peggiori; una perversa, darwiniana “legge di selezione naturale” all’inverso ha fatto emergere i più disonesti, i più astuti, i più facili a fare vane promesse o a lanciare proclami vuoti e roboanti al vento, quelli con meno scrupoli e disposti a qualsiasi compromesso per le due terribili divinità moderne (o di sempre?) del denaro e del potere; i migliori, gli onesti, i più idealisti, coloro che credono nella politica come una pratica che si occupi, insieme al proprio, anche del bene collettivo, non hanno fatto carriera, sono stati inesorabilmente ed automaticamente tagliati fuori dalle cogenti regole del sistema. E proprio questo che fa riflettere amaramente Corrado Alvaro: “La disperazione più grande che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere rettamente sia inutile”.
Bibliografia.
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Parte seconda: I beni dimenticati
INTRODUZIONE
Ruscelli di luce incontaminata / a tratti vento o sole in picchiata. / Fruscio di acque in discesa / su sassi dal tempo levigati. / Natura stanca e mille volte radiosa / ripetutamente attaccata…/ Ritmi sordi o cupi / nella meraviglia di un’oasi naturale. / Sospinta dall’acqua / e cullata da ombre e stridii, / l’anima va -seguendo il ritmo- / dell’asprezza dei suoi infiniti paesaggi. / (Cascate di Giovanna Alma Ripolo)
La tutela e la valorizzazione dei beni culturali (e per i beni archeologici prima ancora il portarli alla luce) oggi si scontra con una mentalità indifferente (se non ostile in certi momenti), figlia di un modello culturale che privilegia l’interesse immediato e personale, a discapito e in contrasto spesso con quello collettivo, e di un modello politico che impedisce e rende impotenti le poche figure illuminate che amministran-do avrebbero il potere di cambiare le cose. In Calabria questi aspetti negativi sono ancora di più amplificati. In pratica succede che il cultore e l’appassio-nato, che quasi sempre sono lontani dalla politica attiva, sono impotenti in quanto non hanno il potere di modificare mentalità e stato di cose, ma nelle stesse condizioni si trova il politico che volesse indirizzare fondi e risorse verso questo settore, in quanto spesso si trova isolato e in un sistema democratico come il nostro, dove contano più i numeri che le idee. Il ruolo delle Soprintendenze specifiche è analogo, in quanto espressioni della società e della mentalità dominante. Di fronte ad un patrimonio vasto e ricco, le Istituzioni insomma non riescono ad offrire tutela e valorizzazione per l’esiguità dei fondi a disposizione né, quando è possibile, sono sollecite e pronte a farlo nel migliore dei modi. In particolare sono chiare due situazioni. In primis, perché non sempre vengono “sfruttate” le possibilità di accedere ai fondi della Comunità europea per scarsa progettualità. Secondariamente, in quanto usualmente le Soprintendenze non hanno rapporti costruttivi con le altre Istituzioni e con i privati, nonostante i diffusi protocolli formali che spesso vengono firmati, nel momento in cui per lavori vengono individuate tracce di resti archeologici. I lavori vengono subito bloccati, ma le indagini non sono sempre altresì sollecite provocando lunghe attese e grossi problemi di carattere economico.
La storia urbanistica ed economica della Calabria è stata condizionata da ricorrenti terremoti, tra i quali devastanti quelli del 1783 e del 1908, e da continui eventi alluvionali. Mario La Cava, nella raccolta di articoli “I misteri della Calabria”, dice che “…troppo disastrosi sono stati i terremoti che hanno scosso la terra di Calabria, troppo violente le guerre che si sono susseguite attraverso i secoli nel Medioevo, troppo lunga la decadenza delle Istituzioni perché, insieme alla miseria che ne è nata, si siano potuti conservare i monumenti del passato. Città intere andarono distrutte, il paesaggio calabro è privo di quei solenni ricordi architettonici della sua grande civiltà greca che costituiscono la gloria della Sicilia e della Campania. I castelli dell’epoca medioevale sono in sfacelo…Dell’antica civiltà greca solo una colonna si erge impavida agli assalti dei millenni…quasi a testimonianza di quello che fu un giorno la Calabria…” Molti sono i centri collinari semidistrutti e abbandonati dagli abitanti che costruirono in zone più a valle, morfologicamente più sicuri. Quel poco che è sopravvissuto dei centri storici, che rappresentano un notevole patrimonio architettonico, purtroppo ha subito la devastazione e le offese degli uomini. Infatti tutte le amministrazioni locali degli ultimi 100 anni hanno cercato di completare l’opera di distruzione, tranne che rarissime illuminate eccezioni, attraverso una gestione approssimativa superficiale e incompetente. In merito sorprendente è l’attualità dei giudizi espressi dai viaggiatori del Gran Tour, che si avventuravano nella nostra Regione nel ‘700 e nell’800. Tutti, dall’Abbè de Saint Non a Swinburne Grant Gissing e Douglas, sono concordi nel descrivere, in contrasto con la nostalgia e il rimpianto per la grandezza del passato magno-greco, le condizioni disastrose della regione, la cattiva amministrazione della giustizia, la pessima amministrazione della cosa pubblica e del territorio. Nelle loro pagine esprimono “entusiasmo evocativo nel ricordo del passato glorioso delle città, rammarico per le misere condizioni, amarezza nel constatare l’assenza di qualsiasi efficace misura governativa per risollevarne le sorti… atto di accusa contro la disastrosa e inetta amministrazione centrale e periferica di fronte allo stato rovinoso della regione…con l’esaltazione che ciò che le altre parti del mondo hanno singolarmente di grande e bello è riunito in Calabria” (Bruno Grano). Poco è cambiato e tutto purtroppo, sotto i nostri occhi impotenti, sembra ingovernabile.
Beni dimenticati e non considerati dai poteri politici e culturali: non a caso infatti anche nell’elenco dei 39 siti italiani, su un totale di 788 a livello mondiale, che l’Une-sco considera “patrimonio dell’Umanità” da salvaguardare e da valorizzare, la Cala-bria è una delle poche regioni che non figura pur avendone obiettivamente i titoli.
Solo in questi ultimi anni si nota una certa inversione di tendenza, ma in alcuni casi ormai è troppo tardi.L’elenco di tali misfatti è lungo, come lunghi sono i tempi perché si possa formare una coscienza e una sensibilità ambientale.
Il patrimonio è vasto, il territorio è ricchissimo di beni artistici, architettonici ed ambientali. In ogni paese l’appassionato il curioso il ricercatore s’imbattono in opere “dimenticate”, dopo essere state spesso riutilizzate in modo vergognosamente improprio. L’elenco è veramente lungo.
Questa “ricerca”, esemplificativa e non esaustiva, vuole essere un viaggio devozionale nel ricco patrimonio calabrese, con particolare riguardo a quella parte della Regione che va da “Pintammati alla Valle del Neto”, dove “tra i tanti beni dimenticati, qui sono ancora di più dimenticati”.
LA ROCCA ARMENIA di Bruzzano Zeffirio
Sono tornato nell’agosto del 2003 a rivedere la rocca imponente e il borgo fantasma di Bruzzano, insieme ai soliti appassionati: i cugini Pepè Nicolino e Laura, insieme ad Antonio Ardore il vero conoscitore di storia locale dell’intera Locride. Ho visto il castello saldato direttamente alla roccia, con le sue cisterne i suoi erti camminamenti, con i vari ambienti abitativi e di aggregazione, la vista panoramica del mare delle colline circostanti dei paesi vicini, Brancaleone Superiore Ferruzzano e sotto, ad un tiro di schioppo, la nuova Bruzzano. Ho visto con piacere il tentativo di recupero conservativo delle mura, con uso però eccessivo di cemento, e lo sforzo di rendere il paese-fantasma fruibile, con la creazione di interessanti spazi aggregativi. Purtroppo ho visto che il maestoso arco di trionfo all’ingresso del paese, costruito dalla famiglia Carafa nel XVII sec., risulta abbandonato al suo destino. Crepe, scolorimento dei resti degli affreschi, la scomparsa dello stemma nobiliare lo rendono soccombente forse anche a breve termine.
Il paese è di origine antichissime. Fondata dai coloni greci, prende il nome dal promontorio bruzio e dai Bruzi che tanta parte ebbero nella sua storia e dal venticello-zefiro gentile. Dopo alterne vicende, Bruzzano pervenne, nel 1634, nelle mani dei Carafa, che lo arricchirono di strutture interessanti.
Danneggiato dai terremoti del 1783, del 1905 e del 1907, il paese venne incluso nel 1908 nell’elenco degli abitati da trasferire in zona sicura a carico dello Stato.
IL CASTELLO di Bovalino Superiore (Mocta Bubalina)
I resti del Castello sono in condizioni pietosi e nessuno sembra in grado di porre un qualsiasi interesse per un eventuale recupero. Costruito agli inizi del periodo normanno, intorno all’anno mille, su volere del Gran Conte Ruggiero I d’Altavilla, all’interno di un sistema difensivo di 17 castelli reali, il Castello subì diverse offese dagli uomini e dalla natura: – nel 1222 per un terremoto(e i danni furono riparati nel 1276 su ordine del Re); – nel 1256 per l’assedio delle truppe di Manfredi, figlio del re di Sicilia Federico II di Svevia, per colpire la famiglia Ruffo che manifestava l’intenzione di voler fare della Calabria uno stato autonomo; – nel 1288 per l’assedio del re di Sicilia Giacomo II d’Aragona, contro i nemici Ruffo che parteggiavano per gli angioini; – nel 1502 per l’assedio dei francesi del viceré di Calabria D’Aubiguy, che inseguivano le truppe aragonesi di Ugo De Cardona, rifugiatesi prima nel castello di Bovalino e poi in quello di Gerace; – nel 1594 per l’assedio dei turchi di Sinan Bassà (Scipione Cicala), i quali diedero alle fiamme il Castello e spogliarono di tutti i loro averi gli abitanti di Bovalino; (a tale data, che ancora oggi è ricordata dai Bovalinesi, è legata la festa dell’8 settembre dedicata all’Immacolata e la nascita dell’omonima Arciconfraternita); – nel 1783 e nel 1908 per due disastrosi terremoti che colpirono in modo violento tutta la Calabria, e in particolar modo la provincia di Reggio Calabria; – negli anni ’60, quando fu abbattuta la cortina centrale per costruire la strada comunale che conduce al borgo-castello.
In un Apprezzo del Tabulario Pompeo Basso del 15 marzo 1586, il Castello di Bovalino Superiore risulta non ancora del tutto completato e viene descritto con tre torri chiamate “balovardi”, il fossato con il ponte “de legname” e tante “stantie” con carcere interno. Una quarta torre presente nel progetto di allora non fu mai realizzata.
Sulla Torre prospiciente la piazza sono stati scoperti dei disegni fino ad ora mai notati perché celati da un folto rampicante. Si tratta di diverse barche del tipo di quelle costruite nel ‘500 e s’ipotizza che rappresentino il racconto della partenza della galea, che Bovalino Superiore armò per partecipare alla battaglia di Lepanto nel 1571. Alla battaglia parteciparono anche gli zii del martire bovalinese e padre gesuita, morto in Giappone, Camillo Costanzo, e che fecero ritorno vittoriosi proprio in occasione della nascita del nipote nel 1572. Al di sopra dei disegni è indicata una data non chiaramente leggibile (1571? 1971? 1991?).
LA CHIESA DI S. MARIA DELLE GRAZIE E DEL SS. ROSARIO di Bovalino Superiore
La Chiesa, ancora esistente ma in condizioni degradati e senza tetto, collocata nel borgo dello Zopardo dove sorgeva la porta di terra del Castello, è probabilmente d’epoca angioina (1256-1435) in base alla sua struttura e al suo orientamento secondo il rito greco, con rifacimenti d’epoca rinascimentale. La data del 1581, riportata in una pietra del muro esterno, si riferisce alla cappella di Santa Maria della Vittoria o Madonna del Rosario, costruita 10 anni dopo la battaglia di Lepanto, alla quale parteciparono tre zii materni del Beato Camillo Costanzo. (Dopo qualche secolo la cappella fu dedicata alla Madonna delle Grazie e l’altare maggiore alla Madonna del Rosario).
La Chiesa è orientata a mezzogiorno e vi si entra per due porte, una grande e l’altra piccola verso scirocco. In corrispondenza della porta principale, all’interno c’è l’altare maggiore di stile romanico a due gradini, dove fino al 1581 era situata la statua della Madonna delle Grazie. In corrispondenza della porta piccola c’è una cappella con altarino, dove era riposto il quadro del SS. Rosario sostituito in questo secolo dalla statua del Rosario, conservata nella chiesa matrice ed acquistata a Napoli nel ‘700 da suor Girolamo Morisciano. Le corone d’argento della Madonna del Rosario, donate dall’avv. Vincenzo Ruffo e D. Girolamo Spagnuolo, furono sostituite recentemente da quelle offerte dal dott. Giovanni Ruffo, opera dello scultore Rosario La Seta.
Di grande valore artistico, oltre alle decorazioni in stucco interne e gli affreschi sopravvissuti, è il portale ogivale, d’impronta gotico-romanica del ‘400, ma di gusto siciliano, proveniente da antica chiesetta del Castello feudale e dichiarato monumento nazionale, in pietra tufacea dura, con bassorilievi di tralci di vite sulle spalle dell’arco, rose, un’aquila e puttini stilizzati sull’archivolto. Ai lati del portale nicchiette emicicle ad archetto, decorate da conchiglie litiche sul quarto sferico.
La Chiesa, chiusa al culto da diversi anni, rimane da tempo in un completo stato d’abbandono: il tetto è quasi del tutto crollato e con esso la maggior parte delle decorazioni in stucco e gli affreschi che lo abbellivano. Le due, conservate ancora, appartenevano al Convento di Santa Maria del Gesù e raffigurano S. Vito e S. Aloe l’una e i SS. Cosma e Damiano l’altra: dimensioni 40×30 e 30×22.
La Chiesa era di patronato della Confraternita omonima, come si evince dalla Bolla del Vicario Generale abate Carlo Migliaccio, al tempo del vescovo Stefano Sculco sotto la data del 1° maggio 1676; e possedeva molti beni e diverse case nell’abitato di Bovalino, che venivano amministrati da un procuratore.
Questa chiesa sta seguendo la sorte di altre opere che, nel territorio, sono sopravvissute alle invasioni, alle intemperie e ai cataclismi, ma non hanno potuto evitare i danni causati dall’insensibilità e dall’imperizia delle Amministrazioni locali degli ultimi cento anni (castello, convento, torre Scinosa e l’elenco è purtroppo lungo).
IL CONVENTO DI S. M. DEL GESU’ O S. M. DELLA CONSOLAZIONE di Bovalino Superiore
Per questo Convento non si può parlare di “bene dimenticato”, in quanto l’opera devastatrice dell’uomo ha fatto di più, lo ha raso al suolo riutilizzando l’abbondante materiale in altre costruzioni. Oggi al suo posto è presente una piccola fabbrica per la produzione del gesso.
Sull’anno della costruzione del Convento vi sono diversi indizi o indicazioni: a) Il 1508 come attestava una bolla di papa Giulio: “Confirmatur erectio conventus S. Mariae Jesu, oppidi Bubalini, Hierace N. Dioc., pro fratibus ord. De Obs., a Thoma Merula Fundati. D.1508” (Si conferma l’erezione del convento di S. Maria del Gesù, nella città di Bovalino, in diocesi di Gerace, per i frati dell’Ordine degli Osservanti, fondato da Tommaso Merula –Marullo?- Anno del Signore 1508). b) Il 1512 come attestava la scritta su una pietra del convento: “Don Tomasius Merulla comes Qondoioannis et ejus uxor domina Dianora Staiti fundaverunt 1512” (Don Tommaso Marullo conte di Condoianni e sua moglie Dianora Staiti fondarono nel 1512). c) Il 1602 a spese di mercanti genovesi, i quali, correndo pericolo nel mare antistante, fecero voto che se arrivati a terra sani e salvi avrebbero eretto un convento, e così fu. E l’opera fu affidata al conte Tommaso Marullo.
I primi ad abitare nel convento furono i francescani minori osservanti, sostituiti poi nel 1570 dal Papa Pio V con i francescani minori riformati.
Nel 1665, i frati minori donarono alla statua della Madonna dell’Alica di Pietrapenna-ta due corone d’argento del XVI sec., in lamina a sbalzo con fitto ornamento decora-tivo. Qualche studioso ipotizza invece che la stessa statua fu data in dono dagli stessi frati, sempre nel 1665.
Nella Chiesa del Convento si conservava la rinomata immagine dell’Epifania di Nostro Signore Gesù Cristo dipinta dal Reni, e poi trasportata nel Museo borbonico di Napoli, come risulta dal Bollario del vescovo Pellicanò.
Nel 1810, durante l’occupazione militare francese, il Convento fu soppresso; fu ripristinato nel 1822, ma abolito definitivamente nel 1866. Rimasti alcuni frati per la custodia della Chiesa del Convento, il clero di Bovalino curò le celebrazioni domenicali e le altre feste religiose: il 2 agosto festa della Pizzongula (la Porziuncola); l’11 agosto la festa di Santa Chiara ed il 4 ottobre quella di San Francesco di Assisi. Nel 1908, a causa del terremoto, la chiesa venne chiusa al culto ed i frati allontanati; però, a seguito delle proteste dei fedeli di Bovalino e di Benestare, l’arciprete Saverio Pelle fece un altarino e le sante messe festive e le varie feste continuarono fino al 1919.
Facevano parte dell’arredo sacro un crocifisso ligneo, opera di Fra’ Umile da Petralia del XVI sec., e l’altare maggiore in legno intarsiato, trasferiti poi nella chiesa matrice.
I resti del convento furono rasi al suolo per la costruzione di un oleificio, oggi convertito in fabbrichetta per la produzione di materiale edile, mentre le vecchie cisterne furono utilizzate dopo il 1908 dal Comune di Bovalino e Benestare come luogo di sepoltura dove i morti erano gettati attraverso una botola. Nel convento visse il Beato Mazzacara di Bovalino.
IL CROCEFISSO di Bianco
E’ un borgo che prende il nome dalla presenza di un crocefisso in pietra, che riporta la data del 1639.
Il crocefisso distrutto recentemente da un balordo del posto, è stato ricostruito da alcuni abitanti “sensibili” locali. Un altro crocefisso è stato soppresso perché intralciava la costruzione di un’abitazione privata. Ma il “pezzo” più interessante è rappresentato dai ruderi del Convento di Santa Maria della Vittoria costruito nel 1622. Dai pochi resti si intuisce la grandezza e la maestosità della costruzione.
L’inizio del degrado risale al 1861, quando l’esercito piemontese, nel tentativo di catturare i “briganti”, che in effetti erano legittimisti spagnoli guidati da Josè Borjes, non esitò ad incendiare il convento, all’interno del quale gli stessi si erano rifugiati. (L’episodio è da inserire nel contesto della violenta repressione operata dal Governo nei confronti dei “briganti” che si opponevano al nuovo Stato unitario. Solo nei primi nove mesi di questa “guerra” l’esercito distrusse nel Meridione quattordici paesi e centinaia di fattorie agricole e uccise 2° uomini.
Da un anziano abitante del posto si apprende che per molti anni sia i privati che l’Amministrazione hanno riutilizzato il ricchissimo materiale della poderosa struttura; la strada e le fondamenta di alcune abitazioni racchiudono pietre e materiale edilizio del Convento. Quel che resta viene attualmente utilizzato come ovile e al muro perimetrale più importante sono addossate delle porcilaie. Nei pressi del Convento esiste un cimitero dirupo con tombe aperte e spargimento di ossa, senza che nessuno intervenga in nome della pietà cristiana e delle norme igieniche previste per le tumulazioni.
Tranne qualche interessamento verbale in periodi particolari in cui si promettono mari e monti, le Amministrazioni che si sono succedute non hanno mai provveduto a salvare il salvabile, anzi hanno contribuito alla sua completa distruzione.
Il Crocefisso è un borgo nel Comune di Bianco, il cui nome è legato alle bianche colline argillose che fanno da cornice al paese, il quale ha una struttura urbana che corre sulla statale 106. La storia del paese risale alla colonizzazione greca del territorio della Locride. E’ per tradizione un paese di pescatori ed è rinomato per la produzione del “vino greco” riconosciuto D.O.C. con D.P.R. del 18 giugno 1980 e definito “nettare degli Dei”. Di interesse per il visitatore le tante chiese custodi di opere d’arte quali le statue di S. Caterina d’Alessandria del 1530 o, conservata presso il Duomo di “Tutti i santi”, il santuario della Madonna di Pugliano (1500-1600), venerata e patrona, alla quale è dedicata la festa di Ferragosto. Nel sito antico della borgata Pardesca sono presenti i resti della Chiesa di S. Maria del Soccorso, localizzata in un contesto paesaggistico di notevole bellezza.
La facilità di accesso ai ruderi rendono più amara la considerazione che essi potrebbero essere inseriti in un itinerario culturale, insieme ad altri beni presenti nella zona, come la Villa Romana di contrada Palazzi di Casignana, la Chiesa bizantina di S. Maria Tridetti di Staiti e i resti di Precacore a Samo.
Son tornato per le strade/ verso Bianco Samo e Casignana, / con occhi nuovi e adulti / ho rivisto –dopo tanti anni- / i grandiosi resti di contrada Palazzi / che tardano a mostrarsi completamente / tra l’indifferenza dei viaggiatori distratti / e la vivace cittadina dal nome lucente / e l’antica festa d’agosto /che tenta di scrollare pregiudizi / sonnolenza apatia e delinquenza / per affermare briciole di esistenza / e di presenza nella storia di tutti i giorni, / ai margini di una strada / tanto amata e tanto odiata./ Son tornato per le strade / verso Bianco Samo e Casignana / con occhi nuovi e adulti / ho rivisto –dopo tanti anni- / le colline calanchifere e assolate / uniche nella produzione ridotta e artigianale / del vino caro agli antichi Greci, / la quiete e isolata Pardesca / e il crocifisso che dall’alto / con infinita comprensione / osserva i lavori mai finiti / su una strada senza progetto / e l’umana follia di uomini burattini / che scandiscono con rinnovato orgoglio / il tempo che chiamano delle grandi occasioni. / Son tornato per le strade / verso Bianco Samo e Casignana, / con occhi nuovi e adulti / ho rivisto –dopo tanti anni- / la suggestiva Samo dai segni mitici / i resti di Precacore / il piccolo anziano padre /nel misero convento / che media e promuove le adozioni a distanza, / i paesi che videro la prima scintilla / di un risorgimento calabrese / e in tempi più recenti / con affollata e isterica parteci-pazione / il desiderio di miracoli e di visioni / nelle terre contigue di Sant’Agata e Caraffa./ Son tornato per le strade / verso Bianco Samo e Casignana / con occhi nuovi e adulti / ho rivisto –dopo tanti anni- / i luoghi che mi davano emozione / mentre la lunga processione del santo francese / nell’afa di una giornata da solleone / percorreva tutte le stradine di Casignana / per dispensare rimedi e raccogliere fondi / spillati sulle indiscrete e colorate stole,/ con piacere ho fotografato le zone risrutturate / la piazzetta accogliente il bellissimo ingresso / e la Chiesa dagli erti scalini sempre più consumati, / il pensiero è corso a La Cava / che ai “fatti” di questo paese / diede fama lustro e toni epici./ Lassù le colline / sfilacciano i calanchi / le strade franose / che costeggiano terreni non sempre coltivati, / e mentre imprecisa / è fra gli uomini / l’affermazione dei diritti / e l’esercizio dei doveri, / l’anziano padre di numerosa famiglia / scruta ormai vedovo e solo, / assistito da ucraine dagli occhi celesti / con la mente affossata nei ricordi / dalla prua di ferro protesa / verso la marina e le sonnacchiose fiumare, / l’orizzonte culturale sempre più / limitato e lontano
ITINERARIO ARTISTICO-AMBIENTALE NEL TORRENTE TRE CARLINI – Ardore –
L’itinerario suggerito non ha grosse difficoltà logistiche, l’escursione è una buona passeggiata ma ricca di visioni e suggestioni.
Il torrente indicato si trova nel Comune di Ardore, centro situato nel versante orienta-le dell’Aspromonte sul crinale di un dosso collinare che digrada verso la costa ionica.
Il paese fu casale di Gerace fino al 1555, poi baronia di varie famiglie fino al 1806. Subì seri danni durante il terremoto del 1783. Vi si trovano i resti del castello feudale (XV-XVII sec.) e un sarcofago romano (III sec.) nella Chiesa di San Leonardo. Interessante il Santuario della Madonna della Grotta (XVI sec.), incastonato in un paesaggio mozzafiato a pochi chilometri dalla costa, con statua di Madonna con Bambino della Scuola del Gaggini ed un altare con marmi policromi del 1571. (Nota aggiuntiva: il complesso è stato interessato da due eventi franosi nel maggio 2004, che hanno cancellato chiesa e zona d’accesso, senza fare per fortuna vittime. La statua è stata fotografata intatta all’interno delle rovine. L’augurio è che il Santuario possa essere ricostruito nello stesso posto e non diventi, come i pessimisti paventano, anch’esso un “bene dimenticato”). Ardore Marina, che si è sviluppata sul litorale, completa il quadro con le sue attività commerciali e di turismo balneare.
Il vallone Tre Carlini, che nasce dai rilievi di San Nicola d’Ardore, nella parte terminale è incastonato fra le zone di Varcima Sangianni Guardiola Piccolo e Fruscillo. Ha le caratteristiche delle fiumare calabresi, in piena solo nel periodo delle piogge, secco e percorribile in estate. Risalendo all’altezza del ponte della statale 106, s’incontra subito la chiesetta della Madonna della Marina, di recente restaurata con gusto sobrio… Superato il ponte del Dromo, l’antica strada romana con l’importante stazione di posta nei pressi situata all’incrocio di Schiavo, nella zona tra Sangianni e Varcima c’è una serie di interessanti reperti: – una maestosa quercia centenaria sospesa sull’argine, sconvolto da una recente alluvione, con parte delle radici sospese nel vuoto mentre lotta per la sopravvivenza combattendo con vento e pioggia; – i resti di una fornace, caricata ma crollata, d’epoca incerta come l’altra che si trova nei pressi del canale di Sangianni; – due “sene”, che erano situate nella zona più ricca d’acqua e attrezzate per la raccolta del prezioso liquido, in condizioni disastrate, ma con elementi strutturali che denotano l’efficienza la funzionalità e l’intelligente progetto; – la serie di grotte, che servivano negli anni della guerra, da ricovero durante le incursioni aeree, nella zona più spettacolare dell’intero corso del torrente, sagomata dal vento e dalle acque come i canyons americani; – una collina ricca di reperti fossili nella zona di Serro Castello, in posizione dominante il vallone Sciò laddove si collega e immette nel torrente Tre Carlini; – una serie di “catusi” in contrada Baracalli, un sistema intelligente per attingere l’acqua dalle falde acquifere di cui è ricca la zona. Alla base di una collina si intercettavano le vene più ricche di acqua, che venivano fatte defluire attraverso un cunicolo, lungo pochi o molti metri in base alla necessità, fatto di pietre e malta con una chiusura a cappellina per smorzare la tensione del peso del terreno soprastante. Alla base del “catuso”, che aveva dimensioni tali da poter far passare una persona “leggera e piccola” per le pulizie annuali, veniva costruita una vasca detta “cebbia”, che riceveva l’acqua per caduta e che attraverso un foro, praticato all’altezza del fondo e regolabile con lo spostamento di un pezzo di legno che fungeva da tappo, veniva poi utilizzato per l’irrigazione dei campi sottostanti. Un sistema ingegnoso che permetteva di utilizzare l’acqua non solo per scopi irrigui ma anche potabili, in quanto la mancanza di uso di anticrittogamici e altri medicinali che oggi vengono usati in grande quantità, rendeva l’acqua batteriologicamente pura con una manutenzione continua per evitare ristagni e formazione di impurità. L’odierno uso di altre tecniche irrigue ha reso inutilizzabile questo sistema, dinnanzi al quale ancora si rimane affascinati per la tecnica originale e intelligente.
IL MONTE VARRARO tra Ardore Benestare e Bovalino
La bellezza vicina spesso è sconosciuta, è misconosciuta, è sottovalutata, non è consi-derata. Il monte Varraro è veramente bello: per la sua posizione dominante tutti i paesi che vanno da Capo Bruzzano a Roccella, tutti i paesi incastonati alle pareti dell’Aspromonte da Cimino a Gerace a San Luca a Natile Vecchio, da Casignana a Ferruzzano Vecchio e tutte le balze aspromontane da Petra Cappa alle Pietre di Febo e Castello; per il suo querceto; per i panorami mozzafiato e riposanti nello stesso tempo. Sul monte Varraro ci sono i resti di un cenobio basiliano sul quale esistono pochissime notizie. La sua esistenza è legata alla figura di un certo Teodoro, il quale andò a vivere proprio sul monte Varraro, con altri fuggitivi, dopo l’incendio di Bovalino operato da Scipione Cicala (Sinan Bassà) l’8 settembre 1594. Il cenobio dopo la morte di Teodoro, in odore di santità, prese il suo nome. I pochi resti si riferiscono ad un angolo di muro, ad un seminterrato che si ipotizza sia una cisterna per la raccolta di acqua piovana perché dotata di un impianto di canalizzazione ma che i pochi abitanti del luogo chiamano “la tomba del prete”, ad una cinta muraria con i lati più lunghi di circa 300 metri.
Le vie di comunicazione sono difficili: ci sono diverse strade in terra battuta ma in condizioni disastrate che collegano Varraro a Careri, Benestare e San Nicola d’Ardore che si dividono il territorio interessato. In queste condizioni l’utilizzo del territorio, sia a scopi agricoli che turistici, è inesistente. E’ da aggiungere che una parte del territorio di Benestare sembra sia stato ceduto, in data non definibile, da questo Comune a quello di Bovalino in cambio di una striscia di terreno vicino al mare, corrispondente all’attuale piazza G. Ruffo. Ma, mentre gli uffici comunali di Bovalino sono in grado di dimostrare il possesso del territorio di Varraro, altrettanto non riesce a fare il Comune di Benestare………
Il nome Varraro è una corruzione di verraro, cioè terra dei verri e maiali che trovavano abbondante nutrimento delle ghiande dell’immenso querceto.
I MONUMENTI DI PIETRA di Campana
Non si sa da quanto tempo siano lì, certamente da almeno duemila anni, i due colossi di pietra, l’elefante ancora in buone condizioni alto m. 5,50 e il guerriero che ha perso diversi pezzi alto m. 7,50. Sembrano a guardia di un passaggio, un varco da controllare, in una zona alta 700 metri sul livello del mare,che ha visto il passaggio degli elefanti di Pirro e Annibale, a metà strada tra le due antiche città della Magna Grecia, Sibari e Crotone. La cosa strana è che, nonostante la loro visibilità continua per tanti anni, sono stati “scoperti” solo nel 2002, come dicono le cronache, dall’architetto Mimmo Canino, ed ora vengono studiati tra gli altri presso l’Università della Calabria. In effetti erano conosciuti nel passato, come afferma il prof. Giovanni Cimino, socio ordinario di Italia Nostra, accademico casentino (è fra i soci fondatori dell’Accademia montaltina degli Inculti): il Padula li definì l’”Incavallicata” e in una Tavola del 1655 raffigurante la Calabria Citra, un tempo Magna Grecia, pubblicata ad Amsterdam da Joan Blaen, chiamati “Coso dello gigante”. Lo stesso Cimino ipotizza trattarsi di un monumento funebre dedicato a un elefante da guerra che simboleggiava anche la cavalcatura del re.
IL CONCIO di Isola Capo Rizzuto
Nella località S. Pietro intorno alla vallata del Tripani, poco distante dall’aeroporto di Sant’Anna, uscendo dalla statale 106, attraverso un lungo viale costeggiato da un filare di cipressi si raggiunge un palazzo maestoso dalle forme rigorose e pure. Il corpo centrale è costituito da una torre a base tronco-piramidale; situate agli spigoli, 4 torrette angolari. L’ingresso, al primo piano, è raggiungibile tramite una scala esterna collegata alla torre attraverso un ponte. E’ ipotesi accreditata che in origine esistesse solo la torre centrale, che, insieme alle altre presenti in zona collegate visivamente tra di loro, faceva parte del sistema difensivo approntato da Carlo V per proteggere le coste ed i centri dell’entroterra dalle incursioni turche. Le modifiche apportate, per sopravvenute esigenze, risalgono al periodo in cui si costruisce, intorno al 1850, uno stabilimento per la concia della liquirizia per iniziativa del barone Barracco. La scelta della zona, detta da allora “il Concio”, fu motivata dalla presenza della sorgente d’acqua che forniva l’energia necessaria alla produzione. Il prodotto, esportato in America Inghilterra e Russia, era pregiato tanto da ottenere la medaglia d’oro nel 1867 all’esposizione di Parigi e quella d’argento a Torino nel 1884. Lo stabilimento, che dava lavoro a diversi operai, chiuse nel secondo dopoguerra, per ironia della sorte, al tempo della riforma agraria, che era nata per dare impulso alle attività agricole, ma che alla fine si dimostrò uno squallido carrozzone politico.
Oggi il Concio ci appare abbandonato e diruto, con le sue ciminiere che ancora si ergono alte, con i resti di quelli che prima erano i magazzini e le case dei coloni e con la chiesa antichissima di S. Pietro che va in rovina. Solo il palazzo, nell’ultimo decennio, è stato restaurato e utilizzato convenientemente come struttura espositiva di prodotti agricoli e artistici. Purtroppo solo per breve tempo; oggi, per l’incuria di chi gestisce il manufatto, come spesso succede dalle nostre parti, appare di nuovo abbandonato, pur mantenendo l’aspetto maestoso e fascinoso.
TIRITONDO di Papanice
Di datazione incerta, riportata dal cartografo Rizzi Zannoni (1736-1814), era una torre di difesa di forma circolare, di modeste dimensioni (diametro 6 metri ) e di modestissimo spessore (60 centimetri), forse con funzioni rurali o per appostamento di caccia, unica nel territorio di Crotone, di origine aragonese o normanna per tipolo-gia. Fino a qualche anno fa in discrete condizioni, oggi si conservano miracolosamen-te solo le mura esterne, mentre il tetto è franato; è in pieno abbandono. Si trova a circa un chilometro dal bivio della SS.106, lungo la strada che porta a Papanice. E’ di proprietà di privati per nulla sensibili a problemi di recupero e di estetica. Alla fine dell’ottocento apparteneva alla famiglia dei Baroni Olivieri e da questi passò alla famiglia Morelli. Lo Sculco riferise che era già mozza ed adattata a casa colonica. In questo periodo sulla collina vi erano considerevoli resti che, si tramandava, apparte-nessero ad un antico tempio greco, probabilmente dedicato alla dea Vittoria. Furono poi demoliti ed il materiale usato per costruzioni di nuovi edifici nel fondo stesso. Rimanevano però due pozzi con vaschette antichissime. E’ nota col nome di Torre Tonda, trasformata in Tiritondo, che dà tra l’altro il nome alla contrada circostante.
IL CASTELLO di San Fili
E’ situato su una collinetta prospiciente il mare di Stignano. Sorto nel Cinquecento come struttura difensiva e modificato a fini residenziali dai feudatari del luogo, l’edificio, a pianta triangolare con torrioni sui tre angoli, rappresenta un caso singolare di residenza di campagna, con riferimenti e richiami esoterici. Allo stato attuale risulta abbandonato a se stesso, anche se nel 1966 è stato inserito da Legambiente nel gruppo dei monumenti italiani da salvare.
LA “PIETRA DEL TESAURO” di Strongoli
E una “pietra” misteriosa, assolutamente abbandonata ma “miracolosamente” ancora in piedi, mai completamente ed esaurientemente studiata. Si trova in località Pizzuta di Strongoli, lungo la strada che dal bivio SS 106 nei pressi del ponte del fiume Neto, porta a Rocca di Neto, Casabona e Strongoli. Ha la forma di tumulo o mausoleo a forma di parallelepipedo, per l’edilizia e il materiale di epoca romana, inaccessibile nella parte interna se non con uno scavo devastante. Le ipotesi sono tante; si pensa, tra le altre, che sia sepolto un tesoro. La più accreditata la ritiene la tomba di Marcello, morto secondo una leggenda locale combattendo contro Annibale, in località Pietra della Battaglia che da questo avvenimento poi avrebbe preso il nome.
IL NANIGLIO di Gioiosa Ionica
E’ il bene, tra i considerati, senz’altro il più bistrattato: oltre ad essere dimenticato e in condizioni di abbandono, è giornalmente violentato dal passaggio di automobilisti ignari e non consapevoli del danno che procurano. Infatti le volte del Naviglio sono costrette a sostenere il “peso” della strada che collega Gioiosa alla Marina. Non dure-ranno ancora molto, nelle attuali condizioni precarie, i resti di questo grandioso ser-batoio d’acqua appartenuto a un complesso termale annesso ad una delle tante ville romane dislocate sulla via Dromo o nei suoi pressi, in posizione amena e funzionale, come quella presso Schiavo di Ardore (saggiata e subito coperta) o come l’altra più interessante di contrada Palazzi di Casignana, soggetta, per fortuna e con gioia degli esperti, a indagini e a lavori di scavo per il recupero totale dei resti molto interessanti.
I PAESI GRECANICI
E’ una zona ben delimitata quella dei Paesi Grecanici. Sorgono tutti nel territorio attraversata dalla fiumara Amendolea, dal letto sassoso e biancastro, con effetti di contrasto marcato di colori con i paesaggi circostanti dall’aspetto spesso desolata-mente brulli e primitivi, ma a volte verdeggiante per la presenza di uliveti o di boschi misti di querce e di pini. E’ una zona ben delimitata, abitata da piccole comunità che hanno sviluppato il senso dell’accoglienza, trascurate, nonostante una recente legge che tutela le minoranze linguistiche non adeguatamente applicata. E’ una zona abitata da una minoranza che non è mai stata ricca materialmente, ma che lo è sempre stata culturalmente, un popolo dotato di uno straordinarie doti e capacità umane. I paesi interessati, dove ancora si tramanda oralmente la lingua greca e tutte le indicazioni hanno la doppia lingua, sono Condofuri, Gallicianò, Roccaforte del Greco, Chorio, Roghudi, San Lorenzo e Bova, che è il centro più abitato più frequentato più vicino al mare, pur essendo a 820 m. sul livello del mare. Di questi i più “interessanti” sono Roghudi, disabitato e spettrale, in posizione di grandissimo effetto scenografico, arroccato su una cresta lunga e articolata su vari speroni rocciosi che digradano verso la fiumara Amendolea, e Gallicianò, abitato da 20 persone, fiere ed orgogliose della loro cultura ma privi di molti servizi primari ed essenziali per le difficoltà logistiche, comuni a tutti i paesi della zona e che rappresentano il grosso vero problema per l’impossibilità di evitare un isolamento totale. L’isolamento, che ha permesso la conservazione di una lingua legata alle immigrazioni bizantine avvenute nell’undice-simo e nel dodicesimo secolo ma con agganci a una civiltà ancora precedente, oggi rappresenta l’ostacolo principale per forme di vita accettabile e rispettose di livelli qualitativi al passo con i tempi. In queste condizioni l’orgoglio e la fierezza di queste popolazioni vengono mortificate quotidianamente e la bellezza è colta solo da spiriti sensibili, come espresso dai versi di Giovanna Alma Ripolo: “Ruscelli di luce incontaminata / a tratti vento o sole in picchiata / fruscio di acque in discesa / su sassi dal tempo levigati / natura stanca e mille volte radiosa / ripetutamente attaccata…/ ritmi sordi e cupi / nella meraviglia di un’oasi naturale / sospinta dall’acqua / e cullata da ombre e stridii / l’anima va –seguendo il ritmo / dell’asprezza dei suoi infiniti paesaggi.”
LA CHIESETTA DEL SS. SALVATORE di Ardore
Della Chiesa del Santissimo Salvatore, edificata nell’omonima contrada di Ardore Marina intorno al sec. XV, rimangono pochi resti che giacciono in uno stato d’abbandono. Formata da un’unica navata aveva dimensioni ridotte e per questo l’abside era stata ricavata sfruttando lo spessore murario. La copertura, oggi inesistente, pare avesse una volta a botte. L’unico elemento decorativo doveva essere un affresco raffigurante la Madonna con in braccio il Bambino. Di questo dipinto rimangono residue tracce che il tempo sta cancellando per sempre.
LA CHIESETTA DI SAN LEONARDO di Crotone
La Chiesetta, che ha dato il nome all’omonimo rione, è sorta, per opera dei Gesuiti, sotto le mura tra il Rivellino della Conigliera e il Baluardo Don Pedro, presso un’antica porta della città detta di Milino. Dopo la costruzione delle nuove mura ad opera del viceré Don Pedro di Toledo la porta venne meno e la chiesa si trovò isolata. Probabilmente sorse come una cappelletta scavata sotto il monte di San Giuseppe nel 1500. Infatti all’interno della Chiesetta, a destra entrando, vi era una grotta, oggi ristrutturata e non più riconoscibile, ben distinta dal corpo della muratura, costruito in un secondo tempo. Nel Seicento è segnalata tra le cappelle fuori città dove vengono celebrate messe da sacerdoti del Capitolo. Le altre cappelle erano la SS. Pietà, la SS. Nunziata, San Marco, Santa Caterina e Santa Maria della Scala. L’unico altare è dedicato a San Leonardo di Limoges, prigioniero durante le Crociate (?) e quindi divenuto il Santo dei prigionieri, dei carcerati, dei fabbricanti e venditori di catene, che si ravvisano ai piedi della sua immagine. Aveva nel tempo la sua funzione poiché vi erano vicine le carceri del Castello e le carceri pubbliche (Largo Bagno) per cui sorge l’ipotesi che l’originaria cappella sia stata creata dai cappellani delle carceri anzidette, che potevano essere Gesuiti. Nella “grotta” della chiesetta vi è la statua di Santa Lucia, mentre l’immagine del Santo è sul fondo dell’unico altare. La piccola chiesa misura circa 20 mq., era oggetto di discreto culto e il Santo aveva “onori e lumi” non solo nel Rione. Infatti lungo la strada per Capocolonna vi era un’icona, che ha dato il nome di San Leonardo alla contrada; una frazione di Cutro si chiama San Leonardo; è Patrono, molto amato di Castelsilano e dei devoti dei paesi vicini che una volta accorrevano numerosi alla sua festa (6 Novembre), che lo osannavano col canto: “O San Leonardo, principe e barone, tu di noi tutti sei il protettore … ossia non solo dei Castelsilanesi, ma anche dei forestieri che lo onoravano, arrivando a piedi, dai paesi vicini. Alla fine del ‘600 vi fu trasferita la cura della Chiesetta di Santa Maria del Mare, restando sempre fuori le mura con le altre due chiesette di San Sebastiano e di Santa Caterina.
Da ricerche effettuate da Andrea Pesavento, risulta tra l’altro che il primo febbraio del 1700 fu visitata dal primicerio Geronimo Facente, insieme a quella di Santa Maria del Mare, su incarico del vescovo Marco Rama. Il visitatore nell’occasione ordinò al sacerdote Marco Antonio Benincasa, rettore della chiesa, di far rifare le immagini delle due chiese in sostituzione di quelle presenti in quanto rovinate e indecenti. L’arredo della chiesa risultava così composto: cinque tovaglie d’altare; tre avantaltari, uno di primavera fiorito novo, uno d’oropelle ed uno di tela pittato usato; due candelieri; carta di Gloria; un crocifisso di legno; una lampada grande di vetro; una campana, un campanello e un armadio di legno. Le proprietà della chiesa erano costituite dai beni del beneficio di S. Maria del Mare e San Leonardo Abbate, consistenti in ‘una gabella detta Gramati di salme sette, dalla quale ricavava, a seconda se veniva affittata a semina o a pascolo, in grano salme sette e in denaro ducati 15; un vignale nel luogo detto Milino, che dava un’entrata annua di circa otto ducati.’ La situazione non era variata di molto vent’anni dopo, durante la visita del vescovo di Crotone Anselmo de la Pena, il 14 agosto 1720. Lo stesso ordinò al rettore di celebrare la messa settimanale del beneficio nei giorni festivi e di arredare entro quattro mesi l’altare ‘di sei candelabri decenti, di alcuni vasi con fiori e di indumenti sacri’. L’arredo inventariato era il seguente: “un calice usato con sua patena, due corporali con loro palle, una borsa ed un velo d’amuer, una pianeta di color mischio usato, un camice usato, 4 tovaglie una d’orletta nuova e l’altra di tela usata con suo merletto, due palliotti uno d’amuer nuovo e l’altro d’oropelle usato, 2 coscini uno d’amuer nuovo e l’altro ordinario, un messale usato, un apparato di candelieri, carte di Gloria lnprincipio e lavabo nuovi argentati, due candelieri corta di Gloria Impr. e lavabo usati, quattro fiori di altare con sue giarre argentate, un campanello.” Dice ancora Pesavento: “La chiesa eremitica posta fuori le mura, ma nelle vicinanze del castello, fu sovente al centro di dispute tra il castellano ed il vescovo, in quanto vi si rifugiavano i prigionieri, che riuscivano a fuggire dalle carceri del castello. trovando in essa un sicuro rifugio, in quanto protetti dall’ immunità del luogo sacro. La mattina del 30 dicembre 1722 Francesco Le Rose della terra di Cutro, che era carcerato nel castello, ‘col sotterfuggio di fare il beneficio del corpo, fu portato dalla guardia a luoghi comuni di detto castello da dove si precipitò, e venne in detta chiesa’. Immediatamente il castellano, il sergente maggiore Giovanni Ramirez y Arellano, invia alcuni artiglieri ed altri soldati, che circondano la chiesa in modo da non farlo fuggire. Quindi due soldati tedeschi su ordine del loro comandante penetrano nel luogo sacro ed estraggono con la forza il fuggitivo, che è ricondotto nelle carceri del castello. Venuto a conoscenza del fatto, il vescovo della città, Anselmo dela Pena, il giorno dopo scaglia un pubblico monitorio contro il castellano, intimandogli di restituire entro tre ore il fuggiasco in mani ecclesiastiche altrimenti sarebbe stato fulminato dalle censure canoniche. Il castellano, poichè temeva molto, da fedel cristiano, le censure, ordina il giorno dopo, 31 dicembre 1722, agli stessi soldati, che avevano estratto dalla chiesa il Le Rose e l’avevano portato al castello, di prendere il prigioniero e di rifare il percorso all’inverso. Arrivati nei pressi del luogo pio, trova-rono ad attenderli l’inviato del vescovo, il cancelliere della corte vescovile e canonico Vincenzo Foggia. Qui in presenza degli astanti il Le rose dichiarò che eleggeva per suo sicuro rifugio la chiesa di San Leonardo cd il cancelliere lo prese per mano e se lo portò via nella chiesa. Durante il rettorato del sacerdote Marco Antonio Bcnincasa sorse una controversia per il possesso di un pezzo di terreno, situato ai confini della gabella di Gramati de beneficio di San Leonardo. Dopo un primo accordo la lite fu riaccesa nel l734 dal nuovo rettore, il canonico Gio. Francesco Albano, il quale cercò di impossessarsi di parte della confinante gabella Rejna, appartenente a Faustina Antinori. Nonostante un accordo tra le parti, che stabiliva dettagliatamente i confini tra le due proprietà, fatto da alcuni esperti massari, nel 1743 il canonico tentò nuova-mente di annettere al fondo Gramati parte della confinante gabella. La nuova proprie-taria di quest’ultima, l’educanda Laura Antinori, tramite il suo procuratore, rese vano il tentativo, presentando il testo dell’accordo di confinazione a suo tempo sottoscritto dalle parti e ‘per levare ogni futuro litigio’ fece costniire in muratura tra i due terreni dei pilastri, segnando così in maniera evidente i confini. Nel catasto onciario del 1743 così è descritta la chiesa: Il beneficio di S. Maria del Mare e S. Leonardo colla chiesa propria situata sotto le muraglie della città al presente del beneficiato sacerdote Gio. Francesco Albani possiede un vignale di 4 tomolate ed il territorio di Gramati di 70 tomolate ed ha come peso quello di celebrare una messa alla settimana. La situazione economica risulta immutata nel 1777 quando nella chiesa era fondato ancora il semplice beneficio di libera collazione del vescovo , di cui era rettore il canonico Gio. Francesco Albani. Alla fine del Settecento, come si rileva dal catasto onciario del 1793, il beneficio sotto il titolo di S. Maria del Mare e S. Leonardo con chiesa propria apparteneva al beneficiato il sacerdote D. Bernardo Alfi. Esso conservava il vignale unito alla chiesa ed la gabella di Gramati. Situazione rimasta immutata nel 1795. Allora il luogo su cui era posta la chiesa rurale era particolarmente solitario, specie di notte quando le porte della città erano chiuse. La chiesa era infatti situata tra le mura della città, la chiesa di Santa Caterina, la spiaggia ed il porto. Nelle sue vicinanze passava una via utilizzata dai contrabbandieri. Col pretesto di impedire il contrabbando, il proprietario del vignale, attraverso il quale la strada passava, ottenne di impadronirsene e di poterla sbarrare con fossi e mura di pietra.
La vita di San Leonardo. A partire dall’XI secolo, San Leonardo occupa un ruolo assai rilevante nella devozione popolare e nel culto cristiano, anche se di lui non si hanno molte notizie certe. I primi cenni della sua vita si trovano nelle Historiae di Ademaro di Chabanne, risalenti al 1802 circa e, sempre nello stesso periodo, cominciò a diffondersi un’opera omonima, la Vita Sancti Leonardi, che presentava anche la descrizione di nove miracoli a lui attribuiti. Questa fonte però, che per secoli pretendeva di conoscere ogni avvenimento della vita del Santo, non venne considerata attendibile dai Bollandisti (i Padri Gesuiti che studiano e pubblicano le Vite dei Santi) che la giudicarono piena di leggende. Pare certo, invece, che Leonardo nacque in Gallia sotto Atanasio, l’Imperatore d’Oriente che regnò dal 491 al 518. Apparteneva ad una famiglia di nobili Franchi amici del re Clodoveo (465-511), il quale, da poco convertito al Cattolicesimo, volle fargli da padrino al Battesimo. Diventato grande, Leonardo non seguì il desiderio paterno di arruolarsi nell’esercito ma si mise al seguito di San Remigio. L’arcivescovo di Reims, infatti, avendo battezzato il re Clodoveo, aveva ottenuto di liberare tutti i prigionieri che avesse incontrato sulla strada. Pertanto, anche il giovane Leonardo chiese di poter liberare quegli infelici, e la sua fama di uomo pio e santo cominciò a diffondersi così in fretta che il re volle offrirgli gli onori vescovili che però rifiutò. Si ritirò invece nel monastero di Micy, vicino a Orlèans, dove si trovava San Massimino e anche in questo luogo si occupò degli umili e dei carcerati, mentre cresceva la fama della sua santità. Dopo la morte di Massimino, avvenuta nel 520, Leonardo abbandonò Micy e si diresse verso Limoges. Attraversando la foresta di Pavun, forse Pauvain, soccorse nel bosco la regina Clotilde sorpresa dai dolori del parto. L’aiuto e le preghiere del Santo le permisero di dare alla luce un bel bambino e Clodoveo, per riconoscenza, gli concesse una parte di quel bosco per edificare un monastero. Leonardo costruì un oratorio dedicato alla Madonna e un altare in onore a San Remigio. Quindi scavò un fosso che si riempì miracolosamente d’acqua e diede al luogo il nome di Nobiliacum o Noblac, in ricordo della donazione di quel nobilissimo re. La fama di Leonardo si diffuse rapidamente in Aquitania, in Inghilterra e in Germania. Si racconta che i prigionieri che lo invocavano vedevano spezzarsi miracolosamente le catene e molti accorrevano da lui per ringraziarlo; giunsero anche molti malati che guarivano e gli stessi parenti del Santo si stabilirono con le proprie famiglie vicino al Monastero di Nobiliacum. Nacque così Saint-Leonard de Noblat, che esiste ancora oggi, così come la fontana miracolosa. Secondo il Martirologio Romano, Leonardo sarebbe morto il 6 novembre di un anno imprecisato, probabilmente nel 599. Attorno al suo sepolcro affluirono, ben presto, numerosi pellegrini e con le offerte che essi lasciavano al monastero si costruì una grande comunità religiosa, presso la quale si sviluppò una fiorente cittadina dedita al commercio e favorita da speciali immunità. Più tardi, la diffusione della vita del Santo ne accrebbe in tutta Europa la popolarità e la devozione religiosa: sorsero così numerose chiese e cappelle erette in suo onore e il suo nome ricorre frequentemente nella toponomastica e nel folklore. San Leonardo fu particolarmente venerato durante le Crociate e fra i più devoti la tradizione ricorda il principe Boemondo d’Antiochia, fatto prigioniero dagli infedeli nel 1100. Dopo la sua liberazione, avvenuta per intercessione del Santo nel 1103, egli donò al Santuario di Saint-Leonard de Noblat delle catene d’argento come ex voto.
Il culto. In Italia il culto di San Leonardo è abbastanza diffuso in varie città e paesi: Venezia, Milano, Vicenza, Verona, Mantova, Cremona, Vercelli, Rieti, Pisa, Lucca, Ferrara, Napoli, Gaeta. Nell’Italia meridionale, la devozione per il Santo fu introdotta dai Normanni ed Egli è particolarmente celebrato a Catania, Trapani, Agrigento, Messina e nell’isola di Procida. In Puglia è tutt’ora ben conservata la chiesa di San Leonardo di Siponto, risalente all’XI secolo, in stile romanico-pugliese e con un ricco portale, meta di preghiera per i pellegrini diretti in Terrasanta. In Sardegna si trovano numerosi centri che hanno delle chiese dedicate al Santo. Oltre a Serramanna trovia-mo infatti Villanova Monteleone, Burgos, Oschiri, Sestu, Setzu. Anche a Cagliari esisteva una chiesa dedicata a San Leonardo: sorgeva sulla via omonima (ora Via Baylle) e occupava probabilmente l’area del vecchio mercato. La chiesa fu demolita dopo il XVI secolo e la statua fu trasportata nella vicina chiesa di Sant’Agostino dove sarebbe tuttora custodita. Infine San Leonardo è particolarmente venerato nell’omoni-ma basilica di Siete Fuentes, presso Santu Lussurgiu. In Calabria, oltre ad essere pa-trono di Ardore, Trebisacce e San Leonardo di Cutro, è venerato a Borgia, a Lungro, a Castelsilano e in molti altri paesi. La Chiesa festeggia San Leonardo il 6 novembre. A San Leonardo di Cutro invece si festeggia l’ultima domenica del mese di aprile. A Borgia e Trebisacce, in occasione della festa, si svolgono due importanti fiere.
L’iconografia.Originariamente patrono dei carcerati, San Leonardo è diventato il protettore di molte categorie di devoti: fabbri, fabbricanti di catene, ceppi, fibbie e fermagli, puerpere, agricoltori, minatori e anche briganti. La diffusione del culto e la costruzione in tutta Europa di chiese a lui dedicate hanno variamente arricchito l’iconografia del Santo. Egli venne prevalentemente raffigurato in abiti monastici, bianchi o scuri, oppure con le sembianze di un giovane diacono in dalmatica e, solo raramente, in paramenti vescovili. Gli attributi più comuni sono le catene o i ceppi dei prigionieri liberati e a ciò si aggiungono spesso il libro, la croce e la bandiera. Fra gli episodi che si riferiscono alla vita del Santo, ricorre frequentemente il Battesimo ad opera di San Remigio, l’assistenza offerta alla regina Clotilde durante il parto, la fondazione di Nobiliacum.
Inno a San Leonardo. “O San Leonardo nostro protettore , / dei carcerati vivo splendore , / a te rivolgiamoci con viva fè , / o San Leonardo prega per noi . / Tu fosti l’ uomo da tutti eletto , / ed il tuo nome fu benedetto , / ognun si volse qual padre a te , / o San Leonardo prega per me. / Con mani forti e vita pura , / pugnasti contro la fiamma impura , / vendetta e odio ne venne a te , / o San Leonardo prega per me. / Dall’ onda placida tu fosti avvolto , / nel mar lanciato , da noi raccolto ; / tutto il tuo popolo un tempio ti fè , / o San Leonardo prega per me. / Dal tuo popolo accolto con festa , / la tua parola fedele resta , / il peccatore cade ai tuoi piè , / o San Leonardo prega per me. / Noi festanti del tuo perdono , / edifichiamo un piccolo trono , / ti proclamiamo padre e re , / o San Leonardo prega per me. Là su quel monte quale eremita , / spegnesti in pace la tua vita , / in ciel gloria Dio ti diè , / o San Leonardo prega per me. / Dal ciel proteggi noi miseri devoti , / accogli nostre lacrime e voti , / tutto il tuo popolo affidasi a te , / o San Leonardo prega per me.”
GISSING A CROTONE (e a Siena)
Il soggiorno di Gissing a Crotone è stato sempre poco studiato conosciuto e valorizzato; sembrava insomma caduto nell’oblio. In questi ultimi tempi, soprattutto dopo il convegno tenuto in città il 22 giugno 2002 (Il Crotonese n.49/giugno 2002), con la partecipazione di due relatori di fama mondiale, il dott. Pierre Coustillas e il prof. Francesco Badolato, organizzato dal Rotary locale, presidente il dott. Antonino Anili, ci sono tentativi di recupero a diversi livelli della conoscenza degli illustri visitatori, sconosciuti prima alla maggior parte dei crotonesi, che tra la fine dell’800 e inizio ‘900 hanno visitato la Calabria e soggiornarono anche nella nostra città. In particolare, mi preme evidenziare, che da quell’evento si è preso coscienza soprat-tutto dell’attualità dei giudizi e delle descrizioni che Gissing ha fatto della realtà crotonese, stimolando riflessioni anche a livello mediatico. (Durante il convegno è stata posta all’ingresso dell’Hotel et Restaurant Concordia, il più antico albergo di Crotone, ancora oggi funzionante col nome di Albergo Italia, una targa che ricorda i soggiorni di quei colti viaggiatori di fine ottocento, della quale si riporta l’intera motivazione: “In questo palazzo, già Albergo Concordia, sulla scia del Gran Tour, soggiornarono Francois Lenormant (1837-1883) archeologo francese, Norman Douglas(1868-1952) e George Gissing(1857-1903), romanzieri inglesi. Quest’ultimo, ammalatosi è curato dal medico Riccardo Sculco (1858-1931), al quale dedicò un capitolo di <Sulle rive dello Ionio>. I tre viaggiatori, testimoni di momenti diversi, lasciarono, rispettivamente in <La Magna Graecia>, <Old Calabria> e <By the Ionian Sea>, pagine memorabili a ricordo del loro soggiorno. Rotary Club. Crotone 22/06/2002”.) I segnali di questa ripresa sono vari ed evidenti. Qualche esempio. 1) Sul n.13 del bisettimanale Il Crotonese (febbraio 2004) viene pubblicato un articolo, a firma del dott. Francesco Badolato, dal titolo “Sulle rive dello Jonio” parla inglese e tedesco – Il libro di Gissing in edizione critica curata dal prof. Coustillas. 2) Sul n.30 del periodico locale La Provincia KR (28/7/2006) viene pubblicato un articolo firmato da Romano Pesavento dal titolo La“maledizione” di Gissing: che ne è stato di Kroton?, nel quale viene evidenziato dello scrittore inglese il contrasto tra l’appassionata rievocazione dei fasti del passato di Crotone e la cocente delusione per il confronto con il presente e sottolineato l’emblematico incontro tra Gissing e il diffidente sindaco Berlingieri. 3) Nel libro Amare Crotone – Immagini della città dal 1860 al 1960 di Umberto Franzè, di recente dato alle stampe, sono presenti alcuni riferimenti a Gissing: a pag. 36 la descrizione dell’hotel Concordia, notizie sui viaggiatori che vi soggiornarono, l’indicazione della targa apposta dal Rotary e la motivazione; a pag. 44 una foto dei primi anni del ‘900 dell’hotel Concordia; a pag. 178 una cartolina postale d’inizio secolo con la seguente didascalia “Panorama di Cotrone con acquaioli alla foce dell’Esaro per l’approvvigionamento idrico. Sulla destra l’immagine dello scrittore Gorge Gissing, a cui i Crotonesi erano grati per la descrizione positiva dell’ospitalità ricevuta durante il suo lungo soggiorno forzato per malattia”. 4) Alla parete di una delle sale dell’interessante Museo del Parco Archeologico di Capocolonna, inaugurato nel mese di agosto 2006, è riportata a titoli cubitali il seguente brano di una lettera di Gissing: “Vicino a questa città ci sono i resti di un tempio greco: una grande colonna alta 26 piedi, che si erge sulla punta del promontorio di Cotrone; posso vederla da qui, sebbene sia distante sei miglia. – George Gissing al figlio, 26 nov. 1897” E’ omessa invece la parte più “scomoda” del giudizio di Gissing sui resti di Capocolonna, quella sui furfanti e sul briccone di ecclesiastico che utilizzarono il materiale del grandioso Tempio per costruire il porto e il palazzo vescovile (Lettera a A.H. Bullen, Cotrone 27 nov.1897). In effetti lo scrittore inglese, come d’altronde tutti i viaggiatori, che dal ‘700 in poi visitarono la nostra città, lasciò Cotrone rimpiangendo Crotone per l’imparagonabile degrado del presente alla grandezza del passato. Del periodo precedente la messa in opera della targa, pochi interventi significativi: a) Nel numero di agosto 2001 di Calabria, mensile del Consiglio Regionale, è pubblicato un articolo del giornalista Virgilio Squillace, che rappresenta il primo vero tentativo di far uscire dall’oblio questi eventi. Porta un titolo significativo, L’albergo di Douglas, Gissing e Lenormant – Una scoperta sorprendente sulle orme del Grand Tour / Trovato a Crotone lo storico (dimenticato) Hotel et Restaurant Concordia, nel quale l’autore tra l’altro dice: “Old Calabria scomparsa? Macchè, luoghi ed edifici frequentati dai grandi viaggiatori stranieri sono sempre lì. Ma ignorati, caduti nell’oblio, rimossi dalla memoria collettiva. E’ clamoroso il caso dell’Albergo Italia, tuttora funzionante a due passi dalla centralissima Piazza Pitagora. Ha accolto Francois Lenormant, ha ospitato per un paio di mesi George Gissing, e successivamente Norman Douglas. Ma neppure una targa ricorda i soggiorni di quei colti viaggiatori di fine ottocento. Eppure, siamo andati a vedere, l’albergo è rimasto quello di allora. C’è persino il… pitale di Norman Douglas”. b) Sul n.42/novembre 2001 de La Provincia Kr è inserito un articolo firmato dal prof. Pasquale Attianese dal titolo L’inglese George Gissing a Cotrone-Su una cartolina d’epoca degli anni 1910-20 il ritratto del viaggiatore inglese, nel quale l’autore, dopo aver introdotto note biografiche dello scrittore ingle-se e notizie sul suo libro, si sofferma a descrivere una cartolina postale degli inizi del ‘900, sulla quale tra altri motivi è raffigurato in un angolo il ritratto di Gissing con baffi papillon e fazzoletto nel taschino, con intenti e motivazioni senz’altro celebrati-vi. c) Ancora, nel numero di febbraio del 2002 di Calabria, il giornalista Clemente Angotti commenta, nell’articolo Il fascino del “Grand Tour” alloggia in quell’Alber-go, quanto “scoperto” da Squillace: “Dopo l’articolo di ‘Calabria’ verrà valorizzato lo storico Hotel Concordia di Crotone… Si è rivelato alla stregua di uno shock salu-tare lo ‘scoop’ di Virgilio Squillace (Calabria agosto 2001) che, a distanza di oltre cento anni, ha riportato alla luce l’esistenza, quasi miracolosa e ai più ignota, del-l’albergo crotonese nel quale fecero tappa, in tempi e circostanze diverse, tre dei principali protagonisti del periodo aureo del ‘Grand Tour’. L’edificio di Piazza Vit-toria, luogo mitico per i cultori della letteratura di viaggio, genere molto in voga a fi-ne ottocento, conserva ancora i tratti che stregarono Lenormant, Gissing e Douglas.
(Lo stesso disinteresse purtroppo ho trovato anche a Siena. Niente, neppure una targa ricordo, sembra rammentare ai cittadini e ai turisti il soggiorno di Gissing nella città del Palio. Scarsa è la conoscenza dell’illustre viaggiatore, che nella cittadina toscana si fermò, durante il terzo viaggio, dal 25 settembre al 7 novembre 1897, prima di proseguire poi per Napoli e la Calabria. Il soggiorno a Siena, dedicato soprattutto alla stesura di un saggio critico su Charles Dickens e poco alla visita della città, è descritto dallo scrittore nelle lettere (10) inviate alla madre Margaret Bedford , al figlio Walter, al sig. Allhusen, alla sig.ra Wells, al sig. Algernon, al sig. Morley Roberts, all’amico Eduard Bertz e alla sig.ra Clara Collet. In esse Gissing descrive le impressioni ricevute al contatto con l’ambiente senese (città tranquilla e splendida, sembra di vivere nel Medioevo; le strade sono tenute pulite in modo encomiabile, qui si parla la migliore lingua italiana; in verità non c’è nulla di grande interesse a Siena; il sole è cocente, ma la gente cammina soltanto all’ombra perché le strade sono strette e le case alte; gli abitanti sono cortesi e benevolmente disposti; nessuno ti molesta mentre cammini lungo le strade; le strade sono piane ma non hanno marciapiede;i negozi danno direttamente sulle strade; grandi buoi bianchi, dalle corna enormi e splendide, tirano i carri per le città e ricordano quelli visti da Virgilio e Omero; monaci dai piedi scalzi s’incontrano ovunque; il padre di Santa Caterina era un tintore e l’intera strada dove era ubicata la sua casa ha un odore di tintura o simile dopo 500 anni, qui sembra che non sia cambiato nulla;), aspetti di vita pratica e quotidiana (ho trascorso la prima notte presso un albergo, poi ho trovato un alloggio splendido: una stanza spaziosa con due finestre che guardano la grande Cattedrale, il pavimento di mattoni rossi, le finestre hanno rispettivamente persiane all’esterno e sportelli all’interno, il soffitto dipinto sfarzosamente con disegni di colori luminosi, alle pareti i ritratti del Principe e della Principessa di Napoli, di Santa Caterina e di Santa Maria, e vicino alla finestra un grande albero da fico pieno di frutti maturi; consumo i pasti insieme ai componenti della famiglia, che parlano solo la loro lingua, il che mi aiuta a migliorare la mia conoscenza dell’italiano; durante il soggiorno in Via delle Belle Arti muore il marito della padrona di casa, già a letto da circa un anno, e i familiari decidono di trasferirsi in un appartamento più piccolo per motivi economici, per cui anch’io trasloco insieme a loro in Via Franciosa; ogni cosa è molto a buon prezzo; le cartoline illustrate a Siena sono molto misere; sono venuto in Italia per l’inverno, poiché i miei polmoni mi creano disturbi ed è per imprudente rimanere in Inghilterra; dalle colline si può guardare su Siena circondata dalle sue mura e dalle sue porte, una vera fortezza medioevale; i parrucchieri del luogo, quando chiedi il conto, ti rispondono “a suo piacere”;), le brevi escursioni (grande pellegrinaggio al Santuario di Santa Chiara, con l’esposizione della testa vera della Santa nel Duomo;) e le valutazioni sulla sua principale attività in questa città, la recensione critica all’opera dell’autore del David Copperfield.(scrivo 2000 parole ogni giorno, dalle ore 8.00 alle ore 12.00, e presumo che il risultato sia piuttosto buono; naturalmente, ciò mi lascia poco tempo per visitare le bellezze artistiche della città;). Stranamente, però, nessun riferimento al Palio e alla vita di contrada, che a Siena cadenzano i ritmi di tutte le stagioni; e nessuna notizia del giovane diciannovenne americano, di nome Brian Borù Dunne, compagno di pensione, con il quale stringe un’amicizia che si sviluppa nella città toscana e successivamente a Roma. – Ad imitazione del nipote di Gissing, il quale aveva scoperto a Crotone negli anni ’50, l’albergo che aveva ospitato l’illustre ospite, ho cercato di ripercorrere le orme di Gissing a Siena, , alla ricerca di segni che ne indicassero il passaggio, senza risultati apprezzabili e come se la sua visita fosse paragonabile a quella di un moderno turista mordi-e-fuggi all’ombra di Firenze, la città-regina dell’arte italiana. Impossibile rintracciare l’albergo dove dormì la prima notte. Difficile individuare con esattezza le due pensioni private dove Gissing dimorò, in quanto sembra, su indicazione di studiosi di storia locale, che nelle rispettive vie successivamente siano stati modificati i numeri civici e il loro andamento. –Via delle Belle Arti, dove Gissing dimorò dal 25 settembre al 29 ottobre 1897, oggi non esiste più nello stradario senese, in quanto ha cambiato il nome in Via della Sapienza. La via si trova nella contrada del Drago nei pressi della monumentale chiesa di San Domenico: anticamente si chiamò Via della Misericordia, perché nel suo ultimo tratto era presente la trecentesca Casa o Spedale della Misericordia abolita nei 1405. Dopo tale anno nello stesso edificio venne installata la Sapienza o Studio senese, che diede il nuovo nome alla via. In seguito, nel 1816, lo Studio o Università degli Studi venne trasferito nel soppresso convento di S. Vigilio dove è tuttora; al suo posto venne sistemata l’Accademia delle Belle Arti con l’annessa Galleria o Pinacoteca, traslocata nell’anno 1930 nel Palazzo Buonsignori in via S. Pietro, e alla strada venne dato il nome di Via delle Belle Arti. Successivamente, per un breve periodo, fu denominata Via Cesare Battisti; finché nel 1931 le fu restituito il vecchio nome di Via della Sapienza. (Dal libro I Confini delle Contrade secondo il Bando di Violante Beatrice di Baviera di Virgilio Grassi). All’attuale numero 18 corrisponde un condominio, dove sono allogati studi professionali e abitazioni private. – Via Franciosa, dove Gissing dimorò nell’ultimo periodo del suo soggiorno senese, si trova nella contrada della Selva nei pressi del Duomo. Anche qui al n. 8 corrisponde un condominio, dove sono allogati studi professionali e abitazioni private. Curiose e varie sono le ipotesi legate al nome di questa via. Alcuni lo vogliono legato all’esistenza di prostitute che dal XIV sec. risiedevano nella zona, come scrive Agnolo di Tura del Grasso nel 1338 “el Comune teneva le meritrici presso a la porta di Vallepiatta e qui pagava la pigione di più case dove le dette meritrici stavano”; per cui la Via Franciosa, anche oggi parallela a Via Vallepiatta,potrebbe aver preso il nome del cosiddetto “malfrancioso” o “malfrancese”, termini con i quali si indicava-no malattie veneree quali la sifilide, che dal ‘400 colpì duramente Siena, propagan-dosi diffusamente. Altri si rifanno alla presenza in questa strada di fondachi di mercanti francesi, chiamati a Siena “franciosi”. Per altri ancora, come Gerolamo Macchi, la strada venne chiamata così perché prima della lastricatura era sempre piena di pozzanghere e quindi “fradicia” o “fradiciosa”. (Dal libro Stradario-Curiosità e stranezza nei toponimi di Siena di Roberto Cresti e Maura Martellucci, Betti Editoe, 2004) – Nelle lettere parla di altre due vie meta di sue passeggiate: Via San Marco e Via Diana. La prima, nella contrada della Chiocciola, chiamata così per la presenza della Chiesa parrocchiale dedicata all’Evangelista, ma oggi sconsacrata e adibita ad esercizio commerciale. La seconda, contigua, anch’essa situata nella contrada della Chiocciola, era prima indicata come Via del Fondaco, poi legata al leggendario fiume sotterraneo detto la “Diana”, che da Castelocchio scorrerebbe verso il torrente Tressa dove confluirebbero le sue acque.)
Da Crotone Gissing raggiungerà Catanzaro e successivamente Squillace, dove visiterà i resti del Vivarium di Cassiodoro, prima di scendere a Reggio Calabria e la Sicilia. Proprio a Squillace ho fatto una graditissima scoperta presso un ristorante che si trova vicino alla stazione del paese: un posto tranquillo, il parcheggio sicuro e il nome accattivante La cena di Afrodite / da Gregorio. Appeso ad una delle parete della trattoria un quadretto in cui viene ricordato che nella locanda pranzò George Gissing… Sollecitati i proprietari, che gestiscono il ristorante a conduzione familiare, mi hanno detto candidamente di non conoscere Gissing, e che il quadretto era un omaggio di un cliente studioso dell’evento indicato… Il testo riportato è il seguente: In questo ristorante / un tempo modestissima / locanda a conduzione / famigliare / il 10 dicembre 1897 / lo scrittore inglese / George R. Gissing (1857-1903) / mangiò deliziosamente. / Il piacevole momento / è stato ricordato con / soddisfazione / in un capitolo del suo / famoso romanzo / By the Ionian sea.” Il capitolo ricordato è il XVII / La grotta, nel quale Gissing ricorda, dopo la visita al famoso vivarium di Cassiodoro nei pressi di Squillace, quanto segue: “… quando fui ritornato a piedi alla stazione ero sfinito dalla fame. Non vi era buffet e a quel che sembrava, nessun altro posto nelle vicinanze dove si potesse comprare qualcosa da mangiare; ma, rivolgendomi al facchino, venni a sapere che aveva lui l’abitudine di rifocillare i viaggiatori sbandati, nella sua casa che era lì vicino, e dove subito mi condusse. Descrivere la stanza dove mi fu apparecchiato da mangiare sarebbe nera ingratitudine; nel ricordo la confronto favorevolmente all’Albergo Nazionale di Squillace (dove lo scrittore si era trovato malissimo). Potei avere pane, salame, cacio e, grazie a Dio, del vino bevibile, anzi, perché proprio questo fu il sollievo più grande, era un vino onesto, che bevvi senza restrizioni. Anche il prezzo che mi fu chiesto era onesto; anche se fosse stato il decuplo mi sarebbe sempre parso di pagar poco quel subitaneo accrescimento di vigore fisico e mentale. Che la sorte sia benigna a quel servizievole facchino di Squillace! Ricordo il suo viso bonario e il suo sorriso compiaciuto quando gli dichiarai ripetutamente quanto era buono tutto quello che mi aveva offerto con tanta modestia. La sua ospitalità mi fece partire soddisfatto, contento di aver visto quell’indescrivibile paesino di montagna e più contento che mai di aver contemplato il ‘Mons Moscius’ e camminato lungo il fiume Pellena. Cadeva una pioggia torrenziale, ma non me ne davo più pensiero. Quando il treno arrivò, trovai un comodo cantuccio e mi disposi con un sospiro di sollievo alle sette ore di viaggio che mi avrebbero portato in vista della Sicilia… “ Oggi il modesto locale è stato ristrutturato e si presenta sempre gradevole e accogliente, come al tempo descritto dal famoso scrittore inglese…
Parte terza: I paesi e i volti della memoria
INTRODUZIONE
In una società globalizzata come l’attuale, negli aspetti negativi e in quelli positivi, sembrano annullate le differenze etniche e le identità culturali dei singoli, delle comunità, delle nazioni.
La generazione che oggi si avvia al declino, travolta dall’accelerato progresso tecnologico e impreparata a fronteggiare gli eventi a causa di educazioni e matrici culturali diverse, ma l’ultima a conservare le tracce di un “mondo” che non c’è più, ancora è legata ad abiti mentali e a forti sentimenti di appartenenza ai paesi di nascita e di adozioni per motivi di lavoro di studio e di svago.
Le comunità di tali aggregati (paesi e città) diventano luoghi della memoria individuale e ogni accadimento acquista valore particolare e coinvolgente.
Anche il sottoscritto prova questi sentimenti nei confronti di tutte le comunità con le quali, per motivi vari, ha avuto contatti e rapporti di studio di lavoro di affetto e di struggente partecipazione.
Verso questi paesi, dai quali si sente adottato, l’interesse per tutti gli eventi è oltre modo coinvolgente e partecipato, con dispiacere per i fatti negativi e con gioia per quelli che fanno crescere.
LE FELUCHE DELL’ABATE SPINELLI E LA PIRATERIA CRISTIANA DEL SEICENTO
Reputo un atto di “coraggio”, che approvo e condivido, l’iniziativa del dott. Antonio Blefari, priore dell’Arciconfraternita Maria SS. Immacolata di Bovalino Superiore, di innovare il programma del festeggiamenti civili in onore della Patrona, inserendovi elementi di cultura e di riflessione per favorire la crescita della Comunità bovalinese. I festeggiamenti, che sono curati e organizzati dall’Arciconfraternita e alternano momenti religiosi ad altri ludici e aggregativi, si svolgono eccezionalmente dal 29 agosto all’8 settembre a seguito di un privilegio papale concesso alla Chiesa locale, in deroga alla data canonica dell’8 dicembre. Un timido segnale di quest’inversione di tendenza si era avuto nel 2003 con l’inserimento nel Programma della rappresentazio-ne teatrale “Il Procuratore di matrimoni” di Mario La Cava; nel 2004, con maggiore convinzione nel chiudere con un passato fatto di canzonette e sagre, si è voluto aprire un discorso con la storia del paese attraverso la rievocazione, ad opera del noto Gruppo Storico “Mirabilia” di Catanzaro,di un evento storico di Bovalino riguardante “le feluche dell’abate Spinelli e la pirateria cristiana del ‘600”, del quale di seguito si trascrive il testo rappresentato di Vincenzo Naymo e un documento notarile del 17 giugno 1694: <<Le scorrerie piratesche sulle coste calabresi furono piuttosto frequenti nei secoli scorsi1. Una prova tangibile dell’entità del fenomeno è rappresen-tata dalla presenza di torri costiere, in gran parte edificate durante il XVI secolo, che ancora oggi caratterizzano l’intero litorale della regione2. La principale funzione di tali edifici fortificati era proprio quella di segnalare tempestivamente ai centri interni l’imminente pericolo di uno sbarco da parte di navi pirata e di apprestare le prime difese in attesa di rinforzi. In genere i vascelli saraceni erano occupati da musulmani provenienti dalla Tripolitania, dal Marocco e da altri paesi islamici del bacino del Mediterraneo, che compivano vere e proprie razzie di beni mobili e di animali, giungendo in taluni casi anche a rapire gli abitanti del luogo3. Di singoli episodi del genere si ritrova talvolta una dettagliata descrizione nelle cronache o nelle fonti notarili dei secoli XVI – XVIII, epoca nella quale maggiormente si verificarono tali incursioni. Se tale triste fenomeno risulta così ampiamente diffuso e documentato in tutta la regione, quasi del tutto inediti, al contrario, risultano finora i casi di imbarca-zioni calabresi armate specificamente per praticare il corso contro i saraceni. Abituati a ritenere la rassegnazione quasi un tratto distintivo delle popolazioni calabre, per le quali le scorrerie saracene avrebbero costituito una sorta di fatalità da accettare senza condizioni, limitandosi tutt’al più, ove possibile, a contenere i danni, l’eventualità che qualche ardito calabrese in quel tempo avesse potuto soltanto supporre di ripagare il nemico con la stessa sua moneta ci era apparsa così remota da essere considerata quasi inverosimile. Questo convincimento veniva rafforzato da due rilevanti circo-stanze: innanzitutto dalla politica strategica della Spagna nei secoli XVI e XVII, tradizionalmente tesa a disarmare il Regno di Napoli mediante la quasi totale eliminazione della sua flotta militare e a basare la difesa delle coste esclusivamente sull’inefficace e costoso sistema di torri di avvistamento supportato da modesti contingenti di truppe terrestri4. La seconda circostanza era rappresentata dal fatto che le fonti rimanevano in genere silenti nei confronti dell’organizzazione e nella pratica di una vera e propria attività di pirateria cristiana di origine calabrese contro gli ottomani. Non va infatti considerata tale l’azione svolta, e ampiamente documentata, da illustri calabresi che coraggiosamente organizzarono singole imprese militari contro i turchi5 o presero parte con propri contingenti a spedizioni punitive di ampia portata, organizzate dalle autorità statali6 o da ordini cavallereschi7. Se è vero che le fonti sono tutt’altro che prodighe di notizie sulla pratica del corso da parte dei calabresi, uno scavo approfondito nelle stesse, tuttavia, riserva talvolta sorprese inaspettate. E’ il caso degli atti del regio e apostolico notaio geracese Francesco Camuso, vissuto durante la seconda metà del Seicento ed attivo in Gerace fra il 1691 ed il 17028. All’interno del protocollo dell’anno 1694 ho potuto rilevare l’esistenza di un rogito che ritengo assai significativo per le ricerche sulla pirateria calabrese. Si tratta di un atto di convenzione9 redatto sulla spiaggia, presso la marina della terra di Bovalino10, il 17 giugno 169411 e contenente un accordo fra un armatore calabrese ed i capitani e l’equipaggio di due feluche in procinto di iniziare a corseggiare. Alla presenza del notaio Camuso, infatti, si erano costituiti l’abate don Ferrante Spinelli dei principi di Tarsia e conti di Bovalino12 e i capitani di nave Vito Porzio da Napoli e Biase Maggio da Messina. Poco lontano, quella mattina si ritrovavano ormeggiate nel porticciolo bovalinese le loro due navi da guerra da poco varate, dotate di oltre quaranta uomini ciascuna di equipaggio, di armamento e di tutto il necessario per la navigazione. Il documento ci informa che era stato proprio l’abate Ferrante Spinelli a far costruire quelle che il notaio definiva “due filluche lunghe di corso13” su richiesta dei capitani e degli equipaggi, con il preciso scopo di “andare in corso contro nemici della fede et della corona di sua Maestà Cattolica14”. Egli aveva richiesto ed ottenuto a sue spese anche la “regia patente” dalla corte in Palermo, una sorta di autorizzazio-ne a praticare la pirateria contro i musulmani. Ogni imbarcazione era lunga ottanta palmi (21 metri), era armata con “due cannoni di bronzo, otto pietrere di ferro, due pietrere di bronzo, quattro spingardi, moschettoni, scopette, pistole, scarcine, butta-vanti, palle, polvere, micci, pietre di foule15“, ecc., ed era corredata di tutto l’occorrente per affrontare il mare aperto anche per lunghi periodi. L’armatore, infatti, aveva complessivamente ben 5000 scudi di Sicilia per la costruzione e la dotazione delle navi, non trascurando nulla, neppure di assegnare ai capitani la somma di 100 scudi per spese eventuali. L’abate Spinelli intendeva recuperare il considerevole denaro anticipato attraverso la ripartizione dei proventi della pirateria con i capitani e i rispettivi equipaggi. In quest’ottica trovava ampia giustificazione la redazione di un atto notarile che cautelasse entrambe le parti, prima che le due navi levassero le ancore per dare inizio alla pericolosa attività. Il documento rogato da Francesco Camuso, infatti contiene un puntuale e scrupoloso accordo non solo per la ripartizione degli eventuali bottini ma anche per l’organizzazione e la gestione vera e propria dell’attività di pirateria. Gli elementi fondamentali di tale accordo furono raggruppati in undici punti, secondo un ordine prestabilito. Innanzitutto i capitani e i rispettivi equipaggi s’impegnavano a “corseggiare sempre per li mari del Mediterra-neo per dove stimeranno meglio far prede sopra detti nemici della fede et di sua Maestà, né ritirarsene in porto prima di detto tempo16“. Era consentito loro di approdare in caso di burrasca ma venivano obbligati a riprendere il mare non appena cessato il pericolo. Nel caso si fosse fatto un bottino di poco o mediocre valore le navi avrebbero potuto condurlo in quelli che all’epoca venivano ritenuti “porti sicuri17“: Siracusa, Catania, Trapani o Pantelleria. Affidate le prede alla custodia di tre o quattro persone sarebbe stato compito dei capitani avvertire al più presto della cosa i signori Giuseppe Barna e Giovanni Giorgio Monti18, referenti messinesi dell’armatore. A questi ultimi avrebbero dovuto consegnare un puntuale inventario e descrizione del bottino in modo che l’abate Spinelli, successivamente informato da costoro, si fosse trovato nella condizione di decidere sul da farsi. Se invece il bottino fosse stato assai consistente il porto obbligato per l’attracco sarebbe stato quello di Messina, e precisamente presso il “faro (…) o sin dentro il lazzaretto di detta città ed ivi consegnarli con destinto e puntual inventario a detti signori Barna e Monti et conseguente debbano subito partire per proseguire il corso suddetto19“. Il ricavato della messa in vendita dei primi bottini sarebbe stato di esclusivo appannaggio dell’armatore, il quale così si sarebbe rifatto delle ingenti spese occorse per armare le due navi. Recuperate le spese, gli utili sarebbero stati divisi a metà fra Ferrante Spinelli e i due equipaggi al netto della decima che doveva essere versata alla Regia Corte in Palermo20. Ai capitani delle due feluche sarebbe toccata la gionca21, oppure il 5% di tutti i bottini realizzati dall’attività di pirateria, al netto delle spese che l’armatore avrebbe dovuto recuperare22. Una clausola a prima vista capestro nei confronti dei corsari calabresi, era rappresentata dal patto che se questi ultimi non fossero riusciti a recuperare le spese per l’armamento delle navi con la pratica del corso, o peggio avessero deciso di non praticarlo più o fossero fuggiti, in tali casi sarebbero stati tenuti a rimborsare l’armatore di tutte le spese affrontate ed i prestiti a loro elargiti. Non era un abuso: il notaio, infatti, si era affrettato a chiarire che quei bastimenti erano stati “armati et forniti a richiesta di detti marinari e capitani, perché altrimenti esso illustre signor abbate don Ferrante non haveria fatto fabbricare, armare et finire…23“. L’idea di praticare il corso, dunque, era partita dagli equipaggi, probabilmente dai capitani, non dall’abate Spinelli, il quale aveva finanziato l’ini-ziativa convinto nella riuscita dell’investimento ma nel contempo abile a cautelarsi in caso di fallimento. Se qualcuno dei marinai si fosse dato alla fuga i capitani e gli equipaggi venivano obbligati a riacciuffare a proprie spese il fuggitivo. Tali spese sarebbero state rimborsate da quest’ultimo se catturato o, in caso contrario, dedotti dai comuni proventi24. L’abate Ferrante Spinelli aveva la facoltà di armare gli eventuali vascelli catturati dai suoi corsari, trasferendo su questi una parte degli uomini imbarcati sulle feluche originarie25. Fra le clausole più interessanti del contratto segnalo le seguenti: In caso di arrembaggio vittorioso ai marinai sarebbe spettato il “sacco franco delle robe tagliate di coverta senza però toccare roba mercantile sotto coverta, né quella ammovere da dove si trova“. Se l’imbarcazione nemica si fosse arresa senza combattere i marinai avrebbero perso tale diritto e i beni in questione sarebbero stati equamente ripartiti come gli altri depredati26. Il cassero dell’imbarcazione catturata sarebbe spettato al capitano ma una ricompensa sarebbe stata assegnata al marinaio che se ne fosse impossessato27. Chi per primo avesse avvistato un bastimento nemico di giorno la cui cattura fosse andata a buon fine sarebbe stato ricompensato con cinque scudi; chi lo avesse fatto di notte ne avrebbe ricevuto dieci28. Il primo uomo che fosse riuscito a salire sull’imbarcazione nemica da conquistare avrebbe ricevuto quindici scudi; dieci il secondo e cinque il terzo sempre che i nemici avessero opposto resistenza e non si fosse subito arresi29. Simili incentivi, decisamente redditizi, avevano la finalità di stimolare l’avidità dei singoli marinai invogliandoli al combattimento. Nessuno avrebbe dovuto aprire la stiva di un vascello catturato carico. Chi lo avesse fatto sarebbe stato condannato a pagare un’ammenda considerevole “secondo l’uso et consuetudine della marinaria di corso30“. A tale uso le parti, di comune accordo, promettevano di attenersi per tutto ciò che nel contratto non era stato specificato. Ma la clausola per certi versi più sorprendente era quella che prevede la rinuncia al 50% dei profitti di ciascuna feluca sia da parte dell’armatore che degli equipaggi per “farne elemosina alla chiesa dell’Anime del Purgatorio, sita nella marina di questa terra ( di Bovalino ) (…) a fine di farsi beneficio in detta chiesa31“. Si trattava di una delle numerose chiesette erette da marinai e pescatori presso la costa delle marine calabresi, talvolta non lontano dalle torri di guardia, di solito in occasione di scampati pericoli provenienti dalle acque marine, a testimonianza della grande fede religiosa della gente di mare. Non si posseggono allo stato attuale notizie documentate circa la sorte toccata alle due feluche e soprattutto agli uomini a bordo. Sebbene non si possa escludere che una ulteriore ricerca nelle fonti del tempo consenta l’acquisizione di nuovi elementi sulla vicenda, difficilmente si potrà conoscere quanto tempo i corsari calabresi abbiano navigato, quali e quanti bottini abbiamo realizzato, quanti di loro siano sopravvissuti a quella pericolosa avventura intrapresa per le acque del Mediterraneo. Di quegli 85 uomini in partenza da Bovalino oggi conosciamo soltanto i nomi, elencati uno dopo l’altro in calce al documento che ha tramandato ai posteri un frammento della loro storia: “Documento del 1694, giugno 7, Indizione II, Bovalino. / Originale: Locri, Sezione Archivio di Stato, fondo notarile, not. Francesco Camuso, b. 82, vol. 766, ff. 21r-24v. Die decimo septimo mensis iunii, secundae inditionis, millesimo seicente-simo nonagesimo quarto, in terra Bobalini et prope in marittima ipsius. Regnante etc. Personalmente costituiti coram nobis etc., capitan Vito Portio napoletano et capitan Beasi Maggio della città di Messina nec non l’infrascritti marinari nominandi et cognominandi in calce del presente istrumento, cogniti etc., aggono ed intervengono alle cose infrascritte per se stessi etc. da una parte. Et l’illustre signor abbate don Ferrante Spinelli di Tarsia aggente similmente et interveniente alle cose infrascritte per se stesso, heredi etc. dall’altra parte. Esse parti asseriscono con giuramento come, a richiesta delli sopradetti capitani et infrascribendi marinari esso illustre signor abbate don Ferrante Spinelli ha fatto fabricare due filluche lunghe di corso di palmi ottanta l’una, fornite di tutta sartiame, vele, tende, capi, ferri ed ogni altra cosa necessaria et armate di due cannoni di bronzo, otto pietrere di ferro, due pietrere di bronzo, quattro spingardi, moschettoni, scopette, pistole, scarcine, buttavanti, palle, polvere, micci, pietre di foule e tutto e quanto fu necessario per l’armamento, fornite similmente di biscotto, vino, oglio, aceto, sale, legume, formaggio, semola, farro, sarde salate, et di quanto detti capitani et marinari hanno desiderato per loro bastimento, conforme la nota che si conserva appresso detto signor don Ferrante, riconosciuta, calcolata et abonata per esse parti, ascendente dette filluche con tutti loro servimenti, armamenti, provisione di vitto, inprestiti di danari contanti dati ad essi capitani et loro marinari et danaro contante per portasili di sopra più per loro uso in caso che li bisognasse scudi cento, che tutti insieme ascendono alla somma di scudi cinquemila moneta di Sicilia, conforme di accordo s’è liquidato fra esse parti. Et detti soprannominati capitani et infrascribendi mari-nari con giuramento confessano havere ricevuto le dette filluche con li sopranominati et altri non nominati fornimenti, armamenti, provisione et imprestiti di danaro da detto illustre signor don Ferrante et quelli tenere in loro potere, cura , governo et amministratione, con l’infrascritti || (21v)patti et condizioni videlicet. Li detti soprannominati capitani et infrascribendi marinari ed ogn’uno d’essi in solidum promettono con giuramento ad esso signor abbate don Ferrante, presente, stipulante etc,. andare in corso contro nemici della fede et della corona di sua Maestà cattolica in conformità della regia patente fattali spedire esso illustre signor abbate don Ferrante a sue spese dalla Regia Corte in Palermo et per tutto il tempo che parerà et piacerà a detti capitani debbono corseggiare sempre per li mari del Mediterraneo per dove stimeranno meglio far prede sopra detti nemici della fede et di sua Maestà, né ritirarsene in porto prima di detto tempo, ma quando o per caso di borasche di mare o per sicurezza o altro preciso bisogno fossero necessitati approdare ad terra debbano tenersi in mare sopra dette filluche et non scendere in modo alcuno in terra sino a tanto che cessato il bisogno o pericolo potessero di nuovo mettersi in mare e proseguire il loro corso. Secondo. Essi capitani et marinari s’obbligano che in caso facessero qualche preda di poco valuta o di mediocre debbano ammarinare il bastimento o bastimenti presi ed accompagnarli in porto sicuro, cioè Siracusa, Catania, Trapani o nella Pantelleria ed ivi lasciarlo con tre o quattro persone per guardia et darne subbita parta nella città di Messina al signor don Giuseppe Barna et signor Giovanni Giorgio Monti corrispondenti di detto illustre signor abbate don Ferrante, residentino in detta città di Messina, con inviarli distinto e puntuale nota-mento di tutto quello che consistessero le prede predette, affinché dalli medesimi corrispondenti possa esso signor abbate don Ferrante esserne certiorato et dare li ordini di quello si doverà fare ed eseguire, et in caso che per il mantenimento delle persone che lasceranno in guardia sopra detti bastimenti di preda || (22r) li bisognasse qualche danaro, lo debbano similmente accuisare a detti signori Barna et Monti per provederli di quello li bisognerà etc. Terzo. In caso che con l’aggiusto di Dio li detti capitani et marinari con dette filluche facessero prede di considerazione et valuta non debbano ammarinare li bastimenti di preda ma accompagnarli sino al faro di Messina o sin dentro il lazzaretto di detta città ed ivi consegnarli con destinto e puntual inventario a detti signori Barna e Monti et conseguente debbano subito partire per proseguire il corso suddetto quia sic etc. Quarto. In caso che le prede sudette fossero ridotte in uno delli detti porti, debbano detti capitani et marinari ritirarsi nel porto di Messina et darne parte ad esso illustre signor abbate don Ferrante aciochè vendute con suo intervento o di detti signori Barna e Monti tutto il contenuto di dette prede o in altra maniera smaltito possa sodisfarsi et rimborzarsi esso illustre abbate don Ferrante la sudetta spesa di scudi cinquemila, moneta di Sicilia, et quello di più che in futurum l’occorresse spendere et di quello che avanza pagare la decima spettante alla Regia Corte di Palermo ed il di più dividersilo metà esso illustre signor abbate don Ferrante et metà ad essi capitani et marinari secondo le regole et patti fra di loro quia sic etc. Et in caso che non facessero prede bastanti per soddisfarsi esso illustre signor abbate don Ferrante della sopradetta spesa fatta et facenda et li detti capitani et marinari o fuggissero o non volessero continuare il corso, sia ciaschedun di loro, conforme con giuramento promettono et s’obligano etc., tenuto et tenuti pagare et sodisfare a detto illustre signor abbate don Ferrante tutto il danaro dal medesimo signore a ciascheduno improntato, a quale effetto possa esso illustre signor abbate don Ferrante o suo legittimo procuratore astringerli realiter et personaliter in qualsisia loco, foro et tribunale, a restituirli li detti || (22v)imprestiti con la totale sodisfatione di tutto lo speso per detti bastimenti fabricati, armati et forniti a richiesta di detti marinari e capitani, perché altrimente esso illustre signor abbate don Ferrante non haveria fatto fabricare, armare et finire, et alle cose predette s’obligano una simul et in solidum. Quinto. In caso che detti capitani et marinari non facessero prede bastanti per sodisfarsi esso signor abbate don Ferrante li detti scudi cinquemila spesi e tutto quello che in futurum spendesse per causa di bastimenti di dette filluche o delle spese faciende et pigliassero forse qualche armamento inimico della suddetta o altra qualità di dette filluche et detto illustre signor abbate don Ferrante volesse armare in corso il detto armamento seu legno preso, siano tenuti li suddetti capitani et marinari o quanto d’essi detto illustre signor abbate don Ferrante stimerà necessarii, passare da un armamento all’altro ed andare in corso insino ad tanto che havessero compito la totale sodisfatione a detto illustre signor abbate don Ferrante così per la spesa sudetta di scudi cinquemila, come tutta l’altra facienda per dette filluche ed armamenti di preda et loro bastimenti, conforme detti marinari così con giuramento s’obligano in soludum quia sic etc. Sesto. In caso che qualcheduno o più marinari se ne fuggissero da dette filluche o dall’armamento di preda che di voluntà di detto signor Ferrante s’armas-sero in corso siano tenuti essi capitani et restanti marinari farli perseguitare e carce-rare in qualsiasi parte dove capitassero et per detto effetto far tutta la spesa necessaria da rinfrancarsi o sopra la persona dei fuggitivi che li spettasse in caso si riducessero alle filluche ed armamenti stante che || (23r) quando non si potessero reducere non devono tirar parte alcuna o pure da rinfrancarsi detta spesa sopra la communità et massa delle prede suddette, conforme essi capitani et marinari con giuramento in solidum s’obligano quia sic etc. Settimo. Che in caso di prede possano li marinari havere il sacco franco delle robe tagliate di coverta senza però toccare roba mercantile sotto coverta, né quella ammovere da dove si trova; et che possano detti capitani ritenersi qualche galanteria che li piacerà a loro arbitrio da regalare al sudetto illustre abbate don Ferrante partionalmente et che il cassaro della preda sia delli capitani et pel marinaro che si imposesserà di detto cassaro debba guardarlo per detti capitani li quali dovranno dar la parte a chi si imposesserà di detto cassaro quia sic etc. Ottavo. Chi scomboglierà bastimento di giorno pigliandosi detto bastimento se li debbia dare scudi cinque et se lo scomboglierà di notte habbia scudi dieci; et chi sarà il primo a montare sopra detti bastimenti nemici se li dia d’avante parte scudi quindici; al secondo diece et al terzo cinque, quia sic. Etc. Nono. Che qualsisia marinaro che prendesse danaro bullato debba rivelarlo alli capitani in qualsisia luogo che lo trovasse e tirare a suo beneficio il diece per cento et non rivelandolo incorra nella pena ad arbitrio delli capitani oltre la parte che li spettasse. Et in caso che fosse preso bastimento nemico carico nessuno possa aprire la stipa et aprendola incorra nella pena secondo l’uso et consuetudine della marinaria di corso, qual uso et consuetudine si debbiano osservare in tutti l’altri capi qui non espressi come se fossero espressi quia sic etc. Con dechiaratione che di quelli bastimenti che si rendessero senza combattere non debbano li marinari avere il sacco delle robbe tagliate di coverta ma dette robbe se li debbiano dividere conforme detto uso et consuetudine || (23v) né tampoco debbiano tirare il premio sopra detto delli tre primi che montassero li detti bastimenti stante che detto sacco franco et premii sopra espressi s’intendono concessi in caso che il bastimento nemico resistesse, dico resistesse et combattesse, quia sic etc. Decimo. Che alli capitani si debba dare la gionca da detto illustre signor abbate don Ferrante quale sia competente, secondo la quantità et qualità delle prede che faranno o pure darli il cinque per cento di dette prede ad arbitrio però di detto illustre signor don Ferrante, intendendosi detta gionca dedotte prima le spese sudette ed altre che farà detto illustre signor don Ferrante, quia sic etc. Undecimo. Che di tutte le prede si faranno dedotta prima la spesa di detti scudi cinquemila e quanto di più in avvenire si spendesse come di sopra s’è detto et dedotta la decima spettante alla Regia Corte et le spese comuni di quello che sopravanza si debba dare mezza parte per felluca per elemosina alla chiesa dell’Anime del Purgatorio, sita nella marina di questa terra per parte di detti capitani et marinari ed un’altra parte promette darla detto illustre signor abbate don Ferrante dalla sua portione che li spetterà, a fine di farsi beneficio in detta chiesa, me notarium presentem et pro ea stipulantem. Et per esequtione delle cose predette li sopradetti capitani e marinari infrascribendi confessano con giuramento havere ricevuta tutti l’imprestiti di danari pagatili da detto illustre signor abbate don Ferrante, compresi nelli notamenti che restano in potere di detto illustre signor abbate don Ferrante alli quali etc. che vanno compresi fra la detta summa di scudi cinquemila, moneta di Sicilia. Et li nomi di detti marinari et loro cognomi sono l’infrascritti videlicet || (24r): Domenico Vazzano, Antonio Morabito, Antonio di Pietro, Bartolo Arango, Nicolò Maranzano, Agostino Todisco, Giovanni Scardilla, Tafiro Craipoti, Giovanni Raneri, Giacomo Spanò, Giulio Rianò, Giuseppe Spinelli, Domenico Crucitta, Michele Richiechi, Giacomo Oliveri, Giuseppe Gatto, Costantino Colosi, Diego Casentino, Diego Tomasello, Onofrio Sorriraldi, Gaetano Mazzuni, Francesco Catanea, Diego Caristi, Santo Gaetano, Domenico Bonanno, Francesco Misiano, Matteo Puliti, Giuseppe Macrì, Domenico Scaglione, Francesco Caristi, Diego Fava, Antonino Bombaci, Placido Costa, Valentino Milandro, Atonino di Stilo, Salvatore Schimizzi, Gasparo di Paula, Domenico Piscotti, Filippo Arena, Capitan Vito Porzio, Onofrio Vita, Capitan Bease Maggio, Antonino Catafeo, Agostino Lopresti, Domenico Suraci, Giacomo Virdirame, Filippo di Arrigo, Antonio Vinci, Filippo Casentino, Giovanni Cardillo, Pietro Maugeri, Antonino Surace, Placido Berlingeri, Domenico Famà, Francesco Giordano, Francesco Galofano, Giuseppe Cufari, Nardo Casanova, Placido Cutroneo, Antonino Camaride, Paulo Tofanio, Giuseppe Lombardi, Antonio Franco, Giuseppe Piscopi, Giovanni Romeo scrivano, Domenico Duci, Giuseppe Lacopo, Domenico Costantino, Nunzio Morabello, Giuseppe Spanò, Giuseppe Grillo, Antonino Muschella, Francesco Zaffiro, Giuseppe Rodipere, Giuseppe Sergi, Giuseppe Picciolo,Felice Sideri, Diego Cardia, Benedetto Bassano, Antonino Vita, Bastiano Tuccio, Antonino Casanova, Domenico Passaniti, Francesco Ricciardi, Giuseppe Gullì. Li quali sopranominati capitani et marinari confessano come di sopra et s’obligano con giuramento, realiter et personaliter, osservare tutto et quanto nel presente instrumento se contiene et non contravenire sotto qualsiasi pretesto o quesito colore || (24v) così come esso illustre Signor abbate don Ferrante Spinelli s’obliga osservare detto instrumento et quanto in esso si contiene in tutto quello che ad esso appartine et non contravenire etc. Pro quibus omnibus observandis etc… ambae partes ipsae prout ad unamquamque ipsarum spectat et pertinet, actentis etc… sponte etc… obligaverunt se ipsas earumque et cuiuslibet ipsosque heredes, successores et bona omnia presentia et futura ubique sita et posita et ubicumque consistentia etc…, etiam secundum formam laudabilis ritus Magnae Curiae Vicariae et Regiae Camarae Apostolicae respettive etc…, sub poena et ad poenam dupli meditate etc…,cum potestate capiendi etc., costitutione praecarii etc., renuntiaverunt, iuraverunt videlicet dicti nautae et capitanei tactis scripturis etc., dictus illustris dominus abbas don Ferdinandus Spinelli taco pectore more etc. Et quod presens instrumentum possit in casu contrarii et inobservantiae etc. produci, incusari, et liquidari in omni cura, loco et foro etc., poenamque expensarum. Unde etc., actum etc. Presentibus iudice et testibus : Paulo Gagliardi regio ad contractus iudice, I.U.D. Didaco Franzè, reverendo don Alexandro de Costanzo, clerico Andrea Ascione, Vitaliano Cesario, Carolo Iliozzi, Augustino Bosco, Alberico Macrì aliisque et me notario regio et apostolico Francisco Camuso civitatis hieracensis ad presens hic Bobalini commorans, provincie Ulterioris Calabriae, manu propria rogato scripsi et signavi”.>>
Note. 1) Sull’argomento cfr. G. Valente, Calabria, calabresi e turcheschi nei secoli della pirateria, Chiaravalle Centrale 1973 2) Sulle torri costiere di avvistamento, ibidem, pp. 389-402 3) Capitava spesso che alcuni calabresi, rapiti da bambini crescessero secondo il costume saraceno e divenissero essi stessi pirati che terrorizza-vano le coste del loro Paese di nascita. 4) Sull’argomento cfr. G. Valente, Calabria, calabresi e turcheschi…, cit., pp. 389 e sgg. 5) Fra i tanti basterà ricordare il condot-tiero Antonio Sersale resosi protagonista di una spedizione in Albania (1464), Anto-nio Arenante e Carlo Ruffo dell’Ordine di Malta (sec. XVI), il capitano Giovanni Calabrese e tanti altri, ibidem., pp. 402-429 6) Si pensi per esempio all’impresa di Tunisi (1535) voluta da Carlo V e soprattutto alla famosa battaglia di Lepanto (1571) ma anche a tante altre minori spedizioni. 7) Importante al riguardo fu l’opera dei Cavalieri di Malta, G. Valente, Calabria, calabresi e turcheschi…, cit., pp. 404 e sgg. 8) Cfr. Sezione di Archivio di Stato di Locri (RC9), (=A.S.L.), fondo notarile, inventario, bb. 82-83, voll. 763-773. 9) Atto di accordo preventivo fra due o più contraenti spesso in merito ad una futura attività da svolgere in comune mediante la divisione dei compiti. 10) Centro interno situato sulla versante ionico della Calabria, nell’attuale Locride, antico circondario di Gerace, oggi provincia di Reggio Calabria, identificabile con la medievale Motta Bubalina, cfr. F. Russo, Regesto Vaticano per la Calabria, Roma 1977, vol. I. 11) Cfr. A.S.L., fondo notarile, not. F. Camuso, b: 82, vol. 766, ff. 21r-24v. 12) Gli Spinelli governarono Bovalino per un breve lasso di tempo (1689-1703) con la persona di Caterina Spinelli, figlia di don Ferrante dei principi di Tarsia e di Francesca del Negro (+ 1687) con cui si era estinta la casa genovese del Negro che aveva dominato la città per circa un quarantennio, cfr. M. Pellicano Castagna, La storia dei feudi e dei titoli nobiliari della Calabria, Chiaravalle Centrale 1984, vol.I ( A-Car). Pp: 278-279.13) Infra, appendice, testo del documento, f. 21 r 14) Ibidem, f. 21 v 15) Ibidem. 16) Ibidem. 17) Risultato controverso se questo aggettivo si riferisse al livello di sicurezza offerto dal porto in relazione alla presenza di notevoli fortificazioni o se si trattasse di approdi nei quali si praticasse forme di libero commercio al limite della legalità, anche con popolazioni potenzialmente ostili. In considerazione del tipo di attività svolta dalle due feluche, propendo per la prima ipotesi. 18) Non posseggo notizie su costoro ma doveva certamente trattarsi di personaggi di rilievo della società messinese del tempo 19) Infra, appendice, testo del documento, f.22r. 20) Lo Stato concedeva facilmente la patente per la pratica del corso ma pretendeva un decimo di tutti i proventi. 21) La porzione del bottino spettante al capitano della nave corsara. 22) Infra, appendice, testo del documento, f.23 v.23) Ibidem, f.22v. 24) Ibidem, ff.22v-23r. 25) Ibidem, f.22v. 26) Ibidem, f.23 r.27) Ibidem. 28) Ibidem. 29) Ibidem 30) Ibidem, f.23v. E’ notevole l’esisten-za di usi e consuetudini, per la marineria di corso cristiana ed è per certi versi sor-prendente che tali norme fossero riconosciute ed applicate dai corsari del tempo. 31) Ibidem.
PAESI SOTTO…TITOLO, tra cronaca e storia
PREMESSA. La vita di ogni comunità si svolge tra cronaca e storia. Una lunga serie di eventi quotidiani, che danno il volto il senso l’identità di un paese di una città o di un territorio. Solo pochi di questi eventi superano il test critico della banalità, che non lascia segni significativi per la crescita la storia e la caratterizzazione di una collettività… anche quelli spesso enfatizzati dai mezzi di informazione, per fini e interessi non sempre chiari ed evidenti, spesso legati a piccole beghe locali o larvatamente “ideologiche”, come si può evincere dai titoli che seguono. La ricerca, relativa al periodo 1984-2007, prende in esame notizie di stampa riferite a San Nicola dell’Alto e Carfizzi, due paesi collinari di origine arbereshe della provincia di Crotone, e vuole evidenziare il rischio che la loro manipolazione e il loro utilizzo improprio possano formare coscienze e valutazioni non sempre critiche attive e indipendenti. Infatti il pregiudizio spesso oggi nasce e si alimenta attraverso modelli mediatici imposti da chi gestisce “politicamente” i mezzi della comunicazione di massa. Modelli parziali indirizzati strategici interessati finalizzati, che quotidiana-mente formano coscienze e valutazioni acritiche passive e dipendenti. Non sono solo i fatti e gli eventi che caratterizzano ed “etichettano” comunità e territori, ma la loro manipolazione e il loro utilizzo.
CARFIZZI e SAN NICOLA ANNI 1984/1988: 1)Caraffa di Catanzaro, maggio 1984. Manifestazione culturale e folkloristica arbereshe organizzata dalla locale Scuola Media con la partecipazione degli alunni delle Scuole di San Nicola dell’Alto, Carfizzi, Pallagorio, Civita, Lungro, San Giacomo di Cerzeto. Nella sezione di “Musica, canti e danze popolari arberesh” è risultata vincitrice la Scuola Media di San Nicola dell’Alto. 2)San Nicola dell’Alto, marzo 1985. Gli alunni della Scuola elementare e media alla “5^ Rassegna nazionale di musica, canti e danze popolari” di Barletta, patrocinata dal Ministero della Pubblica Istruzione. I brani preparati: VAGA E MARTESIT (danza del matrimonio); VAGHI I NUSES (danza della sposa); TARANTELLA ALBANESE; VASHE TI VIEN TE FERA ME MUA (ragazza vieni alla fiera con me); YGHI (la stella); NGREN, MEME, SE BORI DRITE (sorgi, madre, ch’è già giorno); TI VASHUGHILE (tu ragazza); TESTAMENTI I GADHJURIT (il testamento dell’asino). 3)Crotone, maggio 1987. Le Scuole Medie di San Nicola dell’Alto e Carfizzi alla redazione del settimanale “Il Crotonese”. 4)Crotone, aprile 1989. Premiati scolari e studenti al Concorso di danza e coreografia “Città di Crotone” organizzato dalla “Società Beethoven” Acam di Fernando Romano. Al primo posto per la danza si è classificata la Scuola Media di San Nicola dell’Alto, con una suggestiva danza folkloristica albanese con musica dal vivo. 5)Il fidanzamento e il matrimonio nella tradizione a San Nicola dell’Alto.
CARFIZZI. 1)ANNO 1989 -1.1) Aprile ·La protesta degli arberesh: la comunità italo-albanese ha inviato una lettera all’ambasciata iugoslava a Roma. “Ecco tutta la verità sul dramma del Kosovo” 1.2)Dicembre ·L’etnia sotto il cemento. Carfizzi tra i paesi privati dell’identità urbanistica. Un cuore antico dell’albanesità spazzato dall’abusivismo edilizio. Cercare il passato tra le mura e le pietre è difficile, ma qui diventa impossibile: tutto è stato trasformato, divelto mentre la smania del nuovo ha creato solo un abitato anonimo. 2)ANNO 1990 2.1) Aprile ·A cinquantatrè ragazzi in gamba di Crotone e circondario i premi Rotary. Per la sezione staccata di Carfizzi è stata premiata Emilia De Simone con la seguente motivazione: “L’alunna dotata di una buona preparazione di base, nelle varie attività scolastiche si è mostrata sempre impegnata e interessata. Rapida nell’apprendimento ha potenziato le sue capacità di comunicazione raggiungendo brillanti risultati. Il suo comportamento è sempre stato corretto ed educato.” 2.2) Maggio ·“Si” al piano di recupero dei centri storici a Cirò Superiore e Carfizzi. ·Alla ricerca delle radici arbereshe, viaggio in Albania degli alunni della Scuola Media di Carfizzi e San Nicola dell’Alto, accompagnati dal preside Ripolo, dagli insegnanti Balsamo, Mazzitello, Basta, Pace, Iocca, dal preside di Melissa e presidente della “Lega degli scrittori e artisti Arberesche” Giuseppe Del Gaudio e dall’ispettore centrale del Ministero alla P.I. Giuseppe Salimbeni. A Tirana ricevuti dalle Autorità politiche e scolastiche e dall’Ambasciata italiana. Visitati Durazzo, Kruje, Berat, Fer, Argirocastro e Tirana. L’impatto con la terra degli avi, non sembri retorico, ha suscitato nei ragazzi emozioni dolcissime venate però dal disappunto nel constatare che l’Albania deve ancora avviarsi sulla strada del progresso e della libertà, anche se in questi giorni diversi eventi, anche violenti, sono indizi di voglia di cambiamento… e che una pagina importante della sua storia si stia scrivendo… speriamo che non sia l’unica… Il viaggio ha creato inoltre le basi e le condizioni per una seria collaborazione tra la Scuola albanese e quella calabrese. 2.3) Ottobre ·Gli arbereshe dell’Alto Crotonese, nelle tre Comunità di lingua e tradizioni albanesi, hanno mantenuto ancora intatta la loro antica cultura. Nel 1984 e nel 1990 la Comunità dell’Alto Ionio ha finanziato ed organizzato Seminari di lingua arbereshe con docenti dell’Università di Tirana, finalizzati alla salvaguardia della cultura albanese e delle sue tradizioni. ·La Comunità Alto Crotonese ha istituito un corso di arbereshe nei tre paesi albanofoni, tenuto dai docenti Ethem Likai, Nasho Jorgaqi ed Emil Lape dell’Università di Tirana. Il corso s’innesta su un altro gestito, sei anni prima, dagli stessi docenti, con il coinvolgimento delle Scuole locali. 3)ANNO 1991 3.1) Gennaio ·Solidarietà degli arbereshe con la rivolta degli albanesi,dalle Comunità di Pallagorio San Nicola dell’Alto e Carfizzi. 3.2) Marzo ·Il dramma albanese. “L’Europa può avere fiducia in noi”. Le peripezie di un popolo che le vicende storiche hanno reso martire. Dalla dominazione turca al regime comunista tutta l’esasperazione di gente che vuole soltanto migliorare. La solidarietà di Carfizzi e San Nicola. 3.3) Aprile ·A passo di mazurka e tango sul palcoscenico dell’Apollo. Al primo posto, tra i vincitori della 3^ edizione del Premio nazionale di danza e coreografia, gli alunni della Scuola Media di Carfizzi. 3.4)Luglio ·Giovani di 5 Paesi a Carfizzi nel segno della cultura nuova. L’iniziativa, che è promossa dalla Associazione Skanderberg, si svolge in collaborazione con il Ministero degli Affari esteri.. Una cinquantina di ragazzi hanno partecipato alla quarta edizione, per seguire un itinerario di fratellanza. 3.5) Agosto ·Quando l’abbandono preserva ricchezze in piccoli paesi come Carfizzi e San Nicola dell’Alto. Oggi si vive nelle grandi città per mille motivi. Ma per tante altre ragioni si fugge dalle città. Si assiste alla riscoperta dei valori propri dei piccoli centri. Mancano negli agglomerati urbani di consistenti dimensioni oasi di pace e riflessione. Nei piccoli centri, invece, gli individui possono meglio soddisfare molti bisogni elementari. Più intenso e interessante è il rapporto con la natura. 3.6) Settembre ·Dove volano le aquile. Un bambino nella comunità arbereshe di Hora nel romanzo “Il ballo tondo” di Carmine Abate. ·La donna e l’uomo in alcuni detti popolari arbereshe: “La botte piena/ e la moglie ubriaca – Buti i pjot/ e shoqja e dejem”; “La donna onesta fa la casa ricca – Graja e mir bon shpin e bgat”; “Se vedi l’albanese e il lupo/ uccidi l’albanese e lascia il lupo/ Nga she gjegjrin e ujkun/ vret gjegjrin e lle ujkun; Uomo e donna /come carne e unghia – Burr e gra/si midh e thonj”. 4)ANNO 1992 4.1) Aprile ·Danza e musica, tra i vincitori della quarta edizione del “Concorso di danza e coreografia-musica corale e strumentale” gli alunni della Scuola media di Carfizzi. 4.2) Maggio ·Montagnella di Carfizzi, festa delle tre comunità arbereshe. Settantaquattresima edizione. Folla di partecipanti. 4.3) Agosto ·Carfizzi, incontri culturali tra tradizione e letteratura. Presentato il libro “Il ballo tondo” di Carmine Abate. 5)ANNO 1993 5.1) Maggio ·Gli studenti migliori della provincia. La consegna dei riconoscimenti si terrà sabato 29 maggio nell’auditorium dell’Alcmeone. Ventisette le edizioni per il premio intitolato a Pucciarelli e D’Afflitto. Antonella Bastone della Media di Carfizzi: “Allieva dotata di apprezzabili doti intellettive, si è distinta per la perseveranza nello studio delle varie discipline per il desiderio di apprendere e di approfondire le proprie, già buone, conoscenze culturali”. Fabio Garista della Media di San Nicola dell’Alto: “L’alunno ha sempre seguito con interesse gli argomenti trattati nelle varie discipline; si è impegnato in modo efficace e con profitto coinvolgendo nelle varie attività anche i compagni meno disponibili, diventando conseguentemente per tutta la classe un modello da imitare.” ·Viaggio nel fantastico mondo dell’artigianato. Francesco Basta, Maestro del legno e del ferro, specializzato in oggettistica in legno, candelieri ornamentali, “strumbuli”, portacenere, portagioielli, tavolini, ecc. 5.2) Luglio ·A Carfizzi voglia di Europa. Si è conclusa l’esperienza comunitaria di giovani di diversi Paesi, organizzata dalla locale Associazione “Skanderberg” nell’ambito delle attività del Programma Gioventù per l’Europa. A Carfizzi l’”Onu” dei giovani. Quando si vuole le barriere razziali cadono senza difficoltà. Da cinque continenti giunti in Calabria per formarsi al volontariato. “Qui ci autogestiamo lavoriamo tutti assieme e questo è meraviglioso.” Laboratori d’Europa. Dal 1987 questo paese di appena 1.400 abitanti ospita ogni estate gruppi di ragazzi provenienti da ogni parte del continente. Un’esperienza che prefigura quell’unità ancora di là da venire. 5.3) Settembre ·“Il tesoro di Scanderberg” di Carmine Abate. Racconto tratto dal volume “Il muro dei muri”, che traccia un itinerario dell’emigrazione tra miti di ritorno e voglia di integrazione. ·Impercorribile la provinciale per bivio Motta. Manca di manutenzione ed è pericolosa in diversi punti.6)ANNO 1994 6.1) Febbraio ·Nella notte va a Carfizzi la ronda dei volontari. Organizzati in squadre di vigilantes i cittadini si difendono dai ladri. ·Sgomberate le case popolari da tempo occupate in modo abusivo. Non c’è stato bisogno dell’azione dei carabinieri. Si è svolto tutto in ordine. ·I cittadini rischiano la vita circolando su quella strada. Per la Carfizzi-Cirò Marina una petizione popolare. 6.2) Aprile ·“Anziani, così li vedo”: Strongoli, IV edizione del Premio “Emma Gagliardi”, docente di educazione artistica morta nel disastro ferroviario di Crotone nel 1990. La Gagliardi aveva insegnato anche nella Scuola media di Carfizzi. ·Quattro anni di iniziziative. A Carfizzi “Tromba” e “Ppi” al giudizio degli elettori. 6.3) Maggio ·La Scuola sale sul palcoscenico. Ha preso il via la prima rassegna teatrale con istituti da tutta la regione. Ipsia e Alvaro debuttano con “lo stralisco”, tratto da un romanzo di Roberto Piumini. ·“Festa degli Alberi” organizzata dal Professionale dell’agricoltura di Cirò Marina, nel rispetto del programma che da 17 anni si ripete nel mese di maggio, con la partecipazione delle scuole medie del circondario. Premiati al Concorso artistico gli alunni della 3° di Carfizzi, Bastone Leonetti Amoruso e Tilelli. 6.4) Agosto ·Carfizzi ombelico d’Europa. Vi si ritrovano ogni anno giovani provenienti da molti paesi comunitari. ·Auguri in portantina. Felice e Letizia sposi nel proprio paese tornati a casa dalla Germania. 7)ANNO 1995 7.1) Giugno ·Progetto bilaterale “Minoranze etniche e società multiculturale”. 1^ Fase: L’integrazione delle minoranze etnico-linguistiche nel Mezzogiorno d’Italia, Organizzazione Commissione dell’Unione Europea Programma “Gioventù per l’Europa” e Associazione di volontariato Skanderberg di Carfizzi. ·Tradizioni albanesi. A Carfizzi una recita scolastica diventa operazione culturale. Recupero di canti, favole e leggende. 7.2) Novembre ·Dateci più verde e meno asili inutili: Lettera degli scolari delle elementari a sindaco e consiglieri. ·Gli eredi di Skanderberg. Un sistema scolastico per i paesi albanesi. L’avvenire dell’etnia arbereshe si gioca sul proprio passato.7.3) Dicembre ·Calvo visita i tre Comuni arbereshe. Il prefetto accolto da sindaci, che hanno messo in evidenza le problematiche del territorio. 8)ANNO 1996 8.1) Aprile ·Dalla Lapponia a Carfizzi in nome dell’Europa unita. Per quindici giorni una quarantina di ragazzi norvegesi sono stati ospitati in Calabria nell’ambito degli scambi bilatelari del progetto “Gioventù per l’Europa”. 8.2) Agosto ·Celebrata la festa del ritorno con il patrocinio del Comune e la collaborazione dell’Associazione Skanderberg. 9)ANNO 1997 9.1) Aprile ·Gli ori e i costumi femminili nella tradizione calabro-albanese. Il mondo arbereshe nella provincia di Crotone (Puherin, Karfici, Shen Kolli). 9.2) Maggio ·L’Europa dei giovani apre casa. A Carfizzi delegati di 14 nazioni mettono a punto i progetti per i programmi di scambio. Tutto il paese alla cerimonia di inaugurazione dell’ostello. ·Celebrazione del 1° maggio. E’ dal 1919 che i tre comuni arberesh si danno appuntamento alla “Montagnella”. ·In missione a Tirana maresciallo arberesh: Mario Viviani originario di Carfizzi. ·Messa solenne in occasione della ricorrenza del 50° anno di messa del parroco Gasparro Damiano. ·”Atteggiamento irrispettoso”. Per Giovanna Macrì il sindaco ha disatteso la Giunta. Il vicesindaco si è dimesso: l’ostello il pomo della discordia. 9.3) Giugno ·Costituito l’Arci a Carfizzi. Un acceso dibattito sulla destinazione dell’ostello (art. di F.Balsamo). ·La democrazia a Carfizzi non è un concetto astratto. Il sindaco: un paese conosciuto ovunque per l’onestà degli abitanti (intervento del sindaco Alfieri sull’art. di Balsamo). ·Un abbaglio clamoroso. Balsamo risponde alle critiche del sindaco Alfieri. “La crisi amministrativa non mi riguarda” (art. di replica di F. Balsamo). ·La rete scolastica della provincia di Crotone: la razionalizzazione del sistema è stata redatta dal Provveditore agli Studi Luigi Vincelli di concerto col sindacato. Malgrado il calo della popolazione poche le classi soppresse, tra le quali la prima media della sezione staccata di Carfizzi. Le Scuole nei paesi chiudono, in città scoppiano. ·Quarantanove studenti-modello. Assegnati i prestigiosi riconoscimenti “Pucciarelli D’Afflitto XXX edizione”. La manifestazione è stata organizzata dal Rotary. Per la Scuola Media di Carfizzi l’alunna Basta Ursula: Costante nello studio e motivata da uno spontaneo interesse, l’alunna ha partecipato attivamente alle varie attività scolastiche, maturando, così, compitamente la sua formazione culturale e umana. Per carattere disinvolta e aperta nei rapporti sociali si è ben inserita nel gruppo classe e ha saputo stabilire costruttivi rapporti con i compagni e con gli insegnanti.” Per San Nicola dell’Alto, Garista Margherita: Per il suo impegno costante e produttivo, per la sua spiccata sensibilità e il suo altruismo, l’alunna è stata un punto di riferimento positivo e importante per tutta la classe.” 9.4) Luglio ·Eletto il Consiglio direttivo dell’Arci. ·Scambi giovanili, interrogazione di quattro consiglieri sulla legittimità di alcune operazioni. ·Settimana arbereshe a Carfizzi, San Nicola e Pallagorio. Protocollo d’intesa tra Provincia e Paesi arbereshe. La Provincia guarda agli arbereshe. Trenta milioni per spettacoli culturali ed artistici. 9.5) Agosto ·Alla scoperta dell’isola etnica. Itinerari turistici/Tradizioni e cultura che si conservano praticamente intatte. Carfizzi, Pallagorio e San Nicola custodi dell’arbereshe. ·Carfizzi, celebrata la festa del ritorno con il patrocinio del comune e la collaborazione dell’associazione Skanderberg. 9.6) Settembre ·A Carfizzi scuole “dimezzate”: una sola classe (terza) di media, due monoclassi e due pluriclassi alle elementari. 9.7) Ottobre ·Schedature, per conto di chi? La Digos ha messo i sigilli a un’agenzia di investigazioni. 10)ANNO 1998 10.1) Gennaio ·Carfizzi è già Europa. Concluso il 9 gennaio uno scambio tra ragazzi di 11 Paesi. “Un modo per conoscersi e demolire pregiudizi”. 10.2) Maggio ·Carfizzi, inizia la festa. Promozione in seconda categoria. 10.3) Ottobre ·Per un’Europa meno pettegola. Il presidente dell’Associazione Skanderberg risponde alle critiche di una polacca. Alfieri: apprezzamento per i nostri corsi d’italiano. 10.4) Dicembre ·Alzarsi alle sei per fare pochi chilometri. Vita difficile per i pendolari. Gli studenti provenienti da Carfizzi chiedono l’istituzione di un’altra corsa alle ore 7.00. 11)ANNO 1999 11.1) Aprile ·“Ministro sono pronto a partire…”Alessandro Costantino, di lingua e cultura arbereshe, vuole portare aiuto ai profughi. ·Una moto per fuggire o per tornare? Ieri all’Unical Carmine Abate ha incontrato gli studenti per parlare del suo nuovo libro. La Calabria scopre uno scrittore apprezzato in tutta Italia. 11.2) Maggio ·Carfizzi accoglie i fratelli kosovari. Ospitati nell’Ostello della gioventù cento profughi provenienti da un centro della Puglia. Negli occhi di quei bambini tanta voglia di normalità. 11.3) Giugno ·Ma non si vive di sole opere. Carfizzi, le due liste in cerca di un utilizzo delle tante strutture esistenti. Lista “Insieme per Carfizzi”. Alfieri: ci provo la quinta volta perché il rapporto con la gente è sano. Lista “Lavorare per esserci”. De Paola: ricambio per lo sviluppo. ·Nello Alfieri, sindaco da record. Carfizzi, da 19 anni alla guida del piccolo comune albanofono. E’ stato eletto per la quinta volta consecutiva. Di quell’ostello alla Montagnella ne ha fatto una “Onu” dei giovani. ·Sua maestà Nello Alfieri da Carfizzi. “Non vogliamo essere rappresentati da un sindaco che si preoccupa persino di scegliere il suo successore” (I componenti e i sostenitori della Lista “Lavorare per esserci”). Le scaramucce politiche sono affari vostri, a noi interessava solo il “dato” giornalistico (Il direttore de “Il Crotonese”). 11.4) Ottobre ·ITALIA. La letteratura salvata dagli stranieri. Da Rushdie a Ben Jelloun, all’estero adottare una lingua presa in prestito è un fenomeno ormai consolidato. Da noi nasce solo ora: e c’è chi parla già di rivoluzione. La Babele di Abate: prima “arberesh” poi “germanese”, scrive in italiano imparato a scuola come una lingua straniera. 11.5) Novembre ·La rivincita dei dialetti. E’ legge la tutela delle minoranze linguistiche. L’idioma “protetto” potrà essere insegnato a scuola. ·Approvata la legge sulle minoranze linguistiche. A scuola anche gli idiomi storici. 11.6) Dicembre ·Botteghe Oscure invita Burgos per mettere pace fra i Ds. Scontro fra i dirigenti delle due mozioni. Arriva un esponente della Commissione nazionale di garanzia per far luce su presunti brogli al congresso di sezione di Carfizzi, sindaco Nello Alfieri. La politica è il motivo ricorrente nei titoli degli anni finora considerati, politica intesa purtroppo come gestione di un potere per interessi e fini particolari, e non di un servizio da rendere alla collettività. In secondo piano è la bella figura dello scrittore Abate, che dà lustro risalto e visibilità, in tutte le occasioni, al paese natìo. Sull’interessante legge di tutela delle minoranze linguistiche, si evidenziano delle ipocrite prese di posizione a favore, da parte di persone che hanno sempre ostacolato qualsiasi attività di recupero linguistico e culturale operate o tentate da altri in modo disinteressato e senza pregiudizi. Infine il tentativo, con limiti e riserve, di inserire Carfizzi in un circuito internazionale di scambi culturali può sembrare opera meritoria, se non mascherasse altre motivazioni improprie. 12)ANNO 2000 12.1) Marzo ·Muro davanti alla Konicella. A Carfizzi, l’antica edicola votiva non più visibile a chi arriva dalla strada maestra. “Così il paese muore”. 12.2) Giugno ·Il canto della tradizione albanese dà il ritmo al racconto di Abate. Il “ballo tondo”, che ora esce in una nuova versione, descrive la singolarità della comunità “arbereshe” attraverso gli occhi di un ragazzo. ·Storie di albanesi in Calabria raccontate alla “De Nobili”. Allo scrittore calabro-albanese di Carfizzi l’assessore comunale alla cultura Aldo Costa e la biblioteca “De Nobili”, diretta da Maria Teresa Stranieri, hanno dedicato l’ultimo appuntamento con gli autori calabresi. ·Leggiamo in cerchio il romanzo “Il ballo tondo” di Carmine Abate. 12.3) Ottobre ·Grande accoglienza a Carfizzi per il nuovo parroco. Si è insediato don Matteo Giacobbe. 12.4) Dicembre ·Consiglio “infuocato”. Duello dialettico tra Alfieri e la Macrì. Contestate le tariffe Ici, bruciate le bollette. ·Il “dolce” Natale degli arbereshe. A San Nicola e Carfizzi tante leccornie fatte in casa in occasione delle feste. In evidenza anche per il 2000 i romanzi dello scrittore Carmine Abate, diventato per la sua notorietà alfiere e testimonial del piccolo paese natio, altrimenti sconosciuto. 13)ANNO 2001 13.1) Marzo ·Percussioni e computer:a Carfizzi si va a lezione in un corso di musica. ·Quella lingua da salvaguardare. Convegno a Pallagorio sulle tradizioni dei paesi albanofoni della provincia di Crotone. 13.2) Maggio ·Un Primo maggio storico per le popolazioni di San Nicola, Carfizzi e Pallagorio. Alla festa della Montagnella celebrata, per la prima volta dal 1919, la santa Messa. 13.3) Giugno ·L’Italia delle minoranze linguistiche è entrata nella Scuola, attuando la legge n.482 del 15 dicembre 1999. 13.4) Agosto ·Carfizzi sede del “G12” dei giovani. A luglio e agosto oltre 1000 ragazzi stranieri hanno discusso di Unione europea e di carta dei diritti. L’Associazione Skanderberg ha organizzato l’evento nell’ambito del programma “Gioventù per l’Europa”. 13.5) Ottobre ·Va forte la “moto di Scanderberg”. L’opera dello scrittore Carmine Abate vince il premio “Racalmare–Leonardo Sciascia 2001”. Vincenzo Consolo: quel romanzo “metafora” di ogni sud del mondo. 13.6) Novembre ·“Cosa è cambiato nell’ultimo mezzo secolo”. I sindaci dei centri a rischio commentano i risultati dell’indagine. Dalle ondate migratorie degli anni ’50 una fuga senza soluzione di continuità. Nella gran parte dei casi i residenti si sono dimezzati, unica eccezione Cerenzia. Un consorzio tra comuni unica ancora di salvezza. ·I Diesse di Carfizzi all’unanimità con la mozione “Berlinguer”. Assembleain vista del Congresso. Note positive sul fronte della tolleranza ideologica fra Chiesa e amministratori e della convivenza fra “credi” opposti e intransigenti: la celebrazione della Messa alla Festa del 1° Maggio rappresenta un fatto storico e un segno di grandissima civiltà. Alla Montagnella di Carfizzi convergono ogni anno le popolazioni dei tre paesi arbereshe per celebrare un’identità culturale e ideologica ben precisa che fino a poco tempo fa era di totale chiusura nei confronti di “altre” posizioni. 14)ANNO 2002 14.1) Gennaio ·Minoranza linguistica legittimità. Nuove prospettive per Carfizzi, Pallagorio e San Nicola. Arriva dopo oltre 50 anni la delimitazione territoriale dei comuni albanofoni della provincia. 14.2) Marzo ·Pozzo artesiano di 140 metri contro la siccità realizzato dal Comune. ·Gli adulti di Carfizzi alla lavanda dei piedi. 14.3) Aprile ·A Carfizzi i “lupetti” imparano la legalità. Gruppi scout del crotonese si sono ritrovati nella cittadina. ·Piccolo è bello: semila paesi da tutelare dal rischio estinzione. Oggi possono essere rivalutati grazie ad un’oculata strategia turistica a largo raggio che ne esalta i caratteri. Il “trittico” dei comuni albanofoni scrigni d’antichi costumi e culture. ·La comunità di Carfizzi accoglie don Domenico Parrotta. Il parroco ordinato dal Papa ha celebrato nella sua chiesa. ·Alla Montagnella si celebrerà il 1° maggio la festa del lavoro. 14.4) Maggio ·Calabria da scoprire: Carfizzi (Carfici), Pallagorio (Puheriu) e San Nicola dell’Alto (Shen Koghi). Il triangolo crotonese della viva cultura arbereshe. ·Montagnella, ritrovarsi per la dignità del lavoro. Primo maggio a Carfizzi nel segno della tradizione: Il raduno dei paesi arbereshe per la festa dei lavoratori è un punto di riferimento. La sincerità della gente genuina. ·Carfizzi, ombelico d’Europa. Attraverso il servizio di volontariato europeo ospita giovani stranieri dal ’97. Il progetto è, però, poco sfruttato dai ragazzi crotonesi. ·Primo maggio 2002 a Carfizzi: che nostalgia quello di una volta. Tra i vecchi “compagni” custodi di tante emozioni. 14.5) Agosto ·Santa Veneranda, festa posticipata per la pioggia. ·Carfizzi ha ospitato tredici lupetti. Il gruppo scout “Crotone 2 – Poggio Pudano” per una settimana nel paese arbereshe. ·Un paese in processione. Dalla mano di mio padre a quella di mio figlio. Dietro la statua di Santa Veneranda come quarant’anni fa. Lo scrittore Carmine Abate racconta la sua Carfizzi, bella come ieri ma vuota come una castagna rosicchiata da un verme crudele: l’emigrazione. ·Sabato 10 agosto la consegna. Carmine Abate cittadino onorario di Cerzeto. ·Carfizzi e la gioventù d’Europa. La presenza di giovani di Paesi diversi è stata terreno di confronto nelle varie manifestazioni estive. Un sistema per favorire l’integrazione tra popoli. ·Festa del ritorno tra cultura e allegria. A Carfizzi si sono svolte dal 5 al 10 agosto le tradizionali giornate dedicate agli emigrati. Dal libro di Carmine Abate alla gara podistico “Corri il verde”. 14.6) Ottobre ·Abate preferito a De Crescenzo. Lo scrittore originario di Carfizzi vince il premio “Domenico Rea-Isola d’Ischia”. I lettori della giuria popolare gli attribuiscono 60 voti in più. Diviso tra due mondi e due culture. Il protagonista del libro “Tra due mari” subisce i richiami contrastanti delle sue due patrie, Germania e Calabria. ·Consiglio comunale: a Carfizzi presente solo la maggioranza. Approvato l’equilibrio di bilancio. 14.7) Novembre ·”Tra due mari” romanzo per l’Europa. All’opera dello scritoore Carmine Abate sono andati 221 preferenze sui 498 voti dei giurati stranieri e italiani del “premio Fenice Europa”. Nella cerimonia in Umbria i collegamenti con gli italiani nel mondo. 15)ANNO 2003 15.1) Gennaio ·Libri giudicati dai ragazzi per il Premio di narrativa. Progetto della Comunità montana. Abate il presidente. ·Aspettando il Natale davanti ai grandi falò prima che al Befana porti via feste e emigrati. ·Geografia arbereshe: albanesi del Sud Italia. In Italia i paesi albanofoni sono cinquanta, ma la maggio parte si trovano al Sud. In Calabria se ne contano ben trentatrè. Nei beni culturali c’è il riferimento costante al culto. ·Il Grande condottiero della nazione albanese. Le gesta di Giorgio Kastriota Skanderberg, eroe arberesh. Difensore della cristianità del XV secolo. 15.2) Aprile ·Il presidente dell’Albania ha visitato la Calabria. Moisiu ha incontrato le comunità arbereshe. Per la provincia di Crotone c’erano anche i rappresentanti istituzionali dei tre paesi arbereshe, San Nicola Carfizzi e Pallagorio. ·I dati del censimento 2001 della provincia di Crotone: totale abitanti 173.122 densità per kmq. 100,9 (nel 1991: 180,409/differenza –7287/differenza percentuale –4,0) – Carfizzi: abitanti 868 densità per kmq. 62,7 (nel 1991: 1327/differenza –459/differenza percentuale –34,6). ·Da 85 anni l’1 maggio si va alla Montagnella. Il simbolo dei lavoratori del crotonese. ·A Barcellona non si sente la banda. La festa della Montagnella di Carfizzi vista da una giovane giornalista spagnola. 15.3) Giugno ·Attraverso la scuola legami più stretti tra Albania e Arberia. Proposte al convegno di Pallagorio. Il programma ha visto impegnati gli alunni di tutti i plessi dell’Istituto comprensivo (Carfizzi, San Nicola , Pallagorio e Umbriatico), che hanno portato in scena il mondo arbereshe. ·In processione per le strade di Carfizzi. Celebrata nel piccolo centro arbereshe la festa dedicata a Sant’Antonio di Padova. ·I mulini del torrente Manzella tra i confini del Comune di Carfizzi, Pallagorio e Umbriatico utilizzati dai cittadini di San Nicola e Carfizzi. Ubicazione e stato attuale; struttura e modalità di funzionamento. Vita quotidiana e abbandono. 15.4) Agosto ·”La moto di Scanderberg” e “Il ballo tondo” di Carmine Abate. ·Narrativa per ragazzi. Scelti i 12 libri finalisti. Concorso indetto dalla Comunità montana Alto Crotonese. ·A Carfizzi la “festa del ritorno”. Organizzata per dare il benvenuto ai numerosi emigrati che rientrano per l’estate. La processione di Santa Veneranda. ·Ballate, teatro e conferenze. Carfizzi, grande successo di pubblico all’ottava edizione della festa del Ritorno. ·Carfizzi, un comitato per la festa del ritorno. 15.5) Settembre ·Non ci sono alunni e Carfizzi perde anche una “quinta”. ·Gita a Botte Donato per gruppo anziani. ·Istituto comprensivo di Pallagorio: in classe 368 studenti. Comprende i comuni arbereshe e Umbriatico. Pallagorio: 45 alunni di media; 56 di elementare; 37 materna. Umbriatico: 36 alunni di media; 40 elementare; 29 materna. San Nicola: 36 alunni di media insieme a quelli di Carfizzi; 32 di elementare; 22 di materna. Carfizzi: 18 di elementare; 17 di materna. Totale: 117 media; 146 elementare; 105 materna. ·Il volontariato europeo passa ancora da Carfizzi. Nel piccolo Comune continua il progetto internazionale. 15.6) Ottobre ·Bilancio in equilibrio al Comune di Carfizzi. Consiglio svolto senza l’opposizione. ·Pellegrinaggio da Carfizzi nei luoghi di San Pio. Una bella esperienza di fede. Celebrata da don Matteo una messa sulla tomba del frate di Pietralcina. ·Carfizzi, il comune mette in vendita per i cittadini la legna derivata dai lavori di pulitura dei boschi. ·Celebrazioni del 4 novembre organizzate dal Comune di Carfizzi.15.7) Novembre ·Falò prenatalizi: tradizione da riscoprire. A Carfizzi dal 24 novembre è stata ripresa l’usanza che stava per essere dimenticata. 16)ANNO 2004 16.1) Gennaio ·Alfieri e De Luca entrano nella Comunità montana. Nuovi rappresentanti per Carfizzi e Melissa. ·Una Natività dedicata alle vittime di Nassirya. Il presepe degli alunni di San Nicola e Carfizzi. ·Un fulmine danneggia abitazioni a Carfizzi. Durante un temporale nella mattina del 3 gennaio la folgore ha colpito un ripetitore telefonico in via Primo Maggio. ·Salviamo la lingua del “villaggio”. La tutela dell’isola alloglotta arbereshe costituita dai comuni di San Nicola, Carfizzi e Pallagorio. Il modello “svizzero” indicato da Gangale. 16.2) Febbraio ·Tasse e tributi invariati. Carfizzi, il Consiglio non ha modificato le aliquote al 2003. 16.3) Marzo ·Premio narrativa per ragazzi: seconda edizione del concorso. Giuria presieduta dallo scrittore originario di Carfizzi Carmine Abate. ·Carfizzi, 8 marzo non solo festa. Due iniziative dedicate alle donne con diversi spunti di riflessioni, ma anche divertimento. 16.4) Aprile ·L’8 alla Mondadori la presentazione del nuovo romanzo di Abate “La festa del ritorno. ·Carfizzi, Alfieri non si ricandida. L’annuncio nel corso dell’assemblea dei Ds per prepararsi alle elezioni comunali. ·Il paese e la gente agli inizi del ‘900. Inaugurata a Carfizzi un’interessante mostra di fotografie d’epoca del piccolo centro arbereshe. 16.5) Maggio ·Un primo maggio europeo. Il piccolo sogno dei lavoratori nella nuova grande Unione. Alla Montagnella di Carfizzi rinnovato l’appuntamento che si celebra fin dal 1919. ·Due donne in campo per Gallo. Carfizzi, Maria Amato e Concetta Basta candidate al Consiglio provinciale. ·Carfizzi, comunque vada ci sarà una “sindachessa”. Caterina Tascione e Giacobba Marino guidano le liste. ·Ilde Donadio candidata dell’Aranceto. Elezioni del Consiglio provinciale, nel collegio San Nicola-Carfizzi-Pallagorio-Umbriatico. ·Carfizzi, il cambiamento è donna. Nessun pregiudi-zio verso Giacobba Marino e Caterina Tascione.Gli elettori hanno apprezzato le due candidate “rosa” per la carica di sindaco. ·“Pensiamo di poter dare un volto nuovo a Carfizzi iniziando dallo sfruttare la nostra diversità di minoranza linguistica”. Cateri-na Tascione candidata a sindaco per la lista “Hora”. ·”Sono pronta a raccogliere l’eredità lasciata da Alfieri perché ho vicino gente che mi aiuterà ad amministrare”. Giacobba Marino candidata a sindaco lista “Insieme per Carfizzi”. 16.6) Giugno ·Primo in cinquina Premio Campiello, Carmine Abate con “La festa del ritorno”. L’apprezzamento della Giuria letteraria. ·Una lady di ferro per Carfizzi, Caterina Tascione eletta sindaco di Carfizzi con uno scarto di 234 voti su Giacobba Marino (366-232/61%-38%). Il Consiglio comunale si tinge di rosa: quattro le donne elette. ·Non è stata a causa di Alfieri che abbiamo perso le elezioni. La Marino smentisce voci e illazioni fatte in paese. ·Il turno elettorale fa spostare la festa di Sant’Antonio al 19 e 20 giugno. 16.7) Luglio ·Dopo il Consiglio anche la giunta di Carfizzi è “rosa”. La Tascione nomina due donne. ·Non solo assistenza. “Il Comune stimolerà l’associazionismo”. Caterina Alfieri, assessore alle Politiche sociali di Carfizzi. ·A Carfizzi proiettati i corti realizzati da amici finlandesi. I film girati da ragazzi già ospiti della Skanderberg. 16.8) Agosto ·A Carfizzi le emozioni del ritorno si trasformano in una grande festa. ·”Ritorna” nei luoghi d’origine il romanzo di Carmine Abate. Il libro sarà presentato a Carfizzi il 18 agosto. ·Il viaggio dell’emigrante. Carfizzi, la presentazione del libro di Carmine Abate momento clou della Festa del ritorno. Gawroski: “Un romanzo di emigrazione senza vittimismo”. ·Giovanni Scaramuzzino quartetto in concerto a Carfizzi il 28 agosto. ·Abate, cantore degli emigranti. I suoi libri sono ormai tradotti in molti paesi. Biografia dell’autore arberesh. ·Il viaggio della riconciliazione. Carmine Abate spiega come è nata l’idea del suo ultimo libro “La festa del ritorno”. ·Cento persone in gita col Comune. ·Un gruppo di ragazzi islandesi a Carfizzi. E così gli estremi d’Europa s’incontrano. 16.9) Settembre ·“Festa del ritorno, te hora in festa”:a Carfizzi estate ricca di emozioni. Il bilancio del soddisfatto sindaco Tascione. ·Narrativa per ragazzi: cerimonia di premiazione. Si svolgerà a Carfizzi sabato 25 settembre. ·Trittico di premi. Dal Campiello a San Luca passando per l’Aspromonte. Settembre all’insegna dei riconoscimenti per lo scrittore Carmine Abate. ·Vince “Il segreto di Nefertiti” della coppia Colombo e Simoni, al premio di narrativa per ragazzi organizzato dalla Comunità montana Alto crotonese. Abate: orgoglioso di un concorso cresciuto in prestigio. 16.10) Novembre ·Carfizzi, domenica 7 novembre: messa davanti al monumento dei caduti e manifestazione commemorativa dei caduti in guerra. ·Postazione Croce rossa per i paesi albanofoni: iniziativa promossa dall’Amministrazione comunale di Carfizzi. 16.11) Dicembre ·Raccolte in un libro le favole arbereshe. Realizzato dalle scuole elementari dei paesi albanofoni e patrocinato dalla Comunità montana Alto Crotonese è stato pubblicato il libro “Burraghe-Purraghe-Pragza ka Shin Koghi, Puheriu, Karfici”(Fiabe di San Nicola dell’Alto, Pallagorio e Carfizzi). ·Per Natale Carfizzi si regala la riapertura della biblioteca. Per l’occasione l’amministrazione comunale dà in dono libri a tutti i ragazzi delle scuole. Tra le notizie dell’ultimo periodo considerato, una grossa novità è quella dell’elezione a sindaco di una donna, dopo un lunghissimo periodo maschilista. Un evento che potrebbe rappresentare l’elemento atteso di trasfor-mazione culturale, per far compiere alla Comunità un passo decisamente in avanti. 17)ANNO 2005 17.01) Gennaio ·Il sindaco Tascione ha presentato ai concittadini il bilancio dei primi sei mesi del suo mandato, per verificare l’adempimento delle linee programmatiche e raccogliere suggerimenti. ·Presso l’Ostello della gioventù di Carfizzi, sabato 15 gennaio alle ore 16.00, convegno sull’artigianato artistico tradizionale e sviluppo del territorio. ·A Carfizzi convegno sull’economia dei tre comuni arbereshe: con l’artigianato artistico per rivalutare il territorio. 17.02) Febbraio ·Il vescovo tra la gente di Carfizzi: visita pastorale di monsignor Magione nel più piccolo comune della provincia. ·“Tra due mari” nella famosa collana Mondatori: Abate da Oscar. Un viaggio tra mondi lontani già tradotto in diverse lingue; un linguaggio pieno di energia, estro, movimento da cui germoglia una scrittura che è tante cose insieme. ·Comunità montana paralizzata: il sindaco di Carfizzi Caterina Tascione sprona i consiglieri dell’ente sovracomunale a far sentire la propria voce. ·Nata commissione sulle Pari opportunità e sarà presieduta da Marianna Leonetti. 17.03) Marzo ·La Comunità montana è in stallo, da sette mesi non ha il presidente: richiesta di convocazione urgente dell’assemblea da parte di 11 consiglieri, tra i firmatari i sindaci di San Nicola e Carfizzi Pace e Tascione. ·Tascione: siamo sempre protagoniste. La festa dell’8 marzo celebrata con una serie di incontri. ·Nelle pari opportunità minoranza senza tutela, a Carfizzi chiesto un Consiglio sulla commissione. ·Abate ospite a Berlino in onore della narrativa. Un evento nell’ambito del Premio Campiello: l’istituzione di un concorso che si rivolge ad opere di narrativa contemporanea pubblicate e tradotte in lingua tedesca.·Abate parla dei dialetti a Uno Mattina insieme a Dario Fo e Giorgio Albertazzi. ·Carfizzi, richiesta dell’opposizione: la seduta consiliare non è urgente, il sindaco la rimandi. ·Svolto il Consiglio contestato dall’opposizione.Il sindaco Tascione: seduta legittima, urgenza motivata dal Pit. 17.04) Aprile ·Carfizzi si mette in mostra: uno stand delle produzioni tipiche alla fiera dei comuni arbereshe a Frascineto. ·Appello Uil a Iritale per la Montagnella: sito da sistemare e da valorizzare per il Primo maggio. ·Carfizzi, l’Unione sfiora il 70%, però sul dato elettorale pesa la più bassa affluenza alle urne in provincia (37,8). ·Primo maggio alla Montagnella, per ricordare le antiche lotte dei contadini e dei minatori: la collina di Carfizzi rappresenta un simbolo storico per le comunità italo-albanesi. ·Tre paesi uniti per la “Festa del lavoro”, il primo maggio con Carfizzi, Pallagorio e San Nicola dell’Alto: come 87 anni fa sulla Montagnella le popolazioni albanofone si stringeranno nel segno della solidarietà, tra celebrazioni gastronomia e mostre. 17.05) Maggio ·Piccoli comuni risorsa italiana: anche a Carfizzi,San Nicola dell’Alto e Pallagorio si celebrerà la festa nazionale Legambiente ·Primavera del lavoro nel meridione che cerca di cambiare: si è svolta la ottantasette-sima edizione della festa del Primo maggio a Carfizzi. Chiesta alla nuova giunta regionale maggiore attenzione per il territorio. I giovani ripartano dallo spirito di lotta per costruire un futuro. Incontro organizzativo tra i giovani di Carfizzi per discutere di un centro polivalente per attività ricreative. ·Ispirata ad Abate “La valigia di cartone”, indagine teatrale sull’opera letteraria dello scrittore originario di Carfizzi, diretta dal regista Lindo Nudo e presentata l’11 maggio presso il Teatro Apollo dall’Istituto Pertini di Crotone, insieme alla stessa Provincia, al teatro Stabile di Calabria e all’Unione Europea, nell’ambito del Progetto Operativo Nazionale. ·Lingua arbereshe nei documenti e agli sportelli degli uffici pubblici: verso il bilinguismo nei comuni di Carfizzi, Pallagorio e San Nicola dell’Alto. Celebrata la festa nazionale Legambiente “Voler bene all’Italia”. ·Consiglio comunale il 31 maggio a Carfizzi per discutere il bilancio 2005. ·Un tragico incidente, Marino condannato per omicidio colposo: l’80enne di Carfizzi non voleva uccidere il nipote Francesco. 17.06) Giugno ·Carfizzi, lunga discussione nella seduta del Consiglio comunale del 31 maggio, ma alla fine il bilancio passa: scintille tra il sindaco Tascione e l’ex Alfieri. ·Tour letterario di Abate tra gli emigrati di Germania: lo scrittore di Carfizzi presenta i suoi romanzi. ·Minaccia un uomo con la roncola, arrestato dall’Arma bracciante di Carfizzi: dopo la convalida è stato rimesso in libertà. ·Europaradiso, l’invito dei sindaci dei paesi, compresi quelli di San Nicola e Carfizzi: fate presto. Sette amministrazioni alla conferenza convocata da Amato di Belvedere Spinello. ·Carfizzi venera il suo patrono: due giornate di festa dedicate a S. Antonio tra cerimonie religiose e spettacoli. A causa del referendum, posticipata al 18 giugno la festa. ·Carfizzi fa 100 anni col plauso di Ciampi: il piccolo centro arbereshe festeggia la sua autonomia da San Nicola dell’Alto. ·Per la festa del Primo maggio alla Montagnella di Carfizzi il contributo della Provincia è stato di seimila euro. ·Europaradiso, l’invito dei sindaci dei paesi, compresi quelli di San Nicola e Carfizzi: fate presto. Sette amministrazioni alla conferenza convocata da Amato di Belvedere Spinello.17.07) Luglio ·Iniziativa dell’Associazione Skanderberg, gita a Camigliatello. Il centro polivalente, inaugurato a giugno, è finalizzato a svolgere attività escursionistiche, sportive, culturali e di scambi socio-culturali tra i giovane in ambito provinciale. 17.08) Agosto ·Carfizzi festeggia i primi cento anni: la celebrazione con le autorità provinciali e il plauso del Presidente della Repubblica. Nel 1905 il Comune di origine arberesche cessava di essere una frazione di San Nicola dell’Alto. La ricorrenza coincide con le tradizionali manifestazioni estive, che quest’anno hanno come titolo “La festa del ritorno te hora in festa 100 di Carfizzi”. Il sindaco Caterina Tascione ripercorre la lunga e faticosa emancipazione del paese. ·Quattro storie al femminile e un cammino comune nella politica di Carfizzi: il sindaco Caterina Tascione, 51 anni, insegnante di Scienze matematiche presso la scuola media di Torre Melissa; il vicesindaco Marianna Legnetti, 44 anni, insegnante nella scuola primaria di Sant’Anna; l’assessore alle politiche sociali Caterina Dea Alfieri, 40 anni, operatrice presso il Coriss (Cooperative riunite socio-sanitarie); il capogruppo consiliare Agostina Esposito, 32 anni, che è anche consigliere della Comunità montana. Il loro motto è “per horem e tone”: per il nostro paese. ·Festa in onore di Santa Veneranda. A Carfizzi fervono i preparativi. “Festa del ritorno 2006”, il confronto è già aperto. L’evento raccoglie un crescente consenso. Il Coordinamento Emigrati, che fin dalla sua prima edizione ha organizzato la “Festa del ritorno”, si è riunito mercoledì 17 agosto per discutere sul programma del prossimo anno. ·Il regista Adorisio trasformerà in un film il romanzo di Abate; l’annuncio durante la serata dedicata al libro “La festa del ritorno”. 17.09) Settembre ·Carfizzi riavrà la sua squadra; un gruppo di giovani locali ha consentito la rinascita del calcio. La squadra sarà iscritta in terza categoria.. Sarà Francesco Pompò il presidente in questa avventura. ·Sofri: “…i carfizzoti non sanno di malavita e, se uno ha dei problemi, tutti gli altri se ne occupano. Suggerisco alla sinistra italiana, e non solo, il modello Carfizzi”. Il commento, apparso su “Il Foglio” nella rubrica “Piccola Posta”, nasce da una corrispondenza con il sindaco Tascione e la complicità di una carfizzota che lavora a Pisa (Vittoria Amato, volontaria presso il carcere della cittadina toscana). ·Pochi studenti per Carfizzi: tra le classi elementari e materne, non si superano i quaranta frequentanti. Aumenta il rischio di trasferimento nelle scuole dei centri vicini. ·Nuovo prete a Carfizzi; don Vincenzo Ambrosio, originario di Caccuri, sostituisce don Matteo Giacobbe: “Starò in mezzo a voi per guidarvi a Dio”. ·Un paese in mano alle donne: Carfizzi è il centro più rosa della provincia di Crotone. Donna è il sindaco, ma anche due assessori (Marianna Legnetti vicesindaco e Caterina Dea Alfieri assessore alle politiche sociali) e il capogruppo consiliare (Agostino Esposito). 17.10) Ottobre ·Don Vincenzo Ambrosio: voglio lavorare per tutta Carfizzi. Intervista al nuovo parroco del paese, insediatosi alla fine di settembre. ·Consegnate simbolicamente duecentomila lampadine ai primi 1.000 piccoli Comuni che hanno aderito e partecipato alla Festa nazionale della PiccolaGrandeItalia: fra questi Carfizzi. ·Per le primarie dell’Unione nel centro arbereshe hanno votato in 107: per Prodi 80, per Mastella 0. ·Fra realtà e toni fiabeschi, il “Ballo tondo” ritorna in libreria. E’ pronta la riedizione che segnò l’esordio narrativo di Carmine Abate. 17.11) Novembre ·Premio narrativa per ragazzi, scelti i tre autori finalisti. Cerimonia di consegna a Carfizzi il 5 novembre. ·Convenzione tra la Provincia di Crotone e il Comune per la sistemazione dei campi sportivi: stanziati 5.000 euro. A Carfizzi la consegna del Premio nazionale di narrativa per ragazzi: il più votato con 62 voti è stato il libro di Mino Milani “Un angelo probabilmente”, al secondo posto con 47 voti “Il mistero di castelmoor” di Anna Vivarelli,al terzo con 35 voti “La pietra luminosa” di S. Conte e Mariella Ottino. L’invito del presidente del Premio Abate: “Investiamo di più nella cultura”. ·”Mitico vino” tra cultura ed economia: presentato a Carfizzi il libro di Berenice Morelli sulle tradizioni enologiche del carotano. ·Il Carfizzi Calcio si arrende, Savelli sorride: battuta d’arresto interna per i locali, costretti a cedere ad un avversario in gran spolvero. 17.12) Dicembre ·La tutela dell’arbereshe tra progetti e polemiche: scontro tra un’opposizione sempre polemica e la maggioranza. ·La capolista del torneo continua la sua marcia in testa alla classifica: Santa Severina (13 p.) straripante, il Carfizzi (o p.) stordito nel finale. ·”La festa del ritorno” in arrivo con l’Unità: il libro di Carmine Abate per i 100 anni della Cgil (insieme ad altri 6 scrittori, Vasco Pratolini, Carlo Ternari, Paolo Volponi, Alba De Cespedes, Ottiero Ottieni e Ermanno Rea). ·Sportelli linguistici: 90 mila euro dalla Provincia. Saranno divisi in parti uguali tra i comuni arbereshe di Carfizzi, Pallagorio e San Nicola dell’Alto per attuare i progetti di tutela della lingua. ·Attendendo la “fucarina” tra addobbi e dolci tipici: le tradizioni natalizie che si preparano a Carfizzi. ·Il Cremissa a rlento, Carfizzi Calcio primo punto all’ottava giornata. ·La memoria arberesh: le storie del passato narrate dai protagonisti. Iniziativa dei tre comuni albanofoni con gli anziani. ·Il lieto annunzio di gioia nella scena della Natività: il presepe costruito nella chiesa di Carfizzi. 18)ANNO 2006 18.01) Gennaio ·A Carfizzi la gara viene sospesa al 62’: il direttore di gara Rocca s’infortuna e chiude anzitempo la sfida con la Pallagorese. ·Restaurati i calici ritrovati dal parroco di Carfizzi insieme a due pissidi e una patena: gli oggetti sacri risalgono a 50 anni fa. Nella sfida tra le ultime della classe, Camellino e Carfizzi, grande prova d’orgoglio della squadra petilina: vince 2 a 1. ·Nel recupero di campionato contro la Pallagorese bella affermazione: il Carfizzi fa cinquina con Basta (tripletta), Pollini e Iocca. ·Sotto la presidenza di Carmine Abate la Comunità montana lavora già alla prossima edizione del concorso nazionale di narrativa per ragazzi, finalizzato alla diffusione della cultura del libro. ·Tra Carfizzi (p.5) e Clarà Costruzioni (p.18) è un pareggio equo all’11^ giornata (1-1). ·Nel segreto di Laura la storia di un popolo: esce per i tipi della Mondatori il nuovo romanzo di Carmine Abate “Il mosaico del tempo grande”. Una costante delle sue opere è la vicenda di una formazione individuale che s’incrocia con quella collettiva. Nell’anteprima nazionale di presentazione del suo romanzo, in occasione del “Festival della cultura calabrese” organizzata dall’Associazione dei Calabresi di Parma,Abate incontra idealmente i personaggi dei suoi libri tra gli emigrati calabresi. ·Carfizzi si conferma paese solidale: il Comune arbereshe ospita una famiglia kosovara proveniente dal campo di Sant’Anna. ·Colpo Carfizzi, importante successo esterno: la Nuova Torre Melissa piegata a domicilio per 1 a 2. 18.02) Febbraio ·Il Carfizzi cala un tris da urlo: prosegue il momento positivo per Basta e soci, che affondano anche il Belvedere. ·A Carfizzi strade ripulite dagli Lpu, dopo le due nevicate in meno di venti giorni. ·Taglio abusivo di legna nel bosco a Carfizzi: il Corpo forestale denuncia un pensionato. ·Pagliarelle fa tris, la fuga continua: la capolista (p.35 alla 14^ giornata) passa anche sul campo di Carfizzi (p.11). ·Il “Mosaico” presentato nella Capitale alla libreria Feltrinelli. Carmine Abate parlerà del suo libro il prossimo 3 marzo anche a Crotone. ·I piccoli kossovari di Carfizzi (5 dei sei bambini arrivati dal campo profughi di Crotone alla fine di gennaio) iniziano a inserirsi nella scuola. 18.03) Marzo ·”Le storie come tessere d’un intrigante puzzle: un’identità fatta di tanti pezzi”. Presentato, dopo Parma e Roma, anche a Crotone il libro di Carmine Abate “Il mosaico del tempo grande”, con il patrocinio dell’Assessorato regionale. ·Il Petilia passa sul campo di Carfizzi: una rete di Curcio nella ripresa regala tre punti fondamentali alla squadra ospite. ·Carfizzi, incontro preparatorio per creare l’Avis: iniziativa voluta dal parroco. ·Confederazione italiana agricolturi: all’assemblea della sezione di Carfizzi, rieletto Giovanni Amoroso. ·Ritmi mediterranei: affinità elettiva tra scrittura e musica. Lo scrittore di Carfizzi Carmine Abate ha incontrato gli studenti di Cariati: “Mi sento molto vicino alle melodie struggenti di Cataldo Perri, c’è la stessa voglia di essere vivi e di stupirsi”. ·Il Santa Severina ci crede: il successo sul Carfizzi (3–1) rilancia le ambizioni per la vittoria finale. ·Dagli immigrati ai lavori pubblici è scontro aperto Tascione-Alfieri: l’ennesima animata seduta del Consiglio comunale a Carfizzi. ·Dalla Provincia un contributo di 500 euro per la festa del mosto. ·L’ultimo libro di Abate alla Feltrinelli di Bologna. L’Odissea arbereshe incanta i lettori. Favorevole la critica. Guido Conti scrive su “Italia Oggi: “La nuova storia di Carmine Abate non tradisce il lettore, anzi conferma che questo narratore è uno dei migliori scrittori italiani della sua generazione”; Giuseppe Bonura sull’ “Avvenire”: “Abate racconta soltanto, ma dal suo racconto emerge la peculiarità di un mondo assolutamente originale.. con questo nuovo romanzo, continua a scandagliare nella sua identità, ma il suo sguardo va ben oltre, cioè nelle pieghe di una intera comunità…” ·Il Real Fondo Gesù di rigore sul Carfizzi. (2 a 0). 18.04) Aprile ·Caterina Tascione va in Germania nel paese degli emigranti. Ponte ideale tra Carfizzi e Ludwigshafen: una serie di iniziative nel 50° anniversario del Trattato sull’emigrazione Italia-Germania. ·A Carfizzi l’Ulivo sfiora il 50 per cento alle elezioni politiche. ·”Il mosaico del tempo grande” di Carmine Abate è fra i quattro finalisti del Premio letterario “Cala di Volpe” 2006. La giuria è composta da 50 iscritti alla facoltà di Economia e commercio e Lettere dell’Università di Sassari. ·Venerdì 28 aprile nei locali dell’Ostello, giornata dell’amicizia dedicata alle tossicodipendenze. ·Distretto albanese e nuove tariffe discusse nel corso dell’ultima seduta del Consiglio comunale. ·Il Carfizzi cala il tris, successo agevole dei padroni di casa che affondano il Capellino; mattatori di giornata Basta (doppietta) e Gatto. ·Il Primo maggio alla Montagnella: edizione 88 della festa dei comuni arbereshe. ·Presentato a Carfizzi il libro di Lucia Servello “La Camera del lavoro di Crotone: 92 anni di lotte sociali”. 18.05) Maggio ·Lo scrittore Carmine Abate ha incontrato gli studenti delle scuole medie di Pallagorio, Carfizzi e San Nicola: “Siate orgogliosi di essere parte di una minoranza; la nostra lingua è quella del cuore e dobbiamo cercare di tenerla viva”. ·Il futuro degli sportelli linguistici: La Provincia ha presentato un progetto per consentire di continuare l’attività a Carfizzi, Pallagorio e San Nicola: in cantiere anche una programmazione radiotelevisiva in lingua minoritaria ·Celebrata la festa del Primo maggio dei comuni arberesche. Montagnella, il luogo del riscatto e dei diritti: dal 1919 simbolo delle lotte per il lavoro. ·Presentato a Carfizzi in occasione del Primo maggio, il libro di Lucia Servel-lo sulla camera sindacale: la Cgil crotonese festeggia i suoi 92 anni. ·Sportelli linguistici attivati nei comuni di San Nicola dell’Alto, Carfizzi e Pallagorio: un concorso per chi scrive meglio arberesche. ·Carfizzi (21 punti), addio amaro: i locali salutano il proprio pubblico incassando una dura sconfitta. La Nuova Torre Melissa (21 punti) conquista tre punti d’oro. ·Incontro a Carfizzi, presso la struttura agro turistica in località Menziono, sul “ruolo dell’operatore sanitario nella società del terzo millennio”. ·Il canto arbereshe delle origini riaffiora dal passato: le registrazioni che Carpinella e De Martino nel 1954 raccolsero pure a Carfizzi, Pallagorio e San Nicola. Il cammino compiuto mezzo secolo fa ripercorso in un volume di Antonello Ricci e Roberta Tucci. ·A Carfizzi centro per il monitoraggio dei bisogni sociali: l’idea dell’associazione Social Welfare durante un incontro sul ruolo dell’operatore sanitario nel terzo millennio e le politiche sociali. ·”Quando piccolo è bello”: celebrata il 28 maggio a Carfizzi la festa provinciale di Legambiente per i piccoli comuni; un’intesa perfetta tra il Comune e Legambiente. 18.06) Giugno ·Torna restaurata per la festa la statua di Sant’Antonio: le fasi del recupero della scultura lignea del ‘700 venerata a Carfizzi spiegate dalla restautrice Maria Teresa Ruggiero. ·Pubblicato da Mondatori il libro con cui Abate esordì: “Il muro dei muri” del 1984 incentrato sul tema delle’emigrazione. Carmine Abate è nato nel 1954 a Carfizzi ed è emigrato da giovane in Germania. Oggi vive in Trentino, dove insegna. Pubblicazioni: il libro di poesie Terre di andata (1996) e i romanzi Il ballo tondo (1991), La moto di Scanderberg (1999), Tra i due mari (2002), La festa del ritorno (2004) e Il mosaico del tempo grande (2006). Il 10 giugno lo scrittore è stato protagonista di uno speciale avvenimento a Brescia, dove sono stati riproposti una selezione di piatti rimasti impigliati nelle pagine dei suoi libri e ri-trasformati in sapori concreti: infatti Abate è non solo narratore di storie d’amore e di emigrazione, ma anche di gusti e di sapori. A gennaio anche a Parma era stato proposto il curioso accostamento cucina-letteratura. ·Un blog per far rinascere Carfizzi: il progetto, chiamato “Piano di sopravvivenza per Carfizzi” e lanciato da V. Basta, continua a raccogliere adesioni e consensi. ·Patto tra sindaci di sinistra eletti grazie alle liste civiche: il sindaco di Cutro Migale propone un progetto di collaborazione e solidarietà tra i comuni di Isola Capo Rizzato, Cutro, Cirò Marina, Cotronei, San Nicola dell’Alto e Carfizzi. 18.07) Luglio ·Il romanzo di Carmine Abate ispira la festa del ritorno anche a Pacentro in Abruzzo, paese che ha in comune con Carfizzi lingua tradizioni e costumi. ·Celebrazioni per santa Veneranda: a Carfizzi preparazio-ne alla festa per la patrona che culminerà il 6 agosto. · La coha ricco vestito di gala segno di regalità della donna nel giorno delle nozze: l’antichissimo abito albanese, confezionato con stoffe preziosissime, indossato da nonne e bisnonne. Gli elementi dell’abito sono la linja, camicia di puro lino impreziosita da ricami complessi sul davanti e sulle maniche; il theke, colletto elaborato fatto con fili di cotone bianco sovrapposti; il kurpet, corpetto che sostituiva il reggiseno indossato sulla camicia cucito con stoffe coloratissime; la kamizolla, sottogonna ampia di raso di colore abbinato alla fodera della gonna; la coha, gonna molto ampia con tante piccolissime pieghe che partono dalla vita e due tasche laterali; la napsa, copricapo formato da un asciugamano di lino ricamato. ·la tradizione fatta di parole che attende di essere scritta: i giovani dello sportello linguistico di Carfizzi (Salvatore Bevilacqua, Nicoletta Panatoti e Federica Turano) stanno lavorando ad una storia del paese. 18.08) Agosto ·Carmine Abate questa sera primo agosto ospite dei Caffè letterari del Rhegium Julii sul palcoscenico dell’Oasi di Pentimele: il suo ultimo romanzo Il mosaico del tempo grande è tra i libri più venduti nel 2006. ·A Carfizzi Natalie e Gabriella Maio: due sorelle argentine nella terra del bisnonno, alla ricerca di notizie sulle loro origini. Simbolicamente hanno giurato davanti al sindaco fedeltà alla Repubblica Italiana alla Costituzione ed alla bandiera, come fanno i ragazzi argentini una volta raggiunto il quattordicesimo anno di età. ·Tutto pronto per la Festa del ritorno: si parte l’8 mentre la serata del 13 sarà coordinata dallo scrittore Carmine Abate. ·Per la collana “I più grandi scrittori di Calabria, nuova edizione del volume di Abate e Behrmann I Germanesi sugli emigrati arbereshe. 18.09) Settembre ·Carfizzi, tutto è pronto per l’inizio della scuola, il numero di alunni per fortuna è rimasto invariato. ·Premio narrativa, fase finale: il prossimo novembre la “giuria di ragazzi” proclamerà il supervincitore della quarta edizione del “Premio nazionale di narrativa per ragazzi”, organizzata dalla Comunità montana Alto crotonese. La giuria tecnica, presieduta dallo scrittore Carmine Abate, è composta da Aurora Basta Isabella Schipani e dal segretario facente funzioni Dionigi Forciniti. ·”Carfizzi”, futuro incerto: c’è la volontà di proseguire l’avventura, ma l’iscrizione al prossimo campionato rimane ancora in forte dubbio. 18.10) Ottobre ·Un anno con don Vincenzo: l’attività del prete ha ridato vitalità alla parrocchia. ·Riunione del Consiglio comunale: conti in equilibrio, contributo regionale di 23 mila euro per incentivare la raccolta differenziata dei rifiuti. ·L’ostello di Carfizzi sarà un centro di formazione ed assistenza e verrà dato in affitto alla Social Welfare di Crotone. ·Comunicato di solidarietà al presidente Iritale in occasione di un attentato perpretato nei suoi confronti: “I Democratici di Sinistra sono fortemente impegnati insieme al presidente della Provincia Iritale a difendere la legalità e il buon governo”. 18.11) Novembre ·Al centro “Hora” di Carfizzi, località Menziono, inaugurato il 6 novembre, ad opera del Social Welfare, l’Osservatorio permanente nazionale sul disagio insieme all’Ufficio di Collocamento e di servizi per persone che vivono in situazione di disagio. ·Caccia al cinghiale: gongolano gli appassionati di Carfizzi. Dieci sono stati gli animali abbattuti dall’inizio dell’attività venatoria. ·Premio di narrativa per ragazzi conferiti l’11 novembre: in lizza ci sono tre autori selezionati dalla giuria tecnica: “Johnny il seminatore” di Francesco D’Adamo, “Una bambina chiamata Africa” di Alberto Melis e “Sopra l’acqua sotto il cielo” di Paola Zannoner. I premi sono stati consegnati a Carfizzi; la giuria dei ragazzi ha assegnato il superpremio al libro di Francesco D’Amato, un romanzo contro tutte le guerre, con 70 voti; al secondo posto con 62 voti si è piazzato Paola Zannoner; al terzo con 32 voti Alberto Melis. ·In ricordo degli eroi di Carfizzi: significato particolare della cerimonia per celebrare i Caduti in guerra. ·A Carfizzi la rinascita del coro parrocchiale, formato da venti ragazzi del paese, ad opera del parroco don Vincenzo Ambrosio e di Giovanni Pollini Andrea Bastone e Marianna Legnetti, già musicisti e coristi dei precedenti cori. ·Al Premio biblioteche di Roma Abate finalista con il romanzo Il mosaico del tempo grande (tre edizioni vendute in pochi mesi, recensioni entusiastiche, vincitore del Premio Vittorini e tra i vincitori del Premio Dessì) : lo scrittore di Carfizzi si contende il riconoscimento con Marco Santagata e Melania Mazzucco, il supervincitore sarà scelto da una giuria di 500 lettori. ·Un testo scolastico in lingua arbereshe, Gjuha ime e buker (La mia bella lingua) realizzato dall’insegnante di Pallagorio Rosina Panzanella, presentato il 18 novembre presso i locali della scuola elementare di Pallagorio, alla presenza dei sindaci dei tre comuni arbereshe della provincia di Crotone: Francesco Rizzati (Pallagorio), Caterina Tascione (Carfizzi) e Vincenzo Pace (San Nicola dell’Alto). ·Accesa la “fucarina” a Carfizzi: iniziato nel giorno di santa Caterina (24 nov.) il tradizionale rito in attesa del Natale. E’ il primo dei grossi falò che vengono accesi sul sagrato della chiesa di Santa Veneranda, attorno ai quali si ritrovano tutti, i giovani i meno giovani e gli anziani del paese. I prossimi: il 5 dic. in onore di San Nicola, il 7 in onore dell’Immacolata, il 12 per Santa Lucia e il più grande quello della notte di Natale, intorno al quale tutta la comunità attende la nascita del Bambinello. Negli anni passati venivano accesi davanti alle case, dove si raccoglievano le famiglie del rione; oggi quei tanti fuochi son diventati il fuoco del paese. ·Il sindaco Tascione convoca il Consiglio.18.12) Dicembre ·Carfizzi, sul contratto di fitto alla Social Welfare e sulla gestione dell’ostello bagarre in Consiglio: Nello Alfieri contesta la modifica di due articoli; il Sindaco “stiamo facendo gli interessi del Comune”. ·Santa Severina, dramma arbereshe nei saloni del castello: “Skanderberg, il Sole di Kruje” del petilino Francesco Cosco vuole divulgare alcune delle numerose positività delle comunità arbereshe presenti nell’Italia meridionale ed anche nella provincia di Crotone, dove rappresentano un patrimonio antropologico di inestimabili valore. In un convegno collaterale, nel quadro delle attività rivolte alla promozione e tutela delle culture e delle minoranze linguistiche, ha moderato il sindaco di Carfizzi Caterina Tascione. La serata è stata allietata da danze e canti dei gruppi folcloristici “Le Aquile dell’Arberia” e “Voci Italo Albanesi” ed altri artisti arbereshe. ·Carfizzi, inaugurata la struttura della Provincia. Tre feste di battesimo nel nuovo centro Asilo: Fatima, Anna ed Antonio, tre bambini extracomunitari hanno ricevuto il sacramento prima del taglio del nastro. ·a Carfizzi si discute la nuova fase agricola: tema dell’incontro, promosso e presieduto dal sindaco Caterina Tascione, è stato “Bed & Brekfast e non solo”, per le tante possibilità di sviluppo agricolo che lo stesso offre. ·Al centro “Hora” un convegno sul disagio: si svolgerà a Carfizzi sabato 16 dicembre e tra gli invitati ci sono anche i ministri Turco, Pollastrini e Fioroni. ·Ad Abate il premio dei lettori: col romanzo “Il mosaico del tempo grande” ha vinto il concorso delle Biblioteche di Roma. Lo scrittore dedica il successo ai genitori ed a Carfizzi. ·Sul contratto di fitto alla Social Welfare di Crotone e la gestione dell’ex ostello, bagarre in Consiglio Comunale: Nello Alfieri contesta la modifica di due articoli, l’integerrimo sindaco Tascione afferma di fare gi interessi del Comune. La Provincia inaugura a Carfizzi il centro Asilo per ospitare i rifugiati. Prima del taglio del nastro, Fatima, Anna ed Antonio, tre bambini extracomunitari hanno ricevuto il sacramento del battesimo in un clima festivo. ·Rappresentato nei saloni del castello di Santa Severina il dramma storico arbereshe “Skanderberg: il Sole di Kruje”, dello studioso petilino Cosco. La presentazione dell’iniziativa e l’approfondimento storico-icono-grafico saranno moderati dal sindaco di Carfizzi. ·Dal bed&breakfast tante possibilità di sviluppo agricolo: convegno su tale tema “e non solo” promosso a Carfizzi , nei locali del Comune. ·Ad Abate il premio dei lettori: col romanzo “Il mosaico del tempo grande” ha vinto il concorso delle Biblioteche di Roma. Lo scrittore dedica il successo ai genitori ed a Carfizzi. ·Al centro “Hora” un convegno sul disagio pro-mosso dal locale Osservatorio permanente.·A Carfizzi realizzato un presepe pieno di messaggi, e giudicato dalla gente bellissimo, opera d’arte, artistico e monumentale. ·Prima festa della Cri arbereshe, i volontari del gruppo di San Nicola e Carfizzi celebrano i primi sette mesi di attività. ·Nell’’ultimo Consiglio del 2006 riconfermato revisore dei conti il dott. Guglielmo Oliverio e approvato pure l’assestamento di bilancio. 19)ANNO 2007 19.01) Gennaio ·I nuovi autori e l’immaginario perduto, la Calabria cerca narratori: …i romanzi di Carmine Abate imperniati tutti sulla figura del “migrante costante”, che sempre va e sempre ritorna… ·Biblioteca arbereshe: diecimila euro al comune di Carfizzi per ampliare il patrimonio librario. ·A Carfizzi, pionieri Cri aperte le iscrizioni. ·Un calendario arbereshe per recuperare la lingua: realizzazione degli sportelli linguistici di Carfizzi, San Nicola dell’Alto e Pallagorio, condivisa dalle tre amministrazioni comunali e finanziata dalla Provincia di Crotone e dalla Comunità montana Alto crotonese. ·Incendiato il portone di casa del consigliere di minoranza di Carfizzi: intimidazione a De Paola. Condanna unanime del Consiglio comunale. ·Nel comune di Carfizzi dal 23 gennaio: raccolta differenziata iniziato il porta a porta.19.02) Febbraio ·Il “Mosaico” di Abate inserito nella prestigiosa Collana degli Oscar Mondadori ·Consiglio comunale dedicato al piano strutturale in forma associata tra i comuni di Carfizzi, Pallagorio e San Nicola dell’Alto. Richiesti per la sua realizzazione 400 mila euro alla Regione. ·Prende forma il distretto arbereshe, l’associazione intercomunale tra Carfizzi Pallagorio e San Nicola dell’Alto. Scopo è la realizzazione di forme di cooperazione intercomunali per la gestione dei servizi e delle funzioni dei tre Comuni aderenti, trasformando i tre paesi in un’unica area territoriale per la valorizzazione della propria identità culturale. ·Carnevale tra allegria e tradizione organizzato dagli alunni e maestre della scuola elementare e materna di Carfizzi. 19.03) Marzo ·Furto di legna in un bosco della località “Caccuri” di Carfizzi. ·Finanziati 8 progetti per la tutela del patrimonio demo-etno-antropologico: per Carfizzi “I giorni della memoria” con 10.000 euro. ·Conferenza prevista a Carfizzi il 10 marzo su “Progetto sul bullismo nelle scuole calabresi”, ideato dall’Osservatorio provinciale permanente sul disagio. ·La “mozione Fassino” senza rivali a Carfizzi: al congresso Ds ha tenuto 47 voti su 51. ·Un particolare 8 marzo al centro di accoglienza per immigrati: la festa della donna senza discriminazioni. ·Poesie dedicate agli alberi all’elementare di Carfizzi; presentato anche il libro “Mondo felice” di Giuseppe Barberio. ·Sindrome metabolica: effettuati 120 screening nell’ambito del progetto “Cibo e salute”. ·Scossa di terremoto tra Strongoli, Cirò Marina, Carfizzi e Melissa, giorno 26 marzo alle ore 16.00. 19.04) Aprile ·La Domenica delle Palme dà il via alle celebrazioni pasquali a Carfizzi. ·La nostalgia degli albanesi di Calabria: Carmine Abate ha presentato a Rende “Il mosaico del tempo grande”; a Soverato ha incontrato docenti e alunni dell’Alber-ghiero, affascinando la platea. ·Plauso al Comune di Carfizzi, che incontra i suoi “germanesi”: elogi dagli “Amici del tedesco”, con il suo presidente Loris Rossetto, per l’accoglienza di una delegazione della cittadina di Ludwigshafen. ·Da Carfizzi a Isola telecamere di “Sereno variabile”a spasso in provincia. ·Dopo anni di assenza a Carfizzi, venti giovani attori fanno rivivere la Passione figurata. ·Sul distretto arberesche il Consiglio è d’accordo: approvato lo statuto nella seduta dell’11 aprile. ·Bilancio approvato nella seduta del Consiglio del 21 aprile: immutate le tariffe, alti i costi per i loculi e le tombe. ·Italia e Germania con la valigia: un progetto itinerante del “Parto delle nuvole pesanti”, che diventerà un docufilm. Fra i referenti del “viaggio dell’identità” Carmine Abate; il progetto si concluderà l’8 agosto a Carfizzi.19.05) Maggio ·Festa arberesche: sotto un’incessante pioggia si è svolta il tradizionale appuntamento del Primo maggio degli albanesi di Carfizzi, Pallagorio e San Nicola dell’Alto alla “Montagnella”, alla presenza di La Monica e Iritale, rispettivamente segretario regionale della Cgil e presidente della Provincia. Dopo 88 anni sono cambiati gli ideali, ma quella montagna tra i comuni arberesche resta un simbolo di lotte politiche. Presenti anche un gruppo di studenti e docenti macedoni, a Carfizzi per studiare la vita degli arberesche in Calabria. ·A Carfizzi cinque bambini lasciati a scuola mentre gli altri si recano in gita a Crotone: la capogruppo d’opposi-zione, Giacobba Marino, denuncia la discriminazione. ·Il comune di Carfizzi va in soccorso di “Cantine aperte”, allestendo a Cirò Marina una mostra di tessuti e altri manufatti artigianali. ·Le commoventi “vaghe” arberesche: gli alunni delle scuole di San Nicola e Carfizzi, coordinati dalle professoresse Barbara Loiacano e Carmela Buccieri, ripercorrono le tradizioni dei loro paesi presso l’anfiteatro di Carfizzi. La manifestazione ha commosso e fatto tornare indietro con la memoria l’ex preside della scuola media Carlo Ripolo, impegnato già durante la sua dirigenza a far rivivere e riscoprire le tradizioni delle due comunità. 19.06) Giugno ·Incominciate le celebrazioni religiose per la festa di sant’Antonio a Carfizzi. ·I bimbi dell’asilo alla scoperta della natura presso le località Manzello e Spinello ed alcune aziende agricole della zona. ·Grande famiglia Carfizzi, il paese delle donne: da tre anni il piccolo comune arbereshe è guidato da una giunta composta da donne. Il sindaco Tascione: amministriamo con saggezza femminile. Agli “intellettuali” dà fastidio essere governati dalle donne. Possibile ricandidatura? No comment, però ci sono tante cose da finire. Il mio vanto? La biblioteca. ·L’Avis comincia bene: la neonata sezione di Carfizzi ha raccolto 15 sacche di sangue. ·L’esempio di Carfizzi, dove il sindaco e la giunta hanno rafforzato in tutti il senso di appartenenza alla stessa comunità. ·Festa grande per sant’Antonio: rinnovata la devozione di Carfizzi per il santo portato in processione per tutto il paese. ·A Carfizzi la Giunta comunale è soggetta al volere delle donne; il sindaco soddisfatto per una scuola di cui c’è da vergognarsi. ·A 22 anni dalla sua uscita, nuova edizione de “I Germanesi” di Carmine Abate, così Carfizzi e i suoi emigrati diventano un affresco del Sud. 19.07) Luglio ·Simbiosi tra musica popolare e letteratura: Carmine Abate e Cataldo Perri insieme per fondere musica e parole. ·Più popolosi con gli immigrati: la crescita demografica di Carfizzi dovuta alla presenza del centro d’accoglienza. Il sindaco Tascione: “Tanti anche i rientri dall’estero”.Carfizzi, nella seduta del Consiglio comunale passa il consuntivo; canoni loculi è lite. ·Concerto folcloristico a sorpresa durante la visita al centro storico di Carfizzi del gruppo friulano “Passons”. ·Carfizzi, “Festa del ritorno”: numerose e ricche di eventi le iniziative estive nel piccolo centro del crotonese, giovedì 9 agosto concerto del Parto delle nuvole pesanti. 19.08) Agosto ·Carfizzi ha premiato i suoi amministratori: riconoscimenti a quanti hanno guidato il Comune dall’avvento della Repubblica. ·Ritorno al passato con il “Kurrituri”: il vecchio rudere del rione Palacco di Carfizzi ristrutturato ed inaugurato la settimana scorsa. ·A Carfizzi si apre la mostra dedicata ad Antonio Gramsci per i 70 anni della morte. ·Tradizioni arbereshe, iniziative in tre paesi (Carfizzi, Pallagorio e San Nicola dell’Alto) per un progetto culturale finanziato dalla comunità europea e dalla Regione Calabria. ·Gli emigranti fanno festa con la “valigia” del Parto: a Carfizzi tappa del viaggio iniziato dalla band calabrese. ·A 24 anni muore travoltola un muletto: incidente sul lavoro a Carfizzi nell’entroterra crotonese, un ragazzo resta schiacciato. Francesco Basile studiava Economia, ma d’estate aiutava nell’azienda di famiglia. E’ stata inutile la chiamata all’elisoccorso. 19.09) Settembre ·Il centro studi “Gregorio Nigro Imperiale” evidenzia il vero volto dell’emigrazione calabrese. Il premio San Bernardo ricorda i meriti dei lavoratori sangiovannesi nel mondo; premiato anche Carmine Abate per il romanzo “Il mosaico del tempo grande”. ·Per Carfizzi un agosto all’insegna dei roghi. ·Yusuf, dalle torture nelle prigioni etiopi al bel sogno italiano. Carfizzi, è ospite del centro Asilo. ·I fedeli di Carfizzi non vogliono perdere don Vincenzo Ambrosio. ·Smentite dalla Curia le voci di trasferimento. ·Carfizzi, iscrizioni stabili; aumenta di una unità solo il numero di alunni alla materna. ·Note e libri alla festa del ritorno. Caemine Abate e Cataldo Perri nell’antico scenario del Castello Ducale di Corigliano: un appassionante dialogo tra letteratura e musica sulla strada che conduce alle radici mediterranee. ·Gita a Cosenza e San Giovanni per gli anziani di Carfizzi. ·La Tascione tra i sindaci rosa di Donna moderna: servizio speciale pubblicato dal settimanale. ·Piccola, grande Carfizzi tra i borghi sconosciuti ma ricchi di tradizione. Il comune guidato dalla Tascione nella guida “I piaceri dell’energia” di Tci ed Enel. ·Premio letterario Città di Siderno “Armando La Torre”: la giuria ha terminato i lavori, fra i finalisti Carmine Abate con “Il mosaico del tempo grande”. 19.10) Ottobre ·Bilancio in equilibrio non servono ritocchi; Carfizzi, approvazione a maggioranza. ·Conferenza dei sindaci a Carfizzi, Comunità montana: azione incentrata sui servizi associati. ·Studi per omaggiare la cultura arbereshe, organizzati dal Distretto culturale arberesh crotonese costituito dai comuni di Pallagorio Carfizzi e San Nicola dell’Alto. A Pallagorio l’ambasciatore di Albania. ·Curcio campione d’Italia con la Hobby Marathon: il podista di Carfizzi nella squadra Master fresca di titolo. ·Integrazione attraverso il lavoro: quattordici ragazzi del centro Asilo di Carfizzi svolgeranno progetti di pubblica utilità. ·La ricchezza del mondo arbereshe: si è tenuta la manifestazione “Per horet tone” (“Per i nostri paesi”) per presentare gli studi sulla cultura albanese in Italia. “Progetto Anselmo Lorecchio”: l’intera opera sarà digitalizzata e restituita anche a Pallagorio. ·Il nuovo segretario Pd a Carfizzi fa il boom ottiene il 94% dei voti; solo cinque preferenze per la Bindi. ·Delegazione francese in visita al centro di accoglienza “Asilo”. ·Viaggio in Arberia, tra musica e letteratura Cataldo Perri in concerto: reading in musica de La festa del ritorno di Carmine Abate. ·Carmine Abate e la nostalgia della terra arbereshe: lo scrittore ospite a “Incontri silani” a Lorica, promossi da Altrosud.. 19.11) Novembre ·Da Carfizzi a Ludwigshafen viaggio istituzionale per ripercorrere la “via” dell’emigrante carfizzoto. ·Carfizzi rende onore ai suoi 25 caduti nelle guerre mondiali, con una messa davanti al monumento. ·Carfizzi, il regolamento di polizia mortuaria approvato dopo lunga discussione. Costi loculi, lite in Consiglio: Tascione ora si paga il giusto, De Paola tariffe elevate. ·San Martino a Carfizzi tra formaggio, vino novello e solidarietà: domenica 11 iniziativa con stand gastronomici. Raccolti fondi per il centro di accoglienza per immigrati. ·In località S. Andrea a Carfizzi, arrestato dai carabinieri un trentaduenne per furto di materiali. ·Siderno premia Abate: lo scrittore di Carfizzi trionfa con “Il mosaico del tempo grande” alla quarta edizione del Premio letterario Armando La Torre, prevalendo su 165 concorrenti. Il libro, che ha vinto già numerosi premi letterari, narra le vicende di un popolo che pare perdente, le sue contraddizioni, le sue aspirazioni che si trasformano in una epopea dai risvolti mitici. ·Centro accoglienza Carfizzi: per i francesi una bella realtà. La struttura visitata dagli operatori di “France Terre d’asile”. ·Siglato il patto di amicizia a Ludwigshafen con il distretto di Friesenheim, la Carfizzi di Germania. Tascione: più vicini ai nostri emigrati. ·Battesimo ortodosso a Carfizzi, celebrato il rito che ripete gesta dei fondatori delle comunità arberesche calabresi. Somministrato anche il sacramento della Cresima col particolare rito allo stesso piccolo ospite del centro “Asilo”. 19.12) Dicembre ·A Carfizzi gli stati maggiori della Cri:un seminario formativo ha portato per due giornate nel centro arberesche i vertici regionali della Croce rossa. ·Con i falò è già Natale, a Carfizzi le “fucarine” che celebrano le ricorrenze religiose. ·I comuni arbereshe dipinti di bianco, l’ondata di maltempo ha coinvolto i tre paesi dell’entroterra dove sono caduti fino a settanta centimetri di neve. Liberati con difficoltà le strade per raggiungere Carfizzi, San Nicola e Pallagorio. ·Carfizzi scopre l’importanza della lingua tedesca, il programma dell’Amministrazione di migliorare i rapporti con gli emigrati in Germania raccogli consensi. ·Il centro “Asilo” aggiunge un posto a tavola: sabato 22 dicembre a Carfizzi pranzo natalizio insieme agli ospiti della struttura. ·Istituito e approvato nell’ultimo Consiglio comunale il “Catasto comunale dei terreni percorsi da fuoco” ed ancora L’assessore della Comunità montana insegna a conoscere e degustare i vini presso i locali della Casa comune… La comunità albanofona piange per la perdita di Francesco Raffaele, un bravo giovane morto in un incidente stradale… Lo scrittore e il musicista: spettacolo di Abate e Perri al Teatro Silvestrianum di Milano…
SAN NICOLA DELL’ALTO. 1)ANNO 1989 1.1) Marzo ·Il Comitato ecologico di San Nicola dell’Alto organizza la 2^ giornata ecologica, giorno 19, per la tutela dell’ambiente: raccolta delle buste di plastica nel monte Pizzuta. Il Comitato chiede un monte Pizzuta più pulito e più verde con il recupero del suo territorio e protesta contro la discarica abusiva, chiedendo la recinzione di quel luogo per impedire l’ingresso di animali e di persone. 1.2) Aprile ·La protesta degli arberesh: la comunità italo-albanese ha inviato una lettera all’ambasciata iugoslava a Roma. “Ecco tutta la verità sul dramma del Kosovo” 1.3) Giugno ·Grazie Presidente. La storia di Antonio, un ragazzo di San Nicola dell’Alto che ha voluto vedere da vicino la squadra di calcio del Kroton. Il Presidente Capogreco e l’allenatore Diego Pupo hanno fatto visita alla Scuola Media frequentata da Antonio e lo hanno invitato ad assistere alle partite di calcio del Kroton, dopo avergli fatto dono di un pallone e di una tuta. I ragazzi della classe 2^ hanno inteso ringraziare il presidente Capogreco con una lettera: “Caro Presidente, siamo i ragazzi della 2° della scuola media di San Nicola dell’Alto e le scriviamo per ringraziarla di quanto ha fatto per il nostro compagno Antonio e per l’invito che ha rivolto al nostro compagno Antonio e per l’invito che ha rivolto a tutti noi a trascorrere una giornata con la squadra e assistere a una partita. La vostra disponibilità ha reso un gran servizio: ha dato la possibilità ad Antonio di realizzare un sogno, cioè quello di incontrare il presidente della squadra più importante del crotonese, e da quel giorno il nostro è soddisfatto, e ci ha fatto capire che nel mondo del calcio ci sono aspetti umani in genere sconosciuti alla maggior parte della gente. E’ stata insomma per tutti noi una bella esperienza, vi ringraziamo ancora e speriamo di poterla rivedere presto, con l’augurio che la squadra vi possa dare tante soddisfazioni.” 1.4) Settembre ·Quei volti che riaffiorano dal passato. Cinquecento lastre, vecchie di 50 anni, ritrovate per una mostra fotografica a San Nicola dell’Alto. Tessono il fitto reticolato della memoria le foto ingiallite del tempo che fu. 2)ANNO 1990 2.1) Maggio ·Alla ricerca delle radici arbereshe, viaggio in Albania degli alunni della Scuola Media di Carfizzi e San Nicola dell’Alto, accompagnati dal preside Ripolo, dagli insegnanti Balsamo, Mazzitello, Basta, Pace, Iocca, dal preside di Melissa e presidente della “Lega degli scrittori e artisti Arberesche” Giuseppe Del Gaudio e dall’ispettore centrale del Ministero alla P.I. Giuseppe Salimbeni. A Tirana ricevuti dalle Autorità politiche e scolastiche e dall’Ambasciata italiana. Visitati Durazzo, Kruje, Berat, Fer, Argirocastro e Tirana. L’impatto con la terra degli avi, non sembri retorico, ha suscitato nei ragazzi emozioni dolcissime venate però dal disappunto nel constatare che l’Albania deve ancora avviarsi sulla strada del progresso e della libertà, anche se in questi giorni diversi eventi, anche violenti, sono indizi di voglia di cambiamento… e che una pagina importante della sua storia si stia scrivendo… speriamo che non sia l’unica… Il viaggio ha creato inoltre le basi e le condizioni per una seria collabora-zione tra la Scuola albanese e quella calabrese. 2.2) Giugno ·Mostra etnografica sugli arberesh organizzata da alunni e insegnanti di Carfizzi e San Nicola, con la seguente locandina: “San Nicola dell’Alto e Carfizzi ieri e oggi, come eravamo…come siamo. Mostra fotografica artigianale presso la Scuola media. La mostra resterà aperta dal 28 maggio al 13 giugno. Orario: dalle 9.00 alle 13.00.” 2.3) Ottobre ·Gli arbereshe dell’Alto Crotonese, nelle tre Comunità di lingua e tradizioni albanesi, hanno mantenuto ancora intatta la loro antica cultura. Nel 1984 e nel 1990 la Comunità dell’Alto Ionio ha finanziato ed organizzato Seminari di lingua arbereshe con docenti dell’Università di Tirana, finalizzati alla salvaguardia della cultura albanese e delle sue tradizioni. ·La Comunità Alto Crotonese ha istituito un corso di arbereshe nei tre paesi albanofoni, tenuto dai docenti Ethem Likai, Nasho Jorgaqi ed Emil Lape dell’Università di Tirana. Il corso s’innesta su un altro gestito, sei anni prima, dagli stessi docenti, con il coinvolgimento delle Scuole locali. 3)ANNO 1991 3.1) Gennaio ·Solidarietà degli arbereshe con la rivolta degli albanesi, dalle Comunità di Pallagorio San Nicola dell’Alto e Carfizzi. 3.2) Marzo ·Il dramma albanese. “L’Europa può avere fiducia in noi”. Le peripezie di un popolo che le vicende storiche hanno reso martire. Dalla dominazione turca al regime comunista tutta l’esasperazione di gente che vuole soltanto migliorare. La solidarietà di Carfizzi e San Nicola. 3.3) Maggio ·Il Teatro nella Scuola. Seconda rassegna promossa dall’Agis regionale al Teatro Comunale di Catanzaro con la partecipazione della Scuola Media di San Nicola dell’Alto e di altre scuole regionali. 3.4) Luglio ·Giovani con la valigia. Nessuna via d’uscita all’emigra-zione. Radiografia di San Nicola, emblema di tanti piccoli centri dell’entroterra calabrese svuotati dalla mancanza di prospettiva occupazionali. 3.5) Agosto ·Quando l’abbandono preserva ricchezze in piccoli paesi come Carfizzi e San Nicola dell’Alto. Oggi si vive nelle grandi città per mille motivi. Ma per tante altre ragioni si fugge dalle città. Si assiste alla riscoperta dei valori propri dei piccoli centri. Mancano negli agglomerati urbani di consistenti dimensioni oasi di pace e riflessione. Nei piccoli centri, invece, gli individui possono meglio soddisfare molti bisogni elementari. Più intenso e interessante è il rapporto con la natura. ·Va in pensione il preside di Melissa Giuseppe Del Gaudio, affettivamente vicino alla Scuola media di San Nicola: “Vado via con tanta nostalgia ed il rimpianto dei bei tempi.” 3.6) Settembre ·La donna e l’uomo in alcuni detti popolari arbereshe: “La botte piena/ e la moglie ubriaca – Buti i pjot/ e shoqja e dejem”; “La donna onesta fa la casa ricca – Graja e mir bon shpin e bgat”; “Se vedi l’albanese e il lupo/ uccidi l’albanese e lascia il lupo/ Nga she gjegjrin e ujkun/ vret gjegjrin e lle ujkun; Uomo e donna /come carne e unghia – Burr e gra/si midh e thonj”. 4)ANNO 1992 4.1) Marzo ·Un paese in festa celebra l’8 marzo con un corteo della Media di Casabona e le danze popolari dei ragazzi della Scuola Media di San Nicola dell’Alto. ·Raccolta di testimonianze sulla emigra-zione. L’opera svolta a San Nicola dall’associazione degli “Amici della natura”. Un emigrante ricorda i tempi della sua infanzia e della sua casetta. 4.2) Maggio ·Montagnella di Carfizzi, festa delle tre comunità arbereshe. Settantaquattresima edizione. Folla di partecipanti. ·Ritorno al passato. San Nicola: in mostra la civiltà contadina, allestita da un gruppo di giovani assunti grazie all’art. 23 legge 67/88 con il contributo della Amministrazione comunale. Museo delle radici nei 1200 oggetti del Museo. 4.3) Giugno ·Aeroporto S. Anna. Per l’Aeroclub finale dei Giochi della Gioventù e festa dell’aria. Ha partecipato anche la Scuola Media di San Nicola dell’Alto. ·Cultura al femminile. Mostra didattica nei locali della Scuola media “Casopero” di Cirò Marina, con la partecipazione fra le altre della Scuola Media di San Nicola. ·Squarci sul passato. Ricerca articolata sul come eravamo. Un’interessante iniziativa della Scuola media “Luigi Lilio”. Tra gli Istituti ospiti della Rassegna quelli di Cirò Marina, Casabona e San Nicola. ·Cirò Marina. Manifestazione “Pomeriggio con l’Unicef” con la partecipazione di tutte le Scuole del Distretto, a conclusione del Progetto di Educazione allo Sviluppo. 5)ANNO 1993 5.1) Aprile ·Quando a scuola si allevano campioni di musica e danza. Tra i vincitori del Concorso, organizzato dell’Acam e dalla “Maria Taglioni”, gli alunni della Scuola Media di San Nicola che hanno seguito danze albanesi con tanta naturalezza da testimoniare come “l’amore per la tradizione vive tra i giovani.” ·Giornata all’insegna della tutela del nostro ambiente. L’Amministrazione comunale di San Nicola ha celebrato il 23 marzo scorso “La giornata dell’albero.” Hanno aderito all’iniziativa, la Scuola media, elementare e materna, l’associazione Pro loco, l’associazione “Amici della natura”, l’associazione ex combattenti e l’associazione “Cultura e vita” di Carfizzi. La manifestazione si è svolta sul piazzale della Scuola media. 5.2) Maggio ·Estemporanea “Arte-ambiente”. In gara allievi della terza madia delle Scuole del Distretto, compreso San Nicola e Carfizzi. ·Incendiato il portone d’ingresso dell’abitazione del professore Balsamo, docente di educazione tecnica e vicepreside presso la Scuola Media statale di San Nicola dell’Alto. Oscuri i motivi. Il prof. Balsamo è persona unanimamente apprezzata in tutta la zona per le sue qualità umane oltre che professionali. Il Collegio dei docenti della Scuola media di San Nicola gli ha espresso solidarietà nella riunione del 17-5-1993. ·Un itinerario tra gli ulivi proposto a San Nicola dall’Associazione “Amici della natura”, coordinati dal dott. Enzo Mustacchio. 5.3) Agosto ·Un tuffo nel passato dei mestieri. San Nicola dell’Alto, la visita al Museo delle arti e tradizioni culturali appuntamento da non perdere. 5.4) Settembre ·Una nuova Giunta per rinascere. Il Sindaco Rizzo e la Giunta in carica sono impegnati a superare la fase critica che attanaglia questa piccola comunità. 5.5) Ottobre ·Il Gruppo folkloristico della Scuola Media di San Nicola dell’Alto ha visitato la nave americana “Hoist” e hanno consumato il pranzo a bordo assieme ai militari americani. 5.6)Novembre ·Celebrazione del 4 novembre, molto sentito dal locale Comitato di ex combattenti sotto la presidenza del Sig. Pietro Lagioia, che così si esprime nell’invitare a partecipare alla cerimonia i ragazzi e le maestranze della locale Scuola: “All/mo Signor Preside della Scuola Media e a tutte le insegnanti invitate a partecipare al 4 novembre 1993. Signor Preside, ancora una volta i combattenti, la Pro-loco, l’Ammi-nistrazione comunale, la cittadinanza intendono commemorare i caduti in guerra…4 novembre che si celebra il 7 novembre domenica… Certo ricordare tutti quei giovani che si batterono, in cento e cento località, oltre confine quali videro e conobbero soltanto combattere e morire… Dico ricordare almeno noi quei giovani, quei nomi che le nuove generazioni hanno dimenticato, e oggi ignorano… Saremo tutti lieti se la S.V. Ill/ma e le insegnanti partecipassero alla cerimonia con la vostra presenza… per dare maggior importanza con la vostra presenza alla cerimonia. Con cordiali saluti. Per il Comitato Pietro Lagioia.” 5.7) Dicembre ·San Nicola, il giardino della fantasia. “Gli Amici della natura” lanciano l’idea delle “sculture paesaggistiche”. ·Lassù sul monte Orlando, itinerario a metà strada tra natura e leggenda. ·Concerto del Quintetto “Magna Grecia” nella Chiesa Madre di San Nicola dell’Alto. 6)ANNO 1994 6.1) Gennaio ·“Educazione alla salute”. Interessante corso di aggiornamento alla Scuola Media. 6.2) Febbraio ·Trasferite le elementari nell’edificio della Scuola Media, per lavori di ristrutturazione del vecchio edificio giunto ai limiti della praticabilità. ·Museo arbereshe, altra sede? E’ stata prospettata l’idea di trasferire il museo dall’edificio delle Scuole elementari nei locali del vecchio mattatoio. ·Quel colore grigio deturpa? Disegniamo grandi murales. La nuova iniziativa degli Amici della natura a San Nicola. 6.3) Marzo ·Ragazzi della Scuola media “adottano” bimbo bosniaco. L’esperienza vissuta dagli alunni di San Nicola e Carfizzi. Lezione di bontà. Quando l’attività didattica offre la possibilità di rendersi utili agli altri. ·L’8 marzo a San Nicola dell’Alto: corteo, cura e piantagione delle mimose; proiezione film “Thelma e Louise”; una spaghettata. ·Pasqua, gli antichi riti. A San Nicola rivivono le tradizioni della Settimana santa. E alla finestra la pupattola e un’arancia. E a Civita gli arbereshe ricordano Skanderberg, rievocando con le Vallje la vittoria contro gli invasori turchi. 6.4) Maggio ·Territorio ricco di acque sulfuree, che potrebbero essere utilizzate nella medicina termale. ·Premiati studenti-artisti nel corso della “XVI Festa degli alberi” e la “Giornata ecologica” organizzate dall’Istituto professionale di Stato per l’Agricoltura, nella sede coordinata di Cirò Marina, in contrada Ceramidio. Premi per la sezione Lavori artistici” alla Scuola Media di San Nicola e a Ida Amato della Sezione staccata di Carfizzi. ·XXVIII edizione del Premio Pucciarelli-D’Afflitto” consegnato agli alunni particolarmente meritevoli delle Scuole Secondarie del circondario. Relazione sul tema “Memoria storica e giovani” di Peppino Amoruso. 6.5) Giugno ·“Storia e tradizione” è il titolo del lavoro intrapreso, da circa 4 anni, dal gruppo ecologico “Gli Amici della natura” su diversi aspetti: flora, fauna, gli antichi insediamenti, le miniere di zolfo, le acque sulfuree, la storia dei poderi attraverso un cospicuo patrimonio fotografico. ·“Il fidanzamento e il matrimonio nella tradizione a San Nicola dell’Alto” di Maria Veneranda Marino. Itinerario sugli usi e tradizioni nuziali: la scelta della sposa, la richiesta di entrata, come avveniva il fidanzamento ufficiale, la settimana che precede le nozze, il giovedì che precede le nozze, il sabato sera, il giorno delle nozze, vesti nuziali, corteo. ·Una rassegna di canti greco-albanesi: a rappresentare la provincia di Catanzaro è stata invitata la Scuola Media di San Nicola dell’Alto, con il suo gruppo folkloristico, che ha destato un favorevole giudizio 6.6) Dicembre ·Ridiamo smalto a San Nicola. I suggerimenti di quanti vivono lontani per lavoro. 7)ANNO 1995 7.1) Gennaio ·A San Nicola si è svolta la festa dell’anziano, con la rievocazione delle vecchie tradizioni. 7.2) Febbraio ·“Un monte senza più antenne”. Gli Amici della natura di San Nicola per il ripristino paesistico dell’area. Il sindaco invitato a verificare la legalità di quei ripetitori. 7.3) Marzo ·Più verde, paese a misura d’uomo. Un gruppo ecologista di San Nicola dell’Alto chiede la messa a dimora di alberi. ·Il nuovo libro di Abate “Il muro dei muri” sarà presentato a Catanzaro nel corso di una manifestazione. 7.4) Aprile ·Come fermare lo spopolamento: due realtà comunali con problemi molto simili da affrontare. Due centri della provincia, San Nicola e Caccuri, attendono risposte dalle urne. ·La festa di San Michele a San Nicola dell’Alto. 7.5) Luglio ·Tanta voglia fa fare sport. A San Nicola gli amministratori hanno mostrato particolare attenzione per i problemi sportivi. Lo stadio illuminato è l’unico della zona. ·Personale di pittura di Giusy Squillace, moglie e madre toccata dall’amore per l’arte e da una tenace forza di volontà. 7.6) Agosto ·“Canzone albanese”, Festival a San Nicola. Successo della quattordicesima edizione. ·Proposte e programma cultura-le 1995/’96 gruppo ecologico “Gli Amici della Natura” di San Nicola dell’Alto: -Conferenza archeologica “Gli antichi abitatori dell’alto crotonese”. -Monumento alla civiltà contadina (piazza 1° Maggio). -Un murales per San Nicola; “idee e confronto”. -Mostra fotografica “Gli ulivi secolari di San Nicola”. -Un pittore un paese “mostra di pittori arbereshe”. -Corso Skanderberg “un albero per i bambini di San Nicola (progetto verde). -Conferenza ecologica “Ambiente, una ragione in più per riflettere”. -Conferenza medica “un anziano troppo vecchio”. -Dietro l’angolo “un progetto per il monte San Michele”. -Primo piano: conferenza su “strade e servizi dell’alto crotonese”. -Itinerari sconosciuti nei territori comunali. -Conferenza “il museo della civiltà contadina nella nuova provincia di Crotone. -Arredamento riqualificazione centro urbano (tabelle indicative per il museo della civiltà contadina, chiese, ambulatori, monte san Michele, monte Pizzuta). 7.7) Ottobre ·C’è più attenzione alla tutela del centro storico. L’iniziativa promossa dal Comune a San Nicola dell’Alto. ·La scomparsa di due illustri cittadini di San Nicola nello stesso giorno il 10 ottobre: il sacerdote don Ciccio Rossi e il dott. Michele Bisbano. 7.8) Novembre ·Tra storia e archeologia, incontro promosso dagli Amici della natura. ·Rizzo, sindaco del Comune di San Nicola, è il nuovo presidente della Comunità montana. ·Gli ecologisti di San Nicola: non basta solo piantare gli alberi, ma occorre dopo curarli e seguirli nel tempo. ·Gli eredi di Skanderberg. Un sistema scolastico per i paesi albanesi. L’avvenire dell’etnia arbereshe si gioca sul proprio passato. 7.9) Dicembre ·Calvo visita i tre comuni arbereshe. Il prefetto accolto dai sindaci, che hanno messo in evidenza le problematiche del territorio. 8)ANNO 1996 8.1) Giugno ·La Caritas diocesana per l’Albania. Attraverso l’opera di don Edoardo Caruso si stanno concretizzando importanti iniziative. Prossima l’apertura di un laboratorio per lo sviluppo dell’artigianato. 8.2) Agosto ·Mostra di pittura di Nicovanni, unico caposcuola della Post Metafisica. 8.3) Ottobre ·Un parco minerario. Un’idea per la valorizzazione turistica del sito. L’apertura proposta dagli Amici della natura. 8.4) Novembre ·Manifestazione del 4 novembre per ricordare i caduti di tutte le guerre, organizzate dall’Associazione combattenti, dalla Pro-loco e dall’Amministrazione comunale, curata come sempre dal sig. Pietro Lagioia. ·Raccolti dai ragazzi della terza media di San Nicola dell’Alto fondi per gli alluvionati di Crotone, come segno tangibile di solidarietà e partecipazione. 8.5) Dicembre ·“Sagra delle crespelle” organizzata dall’Amministrazione comunale. 9)ANNO 1997 9.1) Febbraio ·“Azze-riamo il pericolo”. “Gli Amici della Natura” ipotizzano una correlazione tra presenza di ripetitori tv e aumento di tumori. 9.2) Aprile ·Gli ori e i costumi femminili nella tradizione calabro-albanese. Il mondo arbereshe nella provincia di Crotone (Puherin, Karfici, Shen Kolli). 9.3) Maggio ·Celebrazione del 1° Maggio. E’ dal 1919 che i tre comuni arbereshe si danno appuntamento alla “Montagnella”. ·San Nicola, cultura e storia nella festa del patrono. Si sono conclusi i festeggiamenti in onore di san Michele Arcangelo. ·Un museo per mantenere vive le origini. Si cerca una migliore sede per l’esposizione di arti e tradizioni. ·Centro storico, dal recupero ai progetti per il futuro. I vicoli del vecchio borgo invasi dai ragazzi di venticinque scuole (compresa quella di San Nicola), nell’ambito del Progetto “La Scuola incontra il Centro storico…e non solo” 9.4) Giugno ·“La donna ieri e oggi”. Premiati a San Nicola i vincitori del concorso voluto dalla Pro loco e del presidente prof. Santilli e riservata a tutti gli alunni del paese. ·Un paese contaminato dalle antenne. Gli otto ripetitori stanno rendendo la vita impossibile agli abitanti del piccolo centro. I più elevati sono quelli della Rai, Telespazio, Video Calabria, Rti e Polizia di Stato. Secondo gli studi del dott. Enzo Mustacchio molti abitanti del paese sono morti in seguito a tumori di varia natura e i decessi sono destinati a incrementarsi drammati-camente. ·Il sindaco Carlo Rizzo protesta contro il piano scolastico, che prevede l’aggregazione della Scuola media di San Nicola dell’Alto alla Scuola di Pallagorio. ·La scuola Media di San Nicola e Carfizzi salutano il preside Carlo Ripolo collocato in pensione, in servizio nella stessa Scuola ininterrottamente dal 1983 al 1997. Alla cerimonia presenti amministratori, presidi, docenti e alunni. ·Bielli: scuole accorpate, una misura da rivedere per i Comuni arbereshe. 9.5) Luglio ·Settimana arbereshe a Carfizzi, San Nicola e Pallagorio. Protocollo d’intesa tra Provincia e Paesi arbereshe. La Provincia guarda agli arbereshe. Trenta milioni per spettacoli culturali ed artistici. 9.6) Agosto ·Alla scoperta dell’isola etnica. Itinerari turistici/Tradizioni e cultura che si conservano praticamente intatte. Carfizzi, Pallagorio e San Nicola custodi dell’arbereshe. ·Rassegna pittorica di Mustacchio e Bevilacqua. ·“Notizie prive di fondamento”. Replica del Sindaco di San Nicola all’articolo di Pasquale Attianese. 9.7) Settembre ·“Quelle antenne sono veramente dannose”. Risposta di Attianese al sindaco di San Nicola Rizzo. ·L’assessore Rizzuti: nessun pericolo dalle antenne di Monte San Michele. 9.8) Dicembre ·Presentato il libro del prof. Giovanni Giudice “Shin Mikelli Shin Koll” (San Michele e San Nicola). Carta lucida patinata, con numerose illustrazioni a colori e bianco e nero. 10)ANNO 1998 10.1) Agosto ·Inferno nel camper: tre ferite. Vacanzieri tedeschi, solo il capofamiglia è scampato al rogo. L’esplorazione di un fornello a gas ha innescato l’incendio. 11)ANNO 1999 11.1) Aprile ·Solidarietà arbereshe, Carfizzi, San Nicola e Pallagorio mobilitati nella emergenza.Tante iniziative per i fratelli del Kosovo. 11.2) Maggio ·Occupazione per non emigrare. A San Nicola dell’Alto tra candidati a sindaco per poco più di mille elettori. Lista “Rinnovamento per San Nicola dell’Alto”. Mustacchio: arginiamo la disoccupazione. Lista “Progetto Sviluppo”. Pace: il futuro è nel turismo collinare. Lista “Democratici di sinistra”. Rizzuti: ultimiamo il lavoro già avviato. 11.3) Settembre ·“La lingua e la cultura arberesh? Studiamole a scuola”: il parroco di San Nicola dell’Alto, don Giovanni Giudici, propone di inserire lo studio nei Pof. ·“La cultura arbyresh sopravvive nelle celebrazioni liturgiche” (G. Giudici) 11.4) Ottobre ·Necessitano di restauro due dipinti del Seicento collocati nella chiesa madre di San Nicola dell’Alto. 11.5) Novembre ·Nella lingua degli albanesi c’è tutta l’identità di un popolo. Una riflessione ed un appello dello studioso Giovanni Giudice sulla necessità di estendere l’apprendimento dell’arberesh nelle scuole. ·La rivincita dei dialetti. E’ legge la tutela delle minoranze linguistiche. L’idioma “protetto” potrà essere insegnato a Scuola. ·Approvata la legge sulle minoranze linguistiche. A Scuola anche gli idiomi storici. 11.6) Dicembre ·Protagonista l’arte della ceramica al femminile. Johanna Basch, Liviana Genoveffa e Maja Birovliev hanno esposto le proprie opere a San Nicola dell’Alto. Anche a San Nicola negli anni trattati, il tema ricorrente è quello politico che si alimenta di polemiche infinite, con spazi anche sulle problematiche legate alla legge sulla tutela delle minoranze linguistiche, sostenuta da atteggiamenti paladineschi da chi ha sempre contrastato e disturbato tutte le attività di recupero e di sperimentazione tentate da “ingenui”operatori scolastici. Diffusi i titoli che nascondono realtà e verità. 12)ANNO 2000 12.1) Gennaio ·Inaugurata mostra di ritratti risalenti a fine Ottocento. Iniziativa della Provincia di Crotone e del Comune. In quelle foto ritorno al passato. 12.2) Maggio ·A San Nicola dell’Alto il museo della civiltà contadina. 12.3) Luglio ·La rinascita dell’antica lingua arbyresh. Concluse le iniziative per la conoscenza dell’idioma tenute dal docente Giudice. 12.4) Ottobre ·Sul web spunta San Nicola. E’ stato ideato da “Pulsar” il sito internet sul comune crotonese. ·Museo civiltà contadina: il “gioiello” di San Nicola. Un tuffo nel passato tra antichi oggetti agricoli e foto d’epoca. 12.5) Novembre ·On line anche i proverbi arbereshe. Nella realizzazione di Pino Basta sulla storia di San Nicola dell’Alto. 12.6) Dicembre ·Le risposte di Rizzo. Chiesti chiarimenti sull’accettazione della delega di assessore, nonostante la promessa di non ricoprire altri incarichi fatta durante la campagna elettorale. “Il partito mi ha chiesto un sacrificio”. ·La Scuola Media di San Nicola in visita guidata ad Umbriatico per scoprire i nostri patrimoni culturali. ·Il “dolce” Natale degli arbereshe. A San Nicola e Carfizzi tante leccornie fatte in casa in occasione delle feste. Dai titoli si evidenzia il tentativo di inserire la cultura arbereshe nei circuiti turistici e telematici, ma con risultati non apprezzabili per scarsa convinzione e litigiosità dei diretti interessati. 13)ANNO 2001 13.1) Marzo ·Una tradizione che si rinnova a Carnevale. Grande partecipazione alla farsa con l’asino bardato. ·Carosello di balli per il martedì grasso. Tanta baldoria nel paese arbereshe. ·E’ tempo di Quaresima. Il buon cristiano a tavola con il pranzo del Ourgatorio. I riti penitenziali che precedono la Pasqua nella tradizione calabrese. ·Quella lingua da salvaguardare. Convegno a Pallagorio sulle tradizioni dei paesi albanofoni della provincia di Crotone. 13.2) Maggio ·Un Primo maggio storico per le popolazioni di San Nicola, Carfizzi e Pallagorio. Alla festa della Montagnella celebrata, per la prima volta dal 1919, la santa Messa.·Accuse infondate dal parroco. Il sindaco contesta un intervento del prelato, che durante la festa di San Michele ha lanciato pesanti accuse all’ammini-strazione comunale. ·Polemiche tra parroco e sindaco. Attacco del prete durante la processione di San Michele. ·Le opere in rame e smalto dell’artista Costanzo in mostra nella Sala consiliare del Comune. 13.3) Giugno ·L’Italia delle minoranze linguistiche è entrata nella scuola, attuando la legge n.482 del 15 dicembre 1999. 13.4) Settembre ·Quando sognare diventa reato. San Nicola dell’Alto, per un cartello un dipendente comunale finisce sotto “processo”. Ma per il sindaco la speranza in un futuro migliore può danneggiare l’immagine dell’Amministrazione. “Il mio sogno è un paese dove nessuno debba sentirsi a rischio solo perché sono al governo i suoi avversari, un paese dove tutti abbiano la possibilità di istruirsi, di realizzarsi, di dare il meglio di sé, un paese dove per tutti sia possibile tenere aperta la porta alla speranza.” ·L’albero di piazza Sottana a San Nicola dell’Alto. La storia delle piante per le vie del centro abitato nel ricordo dei bambini di un tempo. Il testo tratto da un vangelo in lingua albanese e tradotto in italiano dal parroco del paese albanofono del Crotonese. ·“Non ho l’età ma le misure si”. Un’italiana per Miss Mondo. Eugenia Sulla di San Nicola dell’Alto è l’unica rappresentante della provincia di Crotone alla finale nazionale del concorso che avrà luogo al Lido di Ostia dal 25 al 29 settembre. ·“Giusto inseguire i sogni ma senza compromessi”. Intervista a Eugenia Sulla, la 17enne classificatasi terza al concorso di bellezza Ragazza Cioè. 13.5) Ottobre ·Sull’adesione al Pit (Piano integrato territoriale Alto Crotonese) e mensa scolastica il Consiglio comunale dà l’ok. 13.6) Novembre ·“Cosa è cambiato nell’ultimo mezzo secolo”. I sindaci dei centri a rischio commentano i risultati dell’indagine. Dalle ondate migratorie degli anni ’50 una fuga senza soluzione di continuità. Nella gran parte dei casi i residenti si sono dimezzati, unica eccezione Cerenzia. Un consorzio tra comuni unica ancora di salvezza. ·Fondi per la Scuola. La Regione finanzia il restauro dell’edificio di Ciuxa. Buoni i risultati della ricerca dell’acqua per risolvere i problemi nel periodo estivo ·Congresso Ds:a San Nicola votano i laburisti di Carfizzi in quanto non erano stati invitati all’assemblea nel loro Comune. ·Commemorati dall’Amministrazione comunale i caduti a San Nicola. ·Viene da San Nicola l’unico candidato calabrese all’Enam. Nicola De Biase in corsa per il Cda. A San Nicola dell’Alto, al contrario di quanto avviene a Carfizzi dove ci sono segnali precisi di tolleranza e di pacifica convivenza, continuano le polemiche di principio e le diatribe ideologiche a livello di cittadini e di istituzioni, acuendo vecchi rancori divisioni astii che non aiutano l’intera Comunità a crescere a valorizzarsi. 14)ANNO 2002 14.1) Gennaio ·Minoranza linguistica legittimita. Nuove prospettive per Carfizzi, Pallagorio e San Nicola. Arriva dopo oltre 50 anni la delimitazione territoriale dei comuni albanofoni della provincia.·Festa delle crespelle nel gelo. Nonostante il freddo si sono tenuti regolarmente i riti di fine anno. ·Eugenia Sulla: che Gioia. La giovane di San Nicola dell’Alto fotografata sulle pagine del settimanale Gioia. ·A San Nicola apre la sezione dell’Ugl (Unione generale del lavoro). La sede del sindacato inaugurata da Rizzo. 14.2) Marzo ·Minoranzeetniche: San Nicola dell’Alto aderisce al progetto Consorzio Progresso. Deciso nell’ultima seduta consiliare. ·Carro di carnevale dedicato al caro verdura. Dopo l’asino dell’anno scorso, per le strade del paese portata in giro un’enorme zucca. ·Laboratorio di pasta fresca aperto col prestito d’onore. Giovani imprenditori a San Nicola dell’Alto. ·Museo arbereshe: tuffo nel passato di San Nicola. Utensili e fotografie del mondo contadino e delle miniere. ·Imposizioni Aima penalizzano troppo i produttori di olio, nonostante l’alta resa delle olive. ·San Nicola, la media in visita al planetario dell’Istituto Nautico di Crotone. 14.3) Aprile ·L’Oreste Ventrice al raduno di Civita. Manifestazione gruppi folk arbereshe. ·L’arte di Maria Costanzo: materie semplici e fantasie. ·Piccolo è bello: semila paesi da tutelare dal rischio estinzione. Oggi possono essere rivalutati grazie ad un’oculata strategia turistica a largo raggio che ne esalta i caratteri. Il “trittico” dei comuni albanofoni scrigni d’antichi costumi e culture. ·Bilancio di previsione approvato nel corso dell’ultima seduta consiliare: tanti progetti per il rilancio di San Nicola. 14.4) Maggio ·Calabria da scoprire: Carfizzi (Carfici), Pallagorio (Puheriu) e San Nicola dell’Alto (Shen Koghi). Il triangolo crotonese della viva cultura arbereshe. ·Montagnella, ritrovarsi per la dignità del lavoro. Primo maggio a Carfizzi nel segno della tradizione: Il raduno dei paesi arbereshe per la festa dei lavoratori è un punto di riferimento. La sincerità della gente genuina. 14.5) Luglio ·Eugenia miss Catanzaro. L’avvenente giovane vince la tappa provinciale di Miss Italia. San Nicola in festa. “Punto sulla bellezza, sul mio viso, sul sorriso più che sul corpo. Il mio sogno è arrivare a Salsomaggiore, poi si vedrà.” 14.6) Agosto ·Rizzo:il Pit “Alto crotonese” ha centrato tutti gli obiettivi. Lo sostiene i presidente del Comitato di gestione. ·Estate sannicolese dell’artigianato ai concerti musicali. Il calendario delle iniziative di agosto. ·Fulmine manda in fiamme un locale. Solo la tempestività del maresciallo dei carabinieri ha evitato danni maggiori. 14.7) Settembre ·Tutti per Eugenia. Da giovedì la 18enne di San Nicola dell’Alto a Miss Italia 2002. “Vorrei salutare il mio paese in arbereshe”. ·“Sogno il mondo della moda”. Intervista a Eugenia Sulla al ritorno da Salsomaggiore, dove ha partecipato a Miss Italia. “E’ stata una forte emozione sfilare vicino alla Colombari”. 14.8) Ottobre ·A San Nocola postazione per l’emergenza medica. L’Asl l’ha affidata in gestione alla Croce rossa italiana. 14.9) Novembre Un’altra tela degli inizi del 1700 restaurata da Gianfranco Barbera: “La Madonna del Rosario” di San Nicola dell’Alto. 15)ANNO 2003 15.1) Gennaio ·Stabiliti dal Consiglio comunale i prezzi per vendere i terreni. Fondi rustici da 516 a 1.032 euro. ·Geografia arbereshe: albanesi del Sud Italia. In Italia i paesi albanofoni sono cinquanta, ma la maggio parte si trovano al Sud. In Calabria se ne contano ben trentatrè. Nei beni culturali c’è il riferimento costante al culto. ·Il Grande condottiero della nazione albanese. Le gesta di Giorgio Kastriota Skanderberg, eroe arberesh. Difensore della cristianità del XV secolo. 15.2) Febbraio ·A San Nicola svaniscono i partiti. Manca il rapporto con i giovani che non sono più interessati alla politica. 15.3) Aprile ·Fatti restaurare i monumenti dedicati a Skanderberg dalla Comunità montana a Pallagorio e San Nicola. ·Il presidente dell’Albania ha visitato la Calabria. Moisiu ha incontrato le comunità arbereshe. Per la provincia di Crotone c’erano anche i rappresentanti istituzionali dei tre paesi arbereshe, San Nicola Carfizzi e Pallagorio. ·I dati del censimento 2001 della provincia di Crotone: totale abitanti 173.122 densità per kmq. 100,9 (nel 1991: 180,409/differenza –7287/differenza percentuale –4,0) –Carfizzi: abitanti 868 densità per kmq. 62,7 (nel 1991: 1327/differenza –459/differenza percentuale –34,6). ·Da 85 anni l’1 maggio si va alla Montagnella. Il simbolo dei lavoratori del crotonese. ·A Barcellona non si sente la banda. La festa della Montagnella di Carfizzi vista da una giovane giornalista spagnola. ·Erano di San Nicola i minatori del 1907 morti a Monongah. Scoperta negli Usa una fossa comune.15.4) Maggio ·Tagliati i pini della villa a San Nicola dell’Alto. ·Un ricordo a San Nicola dell’Alto paese albanese da chi ha vissuto fra le sue dolci colline il periodo più bello della sua vita. 15.5) Giugno ·Attraverso la scuola legami più stretti tra Albania e Arberia. Proposte al convegno di Pallagorio. Il programma ha visto impegnati gli alunni di tutti i plessi dell’Istituto comprensivo (Carfizzi, San Nicola , Pallagorio e Umbriatico), che hanno portato in scena il mondo arbereshe. ·Le origini di San Nicola dell’Alto. Storia di un piccolo paese Arberesche. ·Cenzino…va in pensione! Il prof. che ha fatto la storia, dopo un secolo di duro lavoro, abbandona la sua tanto amata cattedra di francese, lasciando finalmente…il posto ad un altro!!! ·Elezioni: il vento è cambiato. Il centrosinistra avanza ma non sfonda, il centrodestra soffre ma tiene. ·I mulini del torrente Manzella tra i confini del Comune di Carfizzi, Pallagorio e Umbriatico utilizzati dai cittadini di San Nicola e Carfizzi. Ubicazione e stato attuale; struttura e modalità di funzioinamento. Vita quotidiana e abbandono. 15.6) Luglio ·Nuovi alberi piantumati nella villa degli eroi sannicolesi, dopo il taglio dei vecchi pini. ·Nuovi appalti, San Nicola trasformato in un cantiere. Prosegue il programma dell’Amministrazione. ·Miss Italia fa tappa a San Nicola. La finale provinciale del 30 luglio aprirà le manifestazioni estive nel comune arbereshe. ·I nostri “primi cittadini” dal 1886 ad oggi. ·Realtà Sannicolesi. Lavori, tradizioni ed usanze che vivono ancora. ·Un antico racconto albanese: Kjikjyrarella. ·Banda musicale: una marcia che continua. 15.7) Agosto ·Le fattorie didattiche: l’esperienza di sette ragazzi di San Nicola. Prospetto Copross-Provincia di Crotone “Coltiviamo il sociale”. ·San Nicola dell’Alto: I fulmini ed i tuoni mandano in tilt telefoni ed elettricità. Forte temporale tra il 2 e il 3 agosto. ·Un poeta sulle strade d’Europa. La raccolta di liriche di Giuseppe Gangale attraverso la rilettura critica di Giovanni Giudice.Profondo conoscitore del linguaggio dei popoli ma ancor di più di quello che nasce dall’animo. ·Gran finale per l’estate a San Nicola dell’Alto. ·Lettera di un emigrante. ·Un “benvenuto” ai turisti di San Nicola. 15.8) Settembre ·Solo 5 alunni in prima elementare. San Nicola dell’Alto, netto calo degli iscritti: formata una classe plurima. ·Istituto comprensivo di Pallagorio: in classe 368 studenti. Comprende i comuni arbereshe e Umbriatico. Pallagorio: 45 alunni di media; 56 di elementare; 37 materna. Umbriatico: 36 alunni di media; 40 elementare; 29 materna. San Nicola: 36 alunni di media insieme a quelli di Carfizzi; 32 di elementare; 22 di materna. Carfizzi: 18 di elementare; 17 di materna. Totale: 117 media; 146 elementare; 105 materna. ·La vendemmia sannico-lese. Antica tradizione da non dimenticare. 15.9) Ottobre ·Una redazione tutta di ragazze per il “Giornalino di San Nicola”: Caterina Basta, Maria Angela Caputo, Vanessa Lombardo, Antonella Napoli, Silvia Sabatino, Luana Turano. Quelle foto di San Nicola che permettono di guardare oltre i confini del passato. La mostra realizzata da Vincenzo Splendido. ·L’olio nel mercato comune. A San Nicola si è parlato della nuova organizzazione del settore olivicolo. E’ il sostegno si sposta dal prodotto al produttore. 15.10) Novembre ·Una statua di Padre Pio a San Nicola. Festa il 16 novembre. ·Inaugurata la statua di Padre Pio. Assenti vescovo e prete. 15.11) Dicembre ·Da cittadini e politici coro di no alle scorie. Consiglio comunale a San Nicola dell’Alto. 16)ANNO 2004 16.1) Gennaio ·Una Natività dedicata alle vittime di Nassirya. Il presepe degli alunni di San Nicola e Carfizzi. ·A San Nicola la nomina del medico sia definitiva. Richiesta del Sindaco alle autorità sanitarie. ·Salviamo la lingua del “villaggio”. La tutela dell’isola alloglotta arbereshe costituita dai comuni di San Nicola, Carfizzi e Pallagorio. Il modello “svizzero” indicato da Gangale. ·Una inutile aggressione contro quel monumento. Sul monte Pizzuta non ci sono ecomostri da demonizzare. ·Il sindaco difende il parco del Pizzuta. San Nicola dell’Alto, intervento di Rizzuti. ·Scarcerato dal Tdr l’anziano di Carfizzi, accusato di aver ucciso il nipoe a colpi di fucile il 2 gennaio 2003. 16.2) Febbraio ·Visita guidata nella cantina. Scuole di San Nicola all’Azienda vinicola di Facente con sede a Cirò Marina. ·A San Nicola è arrivato nuovo medico provvisorio, in attesa del concorso per la nomina definitiva. ·Cade albero nella villa a causa del forte vento. 16.3) Marzo ·Iritale a San Nicola:“Più attenzione all’entroterra”. Il candidato alla Provincia del centrosinistra apre la campagna elettorale nel piccolo centro arbereshe. 16.4) Aprile ·L’Asl ha interrotto il servizio dei prelievi a San Nicola. La decisione ha scatenato tante proteste. ·Metano a San Nicola, tante le sottoscrizioni. ·Comunali, la scelta dei Ds di San Nicola è caduta su Turano per la poltrona di primo cittadino. 16.5) Maggio ·Un primo maggio europeo. Il piccolo sogno dei lavoratori nella nuova grande Unione. Alla Montagnella di Carfizzi rinnovato l’appuntamento che si celebra fin dal 1919. ·San Nicola, il Comune l’aveva licenziata illegittimamente e il giudice del lavoro ordina il reintegro della dipendente. Accolto il ricorso presentato dall’Ufficio regionale di parità per Michelina Mustacchio. ·Contro i diesse il movimento di Pace. Una civica sfiderà il diesse Turano. ·Ilde Donadio candidata dall’Aranceto. Elezioni del Consiglio provinciale, nel collegio San Nicola-Carfizzi-Pallagorio-Umbriatico. ·La scelta di Turano ha riportato l’unità tra i diesse. Il segretario ha ricevuto l’investitura di candidato a sindaco. ·Dove il futuro si è fermato. San Nicola tra mille contraddizioni il paese va a scegliere il nuovo sindaco. La gente non chiede lavoro, ma vuole i servizi primari. ·“Piccoli atti per dare un segnale di cambiamento e riuscire così a migliorare la qualità della vita”. Francesco Turano candidato a sindaco per i Democratici di sinistra. ·“Vogliamo lavorare per intercettare le opportunità di sviluppo che possano dare una speranza al paese”. Vincenzo Pace candidato a sindaco lista “Costruiamo insieme il futuro”. 16.6) Giugno ·Pace, sorprendente ritorno. “ Ho saputo parlare ai giovani meglio dei diesse”. Sconfitta di appena otto voti la lista dei Democratici di sinistra (357-349/50,6%-49,4%). 16.7) Luglio ·San Nicola, quattro assessori. Pace nomina vice Emilia Costanzo. ·Travolto dal trattore. Deceduto un anziano di San Nicola dell’Alto. 16.8) Agosto ·Una conferenza su Gangale. ·Vendeva cibi scaduti titolare di un supermercato di San Nicola. Denunciata dai Carabinieri. ·La sconfitta elettorale sveglia i Ds. San Nicola, organizzata dopo otto anni di silenzio la festa dell’Unità. ·Marcia della pace: bandiera arcobaleno sul monte Pizzuta il 16 agosto. 16.9) Settembre ·La bellezza di Martina conquista la giuria alla finale nazionale di Ragazza cinema OK. La Bellemo, 16 anni, è originaria di San Nicola dell’Alto. ·Rete idrica e fognante in località Pizzuta: è pronta per l’appalto. 16.10) Ottobre ·Eugenia al sabato sera per Naomo-Panariello. La Sulla scritturata nella trasmissione Rai “Ma il cielo è sempre più blu” che inizia il 16 ottobre. ·Diciassette colombe per ricordare i caduti di Nassirya. Monumento inaugu-rato a San Nicola. ·Pace: pochi soldi in cassa, poche le spese. Il sindaco ha spiegato in Consiglio lo stato finanziario del Comune. 16.11) Novembre ·Palazzo comunale di San Nicola dell’Alto: un look e un’organizzazione tutta nuova. ·I consiglieri non entrano in aula: rinviata la seduta. La maggioranza pur presente diserta la riunione. ·Servizio di refezione scolastica a San Nicola, aumenta il costo ma miglioreranno i pasti. 16.12) Dicembre ·La spazzatura invade le strade di San Nicola da circa una settimana per la rottura del mezzo meccanico. Problema di inaudita gravità per l’opposizione. ·Dopo circa una settimana, la spazzatura viene raccolta e le strade del paese tornano pulite. ·Ballottaggio per il segretario: i tesserati dovranno scegliere tra Caligiuri e Rizzo. Nella sezione dei Ds chiarimenti e proposte di cambia-mento.17)ANNO 2005 17.01) Gennaio ·Un consigliere di maggioranza sarà l’autista dello scuolabus. Critiche per questa assegnazione. ·Quel senso materno espresso da Giusy Squillace:l’artista ha esposto a San Nicola dell’Alto. ·Otto persone tra amministratori e funzionari del Comune di San Nicola (l’ex sindaco Carlo Rizzo, gli ex assessori Maria Vetta e Luigi Rizzuti, il segretario comunale Pietro Capoano e i componenti la commissione Franc. Galati, Domenico Anania e Giuseppe Grillo) assolte dall’accusa di abuso d’ufficio per aver favorito la dipendente comunale Mariangela Vulcano, facendole vincere un concorso interno di istruttore amministra-tivo. ·Arrestato a 82 anni Giuseppe Alberto Zumpano a San Nicola, ne deve scontare nove per spaccio di droga. 17.02) Febbraio ·L’infinita elezione del segretario dei Ds di San Nicola dell’Alto: dopo un mese di dibattito ancora nessuna decisione. ·E’ morto a 59 anni Michele Sproviero, personaggio apprezzato da tutto il paese: “San Nicola non ti dimenticherà”. 17.03) Marzo ·La Comunità montana è in stallo, da sette mesi non ha il presidente: richiesta di convocazione urgente dell’assemblea da parte di 11 consiglieri, tra i firmatari i sindaci di San Nicola e Carfizzi Pace e Tascione. ·San Nicola servono due operai per l’assunzione a tempo determinato: un operatore ecologico e un autista; richiesti dal Comune al Centro per l’impiego di Cirò Marina. ·Dopo il ritiro delle candidature a segretario di Rizzo e Caligiuri, un Comitato di sette persone guiderà i ds fino alle regionali: Franc. Ianni, Luigi Serleti, Francesco Vulcano, Michele Caputo, Francesco Costanzo e Vincenzo Oliverio coordinati da Alfredo Caputo. 17.04) Aprile ·An diventa primo partito alle Regionali grazie alla candidata Mustacchio. ·Il cuore per l’Albania: ricordo di Giuseppe Del Gaudio, nativo di San Nicola, scomparso dopo una lunga malattia. 17.05) Maggio ·Piccoli comuni risorsa italiana: anche a Carfizzi, San Nicola dell’Alto e Pallagorio si celebrerà la festa nazionale Legambiente. ·Primavera del lavoro nel meridione che cerca di cambiare: si è svolta l’ottantasettesima edizione della festa del Primo maggio a Carfizzi. Chiesta alla nuova giunta regionale maggiore attenzione per il territorio. I giovani ripartano dallo spirito di lotta per costruire un futuro. ·Lingua arbereshe nei documenti e agli sportelli degli uffici pubblici: verso il bilinguismo nei comuni di Carfizzi, Pallagorio e San Nicola dell’Alto. Celebrata la festa nazionale Legambiente “Voler bene all’Italia”. ·L’ex sindaco Luigi Rizzati assolto in Appello dall’accusa di omissione di atti d’ufficio. ·Due assunzioni per trenta giorni a S. Nicola. ·Assemblea sui conti comunali: il sindaco Pace ha spiegato la situazione prima della stesura del bilancio di previsione. 17.06) Giugno ·Europaradiso, l’invito dei sindaci dei paesi, compresi quelli di San Nicola e Carfizzi: fate presto. Sette amministrazioni alla conferenza convocata da Amato di Belvedere Spinello. ·Cane recuperato dai vigili del fuoco in un burrone: era stato abbandonato? 17.09) Settembre ·I Ds di San Nicola dell’Alto, sezione “Guido Rossa”, organizzano una tavola rotonda sui problemi dell’olivicoltura (riforma europea e nuova normativa sull’integrazione). L’Ammini-strazione comunale assente. 17.10) Ottobre ·Un Consiglio “movimentato” per il Comune di San Nicola: confronto animoso sui vari punti all’ordine del giorno. 17.11) Novembre ·Convenzione tra la Provincia di Crotone e il Comune per la sistemazione dei campi sportivi: stanziati 5.000 euro. 17.12) Dicembre ·Minoranze linguistiche, espletato il concorso, scelti i tre esperti a San Nicola dell’Alto: Nikoleta Panatoti, albanese doc ma naturalizzata carfizzota; Caterna Alfieri di Carfizzi; Maria De Simone. ·Sportelli linguistici: 90 mila euro dalla Provincia. Saranno divisi in parti uguali tra i comuni arbereshe di Carfizzi, Pallagorio e San Nicola dell’Alto per attuare i progetti di tutela della lingua. ·A San Nicola dell’Alto brutto atto vandalico: ignoti rubano il cannocchiale di Monte Pizzuta. Si moltiplicano in quest’ultimo anno, sia a San Nicola dell’Alto che a Carfizzi, i titoli circa l’uso sistematico del bilinguismo e la necessità di recupero e valorizzazione della lingua e della cultura arbereshe, iniziative favorite dalle recenti leggi sulla tutela delle minoranze linguistiche.Si riprende un cammino che sembrava interrotto. Le poche persone, che hanno sempre creduto nella validità di questo progetto, notano con piacere che il piccolo seme, sparso in tempi non facili, tra le rocce dell’indifferenza e della superficialità non è seccato, anzi lo vedono in buone condizioni e pronto per essere seminato stabilmente su terreno fertile e trasformarsi in pianta solida. Mi riferisco a tutte quelle attività che negli anni ’80 erano finalizzate al recupero della memoria storica, alla valorizzazione e al rafforzamento dell’identità culturale di queste Comunità: in particolare l’attività di Oreste Ventrice con il suo gruppo folkloristico; l’attività del gruppo di giovani, guidato dal sig. Caligiuri, che ha progettato e allestito il Museo etnologico; e non ultime le attività della Scuola mirate al recupero delle tradizioni popolari (canti, balli, usi e costumi raccontati attraverso modalità e tecniche diverse: drammatizzazioni, films, ricerche, mostre) e la sperimentazione dell’insegnamento della lingua arbereshe, in tempi difficili e pionieristici (ancora lontana e incerta la gestazione della legge sulla tutela delle minoranze linguistiche). Bisogna continuare su questa strada, perché è convinzione diffusa che la crescita di una comunità va proprio in questa direzione, nel recupero cioè della propria memoria storica e nel rafforzamento della propria identità culturale, se si vuole veramente una crescita qualitativa. Gli aspetti e i valori economici sono solo stru-menti necessari e senz’altro indispensabili, ma non debbono essere gli obiettivi finali della società, anche se oggi è difficile capirlo, in quanto nell’era di una globalizzazione che privilegia i rapporti e gli aspetti economici, quelli etici ed umani non sempre vengono considerati nel giusto risalto.La situazione attuale richiama alla memoria quanto diceva Cicerone, ma anche Pitagora, che nei momenti di crisi di una società bisogna recuperare, per uscirne e riprendere il cammino interrotto, il patrimonio culturale e il bagaglio valoriale che la stessa società è riuscita nella sua storia a formare e consolidare. 18)ANNO 2006 18.01) Gennaio ·Ritrovato il cannocchiale sparito dal Monte Pizzuta nel mese di dicembre: era stato fatto a pezzi e buttato in un burrone sottostante. ·Storie dalle miniere in scena a San Nicola, rappresentati dal laboratorio teatrale istituito dall’Amministrazione Comunale. ·Con-siglio comunale di San Nicola dell’Alto convocato a San Silvestro per l’adesione alla società Ato Spa, che gestisce i pubblici servizi del ciclo integrato delle acque. ·Un sannicolese candidato Uil al cda dell’Enam: Mario De Biasi è l’ennesimo rappresen-tante a portare in alto il nome del comune albanofono. ·Calendario in doppia lingua: ideato e distribuito dal Comune di San Nicola dell’Alto. ·L’assessore Ferdinando Oliverio si dimette e spiega agli elettori i motivi in una lettera: “Il sindaco ferma ogni mia iniziativa”. ·Abbondante nevicata a San Nicola tra il 24 e il 25 gennaio: difficoltà sulle vie interne. 18.02) Febbraio ·Venti di bufera sul sindaco Pace. Movimentata seduta del Consiglio a San Nicola dell’Alto: l’opposizione lo accusa di inerzia. ·Con il vento gelato in tilt tubature di gas e acqua. 18.03) Marzo ·Il sindaco Pace passa dai Ds alla Rosa nel pugno, il nuovo raggruppamento composto dai socialisti dello Sdi liberali e radicali. ·Doveroso e interessante ricordo del preside Giuseppe Del Gaudio scritto da G. G. e pubblicato giovedì 16 marzo 2006 su “Il Quotidiano” con il titolo “Onorati di aver avuto un cittadino come Del Gaudio: “Giuseppe Del Gaudio è nato a San Nicola dell’Alto il 15.4.1921. Quando era ancora piccolo, si sono trasferiti a Melissa dove Giuseppe ha passato tutta la sua vita fino alla sua morte (2.3.2005). Ma lui si è sentito sempre sannicolese. Ha studiato all’università di Napoli e Firenze dove ha frequentato il salotto di Papini. Nei primi tempi ha cominciato a scrivere in italiano (Canti Calabri, ed.Gabrielli, Roma 1982; Sonetti, Canzoni, Strambotti ed Epigrammi, Urini Ed. Catanzaro, 1991; il dramma “Francesco Giullare di Cristo”). Poi negli anni ’60 ha conosciuto Giuseppe Gangale che lo ha spinto a scrivere nella sua lingua e come gli dettava il cuore. Ed ha preso non solo l’amore per la nostra lingua, ma anche imparato il modo di scrivere come lui parlava e a metterlo sulla carta come veramente parlava. Mi ha raccontato E. Ferraro che quando gli ha presentato il libro Vecchia Fontana perché gli scrivesse la prefazione che gli aveva promesso, come ha visto i segni di Monastir gliel’ha buttato a terra. Però poi gliel’ha scritta. E’ bella, importante e fine per la nostra lingua: poche parole, ma importanti. In albanese inoltre ha scritto: il banchetto di nozze di Pizzeria (su cui R. Dhoni ha composto il suo dramma lirico), Colloquio con la Odigitria, Una corona di versi per il Cossovo, Versi d’amore, I martiri. / Come ha scritto e come mi ha detto, per le stampe aveva preparato tre trilogie: A) La prima: Giulio Variboba (un dramma sulla fede); Agesilao Milano (sulla patria); G. Serembe (sull’amore). B) Seconda: Il grido della patria; Il banchetto insanguinato; Mosè di Dibra; Via Crucis. C) Terza: La condanna; La via del Calvario; La gloria; questi trattano dei martiri cristiani uccisi dai Turchi negli anni 1846-1848. La seconda e la terza sono scritte in albanese letterario. / All’inizio ha insegnato nelle scuole medie, poi per vari anni al magistrale di Crotone e infine ha fatto il preside nelle scuole medie di Melissa. Nel castello che ha costruito e dove ha riversato tutto il suo amore, ha accolto convegni con personalità provenienti da molti paesi. Lì voleva fondare una sede per la nostra lingua. La cosa non è andata così. Dall’Albania e dal Cossovo per lui era un continuo via vai. Come ho sentito, desiderava insegnare in quella sede. Molte persone ha portato con sé a Pristina ed ha permesso loro di imparare tale lingua. Noi di San Nicola dobbiamo sentirci onorati di Giuseppe. Era un uomo buono. Voleva essere un poeta e lo è stato.” ·L’ex assessore Ferdinando Oliverio accusa, in un volantino affisso nel paese, il sindaco Vincenzo Pace di incapacità e staticità. 18.04) Aprile ·Bilancio di previsione presentato ai cittadini dal sindaco Pace. ·I politici dimenticano l’entroterra: a San Nicola dell’Alto ha vinto il centro-sinistra, ma i candidati sono apparsi quasi indifferenti. 18.05) Maggio ·Lo scrittore Carmine Abate ha incontrato gli studenti delle scuole medie di Pallagorio, Carfizzi e San Nicola: “Siate orgogliosi di essere parte di una minoranza; la nostra lingua è quella del cuore e dobbiamo cercare di tenerla viva”. ·Il futuro degli sportelli linguistici: La Provincia ha presentato un progetto per consentire di continuare l’attività a Carfizzi, Pallagorio e San Nicola: in cantiere anche una programmazione radiotelevisiva in lingua minoritaria. ·Celebrata la festa del Primo maggio dei comuni arberesche. Montagnella, il luogo del riscatto e dei diritti: dal 1919 simbolo delle lotte per il lavoro. ·Sportelli linguistici attivati nei comuni di S. Nicola dell’Alto, Carfizzi e Pallagorio: un concorso per chi scrive meglio arberesche. ·Il canto arbereshe delle origini riaffiora dal passato: le registrazioni che Carpinella e De Martino nel 1954 raccolsero pure a Carfizzi, Pallagorio e San Nicola. Il cammino compiuto mezzo secolo fa ripercorso in un volume di Antonello Ricci e Roberta Tucci. ·La profonda fede di San Nicola: celebrata la festa patronale del comune arbereshe in onore di San Michele Arcangelo. 18.06) Giugno ·Patto tra sindaci di sinistra eletti grazie alle liste civiche:il sindaco di Cutro Migale propone un progetto di collaborazione e solidarietà tra i comuni di Isola Capo Rizzato, Cutro, Cirò Marina, Cotronei, San Nicola dell’Alto e Carfizzi. 18.08) Agosto ·Tanti rifiuti in strada, poche iniziative: i Ds attaccano la gestione dell’Amministrazione comunale. ·Acqua a singhiozzo; a San Nicola rubinetti a secco col caldo torrido; due pozzi artesiani inutilizzati da tempo dal Comune. Un’estate senza intrattenimento: invece che locandine delle iniziative del Comune sui muri sono stati appesi manifesti di lotta politica. Un’invenzione utile ma non in Calabria: il brevetto del sannicolese Roberto Marino elimina i pericolosi dislivelli tra tombini e strada. Il suo sistema adottato a Roma, la sua azienda, la Bre-vetti Corporation, ha commesse in tutta Italia. 18.09) Settembre ·Premio narrativa, fase finale: il prossimo novembre la “giuria di ragazzi” proclamerà il supervincitore della quarta edizione del “Premio nazionale di narrativa per ragazzi”, organizzata dalla Comunità montana Alto crotonese. La giuria tecnica, presieduta dallo scrittore Carmine Abate, è composta da Aurora Basta Isabella Schipani e dal segretario facente funzioni Dionigi Forciniti. ·San Nicola dell’Alto solo 4 alunni in prima elementare: inesorabile calo demografico, ma numero studenti stabile. Nel termine di circa quattro anni il paese ha avuto un calo di oltre 300 unità; tre bar, due fabbri, due tabaccai di cui uno con edicola, due negozi di genere alimentari, un falegname, una piccola fabbrica di serramenti, un grossista di generi alimentari, un punto vendita di materiale edile con movimento terra, sono il ridotto specchio commerciale del piccolo comune. 18.11) Novembre ·E’ ottimo il debutto dell’Avis San Nicola: sono 13 i donatori nella prima giornata. ·A San Nicola dell’Alto, per il salario accessorio 2004 e 2005 i sindacati non aspettano più: il Comuni paghi gli impiegati. ·Un testo scolastico in lingua arbereshe, Gjuha ime e buker (La mia bella lingua) realizzato dall’insegnante di Pallagorio Rosina Panzanella, presentato il 18 novembre presso i locali della scuola elementare di Pallagorio, alla presenza dei sindaci dei tre comuni arbereshe della provincia di Crotone: Francesco Rizzati (Pallagorio), Caterina Tascione (Carfizzi) e Vincenzo Pace (San Nicola dell’Alto). 18.12) Dicembre ·A San Nicola dell’Alto, genitori in rivolta contro il sindaco per il riscaldamento fuori uso alle scuole materne ed elementari. ·Prima festa della Cri arbereshe, i volontari del gruppo di San Nicola e Carfizzi celebrano i primi sette mesi di attività. 19)ANNO 2007 19.01) Gennaio ·Dal 2 gennaio disservizi a San Nicola , Carfizzi e Pallagorio: il postino in pensione tre paesi senza lettere. ·Un calendario arbereshe per recuperare la lingua: realizzazione degli sportelli linguistici di Carfizzi, San Nicola dell’Alto e Pallagorio, condivisa dalle tre amministrazioni comunali e finanziata dalla Provincia di Crotone e dalla Comunità montana Alto crotonese. 19.02) Febbraio ·A San Nicola dell’Alto è crisi profonda, è meglio andare via: cala ancora il numero dei residenti, nel 2006 solo tre i nati. Il paese arbereshe soffre la mancanza di qualsiasi tipo di iniziativa, da due anni amministrazione ferma. ·Prende forma il distretto arbereshe, l’associazione intercomunale tra Carfizzi Pallagorio e S. Nicola dell’Alto. Scopo è la realizzazione di forme di cooperazione intercomunali per la gestione dei servizi e delle funzioni dei tre Comuni aderenti, trasformando i tre paesi in un’unica area territoriale per la valorizzazione della propria identità culturale. ·A San Nicola Marco Turano nominato commissario cittadino dell’Udc giovani.19.03) Marzo ·Tutti contro il parroco don Giovanni Giudice; la goccia che ha fatto traboccare il vaso il rifiuto del prete di cospargere il capo dei bambini con le ceneri. Settanta parrocchiani racconta-no al vescovo Graziani dei rapporti tesi con don Giovanni: “intanto non manderemo più i bambini in chiesa”. ·Ds San Nicola bastian contrari: successo della “mozione Mussi” al congresso cittadino. ·Polisportiva senza risposte. Per dare una scossa al torpore che attanaglia il paese è stata creata l’associazione Polisportiva Sannicolese. 19.04) Aprile ·Una giornata all’Istituto Alberghiero: gli alunni della scuola media di San Nicola dell’Alto della struttura di Noverato. ·La cucina calabrese conquista Roma: i fratelli Turano di San Nicola dell’Alto hanno fondato la catena di ristoranti “La ‘nduja”. ·Cambia parroco, chiesa chiusa: San Nicola dell’Alto, trasferito don Giudice, ma la parte favorevole al prete blocca l’ingresso. Suonano le campane, ma le porte restano serrate; l’intervento dei carabinieri fa ritrovare le chiavi. 19.05) Maggio ·Festa arberesche: sotto una incessante pioggia si è svolta il tradizionale appunta-mento del Primo maggio degli albanesi di Carfizzi, Pallagorio e San Nicola dell’Alto alla “Montagnella”, alla presenza di La Monica e Iritale, rispettivamente segretario regionale della Cgil e presidente della Provincia. Dopo 88 anni sono cambiati gli ideali, ma quella montagna tra i comuni arberesche resta un simbolo di lotte politiche. Presenti anche un gruppo di studenti e docenti macedoni, a Carfizzi per studiare la vita degli arberesche in Calabria. ·San Nicola, dopo le polemiche con l’ex parroco sospeso dal vescovo, una festa di San Michele come non si vedeva da anni. ·San Nicola, vendute le azalee della ricerca: un pensiero per le mamme e un altro alla lotta al cancro. ·Una nuova vetrata artistica per la chiesa di San Nicola: rappresenta la discesa dello Spirito Santo. ·Le commoventi “vaghe” arberesche: gli alunni delle scuole di San Nicola e Carfizzi, coordinati dalle professoresse Barbara Loiacano e Carmela Buccieri, ripercorrono le tradizioni dei loro paesi presso l’anfiteatro di Carfizzi. La manifestazione ha commosso e fatto tornare indietro con la memoria l’ex preside della scuola media Carlo Ripolo, impegnato già durante la sua dirigenza a far rivivere e riscoprire le tradizioni delle due comunità. 19.06) Maggio ·Michelina Mustacchio rieletta presidente di An a San Nicola. 19.08) Agosto ·Giallo a San Nicola: un ragazzo precipita dal monte Pizzuta. ·Tradizioni arbereshe, iniziative in tre paesi (Carfizzi, Pallagorio e San Nicola dell’Alto) per un progetto culturale finanziato dalla comunità europea e dalla Regione Calabria. ·Incendi senza più segreti per glo 007 dell’ambiente, innovativa tecnica delle “evidenze fisiche. Il Corpo forestale ha individuato e denunciato sei persone a Mesoraca e San Nicola.” ·A San Nicola il comune fa saltare uno spettacolo, dimenticando di chiedere la fornitura di elettricità. ·San Nicola dell’Alto tornata la tradizionale festa dell’Assunzione, oltre 2.000 persone alla processione dopo la “protesta” dei fedeli contro il parroco. ·Via il prete o basta messe: San Nicola, la popolazione si ribella alla riconferma di don Giovanni Giudice. Blocco alla chiesa fino alla nomina di un nuovo parroco. ·Santo sciopero: protestano 150 fedeli di San Nicola in piazza Duomo a Crotone, dateci un nuovo prete. In cartelli e slogan il “no” al vecchio parroco. Il vescovo: una decisione entro breve tempo. ·Le avventure di San Nicola dell’Alto e don Giovanni: gli abitanti del piccolo centro allontanano il parroco troppo intransigente nei confronti dei fedeli, il curato considerato alla stregua di un “tiranno spirituale”. ·Contro il prete c’era la sinistra: Michelina Mustacchio, presidente di An di San Nicola, a difesa di don Giovanni Giudice. 19.10) Ottobre ·Studi per omaggiare la cultura arbereshe, organiz-zati dal Distretto culturale arberesh crotonese costituito dai comuni di Pallagorio Carfizzi e San Nicola dell’Alto. A Pallagorio l’ambasciatore di Albania. ·La ricchez-za del mondo arbereshe: si è tenuta la manifestazione “Per horet tone” (“Per i nostri paesi”) per presentare gli studi sulla cultura albanese in Italia. “Progetto Anselmo Lorecchio”: l’intera opera sarà digitalizzata e restituita anche a Pallagorio. ·San Nicola, arriva don Stefano Cambria accolto con la banda musicale: caloroso benvenuto al nuovo prete designato dal vescovo. ·San Nicola dell’Alto al voto 175 persone, primarie in un locale in fitto: Veltroni fa la parte del leone. ·No a nuovi tralicci, San Nicola protesta contro l’installazione di un ripetitore. Sul Monte San Michele già dodici antenne, la tredicesima autorizzata dal Comune di Melissa. La rivolta delle donne. 19.11) Novembre ·San Nicola, emozione nel ricordo dei caduti. La cerimonia del 4 novembre è stata organizzata dal sempre attivo ex combattente Pietro Lagioia. 19.12) Dicembre ·A San Nicola dell’Alto apre i battenti un circolo di Azione Giovani sotto la presidenza di Nicola Bresci. All’inaugurazione erano presenti il presidente provinciale di Alleanza Nazionale Stanislao Zurlo e l’onorevole Domenico Rizza. ·I comuni arbereshe dipinti di bianco, l’ondata di maltempo ha coinvolto i tre paesi dell’entroterra dove sono caduti fino a settanta centimetri di neve. Liberati con difficoltà le strade per raggiungere Carfizzi, San Nicola e Pallagorio. ·San Nicola, tranciato cavo elettrico alle Poste.
Conclusione. L’assunto iniziale, che le notizie e gli accadimenti possono essere manipolati dagli operatori dell’informazione e che non tutti hanno forza e potere significativi, trova conferma dalla lettura dei titoli giornalistici. Molte le notizie enfatizzate e politicizzate, prive di incidenza reale e seria nella comunità. Poche al contrario quelle che hanno determinato effettive trasformazioni o hanno contribuito a incidere nella realtà del territorio per una possibile crescita morale economica e civile, o che possono rappresentare il senso e il segno di una cultura “diversa” ma ricca di un popolo per fortuna ancora geloso della sua storia, come egregiamente evidenziato dai sottoindicati versi di Mario Ferraro Brasacchio: “…comitive di donne albanesi/ nei loro costumi di sfarzo orientale,/ coi bei bambini e gli uomini pensosi,/ partite da Carfizzi e San Nicola,/ dalla gentile mia Pallagorio,/ scendevano commossi tutti al mare,/ il primo maggio d’ogni primavera./ E giunti al lido, sui sassolini pungenti,/ inginocchiati e mesti, alcuni piangenti,/ pensavano ai monti oltre il mare,/ ai morti…ai fratelli senza libertà./ Denudavan allora le ginocchia,/ s’appressavano all’onda inteneriti,/ o mare nostro, dicevano frementi,/ che unisci questo lido all’altra sponda,/ questi fratelli, inginocchiati, tocca,/ e porta alla nostra amata gente/ il sospir del cuor, la nostalgia”. Quanto sopra detto è emblematico del modo di fare giornalismo nel Meridione. Attività anch’essa espressione di una società mediocre e superficiale, che indirizza tutte le sue energie a mantenere un livello di civiltà primitivo e un modello culturale, che soddisfa solo i più elementari bisogni dell’uomo, lontani da ideali impegno e passione. La stampa asseconda tale appiattimento, abdicando a un suo ruolo più alto, quello di formare coscienze, educare cittadini, indirizzare ed orientare verso modelli più alti. L’impegno di offrire un servizio di qualità viene sacrificato alla logica di un mercato consumistico, che stimola solo i sensi e i sentimenti di basso livello, mortificando le grandi potenzialità ed esigenze dell’uomo, che hanno solo bisogno di essere stimolate e valorizzate. Viene presentata quindi una realtà che premia l’arrampicatore sociale e il politico furbo, calpesta i diritti e i meriti individuali, che accentua le divisioni e disgrega le comunità in nome di egoismi e interessi particolari. E in questa diseducativa operazione coinvolge, per il notevole impatto e potere mediatico che la stampa e tutti i mezzi di comunicazione hanno, anche tutte le altre agenzie “formative” che operano nel territorio, alimentando un circolo vizioso che allo stato attuale è impossibile trasformare in un circolo virtuoso.
GIUSEPPE DEL GAUDIO, maestro poeta e preside
Il preside Giuseppe Del Gaudio, arbresh di San Nicola dell’Alto, è stato uno dei poeti più prolifici del Novecento. La sua vasta produzione letteraria ha conosciuto due momenti importanti nella vita del poeta, quello giovanile, durante il quale nacquero le opere in lingua italiana, e quello maturo, con le opere in lingua albanese. Aveva appena 27 anni quando fu pubblicata la sua prima raccolta di versi “Disperatamente”. Seguirono “Luci ed ombre”, “Canti vecchi e nuovi”, i “Canti dell’amore e dell’odio”, “Canti Calabri” ed il suo primo dramma “Francesco, giullare di Cristo”.
L’incontro con Giuseppe Gangale, l’illustre glottologo di Cirò e studioso della lingua albanese, fu determinante nella vita del nostro poeta. Da quel momento Del Gaudio non smise di amare l’Albania, il popolo albanese e la sua lingua e così numerose furono le opere, in particolare i Drammi, che tendono a mettere in luce la tragedia vissuta dal popolo albanese. Di particolare bellezza e suggestivo fascino sono la “Trilogia di Scanderbeg” ed “I martiri albanesi (1846-1848)”, scritti in albanese e tradotti in italiano dall’autore stesso, pubblicati nel Cossovo, a Pristina, il primo nel 2005 ed il secondo l’anno successivo, a cura di Don Gjergj Gijergji Gashi e di Anton Nike Berisha, due ottimi studiosi e appassionati cultori della letteratura arbereshe. (Don Gjergj è stato parroco della Chiesa di Cirò Marina per alcuni anni, durante i quali ha profuso energie a favore della comunità, senza trascurare però l’amore per la sua terra d’origine, ricca di cultura. Fu in questa occasione che conobbe il “vate” arbresh, al quale promise la pubblicazione delle due opere. Anton Nike Berisha, docente collaboratore del Prof. Francesco Altimari, titolare della cattedra di Lingua albanese presso l’Università degli Studi della Calabria, è noto per alcune pubblicazioni che mi piace ricordare: l’“Antologia della poesia contemporanea italo-albanese” e l’“Antologia della poesia orale arbëreshe”, preziosi contributi alla conoscenza della storia e della letteratura albanese.)
Le storie che compongono la “Trilogia di Scanderbeg” sono La chiamata della patria, Mosè di Dibra e Le Nozze insanguinate, che raccontano l’esultanza del popolo albanese nell’armarsi contro l’esercito turco invasore, il tradimento di Mosé, l’eccidio degli albanesi, la riorganizzazione militare di Scanderbeg e la costituzione della lega, mentre i racconti de “I martiri Albanesi” sono La parola, la Via Crucis e La gloria, che trattano della parola, la parola data, della besa, la promessa, della fede e della condanna dei cristiani albanesi, del martirio a causa della persecuzione turca e della loro gloria in Paradiso. Sono tutti racconti in albanese letterario in cui si riscontrano anche versi di grande lirismo: “Dite e bukur ajo me te vertetë/dhe i lumit ai cë mund të shohë!”, così esclama il popolo quando Scanderbeg promette la vittoria. Di altrettanta suggestiva bellezza è la preghiera finale della prima storia: “Për këte botë të prishur dhe pa paqe/na të lusim, o Zot!/Mos qofshin me të mundur dhe fitimtare/as të dobet as të fortë, as të shtypur as sulmues/por gjithë të jenë të vellazeruar/nga dashuria kontinentet”. In ogni storia prevale il sentimento patriottico, che si accompagna ora a quello religioso, ora a quello dell’amore e della famiglia, dell’amicizia, della fedeltà e della solidarietà. Entrambe le Trilogie, come tutte le opere di Del Gaudio, contengono la traduzione letterale in italiano, per dare modo al comune lettore arbresh di avvicinarsi alla lingua albanese e conoscerla meglio.
L’impostazione letteraria è quella del dramma teatrale, genere letterario che molto si presta per rappresentare la tragedia di Scanderbeg, cantata più volte nel Settecento da scrittori europei, quali il francese Paul-Ulric Dubuisson, l’inglese Thomas Wincop o lo svedese Rudbeck. Oggi, a distanza di oltre cinque secoli, Scanderbeg continua a suscitare le stesse emozioni e così nascono sempre più opere nuove, l’ultima è “Il Sole di Kruja” di F. Cosco, noto filologo calabrese, della provincia di Crotone.
Lo scopo dell’autore ha raggiunto, così, ancora una volta l’obiettivo, grazie agli studiosi kossovari che, con sacrificio, abnegazione e soprattutto passione, hanno dato alle stampe le ultime fatiche del “vate”, che non sarebbero state mai conosciute, se non avessero mantenuto la parola, la promessa, la besa, fatta all’autore qualche anno prima che questi ci lasciasse. Stessa sollecitazione però non è presente nei conterranei, i quali, insensibili come sempre ai richiami della cultura, sembrano aver dimenticato uno dei loro più illustri fratelli, confermando a pieno il detto che “nessuno è profeta in patria”.
PROFILO ARTISTICO ED UMANO DI ORESTE FROIO
all’attenzione degli estimatori dell’arte pittorica Giuseppe Oreste Froio: un uomo-un artista sospeso tra sogno e realtà
Non è facile inquadrare “artisticamente” il Nostro, e ancora più difficile definirlo dal punto di vista della personalità umana e professionale. Figura complessa e poliedrica, Oreste Froio è nato pittore e si è formato “tecnicamente” alla Scuola dell’autodidat-tica: un uomo e un artista alla ricerca continua di libertà e di certezze. E’ nato a Crotone nel 1947, dove risiede da neo pensionato, dopo aver insegnato in diverse scuole della provincia fino al 2005. Fin da piccolo ha manifestato doti così particolari e predisposizioni genetiche verso il mondo dell’arte, da essere considerato ben presto fra i compagni di scuola il piccolo pittore, a cui demandare la responsabilità della parte grafica del glorioso giornalino di classe Il Faro di Crotone. Nel 1976 ha debuttato con una mostra personale presso la Bottega d’Arte di Crotone. Ha partecipato a numerosi concorsi e collettive, prediligendo quelle del comprensorio per non allontanarsi dalla famiglia e dalla scuola. Ha esposto a Catanzaro, a Cosenza, a Santa Severina, a Trebisacce, in Toscana e in Sicilia, (l’elenco in calce). Sue opere figurano in collezioni pubbliche e private; nella Pinacoteca permanente del Comune di Crotone, allestita nei locali di Bastione Toledo, è presente una tela dedicata all’ Alluvione del 1996. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti, comunque meno di quanti la sua arte meriterebbe. Dipinge per se, per dare sfogo alla sua intensa vita emozio-nale. Non ha mai cercato di inserirsi, per il suo temperamento schivo e per i vissuti valori etici cui ispira ogni suo comportamento, nei circuiti che contano sul piano politico-artistico-economico e di cui purtroppo la storia della nostra terra è intessuta con la sola finalità della gestione clientelare del potere delegato, anche nei fatti che riguardano il settore artistico e culturale, che deve ugualmente obbedire, secondo una visione partitica e privatistica del potere, alla logica che tutto è concesso solo ai vincitori delle elezioni e niente è concesso ai vinti e a quelli privi di tessere d’identità. Ha sempre ricercato il confronto con gli altri artisti per una crescita personale, l’approfondimento delle tecniche, le soluzioni migliori per soddisfare il suo non chiaro rapporto con i problemi dell’esistenza. Infatti nel Nostro non c’è separazione fra personalità artistica e umani comportamenti: i dubbi e le crisi esistenziali si trasformano in lui in crisi di crescita esperienziale e artistica. La sua Arte, che a volte assume i caratteri del simbolismo, è come una finestra aperta sull’infinito e sull’eterno. Le tappe più importanti della sua attività artistica sono rappresentate da quattro mostre personali che cadenzano la sua evoluzione artistica. La prima personale di pittura di Oreste Froio si è tenuta presso la Bottega d’Arte sita in via V. Emanuele 17, di proprietà dello stesso pittore, ed è stata inaugurata il 27 dicembre 1976. Alla mostra il giornalista Antonio Aracri ha dedicato un servizio su “Calabria Kroton” (n.1 del 15 gennaio 1977), per illustrarne motivi e caratteri: “Frojo ed il centro storico di Crotone. ‘Centro storico e pittura’: questo il binomio lanciato in questi giorni nella nostra città da un giovane concittadino, il dott. Giuseppe Oreste Frojo, che ha presentato nella sua ‘Bottega d’arte’ una personale di tele raffiguranti i vicoli e le viuzze della Crotone antica, arroccata alle falde dell’Acropoli, che simboleggia, per i cultori del Cinquecento cotoniate, un passato glorioso e ricco di architettoniche e patrizie costruzioni. Il dott. Frojo, con certosina pazienza e con impronta artistica, ha ripreso le angolazioni, mettendole ‘a fuoco’, più suggestive del centro storico crotonese, sul quale, questo giornale in primis si è battuto e si batte per il ripristino a fini artistico-culturale-turistico di un agglomerato di costruzioni e stradine medievali che sono di incomparabile rievocazione del passato di questa nostra millenaria città. Gli olii di Giuseppe Oreste Frojo sembrano sprigionare una essenza vivificatoria di quelle stradine in selciato che riportano i nomi di Pizzicagnoli, Villaroja, Fratelli Bandiera, Pescheria, ecc. Finestre dai verdi battenti, tetti tracciati di sole, archi che sorreggono balconi fioriti, scorci di cupole vellutati di porpora sono gli aspetti più singolari della pittura di Frojo che ci giunge in un momento particolare, diremmo critico, per la cultura e l’arte di questa nostra città, che vanta un passato eccelso nelle arti e nelle scienze. Con questa personale sul centro storico crotonese, il dr. Frojo ha voluto significare anche un particolare attaccamento alla città di Crotone, riportandoci con la mente, in siffatta maniera, a ricordare i nostri grandi pittori dell’antichità come Zeusi, che ha raffigurato le donne crotoniati reputate le più belle della Magna Grecia, e Gaele Covelli, pittore nostrano di grande fama. Anche se Frojo è ancora giovanissimo, egli con la sua pittura dalle tenue tinte, che contrastano con la luminosità delle prospettive. Ha dimostrato un animo sensibile verso un problema che tanto ci sta a cuore: valorizzare il centro storico crotonese. Auspichiamo che il lavoro di Giuseppe Oreste Frojo sia fruttuoso per lo scopo che esso si prefigge e, nel contempo, vorremmo tanto, così come molti crotonesi agognano, che il centro storico divenga un motivo di cultura, d’arte, e di lustro per Crotone.” La seconda personale si è tenuta sempre presso la Bottega d’Arte sita in via V. Emanuele 17, di proprietà dello stesso pittore, dal 3 al 31 dicembre 1983. Di lui nella presentazione Franco Ciccarello scrive quanto segue: “Giuseppe Oreste Froio, uno fra i giovani artisti più validi oggi operanti nella nostra città, approda alla pittura sulle orme del padre, Armando, altro nome ben noto negli ambienti artistici crotonesi e si può dunque ben definire autentico figlio d’arte, dotato tuttavia di un rilevante ‘cachet” culturale. La sua tematica artistica trae spunto da un sereno, quasi nostalgico, rilievo di una realtà urbanistica in via di sparizione ma assume i toni di una vera energica protesta contro l’indiscriminato, antiestetico espandersi di quegli agglomerati abitativi freddamente geometrici, amorfi e spersonalizzati che purtroppo, giorno per giorno, ci ricordano nella nostra città. Un tema cosi stimolante, ci porterebbe lontano e ad ogni modo, necessiterebbe di una separata trattazione. Ma avremmo detto ben poco se dicessimo che Giuseppe Oreste Froio interpreta ambienti, caseggiati, viuzze della città vecchia con tanta maestria. E un irrefrenabile ‘pathos’ che anima le sue tele, uno straordinario impeto creativo che ne sollecita la fantasia. Sicché, dopo gli ormai tanti anni di pittura, la sua tematica di oggi non ha più limiti. I ritratti, le figure, le composizioni, come sia pure una semplice natura morta o un paesaggio, delle desolate ma fertili campagne della Calabria, hanno tutti un comune movente: il grande amore per la natura, ma soprattutto un grande attaccamento alla propria terra, con tutte le sue istanze, con tutti i suoi drammi. I suoi caseggiati sono vivi, accusano il silenzio, la tristezza dell’abbandono; sono palpitanti come creature che soffrono la solitudine, suscitano desideri di quiete, ricordi di una spensieratezza ormai consumata, di un tempo passato che più non ritorna e quasi più non ci appartiene… Ci ricordano che siamo noi stessi che, col nostro disinteresse, abbiamo quasi rinnegato quei valori che oggi Giuseppe Oreste Froio ci indica, invitandoci al loro recupero. Si può dunque ben dire che se la sua pittura riesce in un siffatto ruolo, in una realtà come quella nella quale viviamo, ove l’arte è ancora da molti ritenuta una ‘conoscenza aggiuntiva’, una sorta di bagaglio di erudizione voluttaria, (è proprio per questa malformazione intellettuale, infatti, che inconsapevolmente consentiamo il sistematico ed agevole allignare di mestierante idiotismo, di subdola millanteria approdati casualmente a manifestazioni di pseudo-arte, tanto per aggrapparsi al meno-peggio, tanto per non aver avuto null’altro di cui occuparsi…). In questo quadro, non certo troppo edificante, G. O. Froio con la sua pittura pulita, fatta di temi onesti, mossa da stimolo sincero, costituisce un barlume in tanta oscurità, una boccata di ossigeno dopo tante penose riflessioni sulla pittura che, quando invece, come nel caso di questo artista, si fa portatrice di simili messaggi. Essa allora è Arte Vera.” La terza personale, dal significativo titolo Blu – Immagini colori e suggestioni nella pittura di Oreste Froio, è del maggio 1999; si è tenuta presso la Pinacoteca Comunale di Bastione Toledo, in Piazza Immacolata 12, inaugu-rata dal Sindaco del Comune di Crotone prof. Pasquale Senatore e dall’Assessore alla Cultura dott. Domenico Forciniti. In quell’occasione il critico d’arte Giuseppe Parisi così si espresse su La Provincia Kr (21 maggio 1999 n.20, pag.11): “Dal ‘Blu’ di Oreste Froio una luce viva e moderna. La pittura di Oreste Froio deve essere considerata come un omaggio a qualcosa di più forte e straordinario: l’evento naturale. Nature morte (poche a dire il vero), paesaggi (la quasi totalità della produzione) trovano una propria caratterizzazione nella grafia morbida e delicata del segno che si lascia lentamente coprire dal colore, più volte di marca “fredda” e bluastra. Quel che si affaccia dai quadri di Froio è un mondo pettinato, lindo, terso, con ogni cosa al suo posto, gli alberi, le foglie, i fiori, le case, le intimità spiate ed accennate. Ma anziché essere rassicurati da tanto ordine, sembra quasi entrare in una dimensione allucinata, ordinatamente stravolta, come solo può apparire nei sogni, anzi, negli incubi di una agghiacciante e perversa perfezione. E’ un mondo a volte deserto dove la figura umana, se appare, rappresenta un incidente di percorso o una febbrile apparizione. Si tratta di un paesaggista consapevole che certi incanti, nei luoghi stessi dell’infanzia o nei luoghi perduti della storia, vanno ritrovati e conquistati ormai non senza fatica sul confine di un mondo che si urbanizza mostruosamente e a ritmo accelerato: per effetto, si sa, dei mass-media, delle invasioni vacanziere, dei week-ends, delle seconde case. Così spesso i paesaggi di Froio si raccolgono in spazi anche ravvicinati; le sue inquadrature colgono fino in fondo il mistero della natura, la sua evocativa e struggente bellezza. Sono quadri, quelli del Froio, di un post-impressionismo moderno come viva e “moderna” è la luce del sole che illumina i campi e quello che essi rappresentano poiché la volontà dell’artista è di trionfare sulla sua solitudine in immagini di mistica semplicità in un universo coerente di intelletto e sentimenti.” La quarta mostra, con esposizione di 45 opere e patrocinata dal Comune di Crotone, è del 2004. La personale, visitata da un pubblico numeroso e competente, si è tenuta presso il Bastione Toledo dall’8 al 22 maggio 2004 ed aveva un titolo giustamente evocativo: “Blue vision” – Immagini, colori e suggestioni nella pittura di O. Froio. Nella presentazione dell’evento l’assessore ai beni culturali dell’epoca, Stelvio Marini, ha cercato di cogliere l’essenza e il significato della pittura del Nostro: “Visioni in Blu sono l’argomento pittorico della mostra dell’artista crotonese Oreste Froio, che l’Amministrazione Comunale ha ritenuto di patrocinare. Il Blu è un colore freddo che nei secoli gli artisti hanno mostrato di prediligere e che ci fa venire in mente le particolari tonalità usate da Giorgine; l’attrazione che ha avuto su Reynolds che ne ha fatto il colore dominante di un ritratto ; ed infine come non ricordare il ‘periodo blu’ di Picasso? Il Blu di Oreste Froio è un colore di sogno dato al paesaggio naturale, illuminato di bianchi e di gialli, costruito con il pennello, con una tecnica che ricorda il ‘pointellismo’, filtrato della lezione macchiaiola (Ma per il N. è anche il colore dell’acqua, dell’aria, della luce e soprattutto del mare con il quale Oreste ha un rapporto privilegiato e lungo). E’ comunque una pittura ‘an plein air’ che ci restituisce il paesaggio naturale mediterraneo, in un’ottica visionaria e rarefatta che ne coglie la più intima essenza. L’Amministrazione Comunale prosegue così nell’intento di valorizzare gli artisti crotonesi più validi, che sono i più diretti testimoni della realtà locale, che viene restituita all’osservatore, attraverso la mediazione nobilatrice dell’arte.” La sua pittura non si presenta monotematica, né per tecnica né per contenuti, le sue tele spaziano dal sogno all’elaborazione concettuale, dall’espressione istintuale alla ricerca storica: boschi e sottoboschi colorati e fioriti, ma anche paesaggi marini, ricchi di reperti archeologici, tra storia antica e moderna; i temi misterici della natività e della passione di Cristo, ma anche le bambole, intese come simbolo della sofferenza dei bambini nella società moderna e come vittime dell’indifferenza degli adulti. Testi critici appaiono su giornali locali e sulla Rassegna Arte 2000 della Giorgio Mondadori, pag. 43: “Fino a che punto le caratteristiche ambientali, cioè native, e culturali contribuiscano alla formazione dell’artista non è facile dire, anche se si tratta di un’eredità certa e confermata, pur con varianti molteplici. Più facile è invece il vedere se e quanto l’artista abbia saputo e voluto acquistarsi una ‘forza degli occhi’ tale da riuscire a leggere nel modo giusto la lezione dei Maestri che più gli sono utili. Ora è evidente che questo pittore ha saputo giovarsi delle sue proprie qualità naturali e culturali, e leggere bene le opere postimpressioniste e simili, arrivando così a un discorso ben nutrito.” Di lui hanno inoltre scritto G. Castelliti (Gazzetta del Sud); A. Curto (Italia artistica); V. Barresi (Sei Crotone); B. Anili (Il Crotonese); E. Cortese (La Provincia). Di quest’ultimo si riporta un Itinerario biografico, che “scava”, con occhi compiaciuti, nelle diverse sfaccettature del Nostro ed una poesia-dedica in occasione della Personale del 1999: “Giuseppe Oreste Froio nasce a Crotone nel febbraio del 1947. Il padre Armando, amante della pittura e della poesia, influisce notevolmente sulle scelte del figlio. Il nostro pittore può, così, fin da piccolo prendere dimestichezza con pennelli e colori, incantandosi nell’osservare le paterne pennellate che, come un sipario che piano piano si apre mosso dalla magia dell’arte, offrivano l’occasione a quegli occhi sgranati di bambino, di tuffarsi nello scenario di un mondo fantastico. Crescendo, potenzia le sue doti naturali per il disegno ed interiorizza la realtà, filtrandola attraverso il suo senso estetico per poi fissarle su tele, suggestionando per la scelta del colore ed il tocco di luce. Sono questi, però, anni soprattutto di ricerca di una sua personale espressione che presenta ai suoi più vicini amici. E’ solo dopo gli studi universitari che si rivelerà al pubblico mediante una personale di pittura presso il negozio-bottega del padre nel 1976. Il consenso ottenuto lo stimola a dedicarsi con sempre più passione alla pittura. Dopo tale data, storica per la sua carriera, partecipa a numerosi concorsi, prediligendo quelli del comprensorio per non allontanarsi dalla famiglia e dal lavoro (insegna discipline matematiche e scientifiche nella scuola media ‘Giovanni XXIII’) ad entrambi molto legato. Fino al 1995, pur continuando nell’osservazione di squarci naturali che cattura nel suo profondo, a maturare tecnica e tematiche e ad annoverare premi, ha come profanato il suo impeto artistico, proponendosi con apparizioni saltuarie per quanto significative. Dal 1996 invece la sua produzione artistica è continua. Il suo dinamismo pittorico è dovuto, con ogni probabilità, all’apertura del suo studio nel centro storico. Nel chiuso alto del suo laboratorio, evocando la visione di quei pennelli che prestivamente maneggiava, impiastricciando le fatiche paterne, ritrova il silenzio come spinta creativa. In questo apparente isolamento matura le sue ultime opere che espone nel maggio 1999, con la collaborazione del Comune di Crotone, nei locali del Bastione Toledo. La mostra, per afflusso di pubblico e consenso di critica, lo consacra definitivamente pittore, perché, al di là della tecnica apprezzabile di un postimpressionismo moderno, esprime ricerca del colore come forma personale, espressione di vita e di bellezza e rivela una forte maturità estetica che trasporta lo spettatore, con pari intensità, sia ad un’elevazione interiore come alla riflessione toccante su forti tematiche sociali.” “Uno sguardo/ all’amico artista Froio Uno sguardo / ai tuoi dipinti / ed il blu strappato a marine / sature di scapigliate fioriture, / scosse dal brivido della vita, / placa cuori tesi a praticare, / come granuli sospesi nella luce / vitale, calda, / convulse danze tribali. / Uno sguardo / e si tingono d’azzurro / i solitari bianchi cammini, / aperti al nudo correre del tempo. / Stregato di celeste, / non suona più corde di insidie / e scopre pianori erbosi / intrisi di sole. / Uno sguardo / ed il vento smette di spazzolare / panni di fatica, / appesi a filari di pensieri, / gravati da acerbi seni. / E sugli spazi, / stupefatti di quiete, / si poggiano, sicuri e brulicanti, / cerulei spicchi di cielo.” Ma è la giornalista Silvana Marra, più che altri, di Froio ha analizzato gli aspetti più profondi e intimi del suo percorso artistico, come è evidente nel sottoindicato “pezzo” pubblicato su La Provincia Kr con il titolo Oreste Froio, l’elogio della normalità: <Ne “L’uomo in rivolta” di Albert Camus il saggio più lacerante è quello su Ivan Karamazov. Dei quattro fratelli dostoiewskiani, Ivan è colui che incarna la rivolta irriducibile, quella di chi non accetta transazioni, non s’accontenta. Il suo è un ateismo attivo, militante, sdegnoso e sofferente. Non a caso, il saggio s’intitola “Il rifiuto della salvezza” ed il protagonista dice, pressappoco: la mia rivolta perdurerebbe se anche Dio esistesse, perché nulla può giustificare la morte di un bambino. Saltare da un Karamazov a Froio può apparire rocambolesco: le parole di un filosofo non possono essere quelle di un antidivo quale il pittore crotonese è. Ma Oreste che afferma: “Vorrei che qualcuno mi convincesse” e “Dio si trova nell’altro, il male del mondo non può avere giustificazione, è tutto talmente bello ma è tutto talmente brutto”, c’è andato vicino. Non esistono mezze misure, non può esistere un essere supremo se permette tanto dolore. E se c’è, non è un dio di vita né d’amore. E’ semplice: la fede è un’opzione irrazionale che può anche farti arrivare a dare una spiegazione logica alle cose, difficile è solo il primo passo. Chi non accetta di farlo, rinuncia ad un privilegio, è tutto più complicato. Se si è “buoni”, lo si è solo perché il prossimo è una persona, è un fratello. Non nella fede, è un fratello e nient’altro. E forse, amare senza precetto, vale un po’ di più, richiede maggior rigore con se stessi. D’altro canto, Oreste Froio sicuramente non intendeva dare risalto ad una scelta tanto intima. Doveva trattarsi del suo profilo artistico. Però andava fatto, spiega tutto il suo modo di rapportarsi. Lui è un mite, sia pure con qualche innocente fisima e più di un’ingenua pignoleria. Non si è raccontato con facilità, la paura d’essere frainteso, di risultare spocchioso e di fare il genialoide, fa parte del suo pudore. Tutto si è svolto nell’ansia continua di non passare per “il laureato” ma, sta di fatto, che la sua attività primaria è quella d’insegnante di matematica e scienze. E già questo, nel panorama degli artisti locali, lo rende un personaggio atipico anche se non ne fa un dilettante. Occhiali, capelli corti e grigi da ex bravo ragazzo, di quelli che si ritirano la domenica col cartoccio delle paste. E’ un sentimentale con tanto di piedi per terra: “Devono essere gli alunni a dire se sono un insegnante”. Anche qui, non dà niente per scontato, non s’accontenta di ruoli od appartenenze. Non vive nel sottovuoto della proprie certezze, le sue convinzioni non sono a tenuta stagna. Difficilmente capita l’artista “normale”, quasi l’essere come i più, fosse deprivante. Ma, “il professore”, più che normale è sobrio, anche battute e sorrisi sono da buon padre di famiglia. Il rapporto con la scuola s’è, ultimamente, un po’ svuotato, resta l’evidente protettività per i ragazzi ed emerge la stanchezza per un clima disimpegnato e superficiale. Con qualche genitore scorretto di troppo. Poi, dopo tanti anni, professionalità a parte, sente il bisogno di uno spazio tutto suo, appena un po’ lontano da registri e teoremi. La creatività è, essenzialmente, astrazione. Sotto certi aspetti, si coniuga con la matematica. Però è tanto più libera. Froio non si considera bravo, si attribuisce solo una certa padronanza nell’uso del colore: l’ha detto, non sa neanche che l’avrei scritto. Tanto, fra le sue paure c’è anche quella di sembrare umile a trucco. Dipinge, “sul serio”, da un quarto di secolo ed è innamorato dei grandi impressionisti. L’interesse per la pittura risale all’infanzia e ad un genitore da cui ha ereditato la personalità artistica. Sul piano istintivo, privilegia il colore, la sua passione è tutta lì. Però è uno che sa disegnare, di quelli che meriterebbero un’estemporanea vera, dove la tela, una volta timbrata, non si portasse a casa. Tanto, sappiamo che ci sono mille modi per bluffare e, domani, ognuno di noi potrebbe svegliarsi “artista”. Oreste ha i suoi tempi, l’opera è un cammino dentro sè, chi ne sforna stile tipografia, ha qualcosa che non funziona. Lui è un tradizionalista, nulla contro le teorie che hanno rivoluzionato la storia dell’arte ma pensa che i “tagli”di Fontana avessero poco a che fare con la pittura. “Sulla tela ci dev’essere tratto e colore”. Picasso era un disegnatore eccellente ma aveva capito che la gente era pronta per essere stravolta, pronta per essere confusa. Su quel piano era sicuramente più competitivo. Froio si esprime in questi termini, senza paura di risultare impopolare. Nulla dell’agiografia artistica lo impressiona, anzi, ad essa attribuisce la colpa di tutto quanto d’estremo, distruttivo e fasullo, spesso l’artista propugna. Perché, spiega, vige una sorta d’equazione fra arte e diversità, in alcuni è solo atteggiamento, in altri, diventa regola di vita. Che bello, finalmente un pittore che non giochi sulla propria vita e su quella degli altri. E che gioia poter amplificare una personalità vitale ma non devastata. Proprio così, perché stando a ciò che racconta, Oreste Froio è di quelli che s’innamorano ogni giorno della bellezza e concedono fiducia incondizionata. Non ha imparato la lezione della fregatura, semplicemente perché ci si può rifiutare d’essere furbi per scelta. Ma i mediocri non lo capiranno mai, essi pensano sempre che l’altro sia imbecille. Le opere dell’ultima fase sono il trionfo dell’azzurro, inneggiato in tutte le tonalità. Dal blu profondo del cielo notturno a quello trasparente dell’acqua. Forse perché ha sempre praticato la pesca subacquea: lo scenario cambia totalmente, guardando dal basso verso l’alto l’acqua diventa una grossa lente che fa filtrare la luce se e come vuole. E’ un altro mondo. La produzione più recente vede scomparire la figure a beneficio del paesaggio, può darsi che Oreste cominci ad essere stanco del rumore, stufo delle parole. Forse chiede un dialogo giusto ed ideale, senza le offese che la voce sa vomitare. Il colore è diventato il contenitore di tutto quanto ha da esprimere. Guarda il paesaggio e si parlano, natura e pittore.Nemmeno più una casa, un portale od un uomo, non ci sarà mai in una sua tela, la torre Eiffel. E’ come se fuori della presenza umana sparisse qualsiasi traccia di mistificazione. E’ solo la luce a sostan-ziare la dialettica dell’immagine, con essa la scena prende vita. Ed è una luce di den-tro, dopo avere tanto lavorato dal vivo, adesso Froio da’ immagine a paesaggi inte-riori, nati dall’anima più che dalla testa. Eppure, sono evidenti le capacità da ritrat-tista. Non se ne riconosce, soprattutto, non riesce a dipingere un volto su commis-sione. Un viso deve colpirlo, deve significare qualcosa, qualcosa che lui si diverta a decifrare. Un viso non è come il paesaggio. Può assumere una posa e barare. Oreste vuole fare della sua pittura, un momento di verità. Non dipinge per imbrogliare.>
Le diapositive delle tele presentate in questo sito sono state dall’Autore stesso suddivise, per comodità espositiva, in quattro gruppi tematici, con l’indicazione delle reali dimensioni : 1) figuracce; 2) figure; 3) marine; 4) paesaggi.
Premi e Mostre: ● Personale di pittura Bottega d’Arte Crotone dicembre 1976 ● Premiato a Rocca di Neto 1977 ● Premiato al Nazionale Un. Cult. Cal. di Catanzaro 1977 ● Estemporanea Centro Storico Crotone 1977 ● Medaglia d’oro alla Biennale religiosa Catanzaro 1977 ● Premiato al Nazionale B. Telesio Cosenza 1977 ● Premiato al Nazionale Galatina 1978 ● Premiato al Nazionale S. Severina 1978 ● Premiato al Nazionale Città di Crotone 1978 ● Premiato all’Estemporanea S. Severina 1979 ● Premiato alla Collettiva Nazionale S. Severina 1979 ● Premiato alla IV Rassegna Nazionale Città di Fabriano 1979 ● Premiato al Nazionale Maggio Crotonese 1979 ● Premio Speciale Rocca di Neto 1980 ● Premiato a S. Giovanni in Fiore 1980 ● Premiato al Maggio Crotonese 1981 ● 1° Premio Estemporanea Nazionale S. Severina 1981 ● Premiato al Maggio Crotonese 1982 ● Premiato al Nazionale S. Severina 1982 ● Premio Speciale Nazionale Rocca di Neto 1982 ● Premiato al Nazionale Maggio Crotonese 1983 ● Premiato al Nazionale S. Severina 1983 ● Personale di pittura Bottega d’Arte Crotone dicembre 1983 ● Premiato al Maggio Crotonese 1984 ● 1° Premio Nazionale Estemporanea Città di Trebisacce 1985 ● Premiato al Maggio Crotonese dal 1986 al 1997 ● 1° Premio Estemporanea Castelsilano 1996 ● Premio Estemporanea Castelsilano 1997 ● Personale di pittura “Bastione Toledo” Crotone, maggio 1999 ● Mostra mercato Città di Piombino 2000 ● Premio Estemporanea Rocca di Neto 2002 ● Personale di pittura Pinacoteca Comunale Crotone, maggio 2004
Il presente profilo, frutto di una lunga e profonda conoscenza, è un omaggio dovuto all’amicizia che lega il sottoscritto all’artista e all’uomo Froio fin dai banchi della scuola elementare. (2006)
Parte quarta: Il blog
ECCOMI
Tra i nuovi strumenti della memoria e della comunicazione telematica, il blog è senz’altro il più diretto per stabilire contatti, possibilità di scambiare esperienze, illusione di uscire dall’anonimato. Il mio blog, insieme al sito che amministro, risponde a tutte queste finalità, che indico nella presentazione: “Perché sono qui / Il sito e’ rivolto ai fratelli, / agli amici, / ai parenti, / ai nipoti che / non vedrò mai, / ai curiosi, / ai critici, / ai criticoni, / a chi non ha completato il suo progetto di vita, / a chi non ha trovato soluzioni ai problemi / e neppure una piccola verità, / a chi ha voglia di confrontarsi / e a tutti quelli che navigando / approdano per caso a questo portale. / E’ il contenitore della produzione ‘letteraria’, / artistica ed hobbystica / del sottoscritto, / della sua famiglia / e di tutti gli amici / che avranno la cortesia di aggiungersi, / ipotizzando sedute conviviali, / conversazioni dotte o libere, / incontri di esperienze / di culture, di valori / e di personalità diverse. / E’ un cammino di crescita / con tappe e momenti di riflessione / espressi attraverso linguaggi e raccolte varie, / di carattere poetico, / tematiche filateliche / o lavori di ricerca. / Il titolo rinvia a luoghi geografici / al centro del Mediterraneo, / invidiabili per le suggestioni paesaggistiche, / dove l’incontro di civiltà diverse / ha prodotto una stratificazione culturale unica; / ai luoghi della memoria; / a luoghi simbolici / metafore della vita variegata e cangiante; / ai luoghi più isolati ed emarginati, / affatto sfruttati, / per storia / per mancanza di strutture / per precise volontà e scelte politiche, / e condannati all’emarginazione e al sottosviluppo, / senza speranza. / Ancora il titolo vuole evidenziare, / nella sinteticità del riferimento geografico,/ la perifericità che caratterizza, / nella regione Calabria, / ogni esperienza umana e professionale / e in particolar modo la costa ionica / tra Reggio e Sibari. / Pintammati è una fiumara / che divide ed unisce Ardore e Bovalino, / nel territorio della Locride greca / in provincia di Reggio Calabria, / e il Neto sonnacchioso chiude a Nord / la vecchia Calabria Ulteriore. / Il limite geografico racchiude anche una limitazione culturale, / riferita alle problematiche storiche insolute, / che agitano da tempo questa parte del Meridione. / Questa zona oggi è oggetto di attenzione / solo da parte di curdi, albanesi / e di tutti gli extracomunitari / che fuggono dalla loro miseria.
Aperto il blog, ecco arrivare le prime risposte alle mie domande e ai miei dubbi: “caro Carlo, mi sembra ieri che io, Nino e Carmelo decidevamo i turni per svegliarci, all’alba di una calda e calma estate bovalinese, per recarci insieme a te, sulla tua 128 verde, a giocare a tennis in quel improbabile campo da tennis oltre la ferrovia.. E’ tutta la sera che leggo e rileggo le tue poesie e guardo le tue foto con quelle di giovanna e di tiziana.. E’ una forte e strana emozione quella che provo.. bella sicuramente.. ma facendo un rapido bilancio tra i ricordi e le date, mi accorgo di avere ancora in mente una giovanna che corrisponde all’eta’ di mia figlia.. ed invece il tempo è passato inesorabilmente.. evidentemente non sono più il ragazzino impertinente e frivolo di una volta, adesso sono un padre di una meravigliosa figlia di 10 anni.. sono un medico che ha la presunzione di volersi prendere cura dei propri pazienti.. e sono un inguaribile filantropo, che ama la vita, la solidarietà ed è alla perenne ricerca del senso della vita.. Mi piacerebbe poterti raccontare tutto quello che ho vissuto in tutto questo tempo.. e vista la distanza che ci separa, chissà che questo mezzo mediale non ci aiuti ad essere più vicini.. Ho voglia di conoscere meglio la persona che sta dietro alle poesie che hai scritto.. ti ho sempre ritenuto una persona colta e molto sensibile, ma non ho avuto modo di conoscerti bene e come mi piacerebbe, adesso che sono adulto e un po’ più maturo di allora, cercherò di non perderti di vista.. Un abbraccio sincero a te e famiglia.. D.C.” <per il bisogno di comunicare / il bisogno di capire / il bisogno di iniziare un cammino / convinto di non essere solo / per il bisogno di un mutuo scambio / di opinioni riflessioni e sentimenti / per carpire briciole di verità ed emozioni / per dare dignità alla nostra condizione / per cercare di capire le contraddizioni dell’uomo / la sua grandezza / i suoi limiti / le sue miserie / per un dialogo diretto / carissimi amici / è aperto a tutti / e ai vostri interventi / un saluto affettuoso / e un abbraccio>
MIRACOLO DI MAGGIO
L’intero mese di maggio i Crotonesi dedicano a Maria, con gioiosa devozione e spontaneità, preparandosi all’evento centrale rappresentato dal pellegrinaggio notturno verso la luce del mattino, simbolo e motivo di rinnovamento spirituale; verso il “faro” di Capocolonna, luogo sacro per eccellenza, dove affondano le nostre radici culturali e religiosi. << Miracolo di maggio / Festa di popolo / festa di grande partecipazione. / Ogni anno per un giorno / la Madonna del Capo / compie un grande miracolo, / fa annullare le differenze sociali / riesce a ridurre quelle culturali / si sforza di smorzare quelle comportamentali. / Per un giorno i maleducati intuiscono / che la loro libertà convive / con quella degli altri, / e gli ignoranti hanno il pudore / di non sbandierare arrogante vanagloria / e la convinzione di essere i soli nel giusto. / Per un giorno i superficiali non sono orfani / della capacità di pensare / e di approfondire le conoscenze, / e gli imbecilli non dispiegano gli effetti / della convergenza di tante categorie anodine / insieme nella stessa persona. / Per un giorno i mercanti di parole / riacquistano l’uso della ragione / e il rispetto della verità, / gli arroganti e i presuntuosi / si accorgono degli altri / dei loro diritti e pari dignità. / Per un giorno gli ipocriti / predicano bene / e amano gli uomini come i loro cani, / i sensibili gli intellettuali gli umili / offrono le loro qualità / per innalzare lodi al nome di Maria. Puntuale ogni anno / festa di popolo / festa di grande partecipazione, / per un giorno tanto atteso / la Madonna del Capo / compie il grande miracolo.>> <<Notte della Madonna nera / Il mare si è acceso di fuochi, ancora una volta. / Tante, variopinte, tremolanti meteore in caduta libera verso il loro riflesso, a segnare l’esplosione di gioia del momento in cui il corteo di barche, drappeggiate anch’esse di luci, ha raggiunto l’approdo del molo, ed a rinnovare l’omaggio della cittadinanza alla propria patrona, nella speranza che l’icona bizantina dal sorriso enigmatico che troneggia in testa al corteo posi su ognuno il suo sguardo benevolo per tutto l’anno a venire. Fuochi, anche, per perpetuare l’alleanza secolare della città col mare, con il suo genius loci. Davanti ai miei occhi, l’arido profilo dei calanchi di creta, che si geometrizza nel magma delle case a cascata verso il mare, e, dall’altro lato, sfuma via via verso la sagoma del faro e della colonna da cui il promontorio prende nome, per inabissarsi, infine, nella linea dell’orizzonte che i nostri avi scrutavano nella speranza di veder apparire le barche cariche del pescato, ma anche nell’angoscia che,improvvisa, si materializzasse una nave straniera, e con essa, il terrore delle stragi, dei saccheggi, del sangue. / Di tutto ciò, ora, non rimane che un palcoscenico vestito a festa, mi dico mentre attorno a noi impazza il sabba dei fuochi d’artificio, guardando verso il castello arroccato a difesa del silenzio e dell’oscurità.Penso a quella diaspora, di cui anch’io faccio parte ed ancor prima la mia famiglia, che ha portato tanti di noi a disperdersi in rivoli sulle rotte della miglior qualità della vita, di una maggior qualificazione professionale, o, più banalmente, dell’emigrazione, smarrendo una parte della propria storia,ma forse anche privando ed impoverendo questi luoghi di una parte della loro identità. / Erano vent’anni che non tornavo. / Sono tornata ora, non tanto alla ricerca delle mie radici, che credo di aver ricostruito e reso vitali giorno dopo giorno lontano da qui, quanto per quella strana frenesia di passare il testimone che ti assale con la maternità, per cui vorresti che tuo figlio assorbisse il tuo passato, i luoghi della tua infanzia e li facesse presenti, e tu vorresti ritrovarne il sapore abbeverandoti al suo sguardo incantato. / Volevo che anche lui conoscesse quel misto di salsedine e di zolfo che è l’odore del mare dopo l’incendio, e quel languore incontenibile che ti prende quando il rimbombo degli spari ti squassa fin dentro lo stomaco, volevo che fotografasse quella folla di volti di mani di storie che ormai non mi appartiene più ma a cui forse è appartenuta la mia vita di bambina e, nonostante il lungo abbandono, appartiene ancora una parte del mio sangue. / Volevo che li vedesse, quei volti, trasfigurati dall’emozione, mentre la festa religiosa si fa festa pagana ed estasi collettiva in un crescendo di commossa partecipazione, ed un giorno, magari, quest’immagine balzasse vivida ai suoi occhi dai recessi della memoria di un bambino di tre anni. / Per questo siamo qui, io e Simone, stasera, che ci stringiamo le mani battendo il ritmo all’unisono con la banda musicale che sfila in testa alla processione per il lungomare, immersi ognuno a suo modo in questa serata che sa di salmastro – lui da piccolo turista stupito ed attonito, io rapita sull’onda dei ricordi – mentre il fiume di gente passa, e dai balconi piovono bigliettini di invocazione e di preghiera. Strano destino, penso, di queste preci, invece che librarsi verso il cielo, essere costrette ad atterrare svolazzando per divenire tappeto policromo per la folla festante,o magari ad essere intercettate dalle manine trepide e gioiose di un bambino, o forse, emblema dell’inscindibile connubio che questa cultura intreccia tra religiosità e materialità, individuale e collettivo, vita dello spirito e fatti urbani… / Quando sono riemersa dal fiume in piena di gente e di pensieri, Simone non c’era più. / Si era allontanato in un attimo di mia distrazione, poi probabilmente era stato trascinato dall’onda della folla. / Mi sono immediatamente lanciata nella scia della processione, guardandomi intorno in cerca di un palloncino a cuore sospeso su due occhioni probabilmente già un po’ lucidi, ed intanto pensavo come questo luogo, che sentivo ancora parte di me nella mia visione oleografica e cristallizzata del passato, era improvvisamente divenuto estraneo ed inospitale nel presente. / Eravamo via da due generazioni ed avevamo perso ogni contatto,nessuno ci conosceva né io potevo pensare di individuare qualche volto familiare per coinvolgerlo nella mia ricerca affannosa. / Solo le pietre, pensavo, mi appartenevano davvero. / È stato a questo punto che l’ho visto. / Seduto su di uno scalino, guardava incantato passare la folla, una manina stretta nella mano di un vecchio vestito di nero, il palloncino che sventolava sorridendo su quest’amicizia appena nata. / Levandosi dal nero del panno, due spilli azzurri mi hanno trafitto la memoria facendone sgorgare il fiotto dei ricordi. / Zio Vincenzo e quel suo sguardo sempre sospeso, incredulo, incerto tra il cielo ed il mare. / Zio Vincenzo, zio non perché un vincolo di sangue ci unisse, ma una rete fitta e solida fatta di ore e di giorni, di passeggiate sul molo al mattino, di complicità di gelati divisi, di lunghe storie narrate al fresco sulla porta di casa, mentre attorno a noi si incrociavano gli odori della cena. / Era partito giovane per lavorare in Germania, pensando a quando,finalmente tornato a casa, avrebbe potuto iniziare a godersi la vita. / Ma i giorni i mesi gli anni erano passati e, quando finalmente era tornato, aveva capito che anche la sua vita era ormai passata. Si era ritrovato, solo e quasi vecchio, a ritornare con la nostalgia agli anni di fatica a Monaco di Baviera, alla camerata divisa con i compagni di lavoro,ai rari momenti di festa, di birre e di balli; malediceva allora quell’attaccamento alla terra natia che gli aveva fatto vivere quegli anni come una lunga parentesi – a conclusione della quale c’era il vuoto, o forse una bambina che ascoltava le sue storie di fabbriche e di treni in corsa, sempre curiosa di nuove spiegazioni e di nuovi particolari, senza capirne l’amarezza e il disincanto. Un giorno – una festa della Madonna di tanti anni fa – mi aveva portato davanti all’altare dov’era l’icona brunita dal tempo, e mi aveva raccontato come in Grecia,dove aveva fatto la guerra,tante erano le Madonne che le assomigliavano, gli stessi volti scuri con lo sguardo severo, puntato all’infinito. «Eppure siamo così stupidi – aveva concluso – da pensare che questa sia l’unica, la più bella, e da sentire il morso della nostalgia se, un anno, non riusciamo a tornare per ossequiarla, per sentire su di noi la carezza dei suoi occhi…” / Quando eravamo partiti – papà diceva sempre: «Bisogna trasferirci ora che i figli sono piccoli, o non lo faremo più» – zio Vincenzo mi aveva salutato, dalla porta della sua casetta, con uno sguardo azzurro misto di dolore e di attesa, che aveva vagato a lungo inquieto nella brezza del primo mattino. / Su quello scalino, si stavano raccontando, zio Vincenzo e Simone;commossa per aver ritrovato un pezzo del mio presente, nei miei ricordi di bambina, o forse anche colpevole per l’involontario abbandono ed il lungo silenzio, non ho avuto il coraggio di farmi riconoscere. Ho chiamato Simone da lontano e lui è arrivato, festante, in una manina ancora il palloncino a cuore, nell’altra sventolando un fogliettino: «Mamma, guarda cosa mi ha regalato quel signore!». Sopra la scritta “Maria proteggi il tuo popolo” gli occhi della Madonna e del bambino ci guardavano. / Abbiamo salutato da lontano il nuovo e il vecchio amico, poi, mentre c’incamminavamo sul lungomare lastricato di bigliettini e di petali, tra la folla di registi attori spettatori per un giorno ormai diradata e dispersa dopo l’ultimo saluto,”Mamma, perché quel signore ha detto che questa Madonna la devo tenere sotto il cuscino? Come fa a guardarmi la Madonna se sta sotto il cuscino? La possiamo fare tornare in cielo, così può guardarmi sempre?”. / Ho annuito con gioia; e, mentre lo aiutavo a legare l’immaginetta al filo del palloncino, per poi lasciarli salire verso le stelle, pensavo che era bello che Simone stesse crescendo così spontaneo e libero; e, ancora,pensavo che, come un giorno zio Vincenzo stesso mi aveva insegnato,così questa Madonna avrebbe incontrato tutte le sue sorelle greche, turche, siriane, slave, fondendosi con loro in un unico sguardo, in un’unica carezza su tutti i fedeli di popoli, lingue, culture diverse… Invece, il filo del palloncino, dopo un breve volo, si è impigliato in uno degli archi delle luminarie che ancora per tutta stanotte accenderanno questa strada di una prospettiva magica e fiabesca. È rimasto lì sospeso, dondolando appena, a guardarci partire. (Francesca Anili)>>
I SOGNI
“L’uomo non può mai smettere di sognare. Il sogno è il nutrimento dell’anima, come il cibo è quello del corpo. Molte volte, nel corso dell’esistenza, vediamo che i nostri sogni svaniscono e che i nostri desideri vengono frustrati, tuttavia è necessario continuare a sognare, altrimenti la nostra anima muore…”(Coelho) Ci sono oggi le condizioni per sognare realizzare i sogni? In un mondo che omologa globalizza e massifica comportamenti e personalità, c’è spazio per l’estro la fantasia i bisogni più profondi del nostro essere? <gli uccelli non canteranno più / hanno ucciso il mio sentire / hanno devastato il mio mondo / la mia vita non esiste più / hanno bruciato i miei campi / hanno distrutto la mia casa / hanno rapito i miei bambini / gli uccelli non canteranno più / hanno scavato nei miei occhi / hanno tormentato le mie carni / hanno fiaccato il mio spirito / la mia vita non esiste più>
LA CENTRALITA’ MEDITERRANEA
Nell’Europa allargata ai Paesi dell’Est il Mediterraneo rappresenta la frontiera meridionale, nella quale si incontrano e si scontrano diverse culture, relazioni economiche, sistemi sociali. E’ un’area di scambio e di integrazione multiculturale dall’antichità ad oggi. In questo contesto la Calabria riveste, per la sua posizione geografica strategica, un ruolo di notevole importanza, una centralità culturale non sempre però appieno utilizzata e sfruttata.. per colpe che vanno equamente distribuite tra la classe politica per incapacità ed omissioni e la società civile, nei suoi organismi e associazioni rappresentative, carente sul piano propositivo e assente sul piano culturale…il semplice nome Calabria rinvia a luoghi geografici al centro del Mediter-raneo, invidiabili per le suggestioni paesaggistiche, dove l’incontro di civiltà diverse ha prodotto una stratificazione culturale unica; ai luoghi della memoria, simbolici metafore della vita variegata e cangiante; ai luoghi più isolati ed emarginati, affatto sfruttati, per storia per mancanza di strutture per precise volontà e scelte politiche, e condannati all’emarginazione e al sottosviluppo, senza speranza…il semplice nome Calabria rinvia, nella sinteticità del riferimento geografico, alla perifericità che caratterizza ogni esperienza umana e professionale e in particolar modo la costa ionica , tra la fiumara Pintammati nel territorio della Locride greca in provincia di Reggio Calabria e il Neto sonnacchioso, che chiude a Nord la vecchia Calabria Ulteriore.. il semplice nome Calabria rinvia ad un limite geografico che racchiude anche una limitazione culturale, riferita alle problematiche storiche insolute, che agitano da tempo questa parte del Meridione. Questa zona oggi è oggetto di attenzione solo da parte di curdi, albanesi e di tutti gli extracomunitari che fuggono dalla loro miseria… per una integrazione che da noi in effetti è più facile che altrove, come si evince dal bellissimo racconto di Francesca Anili ‘Storia di un lunedì dell’Angelo’: “Tra il paese vecchio e quello nuovo c’era un declivio punteggiato di ulivi e di aranci e correva una strada, inerpicandosi in tornanti per raggiungere, in alto, il dominio di tutta la costa sottostante; al tramonto, da lassù, la visione abbagliante del mare imperlato di luce ed il sentore della brezza salmastra che si confondeva con gli effluvi e gli aromi pungenti della macchia mediterranea, abbarbicata al dirupo. / Tra il paese vecchio e quello nuovo c’era una torre costiera di avvistamento, una massiccia costruzione circolare di pietra; una volta si elevava sulla terra di nessuno dove regnavano la malaria, e la paura delle incursioni saracene; ora domina la terra di nessuno -e di tutti- del nuovo agglomerato fatto di costruzioni abusive, del non finito, di muri nudi di mattoni e di pilastri impietosamen-te protesi verso il cielo che si contorcono e si spintonano per conquistare un angolino di mare. / Tra il paese vecchio e quello nuovo c’è un piccolo cimitero disteso sul declivio, una pausa quasi incongrua, con la sua struttura regolare a scacchiera, il doppio filare rettilineo di cipressi che incornicia l’ingresso, nel susseguirsi organico e disordinato della vegetazione e del costruito; e,dentro, la memoria di una storia lontana eppure presente di distruzione e di morte, di una terra improvvisamente instabile e furiosa, e gente in fuga tra le macerie e la polvere. Poi,faticosamente, era iniziata la ricostruzione, ma ormai in tanti avevano iniziato a scendere verso la costa, dove il treno che passava ogni giorno, dava l’illusione di essere un po’ meno lontani dal mondo ed alimentava la speranza che un giorno, forse, qualcuno ci sarebbe salito, e sarebbe andato lontano… / Tra il paese vecchio e quello nuovo ci sono, allora, tante storie interrotte, di famiglie che hanno abbando-nato le loro abitazioni pericolanti, man mano invase da muschio, erbacce, arbusti insinuatisi nelle crepe dei muri, come se la natura volesse continuare l’azione disgregatrice iniziata dal terremoto, costruendo una cortina di vita vegetale là dove aleggia sentore di morte e di abbandono; ma anche anziani, pochi ed ostinati, che si sono rifiutati di abbandonare la casa che li ha visti vivere, la terra che ha nutrito loro e i loro figli, e sopravvivono caparbiamente alla vita di ogni giorno tra questi muri e queste strade abitate dal silenzio. / C’è un giorno, però, in cui il paese vecchio e quello nuovo si incontrano, e le stradine sconnesse di acciottolato, i muri scrostati e lesionati tornano a risuonare di passi e di voci di tutte le generazioni; è il Lunedì dell’Angelo, quando la tradizione vuole che le famiglie riaprano le vecchie case ancora agibili e si prepari un pranzo di festa, invitando i parenti anziani rimasti lassù ed altre famiglie di amici o di parenti; poi s’imbandisce la tavola e si pranza sull’aia, o nelle vecchie stanze nuovamente invase dal sole; c’è anche chi si accampa nei pressi della propria casa ormai ridotta ad un rudere e, sempre in buona compagnia, consuma al riparo dei propri muri le pietanze già preparate e tenute in caldo; poi, inizia lo scambio di assaggi tra le varie comitive, i giri di perlustrazione di gruppi di adolescenti, alla ricerca degli amici del cuore invitati presso altre mense, ed i giochi sfrenati dei bambini, che presto intessono per tutto il paese un’unica rete di festosi richiami o di rimproveri. Tutto si svolge secondo quella strana legge per cui vicini di condominio o di pianerottolo, che per tutto un anno hanno vissuto nella più completa estraneità ed indifferenza, una volta giunti quassù ritrovano il senso di una familiarità disinibita, e gli antichi vincoli di sangue o di amicizia che qui si erano perpetuati per generazioni. / Questo Lunedì, Giuseppe si è svegliato prima di tutti a casa, ha silenziosamente sceso le scale ed è salito al paese in motorino. Vuole preparare una sorpresa per Elena, e sa che questo è l’unico orario per passare inosservato, prima che incominci la fila di macchine, il trasbordo di teglie di pasta al forno e fascine di legna, l’armeggiare per pulire ed accendere i camini. E’ circa un anno che lui ed Elena stanno assieme, esattamente dallo scorso Lunedì dell’Angelo, quando, complici il vino ed i racconti che s’intrecciavano da una tavolata all’altra, avevano trovato il modo di appartarsi in quello che doveva essere stato un orticello, sospeso sul dirupo. Si erano raccontati tante cose, tutte quelle che quotidianamente, costretti dalle leggi della comitiva, non avevano mai avuto il tempo di dirsi, poi si erano dati un bacio. / Giuseppe lo ricorda ancora come fosse oggi, tutti gli odori, e il vento leggero, e laggiù il mare a perdita d’occhio e quel senso di vertigine, di sentirsi inghiottito in tanta immensità; perciò ha deciso che, tra poco, tornerà con Elena in quell’angolino, e l’aiuterà a trovare, nascosta sotto una pietra, quella scatolina con dentro un anellino piccolo piccolo che ora sta per sistemare, come ha visto fare una volta in un film. E’ un ragazzo romantico Giuseppe, forse un po’ fuori dal tempo rispetto a tanti suoi coetanei; anche a scuola, la professoressa di Lettere dice che ha “una sensibilità superiore ai suoi 14 anni, un modo profondo di vedere e di sentire le cose”. / Il motorino, l’ha parcheggiato all’inizio del paese, per evitare di rovinare le sospensioni sull’acciottolato; poi, si è inoltrato per le stradine addormentate verso quel posto scolpito nella sua memoria. Mentre procedeva, si è sentito pervadere da un senso di straniamento, come se quel luogo non fosse quello che conosceva, quello che tutti i suoi ricordi delle Pasquette festeggiate in allegria gli rimandavano sin dall’infanzia. Si è fermato e si è messo ad osservare attenta-mente l’intorno, cercando se possibile di trattenere il respiro per non contaminare il silenzio vergine di quell’ora. Allora si è accorto che, davvero, tante cose erano scomparse, come cancellate ai suoi occhi da una mano misteriosa: uno stemma consunto su di un portale, un balconcino in ferro battuto, le due nicchie sulla facciata della chiesetta, in alcuni casi addirittura il piano superiore di un’abitazione o una facciata intera, che aveva lasciato aperti ed indifesi gli ambienti interni della casa, ed il senso di vertigine di una scala sospesa nel vuoto. Il paese è piccolo, ma senza tanti elementi di riferimento a Giuseppe sembra sterminato e inesplorabile; con uno sforzo di memoria, per colmare con la forza del ricordo le tante lacune provocate da questo strano fenomeno, riesce però ad orientarsi e ad arrivare all’orticello suo e di Elena; e lo trova, miracolosamente, intatto. / Sul mare, da lassù, vede una chiatta straripante di gente oscillare pericolosamente tra le onde. / A riva, un po’ fuori dall’abitato, si erano riuniti in tanti ad osservare una scena già vista tante volte in tivù ed ora materializzatasi davanti ai loro occhi: i motoscafi dei soccorsi che fanno la spola tra quel relitto che ancora miracolosamente sta a galla e la spiaggia, portando ogni volta in salvo tante facce scavate, tanti occhi sgranati ed increduli, tante mani che stringono, per dare protezione e coraggio, tante altre piccole mani. E’ davvero difficile, in questo strano Lunedì dell’Angelo, pensare alle teglie di pasta al forno,con tutte queste facce, questi occhi, queste mani. / Giuseppe ripensa a quando era morto il nonno. Lui aveva 5 anni, e aveva pianto tutte le sue lacrime di bambino tradito e abbandonato, Aveva pianto fino a che la mamma non gli aveva raccontato che il nonno, è vero, non era più con loro, era andato molto lontano, ma lui poteva chiamarlo vicino a lui ogni volta che voleva. “Se chiudi gli occhi e provi a ricordarlo” gli aveva detto “il nonno capirà che lo pensi, e verrà da te mentre dormi”. Da quel giorno Giuseppe ogni sera, prima di addormentarsi, ingaggia una lotta ostinata con la dimenticanza, per ricomporre nella memoria l’immagine del nonno dispersa nei territori dell’oblio. Non sempre l’operazione riesce: a volte è la linea del naso che gli sfugge, altre volte il tassello mancante è il timbro della voce, o il modo di incrociare le mani una sull’altra; allora il risultato di questo puzzle gli appare come un’immagine sbiadita della figura del nonno, perde di vita e di concretezza per divenire evanescente e svanire infine nella nebbia del sonno. Giuseppe pensa che forse la stessa cosa succede per i luoghi e le città, che hanno bisogno di essere pensate amate vissute per sfuggire ad un’inesorabile dissoluzione. Sembra di sentirne il rumore, nel silenzio che quassù regna, come di un tarlo che si attacca agli stipiti dei portoni, ai balconi, ai muri delle case, e li corrode senza pietà. / A riva, mentre si svolgono le procedure di primo soccorso, d’identificazione e di schedatura dei profughi sbarcati, sono in tanti a sentirsi invadere dalla partecipazione, dalla commozione e dalla pena per le storie di disperazione e di fame che ognuno di quei volti reca indissolubilmente impresse; e come per un transfert, una magica empatia, qualcuno sente su di sé il freddo delle notti passate in mare, la stanchezza e la paura di addormentarsi, e la stretta disperata delle madri ai loro bambini. Il sindaco ed il comandante dei Carabinieri discutono sulle possibilità di dare un ricovero immediato a tutta questa gente – in paese, oltre alle scuole, le strutture pubbliche disponibili sono davvero poche -; ed a qualcuno vengono in mente la chiesa grande e la sacrestia del paese vecchio, ancora in buone condizioni ed ogni giorno aperte e ripulite grazie al devoto impegno di un anziano abitante. La proposta viene vagliata ed accettata; poi, superata l’emergenza, bisognerà trovare un’altra soluzione; per il momento, ci si organizza per recuperare e trasportare brandine, stufette e coperte, mentre i Carabinieri provvedono a smistare ed a trasportare, in ordine di urgenza -prima donne e bambini- i profughi al loro primo tetto in terra straniera. / E’ uno strano corteo quello che Giuseppe vede arrivare, dall’alto della sua postazione:camionette della polizia cariche di gente, furgoni traboccanti di masserizie, e, al seguito, le prime macchine di compaesani arrivati ad allestire le proprie mense, ma anche per curiosare e, se c’è bisogno, per dare una mano. E’ ancora presto, ma pare che tutti si siano dati voce: la fila delle macchine aumenta, inizia il trasbordo di teglie, buste e panieri, l’invasione del sole nelle case appena aperte ed il riverbero dei raggi sulle tovaglie candide appena stese, il fumo inizia ad uscire dai camini mentre si procede a stappare bottiglie di vino e ad affettare pane, salame e formaggio. Inizia anche, e man mano s’infittisce, la processione verso la chiesa grande trasformata in accampamento, per portare agli stranieri spaesati e sbigottiti un primo ristoro di cibo e di vino, e magari per invitarli, a gesti, alla propria mensa. Giuseppe sa che non racconterà mai a nessuno, neanche ad Elena, di quello che ha visto: che,mentre le macchine avanzavano per i tornanti e qualcuna già parcheggiava all’inizio del paese,come da una nebbia profonda sono riemersi i muri, le facciate, le ringhiere ed i portali scomparsi; ed ora lui è lì che passeggia con Elena, nel trambusto di corse e di giochi di bambini di lingue diverse, e li osserva come se li vedesse per la prima volta, quel balconcino di ferro battuto con l’immagine di due cuori ed una colomba, forgiato forse da un artigiano innamorato, e quello stemma sul portale che una volta i contadini, passando da questa strada, salutavano toccandosi con rispetto e devozione la punta del cappello; li osserva e pensa che tutte queste cose non devono sparire, che ogni giorno dovrebbe essere come oggi, che è bello il colore del sole sulle pietre di queste case… e mentre gli occhi e la mente si affollano di immagini da fotografare e da ricordare, si accorge che lì, al primo piano di quel palazzo col cortile, c’è una finestra che non ricordava, anzi è proprio sicuro che lì non c’è mai stata. E’ una finestrella strana, stretta stretta e che termina in alto a punta, ai lati ci sono due colonnine e tutto attorno come un ricamo di pietra e di luce. Si volta verso Elena, e vede che anche lei sta guardando verso quella finestra, protesa come per carpire il segreto delle lontane terre da cui proviene; poi lo guarda sorridendo, gli stringe la mano, ed assieme corrono a nascondersi nell’orticello sospeso sul mare.”
L’AMICIZIA
In un mondo dominato dall’interesse materiale e da motivazioni economiche…, è possibile ancora coltivare il sentimento dell’amicizia in termini di dolcezza e gioia di dare ed aiutare? Mi piacerebbe sentire la vostra opinione, carissimi “amici”, che vedo numerosi nei contatti ma poco disposti ai commenti…, dopo aver letto il commovente racconto di Tiziana Albanese ‘Ida, il nome dell’amicizia’: <<Gli anziani: una fonte inesauribile di saggezza e di esperienze. Ad essi possiamo ascrivere una categoria particolare: i nonni,gli anziani più saggi, esperti e perché no., più simpatici. Essi amano i loro nipoti più dei loro figli, forse perché, ad una certa età, si ritorna bambini. E per amore dei nipoti sopportano tutto: i capricci, gli sgarbi. Danno tutto ciò che hanno e, in cambio, chiedono solo amore. Mio nonno è colui che,forse, rappresenta meglio di tutti il genere di anziani descritti. In famiglia è l’unico che mi appoggia sempre,che mi dà ragione anche Quando ho torto, che mi vizia, che mi giustifica in ogni occasione. Ma, purtroppo, molto spesso, io commetto l’errore di molti miei coetanei e, per fretta o per noncuranza,non ricambio le sue attenzioni. Altre volte, invece, anche per quietare il rimorso che mi causa Questo comportamento, mi siedo accanto a lui e gli chiedo di raccontarmi qualche episodio della sua gioventù. Amo ascoltare i suoi racconti, perché mi parla con parole semplici, ma descrive le scene e i fatti in modo così realistico che mi è facile poterli immaginare. Quando sono malata, poi,trascorre con me interi pomeriggi e parliamo, parliamo, e lui mi racconta gli aneddoti più belli e divertenti. Una volta, però, gli chiesi di parlarmi del periodo in cui era partigiano. Lui si fece serio e cercò di cambiare discorso ma io,incuriosita dalla sua reticenza, lo esortai a parlare, e lui cedette alla mia insistenza. / “Quella della guerra fu l’esperienza più drammatica della mia vita – cominciò mio nonno – io ero sposato da meno di un anno, quando fui richiamato alle armi. Sarei dovuto entrare negli eserciti alleati ai tedeschi. Era il `43. Dovetti salutare mia moglie e il bambino che gia cresceva dentro di lei, e mettermi in viaggio, con il rimorso di lasciarla sola e con un figlio in arrivo, e con il triste pensiero che forse non l’avrei più rivista e non avrei mai conosciuto mio figlio. Ero stato assegnata ad una caserma in un paese vicino Roma, Civitavecchia. Quando vi arrivai, fui assegnato al deposito armi; ma, due o tre settimane dopo, fui mandato anch’io sul campo di battaglia poiché l’esercito aveva perso molti uomini, e mancò poco che, una o due volte, ci rimettessi la pelle. Poi, un giorno, fui ferito gravemente al braccio e fui portato in un ricovero. Lì divenni amico di un ragazzo che aveva poco più di vent’anni e che veniva, come me, dalla Calabria, da Scilla. Andammo subito d’accordo. Si chiamava Beppe. Per la prima volta, dopo tanti mesi,mi sentii come a casa mia. Beppe era l’ultimo di sette fratelli,tutti maschi e tutti arruolati. Ma il più grande, Gianni, aveva disertato per allearsi con i partigiani, e dopo un paio di giorni capii che anche Beppe l’avrebbe fatto. Fu lui stesso a parlarmene, poco prima che venissi dimesso: “Io non ci torno a combattere per un dittatore che ci vuole sfruttare tutti. No, non mi farò ammazzare per lui. Hanno ragione mio fratello ed i partigiani, che vogliono l’Italia libera. Ed io, quasi quasi…”; ma poi si fermava, forse perché capiva che, anche volendolo, non sarebbe riuscito a fuggire. Anch’io restavo un po’ pensoso quando faceva questi discorsi, perché sapevo che aveva effettivamente ragione. Ma neanch’io capivo come avremmo potuto scappare, visto che il ricovero si trovava vicino all’accampamento. Una sera, però, fui svegliato da Beppe: “Sono riuscito a mettermi d’accordo con mio fratello – mi disse – che ci aiuterà a fuggire ed a raggiungere lui ed i suoi amici. Che fai, vieni con me?”.Benché fossi ancora scosso per il brusco risveglio, capii benissimo ciò che mi proponeva: “Ma … quando?”, cominciai a dire mettendomi a sedere sul letto: “Stanotte. Ora, subito” fu la sua risposta secca e decisa. Io non sapevo che fare. Ma, alla fine, decisi di seguirlo,perché, pensavo, se fossi morto,l’avrei fatto per una giusta causa. Mi alzai e rapidamente mi vestii. Beppe aveva già preparato tutte le sue cose; io raccolsi le mie in fretta e furia ed uscimmo dalla stanza. La sentinella ci vide, ma non disse nulla, faceva parte del piano. Attraversammo l’accampamento in punta di piedi e, quando fummo fuori, ci nascondemmo in un bosco che si trovava lì vicino. Beppe, che teneva la torcia elettrica, controllava la strada e ben presto arrivammo da suo fratello, che non parve molto contento di vedermi. Appena mi scorse: “E questo -chiese al fratello- che te lo sei portato a fare? Ho già dei problemi per nascondere te!”.Beppe replicò che ero suo amico, che venivo dalla Calabria, che ero un bravo soldato, e lui si calmò. Ma, dopo un po’, quando fu ora di spostarci, Gianni mi si avvicinò con una benda e disse: “Mi dispiace, ma non puoi vedere dove vi porterò”. Mi legò la benda intorno agli occhi, mi diede un colpo in testa ed io caddi a terra, tramortito. Mi risvegliai la mattina seguente, quando il sole era già alto. Avevo un gran mal di testa, forse per il colpo ricevuto la sera precedente. Mi guardai intorno e vidi una piccola stanza con due letti, un armadio, un tavolo e delle sedie. Beppe era seduto sull’uscio, di spalle, e non capivo bene cosa facesse. Mi alzai intontito e mi avvicinai al tavolo, dove c’erano dei panini imbottiti. Ne presi uno e andai a sedermi accanto a Beppe, che stava scrivendo:”Ciao -gli dissi- che cosa scrivi?”. “Una lettera per la mia famiglia. Chissà come saranno in pensiero…”. “Già…-commentai io un po’ giù di morale. Le sue parole mi avevano ricordato la mia famiglia; il ragazzo lo capì e mi chiese di parlargliene: forse in quel modo avrei sofferto di meno. Ed io gli raccontai di mia moglie,e del figlio che ancora doveva nascere quando ero partito e che adesso doveva avere qualche mese. Beppe sospirò: “Beh, tu almeno hai avuto il tempo di farti una famiglia. Io, invece, ho potuto solo fidanzarmi con una ragazza del mio paese. Si chiama Ida ed ha ancora diciassette anni. Quando torno la sposo”. Poiché entrambi avevano un triste presentimento, quello di non ritornare più alla nostra terra e alle nostre famiglie, cambiammo discorso, e Beppe disse che suo fratello si era comportato in quel modo la sera precedente perché quella cascina dove noi ci trovavamo era una base segreta dei partigiani. Noi saremmo rimasti lì per circa due mesi, finché non si fossero calmate le acque. / Invece in quella cascina a ridosso delle montagne fummo costretti a trascorrere quattro mesi. Passavamo le giornate a discutere con il mio amico di qualsiasi argomento ma, gira e rigira, molto spesso arrivavamo a parlare lui di Ida, ed io di mia moglie e di quel figlio che, pensavo, non mi avrebbe riconosciuto, se mai avessi fatto ritorno a casa. Suo fratello veniva a trovarci spesso, ci portava da mangiare, ci diceva le ultime notizie, e prendeva le lettere che Beppe scriveva a Ida e alla sua famiglia. Poi, una sera, egli tornò insieme a due suoi compagni, dicendoci che era giunta l’ora di scendere a valle ed aiutare i partigiani a combattere. Ci preparammo e, naturalmente, io fui bendato e guidato da uno dei due uomini. Ci incamminammo giù per la montagna con enormi difficoltà, a causa del tortuoso percorso. Furono allora costretti a togliermi la benda. Giungemmo, dopo circa un’ora di cammino, ad un’altra baracca dove c’erano parec-chi uomini. Uno di essi si rivolse a Gianni: “Bentornato. Avete avuto problemi?”.”No -rispose- questo è mio fratello, e questo è il suo compagno”. L’uomo, che doveva essere uno dei capi ci strinse la mano e guardò con aria accigliata Beppe, preoccupato, forse, dalla sua giovane età. Poi, egli si allontanò con Gianni e noi ci mettemmo in un angolo. Non ero tranquillo, e non ne capivo il perché, visto che non era la prima volta che combattevo. Anche Beppe era nervoso ed io compresi che aveva paura, ed era giusto perché, a vent’anni, si aveva il diritto di avere paura. Poi Gianni venne ad avvertirci che di lì a poco saremmo partiti e noi due avremmo fatto parte di coloro che precedevano il grosso del gruppo. Beppe protestò: “Ma stai mandando allo sbaraglio tuo fratello!”. Gianni rispose duramente: “Tu qui non sei mio fratello, sei un soldato qualunque che lotta e si sacrifica per la libertà della sua patria. Ti avevo avvertito che non sarebbe stato facile, vero?”. Beppe abbassò gli occhi e annuì, e il fratello si allontanò. Povero Beppe, pensai, troppo giovane per capire realmente il “sacrificio per la patria”. Così partimmo;Beppe era molto nervoso e si voltava e rivoltava ad ogni rumore. C’era poca luce, non vedevamo bene, e la strada era accidentata.E purtroppo accadde ciò che temevo. Un gruppo di soldati fascisti ci colse all’improvviso e ci circondò. Cominciò la battaglia e arrivarono gli altri rartigiani, ma eravamo comunque in numero minore. Fui ferito e Beppe cercò di condurmi fuori dal combattimento. Appena mi alzai, cominciammo a scappare verso l’interno, ma ci vide un fascista,che purtroppo sparò su Beppe e lo colpÌ per ben due volte. Mi fermai e cercai di farlo rialzare, ma non ce la faceva:”Lasciami qui, scappa,per me è finita”. Non gli detti retta, lo presi in braccio ed entrai nel bosco. Nessuno mi seguì,per fortuna, e dopo aver corso un po’ , per quanto il mio compagno me lo permettesse, rallentai il passo. Beppe, che aveva perso i sensi, si risvegliò e, ancora una volta, mi chiese di lasciarlo al suo destino,altrimenti avrebbero preso anche me. Ma io protestai:”Non ti lascio,e tu non puoi arrenderti così! Pensa… Pensa a Ida!”. Ma Beppe aveva nuovamente perso i sensi. Arrivati alla riva di un fiume mi fermai, e adagiai Beppe sul terreno. Aveva la febbre alta e i brividi. Lo coprii anche con la mia giacca e cercai di pulire le ferite con l’acqua. Ma il ragazzo cominciò a delirare. Passai la notte accanto a lui e poi, verso l’alba, egli riprese conoscenza per un attimo: “Ormai lo so, è giunto il mio momento; ti chiedo solo un favore: prendi la catenina che ho al collo e portala a Ida, come pegno del mio eterno amore. Mi dispiace che finisca così, ma ognuno ha un destino, ed io non posso cambiare il mio… Avrei voluto avere soltanto il tempo di sposarla…”, ma non riuscì a finire la frase, ed esalò il suo ultimo respiro. Il suo volto assunse un’espressione serena, forse perché il suo ultimo pensiero era stata Ida. Guardando quel ragazzo ormai morto, non potei trattenere le lacrime;e piansi, piansi amaramente perché capii che non vi erano giuste cause per cui combattere, soffrire e morire. Vidi l’alba illuminare con i suoi colori leggeri il volto beato del mio amico. Mi alzai e scavai una fossa accanto ad un albero, vi seppellii il ragazzo e poi incisi sul tronco il suo nome ed il giorno della sua morte; e poi mi fermai ad osservare l’alba che, con i suoi colori e le sue sfumature indefinibili, riportò in me calma e tranquillità” / Mio nonno sospese un attimo il racconto, ma io non ero del tutto soddisfatta: “E la catenina che fine fece?”. “Ah, già… la catenina.- riprese- Dunque, dopo la morte di Beppe cercai il modo di tornare a casa e, dopo essere arrivato in un paese, chiesi indicazioni per Roma. Seguii la strada sempre attraverso i boschi e, giunto a Roma,mi nascosi in un treno diretto a Napoli. La stazione era piena di soldati fascisti, e salire sul treno fu un’impresa difficile, ma ci riuscii. Poi da Napoli proseguii a piedi; ma, per fortuna, lungo la strada mi fu dato un passaggio in automobile fino a Palmi. Quindi,da lì, raggiunsi a piedi Scilla. Arrivato in paese, cercai la casa della famiglia di Beppe e, quando vi arrivai, fui accolto da una donna anziana, la madre del ragazzo, vestita tutta di nero. Mi disse,fra le lacrime, che aveva saputo la notizia da Gianni. Accanto a lei vi era una ragazza, anche ella vestita a lutto e con gli occhi gonfi di pianto. Era Ida. Anche lei mi conosceva, Beppe le aveva scritto di me nelle ultime lettere. Quando le diedi la catenina, non riuscì a trattenere le lacrime. Poi, dopo essersi calmata, me la restituì dicendo: “Per Beppe siete stato come un fratello in questi ultimi mesi, me lo scriveva nelle sue lettere. Lo avete capito ed aiutato quando più ne aveva bisogno. E’ più giusto, quindi, che teniate voi la catenina”. Rimasi colpito dalla gratitudine di quella ragazza,così giovane, ma così matura e responsabile. E la ringraziai. Poi presi la strada verso casa. Arrivai nel mio paese a notte fonda e,quando entrai in casa, tua nonna mi accolse con la canna di un fucile puntata contro di me, non pensando che fossi io. Anche per lei c’era la guerra, e non era facile. Quando mi riconobbe gettò il fucile e mi corse incontro piangendo di gioia. Ci abbracciammo forte:entrambi avevamo perso la speranza di vivere quel momento. Poi mi fece vedere mia figlia, e la sensazione che provai è indescrivibile.La bimba era stata chiamata Lucia, come avevamo deciso io e tua nonna prima che partissi, ma, mettendole al collo la catenina, le diedi un secondo nome: Ida.”Stavolta mio nonno aveva proprio finito, ed io, seppur a malincuore, non gli chiesi nulla, perché aveva già le lacrime agli occhi. Mi dispiacque di aver tanto insistito, e glielo dissi; ma lui sorrise e rispose: “Non importa. I ricordi, talvolta, sono dolorosi, ma servono. Oggi, ad esempio, grazie ad essi, hai compreso che sentimenti come l’amore, l’amicizia e la lealtà, non si fermano neanche di fronte alla morte.”>>
I CAMMINI
…non solo curiosità ma animati dal demone della conoscenza, dal desiderio di perfezione, di ordine…la sola curiosità fa perdere entusiasmo, interesse e motivazioni…senza il fuoco della passione non si fa molta strada…“mi sono imbattuto nella vita in tanti cammini, / il cammino di Siddharta / il cammino yoga / il cammino della Tradizione / e del gruppo “Carlo sei con noi” / il cammino di Eros e Sofia / il cammino di Hiram / la profezia di Celestino, / ed ho capito che sviluppano modalità diverse / e diverse ritualità / ma con la stessa energia la stessa voglia di verità / di ricerca di assoluto / mi sono imbattuto nella vita in tanti cammini, / il cammino di Santiago dai pellegrini conchigliati / il cammino dei romei crociati e dei palmieri verso Gerusalemme / il cammino di Pitagora e di Maometto dalla Mecca a Medina / ed ho capito che tutti hanno le stesse finalità: / scoprire e valorizzare le risorse nascoste / liberarsi dalle sovrastrutture limitanti / dai condizionamenti invali-danti / dalle paure e dalle più intime angosce / esaltare / le capacità intellettive morali e creative / ed arrivare a Dio / superando le resistenze dello Spazio e del Tempo.”
I BENI DIMENTICATI
La storia urbanistica ed economica della Calabria è stata condizionata da ricorrenti terremoti, tra i quali devastanti quelli del 1783 e del 1908, e da continui eventi alluvionali. Mario La Cava, nella raccolta di articoli “I misteri della Calabria”, dice che “…troppo disastrosi sono stati i terremoti che hanno scosso la terra di Calabria, troppo violente le guerre che si sono susseguite attraverso i secoli nel Medioevo, troppo lunga la decadenza delle Istituzioni perché, insieme alla miseria che ne è nata, si siano potuti conservare i monumenti del passato. Città intere andarono distrutte, il paesaggio calabro è privo di quei solenni ricordi architettonici della sua grande civiltà greca che costituiscono la gloria della Sicilia e della Campania. I castelli dell’epoca medioevale sono in sfacelo…Dell’antica civiltà greca solo una colonna si erge impavida agli assalti dei millenni…quasi a testimonianza di quello che fu un giorno la Calabria…” / Molti sono i centri collinari semidistrutti e abbandonati dagli abitanti che costruirono in zone più a valle, morfologicamente più sicuri. Quel poco che è sopravvissuto dei centri storici, che rappresentano un notevole patrimonio architetto-nico, purtroppo ha subito la devastazione e le offese degli uomini. Infatti tutte le amministrazioni locali degli ultimi 100 anni hanno cercato di completare l’opera di distruzione, tranne che rarissime illuminate eccezioni, attraverso una gestione approssimativa superficiale e incompetente. / Beni dimenticati e non considerati dai poteri politici e culturali: non a caso infatti anche nell’elenco dei 39 siti italiani, su un totale di 788 a livello mondiale, che l’Unesco considera “patrimonio dell’Umanità” da salvaguardare e da valorizzare, la Calabria è una delle poche regioni che non figura pur avendone obiettivamente i titoli. / Solo in questi ultimi anni si nota una certa inversione di tendenza, ma in alcuni casi ormai è troppo tardi. / L’elenco di tali misfatti è lungo, come lunghi sono i tempi perché si possa formare una coscienza e una sensibilità ambientale. / Il patrimonio è vasto, il territorio è ricchissimo di beni artistici, architettonici ed ambientali. In ogni paese l’appassionato il curioso il ricercatore s’imbattono in opere “dimenticate”, dopo essere state spesso riutilizzate in modo vergognosamente improprio. L’elenco è veramente lungo. / La “ricerca”, effettuata dal sottoscritto e inserita nel sito www.carloripolo.com, vuole essere un viaggio devozionale nel ricco patrimonio calabrese, con particolare riguardo a quella parte della Regione che va da “Pintammati alla Valle del Neto”, dove “tra i tanti beni dimenticati, qui sono ancora di più dimenticati”.
EDUCAZIONE PERMANENTE
Ogni progetto di vita è in effetti un progetto-processo di apprendimento, di formazione continua e di educazione permanente, con periodi di maggiore o minore interesse e intensità. Le Istituzioni, al fine di elevare il livello culturale generale, devono favorire questo processo creando strutture per stimolare l’apprendimento e la formazione, tipo l’Università della terza età e altre Associazioni formativo-culturali, e non circoscrivere questa operazione al periodo scolastico. In pratica però succede che in periodi di crisi economica, come l’attuale, l’educazione degli adulti finalizzata all’educazione permanente, viene trascurata e lasciata a se stessa e alla libera determinazione dei singoli, non sempre “automotivati”, con evidenti scarsi risultati e visibili conseguenze negative. Il processo di dignificazione, di formazione e di maturazione generale interrompendosi non si completa e non permette, a volte ad intere generazioni, la formazione a livelli di conoscenza e di crescita morale superiori a quella “del bruto fra bruti” indicata da Pitagora nella famosa iscrizione, che caratterizzava la sua Scuola, per chi avesse voluto seguire il difficile percorso esoterico e pedagogico proposto: “Chi non sa quello che deve sapere è un bruto fra i bruti; / Chi non sa più di quel che deve sapere, è uomo fra i bruti; / Ma chi sa tutto ciò che deve sapere, è un Dio fra gli uomini”.
IL FALSO GIUDIZIO
L’uomo, condizionato o schiavo da pregiudizi da interessi personali o di gruppo da simpatie e da sentimenti che falsano le prospettive le valutazioni e i credi personali, spesso è portato a giustificare tutti gli errori e i difetti personali e di quelli che fanno parte del suo “mondo” e condannare senza appello finanche le qualità e le virtù dell’avversario politico, dell’antipatico e del nemico personale.
Parte quinta: Cara mamma, ti scrivo…
Cara mamma, la morte ha messo fine alle tue inenarrabili quotidiane sofferenze ma ha lasciato un vuoto nelle persone che ti hanno voluto bene e un ‘magone’ nell’animo dei tuoi figli. E proprio per tentare di sciogliere questo ‘grumo’ di pianto, ti scrivo riflettendo un po’ sulla tua vita (e insieme sulla nostra) vissuta sempre in prima linea, da eroina ‘provata ma combattiva’ di altri tempi.
Come hai sperimentato sulla tua pelle, la nostra famiglia ha sofferto molto e in modo eclatante, a partire da nonna Saveria, tanto che a lei e alla sua famiglia sfortunata l’amico e cantastorie locale Peppino Dattilo ha dedicato accorati e partecipati versi, che evidenziano la sua triste storia: “Chi 1eggi chistu scrittu si faci impressione, d’una donna sofferente ch’era figghia di genti boni. / Da giovane sposau un omo intel1igenti, era lavoratore e nun si mancava nenti. / ‘Ndavia du’ figghi fimmini e tantu beni 1i volia, partìu pe’ l’Australia megghiu mi `mmantenia. / La mamma sfortunata rimani cu’ i ddu’ figghi, u patri in Australia nu’ penzava cchiu pe’d’illi. / La mamma si prestava pe’ cchisti du’ figgghio1i, ca nun mancasse il pane da femminucce soli. / Il padre era luntanu e cchiu non gli scrivia, considerati `a mamma chi cori chi facia. / Ma Diu si dava aiuto in tutti chilli anni pe’ sacrifici chi `ncuntrava e pemmu vai avanti….”(“Chi legge questo scritto riceverà una forte impressione,(perché) si parla di una donna che ha sofferta ed apparteneva ad una famiglia buona / Da giovane aveva sposato un uomo intelligente, lavoratore e con mezzi sufficienti / Aveva due figlie alle quale voleva molto bene, (poi) partì per l’Australia (da emigrante) per poterle crescere meglio. / La madre rimase con le due figlie, sfortunate perché il padre (presto) si dimenticò di loro / La madre si è sempre preoccupata che alle figlie non mancasse niente / Il padre era lontano e più non scriveva, è facile immaginare l’angoscia della mamma / Ma Dio misericordioso in tutti quegli anni difficili le diede aiuto per poter andare avanti…”). Tuo padre, di nome Carlo come me, come ho scritto in altre occasioni “era partito per bisogno da solo, con un piroscafo da ultima speranza, lasciando sola in pianto la moglie disperata, sul far dell’alba mai sbiadita nei loro ricordi con due figli femmine in tenera età. Per diversi anni mandò lettere e soldi con la posta o amici da padre e marito premuroso, per altri ancora cercò con forza di ‘richiamare’ nella lontana terra dei canguri tutta la famiglia, poi a poco a poco chiuse ogni contatto per equivoci e altre diverse incomprensioni. Era partito convinto di fare fortuna con gioia sentimenti e valori per mantenere come altri l’intera famiglia, si perse poi col vino la lontananza e le donne ‘che gli fecero perdere la testa forse, ma chi può mai saperlo!’ È una vicenda ormai così lontana passata al vaglio di amici e parenti, un buco nero nella storia minimale della mia famiglia e della sua sorte crudele per forzata dimenticanza e cinico totale grave abbandono. Comunque l’uomo di cui io porto volutamente il nome è stato sempre in famiglia un simbolo, per gli adulti i giovani e i bambini, di chiaro tradimento e di fascino esotico oggetto di continuo odio viscerale e insieme di amore e voglia di vederlo tornare. Una storia comune a intere generazioni di persone che cercano di cambiare il destino avverso e analoga condizione, costrette a mutare oppure a reinventare abitudini comportamenti e gusti, simili ai carichi delle moderne ‘carrette del mare’. Il tempo e la morte dei diretti attori hanno lenito rabbia odio e dolore per una storia che ha coinvolto anche altre inconsapevoli e incolpevoli persone, nate dal secondo rapporto d’amore. Tanti son tornati anche per poco, per nostalgia e amore a riveder la terra dei padri d’origine e quella natia, il nonno Carlo mai senza un perché, forse smarrito in quel mare grande che lo ha diviso e per sempre distratto. La sua storia è la storia di tutti di chi è partito e di quelli rimasti, la nostra memoria la storia collettiva che ha segnato condizionato e stravolto intere generazioni il loro progresso la voglia di libertà e la dignità compromessa.” E’ la storia purtroppo di uno come tanti calabresi costretti a cercare, nel periodo fra le due guerre mondiali, fortuna in Australia o in America per poter sopravvivere e far sopravvivere le rispettive famiglie spesso numerose: dalle lettere e dagli appunti si ricavano elementi che colpiscono la mente e il cuore, una storia emblematica di miseria, di nostalgia, di frustrazioni, di disadattamento. Le terre d’oltreoceano vengono definite “terre maledette massimamente”, quelle terre che offrono a tutti opportunità di successo e che non tutti però riescono, per sfortuna o incapacità, a sfruttare. Molto tempo dopo la stessa via dell’emigrazione, sulla sponda americana, sarà presa, anche se con motivazioni e sentimenti diversi, da tua sorella Antonietta e da Bruno, il tuo figlio maggiore, oggi tutti felicemente sistemati in Canada con le rispettive famiglie. Una storia triste quella della nonna Saveria, abbandonata dal marito con aumentate responsabilità educative, anche se in effetti non rimase isolata. Il fratello Nicola e le sorelle non la lasciarono mai sola, anche se spesso i loro invadenti interventi non erano finalizzati alla pura e umana solidarietà. Comunque una vera famiglia allargata, e tu e tua sorella avete vissuto un rapporto intenso e fraterno, mai venuto meno, con la numerosa cuginanza: Rosa, Sara, ‘Ntona, Mela e l’intera gamma delle omonimie; e avete portato sempre un rispetto filiale allo zio Nicola e alle zie Mariantonia e Maruzza. Tale impostazione filiale e gerarchica è durata per molti anni ancora, fino a quando l’ultima generazione del secolo scorso, condizionata da modelli diversi, non ha sfaldato i rapporti parentali dopo che le nuove unioni matrimoniali hanno visto l’ingresso nella famiglia di nuovi e spesso spigolosi temperamenti. Intanto il passaggio troppo veloce da una realtà agro-pastorale con i suoi riti particolari e le sue tradizioni ad una civiltà industriale, dai ritmi accelerati e avanzata sul piano tecnologico, ha distrutto un mondo fondato sui sentimenti di solidarietà e di rispetto per gli anziani ma anche per le donne e i bambini, insieme ai valori che gli stessi veicolavano. Tu ricordi benissimo: erano rapporti privilegiati basati su passioni e sentimenti comuni e condivisi,“una vita vissuta con genuina semplicità, tutte le mattine che incoraggiavano lo sforzo di dare un senso alle giornate fatte di lavoro di attesa di speranza, tutte le domeniche che vestivano il tempo dei colori della festa sacro riposo da dedicare a Dio e all’ozio ristoratore, tutte le primavere che rinnovavano la speranza con il Cristo Risorto tra le vie del borgo nell’esaltante geloso rito d’altri tempi, tutte le volte che il rintocco delle campane richiamavano al senso di comunità i fedeli delle Contrade uniti nella preghiera e nella conversazione leggera sul sagrato dell’amata Chiesa, tutti i momenti che scandivano la vita dell’uomo nella scacchiera dove le caselle bianche si alternavano a quelle nere e gli uomini erano dei numeri o pedine che solo a volte nei singoli scolpivano i valori, tutte le volte che i credenti invocavano Dio con la preghiera della perfezione ‘aiutaci o Signore a trovare il coraggio nel pericolo, la prudenza nell’azione,la pazienza nel dolore, l’umiltà nel successo’; una vita vissuta con genuina semplicità, tutti i giorni che portavano il silenzio degli spazi infiniti i fiori e i miracoli della natura nell’aspra terra e il vento che accarezza le foglie degli alberi là dove le nuvole vanno a riposare, tutti gli attimi che scandivano il tempo e svelavano antichi sentori di Assoluto i ricordi seppure dolci nella memoria le nostalgie che ci assalgono con violenza e terrore e accordavano la brezza del mattino e il suono di violini il pianto di un bambino una goccia di pioggia e tutto ciò che segnala la presenza di un Architetto grande e misterioso”. La condivisione dei vari momenti della vita e quelli di aggregazione, che di stagione in stagione animavano la civiltà contadina, si manifestava con le affollate celebrazioni delle canoniche festività e la partecipazione sentita ai lutti del vicinato, attraverso “u cunsulu”, l’assistenza psicologica materiale e culinaria ai parenti prossimi nei primi giorni più dolorosi. Oggi non è più così e il rito della morte si svolge con ritmi e modalità diversi: “a)Tra lamenti neniosi rituali ed eguali cantano una vita che non è più la tua. Unico attimo di “grande” dolore solo per pochi come da sempre, domani la vita offrirà un nuovo giorno. Sacrifici e passioni sono già lontani trastulli terreni inani per te, t’aspetta –chissà- la luce e la vita oppure la fine di ogni desìo! b)Al rito legato alla morte, nel passato, si dedicava più tempo; oggi il minimo indispensabile! C’era una ritualità, nel portare il lutto, che era formale e sostanziale; oggi è ridotta all’essenziale, anche dal punto di vista legale: tre giorni appena di congedo per la morte di un congiunto. c)Sono state stravolte le motivazioni che hanno dato origine al rito – uguale sorte è toccata al matrimonio – solidarietà per i parenti del defunto – solidarietà economica per gli sposi -, trasformati in ‘pure rappresentazioni’ formali drammatizzazioni prive di adesione sostanziale senza veri sentimenti. d)Il ricordo di chi moriva rimaneva nel tempo attraverso i racconti degli anziani, i quali recitavano il ruolo della memoria storica della famiglia del vicinato dell’intero paese. L’oblìo di chi non c’era più diventava più lento; oggi si cerca di chiudere il conto, presto velocemente sbiadiscono i ricordi. e)La comunità era più attenta e partecipava coralmente al rito sospendendo le attività lavorative. Oggi c’è poca attenzione, solo pochi intimi, per breve periodo, partecipano mentre tutt’intorno la vita procede con i soliti ritmi veloci. f)Ho partecipato al funerale di un lontano parente al quale ero particolarmente affezionato, domenica 29 maggio 2001 alle ore 15.00. Ho notato con amarezza che tutti avevano i segni della fretta e dell’impazienza, nel volto nei gesti nel modo di presenziare: alcuni per seguire gli avvenimenti sportivi, altri per proseguire l’‘importante’ campagna elettorale, altri ancora per i ‘soliti’ impegni della domenica. Alla fine del rito religioso tutti velocemente a ‘salutare’ i parenti schierati in riga… e via di corsa… In poco tempo i familiari sono rimasti davanti alla Chiesa… soli con il fresco dolore e la salma per l’ultimo addio! ”
Il tuo trasferimento a Crotone con i due figli maggiori si è reso necessario per riunificare la famiglia al tuo Giovanni che lavorava presso l’industria chimica Montecatini. Era il primo di tanti viaggi, che durano tuttora, su una strada difficile e che è rimasta invariata nel tempo senza sostanziali adeguamenti alle esigenze del traffico di oggi: “La fascia di terra, che costeggia il mare ionico, snocciola sull’assolata statale 106 paesi e villaggi, dalle identità stravolte, come grani di un rosario infinito, compresi quelli che da Pintammati in centosessantachilometri si affacciano nella Valle del Neto, con le loro orgogliose miserie, gli antichi problemi, le dignitose bellezze e il fiero isolamento. Ore nove, da Bovalino al castello di Roccella Ardoresantilariolocrisidernogioiosa, quarantaminuti tra semafori ruderi atmosfere antiche e indisciplina. Ore dieci, il faro di Monasterace, superato Caulonia e Riace linea di confine magnogreca e dai bronzi famosi, un’ora intera per cinquanta chilometri prima di affrontare il tratto più tortuoso, i ventotto chilometri da Guardavalle a Soverato, a passo d’uomo e di passeggio sul corso di S.Caterina Badolato Isca S.Andrea e Marina di Davoli. Gli occhi rassegnati dell’utente abituale, per necessità o piacere, hanno visto poche trasformazioni sostanziali, solo ininter-rotti cambiamenti di facciate e colate continue di cemento. Tutti diversi ma forse uguali, questi paesi subiscono solo i danni della loro posizione geografica, al centro del Mediterraneo, evocatrice di invasioni assalti guerre di religione per finire agli sbarchi di chi cerca fortuna tra ultimi e sfortunati. Ore dieci e trenta, il sorriso dura poco poi per l’ampia strada comunque insufficiente dei quattordici chilometri di Montepaone e Copanello, per infilarti nello stretto e maledetto budello che da Squillace e la bella Roccelletta porta al diabolico incrocio di Catanzaro Marina, snodo cruciale dell’istmo tra i due mari. Ore undici, torni un po’ a respirare per gli ultimi sessanta e più chilometri che, dagli allungati paesi del vitale commercio sulla strada di Sellia Cropani e Botricello, portano all’aeroporto di Isola e all’agognata meta sospirando, la città di Pitagora e di Milone. Da Pintammati alla foce del Neto, luoghi invidiabili per le suggestioni e i paesaggi, l’incontro di civiltà diverse ha prodotto una stratificazione culturale unica; luoghi della memoria simbolici metafore della vita varia e cangiante; ma anche luoghi isolati ed emarginati, affatto sfruttati, per storia per mancanza di strutture per precise volontà e scelte politiche, e condannati all’emarginazione e al sottosviluppo, senza speranza. Luogo invidiabile appare evidente per la sua centralità nel Mediterraneo, idea grande da coltivare da far condividere, da sviluppare negli aspetti culturali per la lunga storia dei rapporti e dei condizionamenti mediterranei, da valorizzare negli aspetti geografici per la felice posizione. E gli interessati? Si comportano in merito come se il nostro fosse un popolo senza storia e abitasse in pieno Oceano Pacifico lontanissimo da coste e isole. La sinteticità del riferimento geografico evidenzia con rilievo la perifericità che caratterizza, nella regione Calabria, ogni esperienza umana e professionale e in particolar modo la costa ionica tra Reggio e Sibari. Pintammati è una fiumara che divide ed unisce Ardore e Bovalino, nel territorio della Locride greca in provincia di Reggio Calabria, e il Neto sonnacchioso chiude a Nord la vecchia Calabria Ulteriore. Il limite geografico racchiude una limitazione culturale che agita da tempo questa parte del Meridione, oggetto di attenzione oggi solo da parte di curdi, albanesi e di tutti gli extracomunitari che fuggono dalla loro miseria, ma anche un intimo legame di dolci ricordi e storici eventi, nostalgie di trasfigurate esperienze all’ombra di un gelso o una colonna e sullo sfondo il canale e la sacra tetracsis”. Per noi figli, ancora bambini, sono stati gli anni più sereni e felici, perché felice e serena era la famiglia. Voi genitori eravate innamoratissimi, e ai due figli ardoresi avete aggiunto il terzo crotonese, voluto e atteso con gioia. Una famiglia felice insomma e ricca di prospettive, nella casa di via Osservanza una delle poche costruite in cemento con il rivestimento esterno in legno e con servizi igienici interni, per l’epoca accettabile privilegio. Papà era orgoglioso della sua famiglia, ogni sua attività era finalizzata alla crescita e alla serenità del proprio nucleo familiare: come un antico greco, voleva che tu, come moglie adorata, rimanessi in casa, mentre lui provvedeva alle incombenze giornaliere e della spesa; il tempo libero lo dedicava ai noi figli, ai nostri giochi e ai nostri studi. Bisognoso di cure specifiche, d’estate portava anche tutti noi alle Terme di Spezzano Albanese (ricordo con nostalgia il rito della raccolta dei pinoli mentre le narici sono ancora impregnati dell’odore dell’imbevibile acqua dal sapore di uova marce). Di domenica il rito della messa, del cinema, della passeggiata e del gelato nel periodo estivo. Bastava poco per dare un sorriso a piccoli e adulti e allietarne le lunghe e difficili giornate. Il cinema con la sua “magia”, in tale contesto, aveva una grossa funzione liberatrice: i films rigorosamente in bianco e nero, che rispecchiavano ancor di più le precarie condizioni di vita, del filone neorealistico di Paisà e Ladri di biciclette oppure quelli della commedia italiana con la comicità semplice di Tina Pica e dei fratelli De Filippo, aiutavano gli spettatori col sorriso e la commozione a sopportare meglio le difficili condizioni del quotidiano, proiettando nei personaggi stenti e amarezze ma anche volontà di superarli e stabilendo con essi un rapporto di vero “mutuo soccorso”. Dopo qualche anno arriveranno anche i film a colori, il primo a Crotone La tunica, in occasione dell’inaugurazione del modernissimo cinema Ariston, che si affiancava con prepotenza ai piccoli Supercinema Odeon Mignon e allo stesso Teatro Apollo o alle fresca Arena Miramare. La nuova realtà non ha presentato grossi problemi di inserimento e di integrazione, per me e mio fratello. Frequentavamo l’Asilo “Regina Margherita” e mio fratello per la maggiore età era obbligato dai voi genitori a farmi da guida e tutore; le prime amicizie con i bambini del rione con i quali si condivideva la strada, una vera “scuola” di vita come sempre. La spiaggia, che da via Osservanza porta al Carmine, zone da tempo abbandonate da monaci osservanti e carmelitani, era il luogo di incontro con coetanei in libertà, con i quali condividere tutti i momenti del tempo libero e i giocattoli costruiti in proprio e i pochi confezionati il giorno della Befana, da esibire con orgoglio dopo l’angosciosa notte trascorsa in attesa e con paura. Ogni minizona aveva il suo gruppo, la “banda”, come da noi appellata con enfasi ad imitazione dei grandi e dei loro modelli fuorvianti, che rispondeva alle regole e alle dinamiche psicologiche di convivenza e di sopravvivenza: a capo il leader riconosciuto sul campo per carisma e “forza”, gli altri pares inter pares con deleghe e funzioni stabilite dalla guida indiscussa. All’interno del gruppo ognuno di noi aveva le prime esperienze onaniste, le prime prove mai da rifiutare, della “prima” nauseante sigaretta confezionata con i combusti e amari residui delle cicche, ma utilissima per allontanare definitivamente il relativo vizio, ma anche i giochi che duravano, nell’arco della giornata, per l’intero tempo della luce solare o quello relativo dell’impazienza e dei timori dei genitori. I nostri erano giochi semplici, organizzati con modesti oggetti o con materiale di scarto e non più riutilizzabile: i bottoni e le figurine posti su un piano, che venivano fatti saltare e fatti cadere rigirati per poterli vincere, battendo in modo particolare –a pappate- con il palmo della mano; tappi delle bibite portati avanti con abili scatti del medio sganciato dal pollice sui lunghi percorsi dei gradoni del Cral Montedison; le “catenelle” di materiale plastico o le figurine piazzate sulle collinette di sabbia e abbattute con gli ostracion di scarto dei cantieri edili; “i strumbi” ovvero le trottole, arrotolate dal laccio lanciate e fatte ruotare a velocità notevole e fatte poi saltare sulla mano, per indirizzarle a piacimento per lunghi giochi di abilità che si concludevano con la feroce scheggiatura del “perdente”; “a mazza e u sprigghiu”, due pezzi di legno di lunghezza diversa lanciati con abilità particolari; e tutti quegli oggetti di gioco che richiedevano fantasia capacità costruttive abilità motorie e vere progettazioni con regole stabilite democra-ticamente e come tali anche oggetto nell’applicazione e nell’interpretazione di pole-miche infinite. E ancora “u carricellu”, anche nella sua variante verticale “u pattinu”, antesignano del moderno skateboard, costruito con assi di legno sagomate fatte scorrere su ruote a cuscinetti a sfera difettosi, non più utilizzati nelle officine, per lunghe spericolate discese senza freni non sempre correggibile nelle curve dall’improbabile volante direzionale; “uno monta la luna”, che richiedeva la presenza di almeno dieci ragazzi per completare il percorso fatto di salti per superare gli avversari pronunciando senza errori frasi rituali; i rumorosi “cannoncini” che utilizzavano come camera di scoppio le vecchie cave chiavi di portoni importanti, e le lunghe partite di calcio sulla spiaggia fino allo sfinimento totale. Ma anche le escursioni nel Cral della Montedison, il nostro “castello delle meraviglie”, sempre avventurose nel tentativo di evitare il cerbero guardiano e nell’orto di Messina alla ricerca di frutti e ortaggi stagionali, guardinghi e timorosi di incontrare il “giustamente feroce” proprietario. Ma il gioco più importante era il “gioco della guerra,” anzi guerre “vere” ingaggiate con le “sofisticate” armi possibili di allora e confezionati in cucina: per spada il bastone della scopa e per scudo il coperchio della pentola più grande della batteria, parte importante della dote materna, sulla spiaggia come tanti paladini a Roncisvalle in una tenzone pomposamente definita, chissà perché, franco-spagnola. Analogie con i giochi dei bambini, che ritornano ciclicamente in ogni epoca: a quel tempo ancora non avevamo letto il capolavoro di Molnar. Infine anche il gioco “più crudele” inventato con aria innocente ed ingenua da sadici ragazzi, la buca scavata in riva al mare coperta da un foglio di giornale e mimetizzata dalla sabbia rossa dell’arenile, in attesa di assistere da lontano allo spettacolo dello sprofondamento delle povere vittime giustamente incavolatissime, uomini e donne al passeggio serale.
Il legame con San Gianni non è stato mai interrotto e ogni ritorno, (anche oggi dinnanzi ai ruderi della vecchia casa e al sempre vitale albero di gelso), era gioia nostalgia emozioni. L’albero di gelso in particolare era il punto di riferimento di tutte le mie emozioni passate e presenti, dai suoi rami si diramano le conoscenze le sensazioni le esigenze il senso della vita. Con il gelso è stato un colloquio continuo: rappresentava il piacere e gli aspetti più belli della vita, la dolcezza e le cose che la rendono interessante, il mondo della fantasia dove rifugiarsi e staccare dal trantran quotidiano.Per tanti anni, premio e regalo per le promozioni scolastiche ha significato il mio soggiorno al paese natìo: con gioia immensa, in quanto rappresentava il mondo dell’evasione e delle coccole da parte di tutti i parenti; il periodo di libertà assoluta, lontano dai “duri” metodi educativi di te, cara madre, ma responsabili, perché la morte del marito ti rendeva notevolmente duro “crescere” tre figli ancora minorenni. San Gianni era una contrada abitata da un discreto numero di famiglie contadine, in condizioni difficili per la mancanza di strade e degli altri servizi minimi che rendono accettabile la vita, ma era viva e vivace, avendo tutti sviluppato dinnanzi ai sacrifici quotidiani il senso dell’ironia e il sentimento di solidarietà nel bisogno. Al centro della contrada il Canale, la fontana che captava, con l’antica tecnica del catuso, (attraverso una galleria cementata in leggera pendenza, abbastanza alta e larga per permettere una periodica pulitura, veniva captata l’acqua delle falde, che incanalata per caduta raggiungeva l’esterno per i vari usi o raccolta in vasche per successivi riutilizzi) l’acqua di una ricca sorgente del posto, messa a disposizione di tutta la collettività. La strategicità della sua posizione lo rendeva importante e lo trasformava nell’agorà della contrada, dove non solo si attingeva l’acqua per tutti i bisogni, con recipienti a mano oppure con i barilotti trasportati dagli asini, ma era occasione di scambi culturali sociali di informazioni e notizie dal mondo, che giungevano con i tempi lunghi e con l’eco di fatti epici: la crisi di Suez acquistava i caratteri e l’epicità della guerra di Troia; Bruno ‘u murcu, il “saggio” della comunità, che andava in asino annualmente al Santuario di Polsi nell’inaccessibile Aspromonte, agli occhi dei bambini come me appariva con il piglio guerresco di El Cid in partenza contro i Mori. Gli asini, in calore e “con la mosca al naso”, nel frattempo si scambiavano con vivacità “i ragli d’amore”, rischiando di rompere il carico e creare scompiglio, spettacolo gradito auspicato e a volte favorito dai più piccoli. Era il luogo preferito di noi ragazzi, sempre alla ricerca di nuovi giochi e “scherzi” da sperimentare su “vittime” umane animali e vegetali. Il più diabolico era quello di svuotare, aprendo una saracinesca di chiusura della grossa cebbia, una vasca collocata in pendenza rispetto alla fontana, che raccoglieva per caduta naturale l’acqua non utilizzata del canale in continuo scorrimento; la vittima era il proprietario dell’orto sottostante, “’u surdu ‘i Francu”, che si vedeva all’improvviso arrivare una notevole massa di acqua, incontrollabile, che letteralmente allagava il terreno, coprendo le piantine allineate con cura. Irripetibili le espressioni e le reazioni del malcapitato. Altre vittime “predestinate” erano le galline e le pecore per la loro natura tranquilla, un po’ meno le capre che reagivano con violenza. A San Gianni, il nostro arrivo stravolgeva le tranquille abitudini delle galline fino al punto di far loro depositare le uova in posti diversi dal solito catoio (il basso dove venivano custoditi gli animali domestici comunicante con l’abitazione al piano rialzato, senza preoccupazioni o fisime di ordine igienico-sanitario),il che inizialmente nella nonna procurava preoccupazione per l’improvvisa loro sterilità, ignorandone le vere cause. Nello spiazzo davanti al canale si svolgevano anche le attività di lavaggio della biancheria, dal bucato quotidiano al rito del lavaggio straordinario della dote, in alternativa a quello che normalmente avveniva nelle fiumare non ancora inquinate, mentre la zia Antonietta intratteneva l’uditorio con le barzellette i motti gli scioglilingua e la lingua cifrata, nella quale era particolarmente versatile (ogni parola veniva velocemente scomposta in sillabe fatte precedere da prefissi vari, se ma te fa, per cui la frase “Carlo gioca al pallone” poteva diventare “seca serlo segio seca seal sepal selo seno” fra l’ilarità generale). Non tutto, però, era idilliaco nella Contrada; all’interno della comunità i rapporti si svolgevano secondo le caratteristiche le problematiche e le dinamiche di un piccolo gruppo: convivenza non sempre facile per screzi e facili invidie, comunque sempre risolvibili dalla solidarietà, che scattava nei momenti del bisogno, e dai forti sentimenti di amicizia e di amore. L’espressione più alta della solidarietà del vicinato scattava nel momento in cui la morte colpiva una famiglia: ‘u cunsulu era una gara organizzata per sorreggere la famiglia colpita dal lutto, e per diversi giorni a turno i vicini portavano sostegno morale e sostegno alimentare con pasti caldi completi per tutti i componenti. In tempi più recenti la raccolta delle more rappresentava l’appuntamento annuale per eccellenza del sottoscritto, insieme, nel corso degli anni, ai giovani parenti alla moglie e ai figli: l’escursione si concludeva nello spiazzo del canale, con le magliette e le mani insanguinate nel tentativo di pulirle utilizzando le more rosse ancora acerbe. Oggi il gelso è sempre lì, forte e resistente al tempo e alle intemperie: colpito e lesionato anche da un fulmine, è sempre rigoglioso, mentre tutto intorno è degrado, casa terreni viottoli e strada. Le more sempre dolci; la loro dolcezza rappresentano nel mio animo la dolcezza dei ricordi, l’innocenza dell’infanzia, la nostalgia di un tempo semplice che non tornerà mai più, le corse sugli asini da noi incitati come stalloni arabi, i giochi infantili, spesso crudelmente sadici quando venivano coinvolte galline pecore e za frate, le povere lucertole alle quali veniva staccata la coda, non senza prima che i sadici persecutori avessero recitato la formula dello scongiuro: non fu eu non fu eu ,ma fu u cani du iudeu, non fu diu non fu a madonna , ca fu u diavulu cu i corna (“non sono stato io, non sono stato io, ma è stato il cane dell’ebreo, non è stato Dio né la Madonna, ma è stato il diavolo con le corna”).
Era senz’altro un periodo felice per tutti noi e un futuro sereno, come prospettiva, sembrava pronto dietro l’angolo. Tutto falso: la morte di tuo marito, giovane ancora, ha creato grossi problemi alla famiglia, come li aveva creati il nonno Carlo con il suo allontanamento. Inscindibili le due situazioni cantate ancora dal poeta Peppino Dattilo, i sacrifici di nonna Saveria si legano poi a quelli tuoi, rimasta vedova e colpita da grave malattia, dopo un breve intermezzo di serenità: “Saveria li figghi come rosi li criscia e per il mantenimento si prestava, la grande porta il nome di Rosina da giovane il Signore l’aiutava. / Un giovane educato s’avvicinava di nome Giovanni si chiamava, e la sposava con fede divina la mamma un po’ ca si rassegnava. / Du iennuru nu bracciu forti avia ca `cchiù di mamma lui la rispettava, penzava ca li peni li finia ma poi di novu ca l’incominciava. / Rosina e Gianni erano felici, tre figghi come rose hanno allevatu, Giovanni a Cotrone si ritira pecchì nella Montecatini lavurava. / La famigghia si portò vicina e la paci fra di loro nun mancava, mentre la sventura s’avvicina Giovanni avia la febbre e si ammalava. / Pe’ d’illu nun ci fu ‘na medicina, 1u medicu la cura si sbagliava, giorno pe’ giorno lui ca diperiva la moglie cu’ tre orfani lasciava. / Considerati il dolore c`avia povera mamma li figghi penzava, Rosina notti e giorno ca ciangia, tale sventura nun si l’aspettava. / Ma lu Signuri si detti la guida, forza e coraggio ad illa ca si dava e mu lavura non avia paura così lu pani alli figghi nun mancava; / e cu la menti sua sana ch’avia pe’ la cultura dei figghi penzava, e tutti e tre alla scola ca mandava e all’Università li mantenia, / ed illa assai cuntenta si tenia pe’ tutti i tre figghi chi ‘ndavia ca prossimu u diploma hannu `nti mani pemmu poi u cumincianu a lavurari. / La mamma nun descrive le sue pene, giacchè malata cu nu morbu `nfami, speramu ca benignu si manteni mu `ndavi vita quantu dura il pane, / li figghi mu li vidi sistemati…”( “Saveria cresceva le figlie come fiori e si adoperava con ogni mezzo per il loro sostentamento, la figlia grande portava il nome di Rosina e il Signore l’aiutava / un giovane di nome Giovanni chiedeva la sua mano e la sposava poi con grande amore e con rassegnata gioia della mamma / in quanto dal genero si sentiva protetta e rispettata convinta che le sofferenze ormai erano finite, però purtroppo ebbero inizio altre / Rosina e Giovanni erano felici allietati dalla presenza di tre figli allevati come rose, Giovanni si trasferisce a Crotone in quanto lavorava come operaio nella fabbrica Montedison / e la famiglia presto lo raggiunse. A questo punto la sventura si avvicina, Giovanni si ammala con febbre alta / e per lui non ebbero effetto i farmaci in quanto il medico sbagliava diagnosi e la cura e in pochi giorni morì lasciando sola la moglie con tre piccoli orfani. / Grande fu il dolore di Rosina, che piangeva in continuazione per tale disgrazia che minimamente si aspettava. / Ma il Signore non l’abbandonò, la guidò e le diede forza e coraggio per trovare lavoro e crescere i figli / e mandarli a scuola e all’Università per dotarli di cultura. / E fu contenta vederli conseguire un diploma per poter iniziare a lavorare. / La madre però non parla delle sue nuove pene, giacché colpita da una malattia inesorabile, noi speriamo che il male sia benigno e abbia la durata del pane buono / in modo da poter vedere i figli sistemati….”)
La morte di papà ha segnato in modo indelebile la nostra vita, condizionando progetti ambizioni e sentimenti, come si può notare nel seguente canto disperato ma anche di speranza: “il tempo passato è solo un ricordo / un gomitolo avvolto di morte e di vita / un lampo improvviso /insieme ai pianeti è nata la terra / gli anni son lunghi / fra un sisma ed un altro appare la vita / la vita respira si muove si nutre / ecco è già pronta per prodursi di nuovo / animali giganti vinti dal gelo / solo ai più forti è concessa la terra / cresce rivive volano gli anni / l’uomo si forma / ma non è ancora uomo / caccia raccoglie senza un perché / occhi sbarrati dinnanzi alla fiamma / nel cuore vive un profondo timore / ora che sa lavora la pietra / fabbrica armi non ha più paura / comunica agli altri i primi concetti / sui muri ha già fatto i primi disegni / è homo sapiente lavora la terra / Gerico è pronta la prima città / il tempo passato è solo un ricordo / un gomitolo avvolto di morte e di vita / anche tu sei nato così / figlio di attesa di ieri di sempre / dalla notte hai visto la luce / pronto ai dolori e alle pene del mondo / piangi e non sai cresci fra i giochi / i tempi son semplici ha un senso la vita / la guerra è passata è solo un ricordo / corri veloce sei già scolare / ha inizio l’angoscia vicina ed amica / gioie sottili dolori improvvisi / muore tuo padre ora tu sai / è sfumato il sorriso lavori la vita / di rabbia e furore gli anni sono amari / timidezza e orgoglio gli anni son duri / quattordici anni tu sei ormai maturo / il tempo passato è solo un ricordo / un gomitolo avvolto di morte e di vita / tra rischi e battaglie l’uomo s’avanza / è greco è romano diventa già adulto / corsi e ricorsi non si contano più / si muore per Cristo si vive per niente / veste di cielo agogna la terra / guerre su guerre l’uomo è signore / giustifica tutto non ha più misura / vinti da popoli popoli vinti / scopre e distrugge in nome di un dio / aguzza l’ingegno va sulla luna / dal sangue versato nasce la vita / tutto il passato sospinge il presente / come un lunga fredda agonia / il tempo passato è solo un ricordo / un gomitolo avvolto di morte e di vita / tu sei cresciuto prima del tempo / ribelle ti opponi in modo impotente / senti la nausea guardi al futuro / diverso e più bello ma vivi l’angoscia / è un mondo virile di guerre e di lutti / senza l’amore senza la fede / tu invece ami tu forse credi / scuoti l’orgoglio giorno per giorno / senza più ali corri nel cielo / ogni ragione è stata bandita / solo parole libertà e giustizia / dai cuori dagli uomini da ogni paura / osservi la fine senza ideali / arida mente priva di pianto / è più saggio capire o esser capiti?” Due immagini rimangono indelebili e permanenti nella mia mente: l’estremo saluto di noi figli al padre agonizzante ma cosciente e il carro funebre che portava la salma al cimitero e nello stesso tempo una parte del mondo interiore e la fanciullezza di tre piccoli inconsolabili. Una ferita per me sempre aperta un dolore indicibile, mai lenito neppure dalla paterna vicinanza del maestro e dalla solidarietà e dall’affetto dei compagni di scuola, che mi faranno trovare, con effetto deamiciano, sul banco al rientro un mazzo di fiori. Per rendere ancora più triste quel momento, i registi del dolore della nostra famiglia avevano “deciso” per moglie e figli lutto strettissimo, “per evitare che dimenticassero”: nero completo per diversi anni per la prima, camicia nera per i secondi.
L’anno successivo le “bande” vengono sciolte, il rione viene smantellato per far posto ad un moderno lungomare. Noi siamo costretti a trasferirci in una nuova casa, (le case popolari vengono costruite nelle zone periferiche della città, su terreni di scarso valore economico,non interessati dalla speculazione edilizia intrecciata mafiosamente alla politica, che ha portato a distruggere le zone del centro – la stessa operazione distruttiva sarà portata a termine nel primo decennio del nuovo secolo sulla costa che va dal cimitero alla zona Irto; si creano così veri ghetti, che emarginano dal contesto sociale le categorie più deboli, che rendono impossibile qualsiasi integrazione. Tale politica ha portato alla nascita di quartieri “difficili”, la cui valorizzazione è stata tentata con metodi discutibili solamente alla fine degli anni novanta: Fondo Gesù, San Francesco, Carmine) in un nuovo quartiere in via Libertà, dove al più presto le stesse bande vengono riorganizzate con nuovi amici e con nuove attività ludiche e aggregative. Intanto con noi nella nuova casa vengono ad abitare la nonna materna, rimasta sola ad Ardore dopo la partenza per il Canada di zia Antonietta, e un fratello di mio padre, che era stato assunto con contratto a tempo determinato dal Direttore della Montedison, come compensazione per la morte di papà avvenuta per cause dirette di servizio mai riconosciute dalla stessa Azienda, approfittando della tua ingenuità, povera vedova rimasta sola e senza risorse, con tre figli ancora piccoli. Lo zio, nel breve periodo rimasto con noi, ha rappresentato solo un lontano surrogato di figura paterna, tutto preso forse anche giustamente dai problemi della sua famiglia: a fine mese a noi consegnava gli assegni di famiglia riscossi per i nipoti provvisoriamente a suo carico e a lui rimaneva l’intero stipendio, mentre a carico di mia madre il suo vitto. La nonna invece per noi era un punto di riferimento importante, ha aiutato con la sua presenza costante in casa mia madre, soprattutto quando ha iniziato a lavorare, ad aiutarci a crescere bene soprattutto sul piano morale, dandoci con semplicità i primi rudimenti etici per poter distinguere il bene dal male. Ancora ricordo le favole e i racconti mitici che ci raccontava, stuzzicando la nostra fantasia a fare viaggi liberatori di una condizione non troppo facile. Ricordo bene che ci parlava del popolare Giufà come se fosse un personaggio del paese, dell’invidiosa maga Sibilla in lotta continua con la predestinata benedetta Maria madre di Gesù, dei viaggi in Aspromonte di Gesù con i suoi discepoli fra le pietre e le rocche della valle del Buonamico, (grossi monoliti, che creano un paesaggio unico e fantastico; i loro nomi echeggiano storie esotiche e suggestive: Pietra Longa, Pietra Cappa, Pietra Castello, le Rocche di San Pietro) e soprattutto delle leggende legate al Santuario della Madonna della Montagna a Polsi (il Santuario basiliano di Polsi, eretto nel 1100, si trova in una valle suggestiva e silenziosa alle pendici dell’Aspromonte nel comune di San Luca; rappresenta per l’intera Calabria un faro di intensa spiritualità ed è meta di affollatissimi pellegrinaggi soprattutto durante la stagione estiva; i festeggiamenti si svolgono il 2 settembre; colpiva fino a pochi anni fa l’ancestrale rito, oggi severamente vietato per disposizioni sanitarie, della macellazione della carne di capra, all’aperto e davanti ai pellegrini, che veniva poi agli stessi cucinata e servita) e al Santuario della Madonna della Grotta di Bombile (il Santuario, che oggi è coperto interamente da due frane staccatesi dalla collina soprastante nel maggio / giugno 2004, era scavato interamente nella roccia arenaria e dotato di una pregevole facciata realizzata in pietra tufacea; del XVI sec., all’interno sull’altere maggiore una raffinata statua in marmo –si spera ancora intatta- attribuita alla famosa scuola siciliana dei Gagini; nei giorni 2 e 3 maggio, in occasione dei festeggiamenti, e nel periodo estivo erano migliaia i fedeli che si recavano in pellegrinaggio, attraverso una lunga scala scavata direttamente nel tufo e in nun paesaggio d’incomparabile bellezza). E poi la sua immensa ingenuità, come quando dinnanzi ai primi televisori non riusciva a capacitarsi, girando attorno all’apparecchio, come tante persone e animali potessero stare comodi dentro una piccola scatola! E proprio attraverso i suoi racconti, che stimolavano e stuzzicavano i miei sogni, ho cominciato ad amare ancora di più e ad apprezzare il paese natio e tutto l’interessante territorio della Locride. Tutte le estati passate ad Ardore con i miei cugini Benito Mario e Pepè, esperti nelle attività e nei giochi di campagna, ad apprendere la caccia agli uccelli con la fionda e alle farfalle, che richiedeva capacità di stare fermi immobili nelle zone più frequentate dai colorati lepidotteri, ma anche, avendo pure diverse cugine, il cucito e il ricamo insieme a loro nei nuovi Centri di Cultura popolare, sorti un po’ dappertutto nel Meridione per sollevarne le tristi condizioni di arretratezza. E insieme alle cugine, quelle in età di matrimonio, andavo al Santuario della Madonna della Grotta, intrufolandomi tra le dodici verginelle portate in processione alla Madonna come richiesta di aiuto nella cerca di un marito. A proposito dei Centri di Cultura popolare bisogna dire che svolsero un ruolo importantissimo nei piccoli centri del Meridione, anche se spesso si prestavano purtroppo anche ad una gestione allegra e clientelare come avviene spesso dalle nostre parti e come ben evidenziato dal solito Peppino Dattilo in due sue belle poesie: “Centro di cultura popolare 1 /Inta sta zona cumpariu `na vuci / il Centro di cultura qui si faci, / qui nun ci sono omini istruiti / su’ analfabeti comu simu nati, / quei tempi camminavanu infelici / e scoli `nta sti zoni mai su stati. / Professori e professionisti tutti uniti / io pensu che a vui Roma v’ha invitati / un centru di cultura qui m’apriti / sta genti vui `na luci mu si dati. / Per le campagne si spargiu la vuci, / la sera i casi restano sfollati / e tutti quanti al centro riuniti / e della scienza simu illuminati. / Centristi di panini fustuvu forniti, / e di furmaggiu fustuvu cibati, / e la mattina latte mu `mbiviti, / fagioli a mezzogiorno mu mangiati, / vi dannu l’ogghiu a vu’ mu li cunditi / e la farina u’ pani pemmu fati, / medicu e medicini ca `ndaviti, / non fa bisognu mu vi lamentati. / `Ndaviti ad alta vuci mu diciti / ca chistu centru durata mu faci, / al dirigenti Diu mu benedici / c’a tutti quanti `nci faci da patri.” “Centro di cultura popolare 2 / La nuova giunta ca prisenti siti, siti eletti com’omini onorati, / vu’ tutti quanti u centru canusciti, / siti disposti vu’ mu l’aiutati, / e tutti ca `spansivi rispunditi / anche cuntenti a perdiri iornati. / E quandu lu furmaggiu dividiti / vi pregu li cosi giusti vu’ mu fati, / omini bisognusi ca non siti / perciò camorra vu non avverati, / ma si qualche pezzu in tasca vi mentiti / voi dal centro siti atorizzati, / si tuttu questo vui nun lu faciti / vui li iornati nun vi li pagati. / E quandu poi la roba dividiti, / chilla vecchia nun 1a sorteggiati / la roba nova mu vi 1a teniti / ca vui rappresentati i candidati. / Se tutto questo vui non lo faciti / `natt’annu chistu postu n’occupati, / io so’ sicuro ca vi ripentiti / non jiti a caccia a perdiri iornati.” I Centri svolgevano insomma un ruolo polivalente: erano punti di riferimento e di ritrovo serale per gli uomini e pomeridiano per le donne, in zone dove non c’erano altri motivi di richiamo; altro motivo di frequentazione era rappresentato dalla consegna di viveri (formaggio giallo, fagioli, olio di semi, polvere di latte e di piselli, indumenti, calzature e persino medicinali) provenienti dagli aiuti che gli Americani mandavano ai paesi in via di sviluppo dopo la seconda guerra mondiale, nel quadro del Progetto Marshall. Ma il vero obiettivo dei Centri di cultura popolare era la lotta contro l’analfabetismo diffuso nel Meridione in percentuale altissima e l’educazione degli adulti: la Unla (Unione nazionale per la lotta contro l’analfabetismo) in questa attività si distinse per l’abnegazione e l’impegno di tanti volontari.
Uno dei momenti più importanti della tua vita è stato l’incontro con la fede, con e attraverso la sofferenza che non ti ha abbandonato mai e che davanti alla croce di Cristo ha acquistato un significato nuovo e un senso. Una fede che è diventata “militante”, quando ha avuto la possibilità di esprimersi attraverso la genuinità e la purezza delle Comunità neocatecumenali, organizzate sui modelli agapici e della condivisione dei primo cristiani. Un incontro fortuito e casuale, quando negli anni ’70 cominciavano anche a Crotone a sorgere e ad organizzarsi nelle diverse parrocchie le prime comunità, sulla spinta dell’interesse ed entusiasmo sorti attorno al fondatore Kiko Arguello. “Francisco (Kiko) Arguello negli anni ’60 del secolo scorso era un giovane pittore spagnolo che, insieme a Carmen Hernandez donna laureata in chimica e teologia, faceva anche il catechista a Palomeras Altas quartiere degradato di Madrid. La sua catechesi, rivolta a zingari prostitute e ladri, ricalcava la predica-zione degli Apostoli, come è raccontata dagli ‘Atti’. L’incontro con l’arcivescovo della città, Casimiro Morbillo, è decisivo per il futuro di Kiko: il prelato infatti, dopo aver assistito ad uno di quegli incontri rumorosi intensi e vivaci, ne apprezza il metodo e lo invita a portarlo nelle parrocchie di Madrid. Nasceva così il Cammino neocatecumenale, oggi diffuso in tutto il mondo e riconosciuto ufficialmente dalla Chiesa dopo le difficoltà iniziali dovute alla particolare natura del ‘movimento’. Infatti il Cammino non è un’associazione ma ha il carattere di un’iniziazione cristiana di un catecumenato postbattesimale, la quale deve essere autorizzata dai vescovi nelle singole diocesi E’ una grande novità: infatti nella Chiesa, dove oggi si è abituati alla messa domenicale e ad una preparazione rapida ai Sacramenti, manca da 16 secoli un catecumenato, una scuola cioè che gradualmente introduca al mistero di Cristo e della Chiesa, che possa insomma aprire un cammino di maturazione della fede battesimale. Non è stato facile per le Comunità inserirsi nelle Chiese locali, in quanto portatrici di rivoluzionarie novità, che ha dato esca ad equivoci e malintesi con relative critiche (eccessiva separatezza dalla parrocchia, denunce di settarismo, culto della personalità del fondatore, poca attenzione per la confessione individuale, perplessità su alcuni metodi utilizzati dai catechisti quali i cosiddetti ‘scrutini’ pubblici su argomenti di carattere personale), oggi in parte superati da una migliore conoscenza della loro vera natura, che è quella di uno strumento e un metodo diverso per ravvivare la fede nelle realtà locali. Il 24 gennaio 1997 il Santo Padre riceve in udienza in Vaticano gli iniziatori del Cammino Neocatecumenale e gli itineranti, a 30 anni dalla sua nascita nelle baracche di Madrid, evidenziando il suo sviluppo e la sua diffusione impressionanti in più di 100 paesi, l’abbondanza dei doni che il Signore ha concesso per il suo tramite e la riscoperta della parola di Dio e la riscoperta della Chiesa come autentica comunità missionaria. In quell’occasione il Papa auspicava che fosse completata la stesura degli Statuti per un formale riconoscimento giuridico da parte della Chiesa: gli stessi poi furono approvati dalla Chiesa nel giugno del 2002. Il Cammino, in base a tali Statuti ha un carattere prettamente laicale. I due fondatori, Kiko e Carmen, insieme a padre Mario Pezzi della diocesi di Roma, costituiscono ‘vita natural durante’ il gruppo responsabile internazionale del Cammino. Alla scomparsa degli iniziatori, la futura triade dirigente sarà eletta con un mandato di sette anni, rinnovabile più volte. I numeri sono in continua evoluzione: per dare un’indicazione si ricorda che nel 2002 le Comunità operanti erano 16.700 in circa 5.000 parrocchie di 880 diocesi sparse in 105 Paesi. A Crotone i neocatecumenali sono oltre un migliaio, raccolti in 35 comunità distribuite tra le parrocchie del Duomo, San Domenico, Fondo Gesù, Santa Maria Madre della Chiesa, San Paolo, San Francesco, Santi Cosma e Damiani; le prime comunità nacquero nel 1975 per volere dell’arcivescovo monsignor Giuseppe Agostino. Nell’inverno del 1988 fu promossa a Crotone una grande missione popolare, durante la quale vide la presenza del fondatore Kiko Arguello.” A te, l’incontro con tale modello di vita, ha permesso di approfondire e fortificare il messaggio di Cristo, ha dato la possibilità di continuare un “percorso di fede” più cosciente e interiormente più ricco. Un percorso di fede portato avanti con convinzione, senza tentennamenti, mai condizionato dai momenti difficili attraversati anche dalle Comunità, per crisi organizzativi o di crescita. Un percorso che Ti ha visto nel 2000 affermare, insieme ai tuoi fratelli e sorelle della 1^ Comunità di Crotone, l’adesione a Cristo, al Suo messaggio e alla Sua diffusione. Il viaggio poi a Gerusalemme, nello stesso anno, con la visita ai luoghi di nascita del Cristianesimo, ha suggellato tale patto con Cristo, configurandosi come una conclusione di una fase e un nuovo punto di partenza per una presenza più attiva nel mondo della Chiesa. La Comunità ha rappresentato per Te dagli anni ’70 il prolungamento della Tua famiglia, con nuovi figli nuovi fratelli nuovi parenti rimasti nel tuo cuore fino all’ultimo giorno della Tua vita terrena: Pasquale e Caterina Aloisio, Pina De Luca,Francesco e Norma De Renzo, Angela Ettore, Enzo e Pina Facente, Franco e Assunta Fico, Isabella Fico, Leonardo e Caterina Fico, Annamaria Gotti, Emma e Luisa Gotti, Elio Guerriera, Michele e Rosanna La Grotteria, Annamaria Lamberti, Disolina Liotti, Pino e Maria Merigliano, Tanino e Maria Mungari, Angelo e Tina Papandrea, Fofò e Emilia Papandrea, Franco e Rosanna Papandrea, Massimo e Patrizia Papandrea, Saverina Perri, Franco e Brunella Proietto, Mimmo e Marisa Pupa, Pasquale e Rosa Ragno, Maria Teresa Ranieri, Jonny e Dina Rocca, Rosetta Russo, Antonio e Lucia Santoro, Vincenzo Siniscalchi, Cosimo Stillo, Franco e Rosetta Tempera, Rosetta Turco, Pasquale Valente, Anna Zannino e altri. Per questo tuo vivo e intenso legame con la Comunità e per il tuo convinto percorso di fede, noi figli abbiamo deciso di vestirti con la “tunica bianca di Gerusalemme”, che ha coperto i vestiti profani, per renderti “presentabile” in modo adeguato e riconosci-bile al Signore, e di collocare nella bara il rosario e la “tua” Bibbia prediletta, oggetto di lettura e studio continuo da parte tua.
Per noi figli tu sei stata sempre un modello, anche quando le nostre idee divergevano dalle tue e non erano inquadrabili nel tuo “sistema di fede” con tua grande sofferenza. I tuoi insegnamenti sono stati semi che hanno dato piante e frutti, come risulta evidente da quanto scritto nei “Ricordini”: “la tua vita sofferente / ma / illuminata dalla fede / e al servizio del Signore / ai suoi cari / ha indicato un percorso / ha lasciato una traccia / ha offerto un modello / da seguire e imitare”; da quanto scritto nelle lettere inviate alla Tua Comunità e alla Direzione della Clinica ‘S.Giuseppe’ di Cotronei: “Carissimo Sig. Fofò, nel mentre ancora cerchiamo faticosamente di metabolizzare la scomparsa di nostra madre, noi Carlo e Pino, figli della Vs. sorella in fede Maria Rosa, sentiamo il bisogno di rivolgere un pensiero di gratitudine a Te e a tutti gli altri singolarmente, per tutto quello che avete fatto per nostra madre, per l’affettuosa disponibilità ad assisterLa e a starLe vicino, per avere creato intorno a Lei un clima di fraterna e gioiosa vitalità, per avere condiviso il suo “grande” percorso di fede, che l’ha sorretta fino all’ultimo giorno terreno. In Lei la personale forza di vivere trovava alimento e ristoro anche nelle modalità e nelle regole della Comunità. Per Lei a tutti Voi chiediamo preghiere, perché sappiamo che le vostre sono particolarmente gradite al Signore. Un forte abbraccio e un sincero saluto”; “Spett.le Direttore, chi Le scrive è uno dei figli della sig.ra Monteleone Maria Rosa, ricoverata nel mese scorso presso il Vs Centro di Riabilitazione Villa San Giuseppe e ivi deceduta il 22 maggio 2006. A nome di tutti i familiari, nel mentre ancora si cerca faticosamente di metabolizzare la scomparsa di nostra madre, voglio rivolgere un pensiero di gratitudine a Lei e a tutto il personale della struttura sanitaria, che si è rapportato nei confronti della nostra parente con professionalità competenza disponibilità e soprattutto umanità. Ciò ha permesso a nostra madre di giungere al termine della sua vita terrena con dignità e con qualche sollievo delle sue immani sofferenze fisiche. Purtroppo è da rilevare che non sempre è così, soprattutto nel nostro territorio, dove sembra difficile e a volte impossibile coniugare il giusto interesse economico degli operatori sanitari con la salute e il sollievo di tante persone sofferenti. La prego per questo di continuare su questa strada che è altamente meritoria”; e infine dai versi di una “difficile” e sofferta mia poesia a Te dedicata: “Con te non sempre il rapporto / è stato facile / per i miei limiti / per il tuo grande cuore / per i miei pregiudizi / per la tua mitezza / per le mie presunzioni / per la tua immensa bontà / la forza interiore / il tuo coraggio / e la salda fede./ Sono ai tuoi piedi / a chiedere perdono / una luce di speranza / comportamenti equilibrati / sfrondati d’arroganza / un segno e una guida / che stemperi e riduca / i miei limiti / i miei pregiudizi / le mie immense / immotivate presunzioni.”
Ho trovato in questi giorni tra le tue carte gli appunti dei “compiti” che ti venivano assegnati per l’approfondimento della Bibbia: le tematiche, il numero dei versetti da sviluppare, le tue considerazioni in un “italiano improbabile” ma efficace e significativo. Quanta acutezza e profondità, nelle immagini e nei concetti. Riflessioni da trasferire anche agli altri e a noi figli, considerazioni sempre aderenti alle situazioni concrete della vita di tutti i giorni, mai fumose e isolate nel limbo della teoria inapplicata come spesso succede. Quello che segue è parte del frutto di tale cammino, un vero e proprio testamento spirituale che tu hai lasciato a tutti noi. Anno 1981 ·Questionario: Dopo tutto questo tempo che sei in comunità oggi che cosa cerchi nella comunità? Per te che cosa è la fede cosa produce cosa ti dà? Tu credi d’aver fede? Perché se non hai fede che devi fare per averla? – Io dopo questo cammino cerco di avere più fede e di essere più vicina al Signore e credere in Lui su tutte le cose. Io ascolto attentamente la parola di Dio però la capisco dentro di me e sono dura a manifestarla. Io per acquistare la fede devo avere la carità verso i fratelli perché dove la carità è amore lì c’è Dio e perdonare chi m’offende. (Passag-gio 17 ottobre 1981 – Hotel Triton) Anno 1983 ·Pellegrinaggio – Giorno 27/8/1983 Partenza da Crotone, assieme a mia sorella, per Pompei e Montecassino (Santuari di San Benedetto e Santa Scolastica). – Giorno 28 Santa Rita da Cascia e Roccaporena. – Giorno 29 San Pietro e da frate Gino, pomeriggio partenza per Crotone. – Il primo giorno di questa gita ho avuto un grande dispiacere: un vagabondo mi prese la catenina più cara che avevo perché c’era il medaglione con le foto di mio marito e di mia madre. Anno 1984 ·Pellegrinaggio – Giorno 6/9/1984 Verso Salerno tutti i monti sono coperti di neve. Sosta a Montecassino, c’è il sole, Messa celebrata dal nostro Vescovo e dai nostri sacerdoti, partenza per Roma verso le ore 17.00, ore 20.00 cena presso Hotel Ergife via Aurelia. – Giorno 7 Convegno dal Papa, ritorno ore 13.00 e pranzo – Pomeriggio visita alla Basilica di Santa Maria Maggiore, a San Pietro, al Colosseo e via Appia. – Giorno 8 Santa Messa a San Giovanni Laterano, poi ritorno al ristorante per il pranzo – Partenza per il ritorno ore 16.10, in ritardo rispetto al programma perché si è persa la signora Castelliti Carmela. Anno 1986 ·Romani 15,30 – Questa lettera parla della preghiera. Io la preghiera la uso come un’arma e la faccio mattina e sera però tante volte mi domando che non sono degna di chiedere nulla al Signore ma questa lettura mi fa capire che se chiedo con amore sincero il Signore mi esaudisce. ·Giacomo 4,3,11 – Questa lettura mi colpisce perché dice che io mi devo fidare del Signore in tutte le cose che Lui manda. Il suo Spirito è su di noi e ci suggerisce quello che dobbiamo dire. Io mi trovo in difficoltà nelle risonanze nelle ammonizioni ma in questa lettura il Signore mi dà coraggio di non temere che non devo parlare io ma lo spirito che è dentro di me però se lo vivo con fede. (Scrutazio 19 ottobre 1986) Anno 1989 · 1)Quali sono le prove di Cristo in cui gli apostoli hanno partecipato – A quei tempi li metteva alla prova per vedere se avevano fede: mi colpisce quando dice a Pietro “tu mi tradirai prima che il gallo canti” e anche quel passo dove dice che il padre Abramo doveva immolare il figlio Isacco e vediamo come ha accettato questo invito, però il Signore vedendo la sua fede annullò quella morte e tante altre prove. Però vediamo e sentiamo nella scrittura che li metteva alla prova in ogni modo ma loro furono fedeli e per questo l’ha chiamato il suo popolo eletto e gli ha dato il suo santo spirito di andare a portare il suo messaggio a tutti i popoli e in questo ci invita anche a noi di essere imitatori di quegli apostoli, come dice la scrittura che se da Dio accettiamo il bene dobbiamo accettare anche il male e fare la sua volontà. 2)Quali sono le prove che Dio ti ha mandato concretamente nel tuo essere cristiano – Io debbo dire che sono stata messa alla prova fin dall’infanzia priva del bene paterno, poi mi ha provato con la morte di mio marito e sono rimasta vedova giovane con tre figli piccoli, poi con le malattie. Però debbo dire che, nonostante i miei peccati che mi ribellavo e l’ho rinnegato perfino a quei tempi perché mi vedevo priva di ogni risorsa, ho visto però in tutto questo l’amore di Dio che mi ha amato e mi ha dato la forza di risolvere tutti gli ostacoli che si presentavano alla mia vita. Adesso vedo concretamente che mi ama che in tutti questi anni di cammino ho visto veramente che nonostante le paure mi invia ad annunciare la sua parola e che attraverso le preghiere, che per me sono un conforto e un’arma preziosa alla mia vita e voglio chiedere che mi dà il suo santo spirito che non mi fa mai separare dal suo amore, che questo cammino di conversione mi ha ridato la vita. (Scrutazio 6 ottobre 1989) Anno 1990 ·1^Domanda: Quali sono i segni che Dio ha dato a te personalmente e che dimostrano che Gesù Cristo è vivo ed è il Signore. Io debbo dire che ha dato tanti segni nella mia storia passata e nella vita di ogni giorno, che come ho raccontato agli altri scrutini la mia vita è stata vissuta nella tribolazione fin dall’infanzia: prima abbandono paterno, poi al più bello della mia vita la morte di mio marito, poi la lunga malattia, poi la malattia di mio figlio il più piccolo, la lontananza del figlio maggiore. Tutte queste cose pesavano alla mia vita, non le accettavo, ero sempre ribellata, dicevo che Dio non mi amava, che mandava tutte le sofferenze a me. Andavo a messa tutte le domeniche, però ritornavo a casa e continuavo a ribellarmi, non accettavo se qualcuno mi offendeva, mi sentivo perduta, dovevo prendere il posto di bidella a scuola e non potevo a causa della mia malattia, anche i dottori dicevano che non potevo lavorare in quelle condizioni e debbo dire che ho lavorato e ho avuto tutto quello che desideravo per i miei figli e veramente è stato un segno meraviglioso che Dio ha dato alla mia vita, però tutti questi segni le ho scoperti dopo questo cammino che vedo che qui ho trovato l’amore e la pace nella mia vita, anche se sono sempre sofferente perché ho tanti acciacchi vedo che Dio mi dà la forza di superarli. ·2^Domanda: Davanti a questi segni tu chi dici che è Cristo? Confessalo pubblica-mente e brevemente. Io devo confessare che Cristo è tutto nella mia vita perché solo in Lui si trova l’amore, solo Lui mi comprende mi sta vicino nelle sofferenze, specie in questo periodo che sto soffrendo, che vedo che non sta bene mio figlio, poi quando si arriva ad una certa età si sentono di più le sofferenze e la solitudine. Io vorrei essere compresa di più specie dalle nuore e alle volte me la prendo perché mi sento come emarginata, però vedo che il Signore mi dà la forza di starci sempre vicina e di essere utile di quello che posso, e anche questo è un segno. Poi vedo che il mio conforto è pure la preghiera, le lodi la mattina e la sera e mi sento più serena con la speranza che Dio mi sentirà contro i miei meriti di peccatora. ·3^Domanda: Quale è stata la tua esperienza della Tradizio e che ha significato nella tua vita. Per me è stata un’esperienza meravigliosa, anche se all’inizio pensavo che non ce la facevo primo per il mio carattere emotivo che mi blocca e non parlo, poi che mi stanco a camminare e vedevo che quando dovevamo andare anche se prima mi sentivo male e dicevo “Signore se tu vuoi che debba uscire fa che io cammini” e vedevo che mi dava la forza e quelle famiglie dove andavamo ci accoglievano e ci raccontavano i loro problemi e certi anche rassegnati della loro croce e ci dicevano di ritornare e ci colpivano le loro testimonianze, e questa è stata un’esperienza meravigliosa che il Signore ha dato alla mia vita e prego sempre il Signore di darmi la forza e il mio santo spirito di potere andare a portare agli altri le meraviglie che ho gustato io in tutti questi anni di cammino, ringrazio Dio e voi catechisti che con le vostre testimo-nianze ho sperimentato che Dio è Amore.(Giudizio 02/03/1990) ·Presentazione del tema “La resurrezione della carne” su cui siamo invitati a credere. Queste letture sono un po’ dure a comprendere almeno per me, come questa resurrezione della carne può avvenire in tutto il genere umano che dopo morto può risorgere. Qui vediamo che l’articolo su questo tema dice che dobbiamo credere e dobbiamo risorgere nella fede e nella speranza, ci invita ad essere creature nuove e di risorgere in Gesù Cristo, parla di tutto il creato dice che tutto muore e tutto risorge, dice che il chicco del grano cioè di tutto il seme che si getta a terra muore e poi risorge, parla della notte dice che muore e risorge. Poi parla della Luna, dice ‘guardate la luna che muore ogni mese e poi risorge’ dice Dio ti dà molti indizi per farti credere che nulla è impossibile a Dio perché noi siamo morti nel peccato ma queste letture ci danno una speranza che Dio ci ama e che Lui è morto per il perdono dei nostri peccati e Lui ha vinto la morte. Perciò queste letture ci invitano a credere che risorgeremo nell’ultimo giorno e di credere nello spirito santo che il Signore ci ha dato la vita e la sua potenza ci ha creati. Adesso ascoltiamo le quattro letture che verranno presentate dai fratelli, che abbiamo scelto e poi la catechesi che ci fa capire tutta la storia di questo tema. (24/09/1990) ·Giovanni 20,17 … Marc. 10,51… Salmo 89,27… Giov. 20,16… Matt. 8,10… Germ.3.19… Matt. 28,9… (Scrutazio 13/12/1990) Anno 1991 ·Questionario – 1) Quali sono i segni che Dio ha dato a te personalmente e che dimostrano che Gesù Cristo è vivo ed è il Signore di fatti concreti. 2) Davanti a questi segni, tu che dici che Gesù Cristo è vivo confessalo pubblicamente e brevemente. 3) Quale è stata la tua esperienza della Tradizione e che significato ha per la tua vita. – 1) Io ho visto tanti segni che Gesù ha dato a me: il primo mi ha dato questo cammino di conversione alla mia vita e mi fece comprendere che Gesù mi ha sempre amato con tutti i miei difetti e i miei peccati; io ho avuto tante prove nella mia vita, l’abbandono paterno la morte di mio marito la mia malattia, che quando dovevo prendere un posto di lavoro mi sono ammalata e pensavo di non poterlo fare perché si trattava di una cosa inguaribile, però anche su questo ho visto che Gesù Cristo non voleva che soffrissero i miei figli e mi ha dato la vita e la forza di poter dare loro quello che era necessario per portarli avanti e arrivare a quello che loro desideravano contro i miei meriti di peccatora, in quanto ero sempre ribellata che dicevo che tutte le sofferenze Dio le dava a me, però ho visto questi segni meravigliosi e adesso devo dire che di fronte alle prove mi sento più paziente di superarle e penso che quello che Dio vuole sia fatta la sua volontà mentre prima ero sempre ribellata e piena di orgoglio e volevo che mi andasse tutto diritto. Ora ho scoperto che tutto quello che mi succede è per il mio bene e la sofferenza ti fa capire che Dio ti ama, tanto che durante l’ultima operazione sono andata tranquilla e serena dicendo che il mio dottore è Gesù Cristo è Lui che mi dà la forza di superarla. Dopo quando mi sono venute complicazioni, mi sentivo tentata di non accettarle, ero lontana dalla comunità, non avevo la forza di pregare, ero con la morte nel corpo e nello spirito, poi sono venute le sorelle per iniziare il tema della resurrezione della carne ed è stato come un segno perché in un primo momento pensavo di non farcela, poi il Signore mi ha dato l’aiuto di concluderlo e ho visto veramente che la sua parola mi aiutava ad andare avanti e ad accettare le sofferenze. Prego che Dio mi dia la forza di camminare sempre nella sua volontà. 2) Davanti a questi segni io dico che senza l’amore di Gesù Cristo la mia vita non sarebbe nulla, Lui è tutto, non c’è nessuno che mi può amare più di Lui, che mi ama come sono piena di peccati e quando a momenti mi lamento della mia situazione. Io ringrazio veramente Dio che mi ha chiamato a questo cammino, perché quando si è sposato l’ultimo figlio non lo dimostravo con loro ma dentro di me non accettavo di rimanere sola e ho visto che anche su questo Gesù ha avuto misericordia di me, mi ha fatto venire in comunità grazie anche a voi catechisti e alle vostre testimonianze e ascoltare la parola e avere questi libri di preghiere che veramente mi aiutano a vivere e andare avanti nella mia vita quotidiana. Ho visto che anche i fratelli sono stati vicini con la preghiera e con il telefono quando sono stata all’ospedale e questi sono anche segni. 3) La mia esperienza della tradizio è stata anche questa un segno nella mia vita; veramente devo dire che prima avevo paura per tante cose e per il mio carattere non sapevo cosa dire quando andavo in una famiglia che non conoscevo e per le condizioni fisiche che non mi permettono di camminare, però ho visto che anche questo ho superato perché Dio mi ha dato aiuto e le famiglie ci aprivano e ci raccontavano i loro problemi e ci dicevano di tornare. Veramente quest’anno dovevamo andare a Caccuri, io sono andata poche volte e pensavo veramente di non andare per niente che non mi sentivo, eppure ho visto che il Signore mi ha dato la forza di andare e quando ritornavo mi sentivo meglio; mi ha colpito una sera in una famiglia una signora ha visto che mi sentivo male e mi ha detto chi me l’aveva fatto fare di partire da Crotone e arrivare fino a Caccuri, ma io ero contenta di quella bella esperienza. (Tradizio 22 febbraio 1991) (Professione di fede, inizio giovedì 28 febbraio, io sono uscita la prima al sorteggio.) ·Redditio – Solenne professione di fede / 1^ comunità neocatecumenale della parrocchia SS. Salvatore San Domenico e Duomo di Crotone (Domenica delle Palme 1991 – Menù del banchetto conclusivo: Aragosta e Frutti di mare, Linguine alla polpa di granchio e Risotto alla pescatora, Grigliata di pesce misto e Insalata verde, Sorbetto Macedonia di fragole e Amaro) ·Tema: La potenza di Dio. In questo tema vediamo come veramente la potenza di Dio è grande e meravigliosa verso il suo popolo. Nelle letture che abbiamo letto si parla dell’incredulità del popolo primitivo, che anche vedendo i suoi miracoli e i suoi prodigi non credevano in Lui e continuavano a non osservare i suoi comandamenti. Si parla anche del popolo nel deserto, che non voleva credere alla sua potenza e che lo voleva condurre alla terra promessa; dice che fatto sciogliere i monti li cambiò in sorgente d’acqua, ha fatto inaridire il mare per fare mettere in salvo il suo popolo. In questo libro abbiamo letto veramente le meraviglie della sua potenza che Dio ha compiuto in cielo e sulla terra. In queste letture ci presenta la figura di Abramo, che è stato fedele a Lui e di Mosé che ha pregato per il suo popolo nel deserto, e a questo invita anche noi la parola di questa sera. Queste letture, che abbiamo scelto e che verranno presentate dai fratelli, ci invitano a pregare e a non lasciarci vincere da Satana, di non pensare che noi possiamo risolvere i nostri problemi quotidiani senza la forza della sua potenza, ci invitano a credere che anche nei momenti più difficili della nostra vita la sua potenza ci dà la forza di superarli. (08/05/1991) ·2 Timoteo 1.9.11 – A me questa parola mi fa ricordare la mia storia, che io non accettavo le sofferenze, non accettavo la morte di mio marito, non accettavo la mia malattia, non accettavo la malattia di mio figlio, non accettavo il lavoro che il Signore mi aveva dato, non accettavo che i dottori durante la malattia nel 1959 avessero detto che avevo un male inguaribile. Mi ero ribellata non per la paura della morte, ma pensavo ai figli che erano piccoli. Però veramente come dice questa parola ero nella morte e il Signore mi ha salvato, mi ha chiamato a questo cammino per convertirmi, e veramente sono passati tutti questi anni e ancora sono viva e ho visto questa misericordia di Dio che ha avuto per i miei figli… Tito 3,5 – Anche questa lettera di Tito mi fa capire che se io ho superato tutti questi ostacoli e ho avuto la chiamata a fare questo cammino, non è stato per i miei meriti ma il Signore ha avuto pietà di me che mi vuole dare la vita eterna… Romani 8,28; 16,25 – Poi mi dà sollievo dove dice che a quelli che ha chiamato li ha anche giustificati, e questa è una parola di speranza per me che nonostante i miei peccati il Signore mi perdona, che io alle volte penso a quando l’ho rinnegato durante le mie angosce e sofferenze e ho visto veramente la sua misericordia che dietro la sofferenza mi ha dato la forza di superarle… Tito 2,11 – Anche quest’altro passo di Tito dice che il Signore mi vuole salvare e m’invita a non essere attaccata alle cose del mondo e a fare opere buone… Romani 6,9; 8,2 – Anche questa parola mi dà forza di superare tutti gli ostacoli e m’invita di accettare la mia storia che veramente io ero nella morte, però vedo che attraverso questo cammino e ascoltando la sua parola e attraverso le preghiere che mi danno la forza di andare avanti e di accettare quello che si presenta alla mia vita… Ebrei 2, 14, 15 – Anche questa parola mi dice di non lasciarmi tentare da Satana, quello che mi succede spesso mi dice di non temere che se mi mette alla prova viene anche in mio aiuto e questo è vero perché questa parola mi fa ricordare i tempi passati, e ringrazio veramente Dio e prego di darmi la forza di non separami mai dalla sua volontà… (Scrutazio 28/09/1991) ·Marco 14,36 – Io ho letto queste parole e mi hanno colpito dove dice che erano con Lui Pietro Giacomo e Giovanni e cominciava a sentire paura e angoscia, diceva che la sua anima era triste e diceva loro di restare fino alla morte a vegliare e pregava il Padre a cui tutto è possibile di allontanare da Lui quel calice ma di fare alla fine la sua volontà. Ancora mi ha colpito dove dice che tornò indietro e trovò i discepoli addormentati e disse loro che non erano riusciti a vegliare un’ora sola e li invitò a vegliare e pregare per non cadere in tentazione perché lo spirito è pronto ma la carne è debole. Poi ho letto un altro passo Romani 8,15, dove dice che quelli che vivono secondo la carne e i suoi desideri saranno portati alla morte, invece quelli che vivono secondo lo spirito saranno portati alla vita. Questa parola mi colpisce perché vedo come è vero che la carne è debole in quanto non sono capace di fare la volontà del Padre di fronte alla croce e mi ribello di fronte alla sofferenza e sono tentata spesso di non accettare il male, però vedo come di fronte alla sofferenza il Signore si manifesta nella mia vita e mi dà la forza di superarla e questa parola mi dà coraggio e m’invita a pregare e chiedo al Signore di darmi il dono di non separarmi mai dalla preghiera e di fare sempre la sua volontà perché quello che vuole Lui è giusto e con questo mi fa capire che io devo vivere secondo la sua parola e secondo la sua volontà e di mettere in pratica tutte le meraviglie che ho vissuto in tutti questi anni di cammino e di osservare i suoi Comandamenti e anche quelli di voi catechisti che siete i messaggeri della sua parola. Prego veramente con insistenza questo Padre misericordioso di darmi, contro i miei meriti piena di peccati, di darmi il suo santo spirito di non dubitare mai del suo amore e della sua misericordia. (Crotone 14/12/1991, scrutazio Costa Tiziana) Anno 1992 ·Giovanni 8,42 – Ho letto questo passo del Vangelo dove dice “se rimanete fedeli sarete miei discepoli, cioè se rimanete fedeli alla mia parola sarete davvero miei discepoli e conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”: queste parole Gesù le rivolgeva ai Giudei, che gli rispondevano che loro discendevano da Abramo e non erano schiavi di nessuno. Gesù rispondeva loro “in verità vi dico che chiunque commette il peccato è schiavo del peccato, ora lo schiavo non resta per sempre nel peccato nella casa ma il figlio vi resta sempre e vi farà liberi; so che discendete da Abramo ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova posto in voi, io dico quello che ho visto presso il Padre anche voi fate quello che avete dal Padre vostro ascoltato”. Vedo come questa parola mi chiama ad essere fedele ai suoi insegnamenti e alla sua parola che ho udito in tutti questi anni di cammino e quello che mi hanno suggerito i catechisti, di osservare la missione che mi hanno dato di non lasciarmi tentare da Satana che è il padre della menzogna, come vedo che spesso sono tentata di non fare la volontà del Padre quando le cose non vanno come voglio ed io mi ribello a questa parola che mi chiama ad essere fedele e di fare la volontà del Padre, il solo Padre della mia vita. Poi ho letto un altro passo Romani 1.25 dove parla della salvezza mediante la fede. Qui ci esorta di non vergognarci di annunciare la sua parola, che a questo siamo stati chiamati, e questo mi rattrista perché vedo che non sono capace di parlare con franchezza perché temo di essere giudicata, ma questa parola mi dà coraggio e mi dice di avere fede. (Scrutazio – Domenica 9/2/1992) ·Matteo 6,94 – Ho letto questo passo del Vangelo dove parla della preghiera e ci invita a pregare innanzi tutto con il cuore e con il Padre nostro, la preghiera che ci ha insegnato, dice di pregare in segreto senza ipocrisia perché Lui è il Padre e sa tutto ciò che ciascuno di noi ha bisogno: questa parola mi dà coraggio perché io prego, ma ho tante pretese e non so quello che devo chiedere e questo passo mi viene a dire che anche contro i miei meriti piena di peccati, questo Padre mi aiuta nelle mie necessità, dice pure di non accumulare tesori sulla terra dove tutto si consuma e dove i ladri ti possono rubare, ma di accumulare invece tesori in cielo perché lì c’è la vita eterna e chiedo che questo Padre pieno di misericordia mi dà il suo santo spirito ciò che è necessario e che faccio la sua volontà. Poi ho scrutato un altro passo sempre dello stesso apostolo, Matteo 4.23, dove parla della moltiplicazione dei pani. Anche questa parola si collega, vediamo come questo Padre ha compassione della folla e moltiplica quei cinque pani e i pesci, anche se erano pochi, la sua potenza ha sfamato tutta quella folla e molto è rimasto. Questa parola invita tutti noi ad avere fede in questo Padre, che anche se siamo nella tristezza e nella sofferenza c’è Lui che ci ama e ci aiuta di ciò che abbiamo bisogno. Io prego questo Padre misericordioso di darmi questo spirito di fede e di non separarmi mai dalla sua volontà e di essere degna di partecipare alla sua mensa e a quel pane non perisce che sia la vita eterna. Poi un altro passo, ancora Matteo 7.21, dove parla di due vie, e dice di entrare per la porta stretta perché larga è la porta e spaziosa e la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano in quest’ultima e pochi trovano quella giusta. Dice pure di guardarci dai falsi profeti e parla dell’albero buono e quello cattivo, che va gettato nel fuoco se non produce frutto. Questa parola a me fa paura perché penso che non vado per la porta giusta come dovrei e anche albero che produce il frutto mi sento di essere quello cattivo che non fa frutto perché mi lascio spesse volte guidare dal diavolo, pensare al giudizio degli altri, di non accettare la sofferenza e spesse volte mi sento una buona a nulla, però vedo come questa parola mi dice di entrare per quella porta che sono stata chiamata e scelta che vuol dire che se seguo quella potrò avere la vita eterna. Poi un altro passo, Matteo 21.22, dove parla ancora dell’albero senza frutto, dove si dice che ebbe fame e vedendo un albero di fico si avvicinò e non trovò altro che foglie e gli disse che non facesse mai più frutto e l’albero subito si seccò. (Scrutazio – Domenica 16/2/1992) ·Tema “Venga il tuo Regno” – Il Regno di Dio significa lasciare tutto e servire Dio; il Regno di Dio è dentro di noi… ·Marco 14,36 – Mi ha colpito la parte che parla di un Padre celeste misericordioso, che nonostante i miei peccati mi ha sempre aiutato nelle mie necessità e mi ha dato la forza di superare le avversità contro i miei meriti; invece il padre terreno non l’ho mai conosciuto e di ciò ho sempre sofferto. ·Matteo 11,25 – A proposito di benedizione, io veramente devo benedire il Padre celeste per tutto quello che ha dato alla mia vita e soprattutto per avermi chiamato a questo cammino. ·Romani 8,15 – Qui mi dà coraggio questa parola dove si dice che “voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per cadere nella paura ma lo spirito di figli adottivi”: questo mi fa capire che ha misericordia di me e prego questo Padre di non farmi separare mai dal suo santo spirito. ·Giovanni 3,35 – Anche questa parola parla del Padre e mi chiama all’obbedienza e alla conversione e mi esorta a credere che mi ama così come sono piena di peccati. ·Marco 14,36 – Mi ha colpito dove si dice “A Te Padre tutto è possibile, se possibile allontana da me questo calice se lo vuoi”; io su questa parola vedo che il Signore mi chiama alla conversione a vegliare a pregare e a fare la sua volontà, perché senza il suo aiuto non ce la faccio a fare la mia. ·Matteo 11,25 – Mi ha colpito dove si dice “Ti benedico Padre perché hai nascosto ai sapienti e agli intelligenti queste cose e le hai rivelate ai piccoli”: questa parola mi dice di farmi piccola che io tante volte mi sento umiliata e non vorrei sottomettermi e anche che io non faccio risonanza che temo di sbagliare e di essere giudicata, ma questa parola mi dà coraggio e devo benedire veramente il Signore per l’aiuto che mi dà e soprattutto per avermi chiamato a questo cammino. ·Marco 14,3 – Mi ha colpito dove parla della donna che versa il profumo sul capo di Gesù: questo mi invita a essere generosa e di amare il prossimo, cosa che tante volte non faccio. Anno 1993 ·Questionario Convivenza 1993/1994-Dopo quasi trent’anni dagli inizi del Cammino Neocatecumenale e di fronte agli ultimi eventi e a tanti frutti che sono apparsi davanti ai nostri occhi, cominciamo a intravedere che lo Spirito Santo ha suscitato questo cammino per aiutare la Chiesa nel suo rinnovamento dopo il Concilio Vaticano II. All’interno di questo itinerario di fede tu sei stato scelto da Dio per un ruolo concreto, e per questo sei stato aiutato da fratelli posti a servizio della tua fede e sostenuto da tante grazie lungo tutti questi anni. Di fronte all’immagine della Chiesa come Corpo che abbiamo ascoltato questa mattina in San Paolo e alla Scrutazio sulla Carità che visibilizza la natura di Dio in noi; in rapporto alla nuova evangelizzazione e alla situazione del mondo e della Chiesa di oggi: a) tu che cosa pensi? b) nella tua situazione concreta, che cosa vedi che Dio ti chiama a fare? ·Colossesi 3,9-10 – In questo versetto dove dice di non mentire gli uni agli altri e di rivestirci dell’uomo nuovo. Questo vuol dire che se il Signore mi ha chiamata a questo cammino vuole salvare la mia anima. Io pensavo che avere tutti i sacramenti ascoltare la messa e osservare i comandamenti bastava, ma ero nella morte che non conoscevo i miei peccati. Oggi dopo tanti anni di cammino dovrei conoscerli ma tante volte sono tentata di essere peggiore di quelli che sono fuori. Poi ho scrutato Gen. 1,26 dove parla della creazione, dove dice che ci ha creato a sua immagine. In questo ci invita a fare come Lui, di amare l’altro come Lui ha amato noi e di perdonare come Lui ha perdonato noi, ma questo tante volte senza il suo aiuto è impossibile. Poi Romani 6,6 dove dice che il nostro uomo vecchio è distrutto nel peccato e ci esorta ancora a rivestirci dell’uomo nuovo, che Lui è morto per i nostri peccati, e mi chiama alla conversione per la quale sono chiamata. Poi Efesini 2,15 dove parla anche qui della morte: dice che da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatto rivivere e salvati con Cristo. Veramente questa parola mi fa rivivere e mi ha fatto continuare a vivere, perché vedo che quando sono lontana da questa parola sono nella morte. A me colpisce tutta la celebrazione in questa convivenza, iniziando da ieri sera. Vedo come il Signore ha misericordia di me. Io quando ho sentito che c’era la convivenza, ho mormorato che, sembra che si mette la tentazione, avevo altri impegni, però vedo come il Signore ha scelto la cosa migliore. (Convivenza Steccato di Cutro – 16/10/1993) ·Ezechiele 36,26 – In questo passo dove dice “vi prenderò dalla gente, vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati”, mi colpisce che veramente dovrei benedire il suo nome ogni giorno e santificare il suo nome, che senza il suo aiuto io non sono nulla. Ma tante volte vedo che, quando mi ribello di fronte alle prove, il Signore è sempre presente. Poi Giovanni 17,6 in cui dice “ho fatto conoscere il mio nome agli uomini”. Veramente è bello conoscere il suo nome e credere che Lui è la Luce che illumina la nostra vita. E’ beato chi conosce e crede nel suo nome. Io in questo mi posso veramente chiamare beata, che questo cammino mi sostiene e mi dà forza di andare avanti e ascoltando la sua parola mi dà forza di accettare la mia storia. (Scrutazio 10/11/1993 in casa di Pino e Marisa – sia santificato il tuo nome) Anno 1994 ·Matteo 26,39 – Qui parla di quando Gesù pregava al Getsemani e diceva al Padre se fosse stato possibile di allontanare da Lui quel calice, “però non quello che voglio io ma come vuoi tu” e su questo ci invita a fare la volontà di Dio, vedo come io faccio al contrario, mi ribello di fronte alle prove e alle sofferenze e questa parola mi invita ad accettare quello che il Signore vuole e mi chiama alla preghiera. Poi ho scrutato Giovanni 4,34. Qui mi colpisce dove dice che il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato a compiere la sua opera e ancora mi chiama a fare la volontà del Padre e di compiere la missione che mi è stata affidata. E prego che questo Padre abbia misericordia di me e prego di darmi il suo santo spirito e di accettare quello che Lui vuole, perché senza il suo aiuto io non ce la faccio. Poi ho scrutato Romani 5,19. Qui parla della salvezza e dice che per colpa della disobbedienza di un solo uomo tutti sono stati costituiti peccatori, ma poi sono stati costituiti giusti, tanto che dice ancora che là dove abbonda il peccato sovrabbonda la grazia. Questa parola mi dà sollievo perché forse il Signore ha pietà di me e mi ama così come sono piena di peccati e mi chiama alla conversione. Poi ho scrutato Giovanni 14,30. Qui mi colpisce dove il Signore dice “bisogna che il mondo sappia che io amo il padre e faccio quello che il padre mi ha comandato”: qui Lui ancora mi chiama all’obbedienza, ad adunare il prossimo e di fare la sua volontà. (Scrutazio – 10/4/1994) ·Questionario: “Ma soprattutto grande frutto di questo Cammino è lo slancio missionario. Apprendo con gioia che le parole da me rivolte ai giovani a Denver hanno trovato una eco in voi. Dicevo allora ‘Non è tempo di vergognarsi del Vangelo (cfr. Rm. 1,16). E’ tempo di predicarlo dai tetti (cfr. Mt. 10,27)” Per questo vi state preparando a grandi missioni popolari, rivolte particolarmente a quanti si sono allontanati dalla Chiesa o ancora non la conoscono. Auspico che l’iniziativa di annunciare il Vangelo per le strade svolta in pieno accordo con i Vescovi locali, porti ovunque abbondanti frutti.”(Giovanni Paolo II ai catechisti itineranti, Roma 17 gennaio 1994). 1)Domanda: Quali sono secondo te gli inganni che il demonio ha seminato, sotto apparenza di bene e felicità, nell’uomo di oggi e i cui frutti di distruzione sono visibili? 1)Risposta: Ricchezza, avere denaro, quindi sicurezza economica, avere pochi figli, la droga e tanto altro. – 2)Domanda: La famiglia cristiana è la cellula base della nostra civiltà. Quali sono secondo te le cause per cui la famiglia si sta distruggendo oggi in tutta Europa? Cosa dobbiamo fare…? 2)Risposta: Si sta distruggendo perché pensa troppo alle cose del mondo, non si affida alla volontà di Dio, si è inculcato nel mondo il divorzio, l’aborto, ed altro. Secondo me bisogna evangelizzare, testimoniare con la propria vita l’amore di Dio. – 3)Domanda: Quali “segni” ha compiuto il Signore nella tua vita personale e familiare che ti fanno oggi suo testimone per questa generazione, e che ti spingono ad andare a predicare il vangelo per le strade? 3)Risposta: In me ha compiuto tanti segni, sono rimasta vedova giovane con tre figli ed ero disperata, il Signore mi ha aiutato a portarli avanti con il suo aiuto, credo nella resurrezione dei morti e poi tanti altri fatti. Prima non accettavo la solitudine, il fatto di essere rimasta sola dopo che i miei figli si sono sposati, oggi posso testimoniare che il Signore è diventato il mio compagno, il mio conforto.(Convivenza di inizio corso 94-95 – P.S.Giorgio 15/18 settembre 1994) ·Ebrei 2,14-15 – Mi colpisce questa lettura, vedo come io tante volte sono nella morte che non accetto la sofferenza non accetto di essere umiliata e questa parola mi chiama alla conversione. Poi Matteo 16,17 dove Gesù dice a Pietro ‘Beato te figlio di Giona che il Padre mio ti ha rivelato’. E questo mi fa capire che sarò beata e avrò il regno dei cieli se metto in pratica tutto quello che ho ascoltato in tutti questi anni di cammino, ma vedo che io sono peggio di prima piena di peccati e spero che oggi il Signore converta il mio cuore. Poi Romani 5.1,2 dove si dice che a causa di un uomo il peccato è entrato nel mondo e il peccato ha raggiunto tutti gli uomini e questo mi dice di riconoscere i miei peccati di non sentirmi migliore di quelli che sono fuori, e mi chiama alla conversione. Poi Giovanni 12,31 dove parla del giudizio di questo mondo. Ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori quando sarò levato da terra attirerò tutti a me. In questo mi chiama a fare opere buone che alla fine sarà un giudizio. Poi Giovanni 3,19 dove si dice che la luce è venuta nel mondo ma gli uomini non l’hanno accolta ed hanno preferito le tenebre perché le loro opere erano malvagie. E in questo mi chiama ancora alla conversione e ad mare il prossimo e di avere fede in Lui. Quindi Romani 3.25 dove dice che Dio lo ha prestabilito a servire come strumento di espiazione per mezzo della fede nel suo sangue, di manifestare la sua giustizia dopo i peccati passati. E questa parola mi dà sollievo perché io un tempo l’ho rinnegato, dicevo che Dio non esisteva, e lo sono ancora piena di peccati che vedo dopo questi anni di cammino e di ascolto della sua parola sono tentata… (Convivenza dal 10 al 14 novembre 1994) Anno 1996 ·Que-stionario: “Dopo più di trenta anni che il cammino è passato dalle baracche alle parrocchie, oggi più che mai si vede la validità della missione che il Signore ci affida: creare comunità come la Sacra Famiglia di Nazareth che mostrino al mondo secolarizzato e sempre più pagano, la vita eterna che abita in noi, visibilizzata nell’amore ‘come io vi ho amato, amatevi. In questo amore riconosceranno tutti che siete miei discepoli.’ Anche se tutti siamo invecchiati non possiamo fare a meno di rendere gloria a Dio per i grandi prodigi che ha operato in mezzo a noi, soprattutto per la pazienza con tanti peccati nostri e con la nostra fragilità: veramente la comunità cristiana come Corpo d Cristo è la testimonianza che è Lui che ci ama e che porta sul suo corpo i nostri peccati, ripagando il male con il bene. Prendendo atto di questa realtà e all’inizio di quest’anno 1996-97: 1)Sapresti dire in che cosa consiste questo amore, ‘come io vi ho amato’, che tu devi mostrare perché tutti coloro che ti attorniano dicano: ecco un discepolo di Cristo? Di’ fatti concreti. 2)Di’ una parola sulla missione della Chiesa nel mondo, sulla missione della comunità nella parrocchia e sulla missione che Dio affida a te all’interno della comunità, nel lavoro, nel matrimonio e nella società”. 1)Io dico che questo amore consiste che io dovrei amare come Dio mi ha amato e accettare l’altro così come quello che mi sta accanto e anche quello fuori e dargli l’amore come l’ho ricevuto io in tutti questi anni e veramente dovrei gridare al mondo che Dio è amore e vedo che mi ha sempre amato così come sono piena di peccati che mi ribello davanti alle prove, però vedo che Lui mi sta sempre accanto e mi dà la forza di superarli. 2)Per la missione nella chiesa io vedo che non sono capace nemmeno a fare risonanze e non vorrei avere questo carattere e prego il Signore di darmi il suo santo spirito di potere svolgere questa missione che Dio mi ha affidato e anche i catechisti. Ringrazio il Signore che mi ha dato questi Fratelli che hanno tanta pazienza come di portarmi alle celebrazioni e prego il Signore per loro che li colma di ogni bene. E’ vero che a questo siamo stati chiamati, ad aiutarci gli uni gli altri e di trasmettere anche fuori della Chiesa l’amore di Dio e anche in famiglia. (Convivenza Catechisti Italia – P.S.Giorgio 19/22 settembre 1996) ·2 Corinzi 5,15 – Il Signore mi chiama ad avere fede dove dice che Egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivono per se stessi che vivono per colui che è morto e risuscitato (Convivenza 9/11/1996) ·Romani 6.11, 7.1 – Dove dice che così anche voi consideratevi morti al peccato ma viventi per Dio in Cristo Gesù; anche questa parola mi dice che senza il suo amore e il suo aiuto io non sono nulla (Convivenza 9/11/1996) ·Romani 7,5 – Questa parola mi dice di non attaccarmi alle cose che periscono ma a lui (Convivenza 9/11/1996) ·Romani 1.3,9.5 – Ho scrutato il brano dove dice di quel Dio al quale rendo culto nel mio spirito annunziando il Vangelo, su questo mi chiama annunciare Lui a chi ha bisogno, ma vedo che io non sono capace di consolare nessuno e prego sempre che mandi il suo santo spirito a illuminarmi ad andare da quelli che hanno bisogno e amare anche quelli che non mi amano (Convivenza 9/11/1996) ·Salmo 37,1 – Questo salmo mi esorta di non peccare e di avere timore di Dio (Convivenza 9/11/1996) ·Giobbe 7.6.16.14 – I miei giorni sono stati più veloci di una spola, sono finiti senza speranza, ricordati che la vita è un soffio di vita: questa parola mi rattrista perché quando sto male mi abbatto e penso che è finita e prego il Signore di aiutarmi (Convivenza 9/11/1996) ·Isaia 40.7 – Dove dice che secca l’erba e il fiore appassisce ma la parola del nostro Dio darà sempre la vita e vedo che questa parola mi fa vivere la mia vita quotidiana (Convivenza 9/11/1996) ·Prov. 14,2 – Dove dice che chi disprezza il prossimo pecca ed è beato chi ha pietà degli umili: questa parola mi colpisce perché io non disprezzo ma giudico tante volte. Poi ho scrutato Geremia 20,10 dove dice che “tutti i miei amici spiavano la mia caduta”: anche su questo vedo come io pecco continuamente. Poi il Salmo 31.12,14 dove dice che sono loro i propri nemici il disgusto dei miei vicini e gli errori dei miei conoscenti… Poi Giobbe 19.13,19 in cui dice che “i miei fratelli si sono allontanati da me e persino gli amici si sono fatti stranieri”. Ancora Giovanni 13.18 dove dice “non parlo di tutti voi, io conosco quelli che ho scelto”. Poi Tobia 4.7,11 – Qui dice “fate elemosina in base a quello che possedete, se possedete molto fate molto, se possedete poco fate ugualmente”…. E poi ancora il Salmo 41… il Salmo 42… Giovanni 4.1… Isaia 26.9… il Salmo 34.30… Genesi 2.4… il Salmo 18.3 – ti amo Signore mia roccia mia fortezza mio liberatore mia rupe in cui trovo riparo (Convivenza 10/12/1996) Anno 1997 ·Salmo 44… Isaia 63.7… Salmo 74… Samuele 7.22,23…dove si dice che “Tu sei davvero grande Signore, non c’è un altro Dio fuori di te e proprio come abbiamo udito con i nostri orecchi … Salmo 45… Geremia 12.1… Salmo 21.6… Ezechiele 16.3… (Convivenza 02/04/1997) ·Matteo 1-18 – Questa parola mi colpisce dove dice come avvenne la nascita di Gesù. Lei era promessa sposa di Giuseppe ed era incinta prima che andassero ad abitare insieme, ha partorito un figlio e lo chiamarono Gesù. E vedo come questo versetto mi insegna ad amare e perdonare e non giudicare come fece Giuseppe. Poi Matteo 4.3.11 dove parla della tentazione di Gesù, che tante volte sono tentata a non accettare la sofferenza e la croce. Poi Matteo 4.40.43. Anche qui parla della tentazione di Gesù, dice ‘Tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni salva te stesso se tu sei figlio di Dio e scendi dalla croce.’ Vedo come questo tentatore cerca in tutti i modi ma non ci riesce e questa tentazione spero e prego il Signore che mi aiuti sempre di rinunciare a Satana e accettare la mia croce come il Signore vuole. Poi in Marco 1.11 dove si dice che si sentì una voce dal cielo che diceva ‘Tu sei il figlio mio prediletto in te mi sono compiaciuto.’ Io benedico il Signore che mi ha chiamato a questo cammino per la mia conversione che mi ha amato e mi ama così come sono piena di peccati. Poi Marco 5.7 dove dice che ho … con quell’indemoniato e questo mi ricorda il passato quando ho perso mio marito che veramente il demonio si era impossessato di me che pensavo che Dio non mi amava che mi avesse abbandonato e il cammino mi ha fatto scoprire quello che ero. Poi Matteo 11.25.27 dove dice ‘Ti benedico Padre perché hai nascosto queste cose ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli.’ Vedo come il Signore ha scelto me che sono piccola e mi ama così come sono. Poi Marco 9.7 dove dice “Poi si formò una nube e uscì una voce che diceva ‘questo è il mio figlio prediletto ascoltatelo.” Questa parola mi invita ancora una volta ad ascoltare la sua voce non quella del maligno. Poi sulla domanda che dice ‘Dio ti ha eletto prima della creazione del mondo sua figlia adottiva’ dico che Dio mi ha creato per essere veramente sua figlia adottiva e mi vuole santa e immacolata, che Lui è il Padre, Lui è padrone della mia vita per mezzo di Lui sono al mondo. Lui è il Padre celeste il Padre che perdona il Padre che mi ama, così come sono io non ho quasi conosciuto il padre perché emigrato e non è ritornato più e ho visto che il Padre celeste è stato il mio aiuto e mi ha dato sempre la forza di andare avanti nelle prove e nelle sofferenze e nella croce della mia vita quotidiana e nella mia storia. Perciò io con il suo aiuto rinuncio a Satana perché se non ho il suo aiuto tante volte sono debole perché è vero che la carne è debole. Io da giovane mi sentivo che la mia vita era nell’angoscia perché sono cresciuta senza padre. Venivo da una famiglia modesta e mi sentivo peggiore degli altri, però Dio mi ha amato e mi fece andare avanti e fino ad oggi vedo che senza il suo aiuto io non sono nulla e vedo che prima non accettavo né di essere umiliata e non accettavo le prove e le sofferenze. Ho visto veramente che Dio è misericordioso è sempre nella mia vita e più forte sono le sofferenze io sento che è vicino che non sono sola e prego che manda il suo santo spirito e mi fa vivere come figlia di Dio che perciò mi ha eletta e mi ha chiamata a questo cammino e in tutti questi anni ho gustato tante meraviglie. (Scrutazio 10/05/1997 – Convivenza per passaggio) ·Salmo 46… Salmo 47…(Convivenza per passaggio Vibo 11/05/1997 – Ritto 27 maggio 1997) ·Salmo 48… Salmo 96.4…Salmo 50.2… Lam. 2.15… Isaia 15.14… Geremia 431… (Convivenza 08/07/1997) ·Salmo 49… Salmo 78.2… Proverbi 10,35… Geremia 9,22… Matteo 16,26… Olett…. Dove si dice che del saggio e dello stolto non resterà ricordo futuro e tutto sarà dimenticato. Salmo 73,20… (22//07/1997) ·Salmo 50… Giosuè 22… Isaia… 8.3,19… Salmo 19,2… Salmo 51… in cui si parla del perdono dei peccati, ed io spero che Lui, che è pieno di misericordia, mi perdoni per i peccati che in questo periodo compio per le mie sofferenze e le mie malattie… Ezechiele 18.23… Isaia 28.12… Isaia 6.3…(Scrutazio 07/10/1997) ·Timoteo 1,15 – E’ veramente degna di essere ascoltata questa parola perché mi chiama a conversare e parla della vita eterna: io prego il Signore che mi porti veramente a questa vita eterna pur essendo piena di peccati (Convivenza Steccato di Cutro, 6/11/1997) ·Timoteo 3.1 – Qui si parla di fede e io prego sempre il Signore di darmi la fede di fare la sua volontà (Convivenza Steccato di Cutro, 6/11/1997) ·Salmo 52 – Questo non l’ho fatto perché stavo male, l’ho letto da sola: anche questo salmo mi chiama a conversare e mi esorta a non giudicare e di fidarmi del Signore e di fare la sua volontà perché senza il suo aiuto io non posso fare nulla (Convivenza Steccato di Cutro, 6/11/1997) Anno 1998 ·Salmo 53 – Questo salmo, che ha il titolo dell’uomo senza Dio, mi dice che con le mie forze non faccio nulla (27/01/1998) ·Salmo 10 – Questo salmo mi invita alla preghiera e lodare Dio per tutto quello che fa per me; io a volte mi sento non amata e abbandonata e quest’arma che è la preghiera mi fa andare avanti nelle mie sofferenze e nella mia vita quotidiana (27/01/1998) ·Salmo 7,9 – Anche qui si parla di preghiera; mi dice di rifugiarmi in Lui e questo è vero perché senza di Lui io non sono nulla (27/01/1998) ·Geremia 11,20 – Qui si parla di giustizia: Lui è giusto giudice e giudica il cuore di ciascuno di noi, io chiedo di perdonare i miei peccati (27/01/1998) ·Salmo 54… che mi esorta a pregare e fidarmi di Lui che è giusto in tutte le cose… Salmo 86,14… Salmo 1.18,7… (03/03/1998) ·Questionario –1)Concretamente qual è il giogo di Cristo dolce e leggero che io devo prendere? 2)Qual è la mitezza e l’umiltà di cuore di Cristo che io devo imparare per trovare riposo per la mia anima? (Matteo 11,29 – 30) – 1)Concretamente devo dire che mi devo fidare di Lui che in tutti questi anni di cammino mi è sempre stato vicino, perciò devo avere fede in Lui sopra ad ogni cosa, anche nelle prove in cui ho visto l’amore di Dio veramente nei periodi della mia sofferenza anche nei momenti più terribili ho visto che Lui ha sempre misericordia di una peccatora come sono e mi dà forza e coraggio di superare qualsiasi ostacolo nella mia vita quotidiana. 2)In questa seconda domanda mi esorta ancora di avere fede e di essere mite e umile di cuore con chi mi sta vicino e con me stessa e prego che mi dà Lui il suo santo spirito perché da sola non ce la faccio e di avere Lui pietà della mia anima. (Convivenza Costa Tiziana – 7 giugno 1998) ·Salmo 57 – Questo salmo mi invita ancora una volta alla preghiera e a rifugiarmi all’ombra delle sue ali… Salmo 17.8… Salmo 72,19… (23/06/1998 ·Giovanni 1.16 – Mi chiama alla conversione e all’amore verso l’altro anche se non merita di essere amato. Questo messaggio l’ho ricevuto pure dai catechisti e prego sempre di non essere trovata nel peccato. Io a volte mi sento non amata dagli altri e questa parola mi dà sollievo perché dice di non meravigliarci se il mondo vi odia e noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita e questo perché il Signore mi ha chiamato nella chiesa a fare questo cammino di conversione e ascoltare la sua parola… Mt. 5,48 – dove dice di essere perfetti come perfetto è il nostro padre ed io prego sempre il Signore di darmi il dono e di aiutarmi a fare sempre la sua volontà… S. 2,6 – dove dice che chi dice di dimorare in Cristo si deve comportare come Lui si è comportato, che ha accettato la morte e la croce. Vedo che tante volte mi ribello di fronte alle sofferenze e a tutto quello che mi succede nella vita quotidiana e questo non è giusto… Efe. 5,2… Mt. 20.48 – In cui si dice che il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito ma per servire e dare la sua vita. In questo mi invita all’amore ed essere umile… S. 8.44… Gn. 3.15… G. 15.18 – Dice se il mondo vi invidia, sappiate che prima di voi ha odiato me e questa parola mi dà sollievo che tante volte mi sento come un’emarginata in questa mia situazione in cui mi trovo (Scrutazio settembre 1998) ·Giovanni 3.16 – In esso è detto che noi abbiamo conosciuto l’amore di Dio, che ha dato la sua vita per noi e ci esorta a dare anche noi la vita per i fratelli, cosa che io non faccio perché penso solo a me stessa e ai miei guai… Ef. 5,2… Giovanni 15.12,13… M.20,28… Rom. 5.6,8… In questi quattro passi si parla della carità e dell’amore di Cristo verso gli uomini e il suo invito ad essere e comportarci come Lui con il nostro prossimo… Marco 9,50 … Giovanni 2.13,11… Matteo 5.13… Colossesi 4.6… Rom. 12.18…(22/09/ 1998) ·Marco 9.5… Levitico 2.13… Matteo 5.17 – Qui mi invita ancora ad essere fedele ai suoi comandamenti.. Romani 12.18 – Qui mi chiama all’amore per gli altri… Levitino 14.34,35… Matteo 5,16… Giovanni 3.21… Giovanni 15.8… I Corinzi 10,31… Ipt 4,11… Romani 9.5,16… (04/11/ 1998) Anno 1999 ·Luca 23,33-34 – Il versetto parla del luogo dove è stato crocifisso Gesù con i due malfattori ai lati. Questa parola mi fa paura e nello stesso tempo mi dà forza e m’invita a portare la mia croce, come l’ha accettata lui, per i miei peccati… Giovanni 19.17.24 – Ancora qui si parla della crocifissione di Gesù e che le sue vesti furono tirate a sorte… Matteo 18.21.35… (Scrutazio 03/02/ 1999) ·Tema – Non giurare… Osea 4,1-3… Scrutazio Mt. 5,34… (19/04/09/ 1999) ·1 Corinto 6,9 – Sappiate che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio… Romani 1,29… Corinzi… 12,20… Galati 5,19,21… Efesini – Qui si parla di un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo… Matteo 5,34… Det. 23,22… Numeri 30,3 – Qui si dice che quando uno avrà fatto un voto con il Signore e si sarà obbligato con giuramento non dovrà violare la sua parola… Qolet 5,3,5… Numeri 30,3… (Scrutazio 22/04/ 1999) ·Domanda: Qual è la mitezza e l’umiltà di cuore di Cristo che io devo imparare per trovare riposo per la mia anima – Io a questa domanda rispondo che devo imparare ad essere più umile anche con me stessa e con il prossimo e con chi mi sta vicino e a fare la volontà del Signore che alle volte dietro le mie sofferenze mi ribello, però poi vedo che veramente il Signore non mi ha mai abbandonata nonostante le mie croci e le mie sofferenze, vedo che trovo sollievo e forza se mi rivolgo a Lui e prego che mi possa aiutare fino alla fine e potere avere riposo alla mia anima… Matteo 11,9.30 – Prendete il mio gioco dolce e soave, imparate da me che sono mite e umile di cuore e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio gioco è soave e dolce, il mio carico leggero. Io in questa parola trovo conforto perché con le mie sofferenze e le mie croci sono tentata di ribellarmi alle volte ma vedo che invoco il Signore e subito trovo veramente ristoro e forza di superarle… Osea 10,11… Geremia 6,16 – Così dice il Signore: Fermati nelle strade, informati circa i sentieri del passato dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le vostre anime. Questa parola mi dice che devo seguire la strada di Gesù e fare la sua volontà… Proverbi… Salmo 34.19… Att. 15,10… Matteo 5,44-45 – Questa parola mi colpisce laddove dice di amare i nemici, a volte sembra impossibile ma con l’aiuto di Dio tutto è possibile… Sac. – Anche qui si parla di amare gli altri e non solo quelli che vi amano, perché se amate quelli che vi amano che merito avete… Rom.12,20 – Mi colpisce dove si dice di essere forte nella tribolazione; io vedo che non sono forte ma prego sempre il Signore che mi dia forza e coraggio… Luc. 23,34 – Qui si parla di Gesù che diceva di perdonare quelli che l’avevano messo in croce e tiravano a sorte la sua veste, in quanto non sapevano quello che facevano; anche questa parola mi chiama all’amore e al perdono… Att. 7,60… Feracidi 4,10… Matteo 19, 21-23… Mac. 10,28-31… Luc.18, 28-30…(Convivenza 28/05/1999) ·Questionario – Il farsi uomo del Verbo di Dio ha prodotto un cambiamento fondamentale nella condizione stessa del tempo. Possiamo dire che in Cristo, il tempo umano si è riempito d’eternità. Se in Cristo il tempo viene elevato a un livello superiore, ricevendo accesso all’eternità, ciò implica che anche il millennio che si avvicina non deve essere considerato semplicemente come un passo successivo nel corso del tempo, ma come una tappa del cammino dell’umanità verso il suo destino definitivo. L’anno 2000 non è soltanto la porta di un altro millennio, esso è la porta dell’eternità che, in Cristo, continua ad aprirsi sul tempo per conferirgli la sua vera direzione e il suo autentico significato. Spesso il tempo è poco stimato. Esso sembra deludere l’uomo con la sua precarietà, con il suo rapido fluire, che rende vane tutte le cose. Ma se l’eternità è entrata nel tempo, allora il tempo stesso deve essere riconosciuto come ricco di valore. Il suo inarrestabile flusso non è un viaggio verso il nulla, ma un cammino verso l’eternità. Il vero pericolo non è il passare del tempo, ma lo spenderlo male, rifiutando la vita eterna offerta da Cristo. Il desiderio della vita e della felicità eterna deve essere incessantemente risvegliato nel cuore umano. La celebrazione del Giubileo vuole appunto far crescere questo desiderio, aiutando i credenti e gli uomini del nostro tempo a dilatare il cuore ad una vita senza confini. (Giovanni Paolo II, Catechesi 10 dicembre 1997). 1) In questo tempo che passa e sembra deludere perché rende vane tutte le cose, Cristo riempie di eternità ogni istante della vita umana. Qual è oggi il tuo rapporto con Cristo, e che cosa ti aiuta di più a crescere in questo rapporto? Di fatti concreti. 2) La Tradizione della Chiesa considera la vita cristiana come un combattimento contro il demonio. In che cosa consiste concretamente nella tua vita questo combattimento? (Finito il cammino neocatecumenale la lotta si fa più veemente e feroce, come dice San Leone Magno, Sermone 28,2: “Se il diavolo non ha risparmiato allo stesso nostro Signore e Salvatore le trappole delle sue menzogne, tanto più oserà attaccare la nostra debolezza, noi che perseguita con un odio più veemente e un’invidia più feroce dopo il giorno in cui abbiamo rinunciato a lui nel Battesimo e siamo passati, in virtù della rigenerazione divina, alla nuova creatura lasciando la prima natura che lui dominava). 3) Nella certezza che Cristo è morto per tutti, perché tutti abbiamo accesso all’eternità che entra nel tempo, cioè alla vita eterna, se cosciente che Dio ti ha messo vicino delle persone concrete, nella famiglia, nel lavoro… perché tu le porti a Cristo mediante l’Annuncio avallato dalla tua testimonianza? Dì alcuni esempi concreti. 4) Che cosa pensi del Giubileo? (Convivenza Catechisti – Porto San Giorgio 16/19 settembre 1999 ) – 1) A me devo dire che mi aiuta la preghiera perché io ogni giorno combatto con la sofferenza e se non fosse per la preghiera sarei tentata di pensare che Dio è lontano da me, ma vedo che nonostante i miei peccati il Signore è sempre vicino; mi danno sollievo anche le letture del salterio, quelle dei santi del giorno che perlopiù sono stati nel martirio, hanno accettato tutto nella volontà del Signore ed erano felici delle loro sofferenze e non avevano paura della morte. 2) Riguardo questa domanda devo dire che io sono stata in combattimento con il demonio prima del cammino. Io non accettavo quello che mi succedeva, non accettavo l’abbandono di mio padre, non accettavo la morte di mio marito, avevo un odio profondo contro mio padre, ma il signore è stato sempre vicino e ho visto la sua grande misericordia che ha cambiato il mio cuore pieno di odio e mi ha fatto conoscere e credere che devo amare anche chi mi ha fatto del male. 3) Per questa domanda dove si dice che Cristo è morto per tutti ed è morto anche per i miei peccati, io sono cosciente che devo morire, io sono stata tante volte in punto di morte e prima, quando avevo i figli piccoli pregavo sempre il Signore di farmi vivere per loro perché ancora avevano bisogno di me, adesso lo prego che mi aiuti di non essere tentata dal demonio, di non pensare alle cose del mondo ma acquistarmi la vita eterna. 4) Innanzitutto prego il Signore che se vivo vorrei vedere la Terra Santa, prego di non separarmi mai dell’amore di Cristo e di potere svolgere gli impegni che mi vengono affidati, anche dopo la fine del Cammino. Io penso che il Giubileo è momento meraviglioso è un avvento di preghiera che si celebra in tutte le chiese (Convivenza di riporto 12 novembre 1999) ·Marco 11.24 – Questa parola mi invita alla preghiera e anche ad avere fede che quello che chiedo sarà accordato… Marco 23.24 – Qui ci invita al perdono… e se hai qualcosa con tuo fratello vai subito a conciliarti… Marco 11.25 – Anche qui si dice che quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno perdonate che anche il Padre vostro perdonerà voi… Mattteo 14,15 – Anche qui si parla di perdono e dice che se voi non perdonerete gli uomini il Padre neanche voi perdonerà… Siracide 28.1.5 – Qui dice che chi si vendica avrà la vendetta del Signore, che terrà sempre presente i suoi peccati… Matteo 18.23.35… (Scrutazio 29/12/1999) Anno 2000 ·Matteo 6-17.18 – Qui dice: quando digiuni, profumati il capo e lavati il viso perché la gente non veda che tu digiuni. Questa parola mi dice che quello che faccio lo devo fare con il cuore perché devo piacere a Dio e non all’apparenza del mondo… Isaia 58-3 – Qui parla ancora del digiuno… il Signore vuole che quello che facciamo deve partire dal nostro cuore… Giuditta 10-3… (Da sola 01/02/2000) ·Io prima del cammino non accettavo la mia storia, non accettavo nulla nella mia vita, non accettavo la morte di mio marito, non accettavo l’umiliazione, non accettavo la malattia e dicevo “perché tutte a me?” Devo dire che ringrazio don Ruggero che mi portò in questo cammino e ringrazio tutti i fratelli e le sorelle che mi hanno accompagnato e mi accompagnano ancora. Io veramente ero nella chiesa, andavo a messa la domenica, ma quando ritornavo a casa, presa da tanti problemi, ero peggio di prima. In questo cammino, attraverso i catechisti e ascoltando la parola di Dio in tutti questi anni, ho scoperto che il Signore mi ama e ha misericordia di me peccatora come sono. Prima non capivo che il Signore mi ha sempre amato, anche nei momenti più difficili della mia vita, ero cieca, credevo che facevo tutto con le mie forze. Ho capito in tutti questi anni che il Signore è sempre vicino a chi soffre veramente. Ringrazio il Signore che mi ha preso per mano e mi ha portato nella chiesa. Io, come ho già detto, andavo in chiesa, però solo in questa chiesa ho visto veramente l’amore di Dio e ho scoperto in tutti questi anni che il Signore mi ama. Io ho avuto molte prove nella mia vita e le ho ancora, però vedo che il Signore è sempre vicino e mi dà forza di superarle. Ringrazio il Signore che, devo dire, mi ha dato tante vittorie nella mia vita. La prima vittoria con i figli, prima di portarli avanti da sola, e ho visto che con l’aiuto del Signore che stanno tutti bene e che mi amano e mi stanno sempre vicino. Poi la vittoria di accettare la sofferenza e tante altre cose che prima non ero capace di accettare, di perdonare chi mi umilia, di accettare anche di stare da sola dopo che si sono sposati i figli. Io ho imparato tanto in tutti questi anni e prego il Signore che mi fa questa grazia di rinunziare a Satana sempre a tutte le cose che appartengono a Satana e di accettare quello che vuole il Signore, di darmi il dono di accettare la sofferenza, di accettare l’umiliazione, di amare l’altro anche se non mi ama, di accettare la mia storia la mia croce, di accettare tutte quelle cose che sono nella volontà del Signore, di aiutarmi e se vuole Lui e se ho meriti, peccatora come sono, solo con il suo aiuto potrò rientrare nella terra promessa. Prima del cammino, quando gli Evangelisti o i Testimoni di Geova, chiudevo la porta in faccia, adesso ho visto come il Signore mi ha aiutato a dire orgogliosa “io consulto pure la Bibbia, grazie” e così se ne vanno. Prima mi vergognavo del lavoro che facevo, ho visto come il Signore mi ha curato in tutte queste cose, anche riguardo al denaro. Io ho vissuto anche nella precarietà, però il Signore ha sempre provveduto; adesso mi accontento di quello che ho. Io in tutti questi anni, attraverso gli scrutini, ho imparato che tutte queste cose facevano bene alla mia vita. Quando scrutavamo assieme ai fratelli che venivano quasi sempre a casa mia, tutte le letture erano meravigliose e mi davano forza e coraggio. Anche quando preparavamo l’articolo, anche quando abbiamo portato la parola nelle case il Signore mi ha sempre aiutato e devo dire che lo confesso a questa nostra generazione che Dio è il nostro Signore e lo Spirito Santo e Gesù Cristo nostro Salvatore, che Lui mi dà la forza in tutte le cose, nelle prove nelle gioie, nelle sofferenze della vita quotidiana. E nella mia malattia negli interventi io vedo che vado serena mentre prima avevo paura di tutto, vedo che il Signore è sempre vicino e mi dà aiuto in tutte le cose; poi la preghiera che mi dà tanta forza di andare avanti (Convivenza 18/02/2000) ·Gen. 37-16.1… Es.34…Salmo 23.1.3… Giov. 10.1-16… Isaia 5.1…Giov. 3,8… Salmo 139,14,16,3,11… In questi passi il Signore mi invita ad essere fedele ai comanda-menti che ho ricevuto, soprattutto in questo periodo che li ho trascurati allontanandomi dalla comunità; con le sole mie forze non posso fare niente, senza di Lui non sono nulla. (Scrutazio 19/09/2000) Anno 2001 ·Proverbi 5.3… Os. 14.7… Cantico dei cantici 6,10-44.Siracide 26,16,18..Siracide 50,6,7..(Scrutazio 30/01/2001) ·Corinzi 15,44 – Qui si parla della semina di un corpo animale che risorge in corpo spirituale, per cui questa parola mi dice che il Signore ha misericordia anche dei miei peccati.(Convivenza Steccato di Cutro, hotel Madama, 9/11/2001) ·Genesi 2,7 – Qui si dice che il Signore plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò con l’alito e lo trasformò in essere vivente. (Convivenza Steccato di Cutro, hotel Madama, 9/11/2001) ·Corinzi 4,17 – Qui si dice che chi distrugge il Tempio di Dio distrugge l’uomo perché Lui è il Tempio di Dio. (Convivenza Steccato di Cutro, hotel Madama, 9/11/2001) ·Esodo 20-2-3 – Io sono il Signore Dio Tuo, che Ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto dalla condizione di schiavitù, e non avrai altri dei di fronte a me (Scrutazio 20/11/2001) ·Dt 6-4 – Qui dice ascolta Israele il Signore è nostro Dio, e questa parola mi chiama ad essere fedele ai suoi comandamenti Qui dice ascolta Israele il Signore è nostro Dio, e questa parola mi chiama ad essere fedele ai suoi comandamenti (Scrutazio 20/11/2001) ·Osea 13,4 –Anche qui dice ‘Io sono il Tuo Dio fin dal paese d’Egitto, non devi conoscere altro Dio fuori di me’ e vedo che questa parola è vera perché solo Lui mi dà forza in tutte le mie sofferenze (Scrutazio 20/11/2001) ·Levitico 19-4 – Qui dice di non rivolgermi agli idoli, di non farmi immagini di metallo fuso, ma vedo che tante volte sono tentata da tante cose (Scrutazio 20/11/2001) ·Dt 4-15-20 – Anche questa parola ci mette in guardia, dice sta bene in guardia per la vostra vita non vi corrompete e non vi fate immagini scolpite di idoli (Scrutazio 20/11/2001) ·Levitico 19-4 –Qui dice di non rivolgermi agli idoli, di non farmi immagini di metallo fuso, ma vedo che tante volte sono tentata da tante cose (Scrutazio 20/11/2001). Anno 2003 ·Esodo 20,17 – Isaia 5,8 – La parola di questi passi ci invita a non essere egoisti e di contentarci di quello che il Signore ci dà, di non desiderare la casa degli altri e di non aggiungere casa su casa (Scrutazio 20/03/2003) ·Ezechiele7,5,26 – Qui parla dei peccati di Israele, che verrà sventura su sventura, allarme se qui i profeti chiederanno responsi e ai sacerdoti verrà meno la dottrina (Scrutazio 20/03/2003) ·Sir. 2,4-5 – Questa parola veramente mi ammonisce che io tante volte non accetto la mia situazione (Scrutazio 30/10/2003) ·Rom. 5,3 – Questa parola ancora continua a dire che la tribolazione produce pazienza (Scrutazio 30/10/2003) ·Giacomo 1,2,4 – Qui si parla di considerare perfetta letizia qualsiasi sorta di prove (Scrutazio 30/10/2003) ·Luca 21,12 – Qui il Signore ci parla della rovina di Gerusalemme e del popolo crudele, e queste cose le vediamo anche ai nostri giorni perché c’è un popolo contro popolo, ma questa parola mi dà coraggio che dice che ci darà lingua per difenderci e forza per superare tutte le cose e i guai che si presentano nella nostra vita quotidiana (Scrutazio 11/12/2003) ·Matteo 10,17 – Qui ancora ci dice che, se ci troviamo come le pecore in mezzo ai lupi, di non temere che Lui ci difenderà; Lui mi dà coraggio e forza dinnanzi alle sofferenze e ai guai, perché a Lui niente è impossibile (Scrutazio 11/12/2003). Anno 2004 ·Efesini 4,28 – Questa parola mi dice di essere generosa e di osservare i Comandamenti e di aiutare chi ha bisogno (29/01/2004) ·Corinzi 2.11 – Qui si dice che i segreti dell’uomo li conosce solo Dio, Lui sa tutto di me e mi perdona e mi comprende che io sono una misera peccatrice; io chiedo di darmi lo spirito che non si separi mai da me (29/01/2004) ·Mt. 20,34,35 – Questa parola dice che si devono soccorrere i deboli e che c’è più gioia nel dare che nel ricevere (29/01/2004) ·Mt. 15,11 – Qui si dice che non quello che entra nella bocca diventa impuro ma quello che esce (29/01/2004) Senza data ·Matteo 5,44 – Qui si dice di amare i nostri nemici. ·Romani 12,20 – Qui dice che se il tuo nemico ha fame dagli da mangiare, se è nudo vestilo e se ha sete dagli da bere. ·Siracide 4,10 – Qui si dice di essere come un padre per gli orfani e come un marito per la loro madre. ·Cor. 7,10,11 – Qui ripete ancora vorrei che tutti fossero come me ma ciascuno ha il suo proprio dono da Dio, dice ai non sposati e alle vedove che è meglio rimanere come sono. ·Ma.2,14,16 – Qui dice che il Signore è testimone fra te e la donna della tua giovinezza segnato da un patto, dice non fece un essere dotato di sola carne. ·Genesi 2,24 – Qui si dice che l’uomo abbandona suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una cosa sola. ·Questionario – Paolo VI nell’udienza generale del mercoledì 15 novembre 1972 poneva la domanda: “Quali sono oggi i bisogni maggiori della Chiesa?” e rispondeva: “Non vi stupisca come semplicista, o addirittura come superstiziosa e irreale la nostra risposta: Uno dei bisogni maggiori è la difesa da quel male, che chiamiamo il demonio”. 1) Quali sono secondo te i segni della presenza e dell’azione del demonio: nella società, nella tua comunità, nella tua famiglia e nella tua vita personale? 2) Come lotti tu per difendere la comunità, la tua famiglia e te stesso dall’azione del demonio? 3) Alla luce della fede e della catechesi di Paolo VI sul demonio, il fatto di New York che cosa dice alla tua vita? – 1) In questa domanda devo dire che il demonio mi tenta in tutti i modi, mi tenta sul giudizio di giudicare gli altri, di pensare tante cose, io sono tentata di non accettare la mia storia le mie sofferenze, giudico tante volte la mia comunità per il loro comportamento, mi fa pensare tante cose anche nella mia famiglia, di fare arrabbiare i figli, tante volte penso che sono di peso perché con i miei guai e la mia vecchiaia devono combattere anche loro, nella mia vita tento di ribellarmi quando soffro e non mi sta bene niente e odio me stessa tante volte, ma sono momenti e su questo prego il Signore che sconfigga questo demonio da tutta l’umanità e dalla mia vita. 2) Io lotto pregando il Signore di allontanare il demonio da me e lotto con la preghiera la mattina, e veramente ringrazio il Signore che mi ha dato quest’arma che se sbaglio mi ammonisce e tante volte aprendo la Bibbia a caso mi viene la parola giusta che fa bene alla mia vita; anche per la mia comunità prego sempre e vorrei poterla aiutare quando c’è bisogno. 3) Su questa domanda non so cosa dire, dico solo che il Signore non voleva che succedesse tutto questo, che è stato causato dal demonio. Io in tutti questi anni di cammino ho ascoltato la sua parola l’ho letta e riletta tante volte perché ci parla e ci esorta ad amarci gli uni con gli altri, ad essere misericordiosi, ma nell’essere umano il demonio ci dà il potere di fare del male agli altri e vendicarci. ·Salmo 29 – Questo salmo parla della bufera, mi colpisce perché nella mia vita tante volte mi sono trovata in tempesta nella sofferenza e nel dolore di tanti guai, ma ho visto che più forte è stata la bufera più veloce c’è stata la calma, e questa parola mi dà coraggio (Scrutatio) ·Salmo 77.19 – Questo salmo mi colpisce dove dice che la mia voce sale a Dio e grida aiuto finché non mi ascolta; questo mi invita alla preghiera e se io prego con fede Dio veramente mi ascolta e questa parola questa sera mi dice di non dubitare mai perché nulla è impossibile a Dio (Scrutatio) ·Isaia 30,30 – Guai a voi figli che fate progetti da me non suggeriti: questo mi fa capire che io senza il suo aiuto non posso fare nulla (Scrutatio) ·Geremia 6,16 – Qui mi colpisce dove dice “Fermatevi e guardate i sentieri del passato dove sta la strada buona e prendetela”. Io veramente ringrazio il Signore che mi ha fatto prendere questa strada di conversione e di ascoltare la sua parola in questo cammino, anche se per le mie sofferenze mi assento spesso dalla comunità, però sto vicino con la preghiera e questo mi fa andare avanti nelle mie sofferenze ·Pr. – Qui mi colpisce dove dice che le sue vie sono vie deliziose e tutti suoi sentieri conducono al benessere e ciò io so che il Signore mi fece prendere questa via e spero che sarà fino alla fine dei miei giorni ·M. 5,1 – Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi e ci dice di non lasciarci di nuovo prendere dal gioco della schiavitù. Io veramente prego il Signore che mi mantenga salda e non mi lasci tentare dal maligno quando tante volte vorrei ribellarmi di fronte alla croce. ·Salmo 34,19 – Mi ha colpito dove dice “Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito” e questo lo posso veramente testimoniare che nelle mie prove è stato sempre vicino. ·Salmo 28 – Mi colpisce questo salmo dove dice che il Signore è la forza del suo popolo, e io vedo veramente che mi dà forza specie nelle prove. ·Salmo 5 – Qui ancora parla di preghiera: dice al mattino ascolta la mia voce, dice tu non sei un Dio che si compiace del male e questo mi dà sollievo. ·Salmo 26 – Mi colpisce dove si dice “Giro intorno al tuo altare per suonare voci di lodi e per narrare tutte le Tue meraviglie”, e vedo veramente che in tutti questi anni di cammino ho gustato veramente tante meraviglie. ·Salmo 30 – Mi colpisce questo salmo che sia una parola di ringraziamento al Signore, dice “Ti ringrazio perché mi hai liberato”, poi dice “Hai mutato il mio lamento in danza” e vedo che tante volte sono stata messa alla prova di tanti guai e dispiacere nella mia vita. Però il Signore mi ha sempre liberata nonostante la mia poca fede e i miei peccati e devo pregarLo di darmi il dono di lodarlo (Scrutatio) ·Salmo 26 – Qui mi invita a non attaccarmi alle cose del mondo e di confidarmi in Lui che non potrò vacillare (Scrutatio) ·Salmo 31 – In questa preghiera al Padre mi colpisce dove si dice che se nel Signore mi sono rifugiato non sarò deluso (Scrutatio) ·Salmo 71,12 – Mi colpisce dove dice che innalzerò le tue lodi e non cesserò di sperare e questo mi dà sollievo che spero in Lui e spero veramente che mi dà la forza di lodarlo sempre (Scrutatio) ·Luca 23,46 – Mi colpisce là dove dice che Gesù gridando a gran voce diceva “Padre nelle tue mani affido il mio spirito” e visto ciò il centurione glorificava Dio: veramente quest’uomo era giusto e per questo mi esorta questa parola di accettare la mia croce che tante volte mi ribello (Scrutatio) ·Salmi 38,12 – Anche qui parla di questa angoscia, dove dice che amici e compagni stanno a distanza e attendono la mia rovina, io come un sordo non ascolto e come un muto non apro bocca: questa parola mi invita a non ribellarmi di fronte alle prove (Scrutatio) ·Salmo 4,7 – In questo passo mi invita a pregare che così potrò essere in pace. ·Salmo 32 – Ho letto queste poche righe dove Osea mi colpisce quando dice che chi ha intelligenza comprende le mie parole e rette sono le vie del Signore e i giusti camminavano in mezzo. ·Proverbi – Dove dice che chi nasconde le proprie colpe non avrà successo e chi le confessa e cesserà di farle troverà indulgenza. ·Romani – Mi colpisce dove dice che è beato l’uomo nei confronti del quale il Signore non mette in conto il peccato. ·Es. 36,28 – Mi colpisce quando dice che voi sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio e vi libererò di tutte le vostre impurità e non vi manderò più la carestia, e io vedo come veramente senza il suo aiuto non sono nulla. ·Salmo 35 – Questo salmo mi invita alla preghiera e di fidarmi al giudizio del Signore che vedo che tante volte mi abbatto e questo salmo mi dà coraggio. ·Salmo 27 – Questo salmo mi dà sollievo dove dice che il Signore è mia luce e mia salvezza, di chi avrò paura? ·Salmo 71 – Mi ha colpito dove si dice che sei Tu la mia speranza la mia fiducia, fin dalla mia giovinezza su di te mi appoggiai, Tu sei stato il mio sostegno. · 1^ Tentazione del pane: a) Prima della catechesi dove mettevi la tua sicurezza? a) Prima della catechesi le mie sicurezze le mettevo (nel denaro?). Pregavo di avere la salute di lavorare e di avere soldi per aiutare i miei figli che ancora avevano bisogno. Volevo dare quello che non ho potuto dare da piccoli perché erano rimasti senza padre, ho sofferto a portarli avanti, mi ribellavo della mia situazione, non riuscivo a rassegnarmi forse perché avevo sofferto anch’io nell’infanzia e non accettavo che soffrissero i miei figli, ma nonostante i miei peccati ho visto come il Signore mi ha dato aiuto a sistemarli perché io da sola non ce la potevo fare. b) Durante il Cammino hai sperimentato un cambiamento di direzione? Dì fatti concreti. b) Durante il cammino ho sperimentato che non sono né i soldi né le cose la felicità di una famiglia e di una persona ma avere fede in Dio, perché vedo che quando mi allontano da Lui tutte le cose mi vanno perverse. Oggi in quali cose concrete metti ancora la tua sicurezza? (Lc 12,13-40) c) Oggi la mia sicurezza la metto nei miei figli, prego che il Signore che li illumini per trattarmi e volermi bene fino alla fine della mia vecchiaia e avere quello che è necessario, che vedo che se chiedo troppo non ho nulla perché sono rimasta illusa fin dalla mia giovinezza. 2^ Tentazione: del tentare Dio – della storia: a) Prima della catechesi quali fatti concreti non accettavi nella tua realtà di vita? a) Prima della catechesi non accettavo la morte di mio marito, poi la lontananza di mio figlio il più grande che qui non aveva trovato una sistemazione di lavoro ed era dovuto andare in America, poi si erano sposati gli altri figli e non accettavo la solitudine e gli ostacoli che si presentavano nella mia vita, non accettavo perfino me stessa, se qualcuno mi offendeva mi ribellavo. b) Hai sperimentato durante questo cammino un cambiamento? In che cosa ? Dì fatti concreti. b) Durante questo cammino ho sperimentato attraverso letture e le risonanze dei fratelli che il Signore mi mette alla prova e mi suggerisce che le croci e gli ostacoli che si presentano alla mia vita li devo accettare con amore, come li ha accettati Lui per i miei peccati. Ho sperimentato pure che in comunità trovo l’amore, mi aiuta molto la sera quando prendo la Bibbia e leggo poche righe a caso, che prima non lo facevo che non sapevo da dove iniziare, vedevo quei scritti sottili e non capivo niente. c) Oggi concretamente ancora che cosa non accetti della tua vita o ti riesce difficile capire. (Mt. 16,24-26; Lc. 14,25-35; Gv. 3,8; Gv. 12,24-28) c) Oggi completamente della mia vita, non accetto questo carattere che ho. Vorrei essere diversa anche in comunità, che la parola di Dio l’ascolto ma non sono capace di fare risonanze perché ho paura di essere giudicata. 3^ Tentazione – sugli idoli: a) Enumera gli idoli del mondo oggi. Prima della catechesi sei stato loro schiavo? a) Prima della catechesi veramente ho chiesto sempre al Signore quello che era necessario, che come ho detto prima ho vissuto una vita piena di amarezza però i miei idoli erano avere una casa avere dei soldi per potere portare avanti i miei figli nello studio secondo le loro intenzioni, e debbo dire che secondo le mie forze e il mio stato di salute pensavo che non sarei arrivata mai alla fine, e debbo veramente ringraziare Dio. b) Durante questo cammino hai sperimentato qualche vittoria di Gesù Cristo su questi idoli? Dì fatti concreti. b) Durante questo cammino ho sperimentato che nella vita basta quello che sia giusto avere, che devo mettere Dio al primo posto e non gli idoli perché ho sperimentato che quando mi allontano da Lui tutte le cose mi vanno perverse, perché senza il suo aiuto io non sono nulla. Oggi concretamente di quali idoli sei ancora schiavo? (Lc. 16,10-15; Lc. 18, 24-28) c) Oggi i miei idoli sono ancora i figli, specie quello lontano che vorrei avere la possibilità di andare tutti gli anni a trovarlo visto che sono 5 anni che non lo vedo, ma ancora una volta il Signore mi dice di avere fiducia in Lui e di sperare. Per 5 anni andavo e venivo dall’ospedale, chiedevo al Signore di guarirmi non per me ma per i miei figli che ancora avevano bisogno di me e il Signore mi ha esaudito, sono guarita, ho preso il lavoro e ho sistemato i figli. Ma nonostante tutto questo mi ribellavo sempre, mi sentivo umiliata ero orgogliosa mi vergognavo del lavoro che facevo. Ero veramente cieca quando sono entrata in cammino, ascoltando la parola di Dio e le testimonianze dei catechisti e dei fratelli il Signore veramente mi ha smosso il fango ai miei occhi e mi ha fatto capire la mia storia. ·Domanda n.1 del Cammino: Tu eri cieca, che cosa non vedevi? Io prima del cammino ero veramente cieca, non vedevo l’amore di Dio, mi ribellavo, non accettavo la mia storia, dicevo che Dio non mi amava e che mandava tutte le sofferenze a me, pensavo sempre al passato, non perdonavo chi mi offendeva. Io ho sofferto da ragazza, mio padre emigrò in Australia e mi lasciò di 5 anni, eravamo due sorelle, abbiamo sofferto, mia madre piangeva sempre e noi piangevamo assieme a lei perché ci aveva abbandonato e conviveva con un’altra donna. Io lo odiavo, dicevo che se fosse tornato non lo avrei accettato. Poi con l’aiuto di Dio ci eravamo sistemati. Io ero felice ma la mia felicità durò poco, ero rimasta con tre figli piccoli lontana da tutti i miei e da ogni risorsa, mi ribellavo, non accettavo la morte di mio marito, pensavo quello che avevo sofferto io senza padre e non volevo che soffrivano i miei figli, pensavo che eravamo perduti però ho visto la misericordia di Dio: mi ha dato un lavoro, anche se quando dovevo prendere servizio mi trovavo all’ospedale operata e dicevano che non sarei guarita. ·Domanda n.2 del cammino: Come dunque ti furono aperti gli occhi? Dopo questo cammino ho scoperto che il Signore mi ama così come sono, piena di peccati che, anche se mi ha messo alla prova e ho avuto tribolazioni, mi ha dato pure la forza di superarle e di accettare la mia croce, mentre prima mi ribellavo. Anche se sono tentata spesso dal maligno, poi subito rifletto, ho tanti anni di cammino, mi devo comportare secondo la parola di Dio e all’obbedienza dei catechisti. E voglio ringraziare sempre il Signore per quello che mi ha dato e quello che mi dà, prego che mi tenga sempre gli occhi aperti e non mi faccia cadere nelle tenebre. ·Domanda n.3 del cammino: Tu che dici di Lui dal momento che ti ha aperto gli occhi? Adesso devo ringraziare veramente il Signore che dopo questo cammino c’è un cambiamento alla mia vita, specie dopo l’ultimo scrutinio e dopo che mi è stata consegnata la preghiera. Le preghiere e le lodi sono un’arma di coraggio alla mia vita, che è piena di sofferenze, e voglio pregare sempre il Signore che mandi il suo santo spirito su di me e che mi tiene gli occhi aperti sempre per poter fare sempre la sua volontà e potere compiere questa missione, se mi viene data di andare nelle case e potere portare una buona parola a chi ha bisogno, che con il mio carattere e la mia timidezza da sola non ce la faccio, e prego che mi dia la sapienza di potere esprimere tutto quello che ho nel cuore. ·Vangelo dei talenti. – Qui vediamo come Dio a ciascuno di noi ha dato la vita e ci chiama a fruttificare la nostra vita. Ci dà questi talenti, ci esorta ad aumentare sempre di più la nostra fede e di investire ogni giorno opere buone perché la nostra vita ha un fine e il Signore verrà per ciascuno di noi e vuole vedere se abbiamo fruttificato questi talenti e ci chiama alle buone opere che non sappiamo né il giorno né l’ora. ·Matteo 6.13 – Mi colpisce dove dice “guardatevi di praticare le vostre buone opere davanti agli uomini”: questo vuol dire che non mi devo sentire perfetta perché sono in comunità. Poi dove dice “quando pregate non siate simili agli ebeti che si fanno ammirare dagli altri”: questo mi dice che il Signore vuole la sincerità del cuore non l’apparenza. Lui sa tutto di ciò che abbiamo bisogno e c’insegna di pregare col Padre nostro e di rimettere i nostri debiti ai nostri debitori, ciò vuol dire di fare bene anche a chi non merita e di perdonare e di accettare l’altro così come quello che è difficile… ·Giovanni 5,44 – Ho scrutato questo passo dove parla del paralitico guarito che si disperava che non c’era nessuno ad agitare l’acqua nella piscina, ma il Signore l’ha guarito lo stesso. Questa similitudine vuol dire che il Signore usa misericordia a chi lo prega con cuore sincero e a chi ha fede in Lui. ·Io prima del cammino non vedevo che Dio mi amava, non vedevo i miei peccati, mi ribellavo della mia situazione, non accettavo la mia storia, non accettavo le sofferenze, non accettavo chi mi offendeva, non accettavo la solitudine dopo che si erano sposati i miei figli, ero veramente cieca pensavo sempre al passato che ho sofferto dall’infanzia. Mi sono aperti gli occhi dopo questo cammino, ho visto veramente l’amore di Dio attraverso le testimonianze dei catechisti le testimonianze dei fratelli e ascoltando la parola di Dio. Prima del cammino andavo a messa le domeniche e quando potevo andare, facevo il mio dovere di madre, facevo il mio dovere sul lavoro e pensavo che ero perfetto, ma dopo questo cammino ho scoperto i miei peccati, ho scoperto che Dio non mi ha mai abbandonato, che nonostante i miei peccati, anche se mi mette alla prova, mi dà la forza di superare gli ostacoli che si presentano alla mia vita. Adesso devo dire che vedo concretamente che Dio mi ama, che come dice il canto Dio non abbandona i peccatori, che attraverso le preghiere che sono un’arma di coraggio alla mia vita. Ho visto pure l’amore di Dio attraverso questa missione di andare nelle case a portare la parola di Dio, e dicevo a me stessa “io piena di peccati e con questo carattere emotivo, cosa devo dire e anche sofferente che non mi fido a camminare” e anche in questo ho visto la luce vera , che anche con paura che ti sbattessero la porta in faccia, ho visto che quelli che ci aprivano ci accoglievano e ci raccontavano i loro problemi e ci dicevano di ritornare. Prego il Signore di tenermi sempre gli occhi aperti e di non farmi cadere nelle tenebre e di farmi avere sempre fiducia in Lui, che io con le mie forze senza di Lui non sono nulla. ·Mi colpiscono tutti questi passi che abbiamo scrutato con Luisa, non so quale scegliere, sono confusa. Questo salmo dove parla dell’acqua e su questo mi ricorda tutta la mia storia fin dall’infanzia e mi fece pensare che uno mentre si trova nella felicità viene messo alla prova, però c’è qualcuno che lo trae fuori e questo qualcuno è solo Dio. Io ero felice, avevo 3 figli, un uomo che era pieno di amore verso di me e i figli, inaspettata il Signore se lo è preso. Io pensavo di essere perduta , non sapevo come dovevo fare per portare avanti i figli, dopo 5 anni della sua morte dovevo prendere il posto di lavoro e si presentò la mia malattia. Io piangevo, ma non per me, pregavo che Dio mi aiutasse per i figli, e posso dire che anche in questo ho visto l’amore di Dio e ancora oggi vedo che Dio mi sta sempre vicino, peccatora come sono. ·Io il mondo che conosco, parenti amici anche quelli che andiamo alla tradizio, c’è chi crede che Dio li ama e c’è chi dice che si sentono abbandonati. Cristo per me è tutto, è l’Inviato del Padre. Attraverso di Lui ho visto l’amore di Dio nella mia storia concreta sin dall’infanzia. Le orme che devo seguire è la mia croce di tutti i giorni, la sofferenza fisica che non posso camminare e gli altri guai che ho nella mia vita, e questo mi fa soffrire che non posso fare quello che vorrei per i miei figli e anche vorrei essere utile a qualcuno che ha bisogno e mi fa soffrire pure che qualcuno non comprende la mia solitudine. Però vedo che in queste sofferenze c’è Dio che mi dà la forza di sopportarle. ·Adesso ascoltiamo il vangelo di Matteo. Questo vangelo parla del giudizio finale, ciò vuol dire che ciascuno di noi verremo giudicate secondo le nostre opere e questo verrà quando ci chiama all’altra vita che sarà la vita eterna, dice che separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre. Questa separazione ci insegna che noi siamo chiamati a questo cammino e siamo stati eletti per osservare e mettere in pratica tutto quello che ci insegna la sua parola. Dice: ero malato e mi avete visitato, ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero forestiero e mi avete ospitato ero nudo e mi avete vestito, ero carcerato e siete venuti a trovarmi. Questo vangelo invita tutti noi di operare in questo, che tutto quello che facciamo a uno dei più piccoli lo facciamo a Lui e ci esorta di non pensare a noi stessi. ·Corinzi 14,15 – Mi colpisce dove dice “Io parlo con il dono delle lingue”, ma in assemblea preferisco dire 5 parole: questa sono io, che non so forse, non ho fede, vorrei dire tante cose ma dimentico tutto. ·C… 1,20-27 – Ammonimento: Non sarò confuso in nulla, ma ho la piena certezza che oggi come sempre Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia con la mia vita sia con la mia morte. Solamente comportatevi in modo degno del vangelo di Cristo affinché sia che io venga a trovarvi sia che rimanga altrove possa sentir parlare di voi che siete costanti in un solo spirito e che lottate come un’anima sola pere la fede del Vangelo. – Il Signore ci vuol dire che se vogliamo essere degni di Lui dobbiamo osservare i suoi comandamenti Lui è sempre nella nostra vita in ogni momento senza di Lui non esisterebbe nulla né nella vita né nella morte. ·La prima lettura del profeta Geremia intitolata un germoglio ci vuol dire che il germoglio siamo noi e che noi dobbiamo credere che ciò che fa il Signore è giusto e perciò questa lettura la dobbiamo prendere con vera fede. Mi auguro perciò che questa lettura fa germogliare la fede in ciascuno di noi una fede vera che non appassisce mai e crediamo che ciò che fa il Signore è giusto. ·Fratelli questa lettura che verrà proclamata adesso è del profeta Isaia dove ci dice ‘venite pure senza danaro comprate pane latte. Perché spendete il vostro denaro a cose inutili.’ Dice pure ‘conoscerai popoli che non hai mai conosciuto’ dice pure ‘ho fatto un’alleanza con Davide’. Fratelli con questo il Signore ci vuol dire che nonostante i nostri peccati Lui ci chiama alla conversione e ci dà il suo amore gratuito e ci ha scelto a conoscerci e amarci uno e gli altri. Questa lettura mi fa capire che io sono attaccata agli idoli ma vediamo che questa lettura ci dà una risposta che non serve a niente pensare per il corpo ma dobbiamo pensare per l’anima e avere fede in Lui. Ascoltiamo. ·Matteo 28 – Fratelli questa lettura di S. Matteo parla della resurrezione di Gesù e dice che all’alba del primo giorno della settimana Maria di Magdala e l’altra Maria andarono al sepolcro ci fu un grande terremoto: un angelo discese dal cielo ribaltò la pietra e si sedette sopra le guardie prese dallo spavento rimasero sbigottite. Ma l’Angelo dice alle donne ‘non temete voi cercate Gesù crocifisso non è qui è risorto venite a vedere al luogo dove era deposto e presto andate a dire ai suoi discepoli è risorto e vi precede in Galilea’. In fretta pieni di timore e di gioia andarono a dare la notizia ai discepoli che lo videro e lo adorarono. Gesù disse loro ‘non temete andate e annunciate ai miei fratelli che vadano in Galilea là mi vedranno.’ Andarono lo videro e si prostrarono davanti a Lui. Davanti a lui alcuni dubitarono e Gesù disse ‘mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra, andate e fate discepoli in tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo insegnando loro di osservare tutto ciò che vi ho comandato io sarò con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo.’ ·Fratelli vi posso dire che questo tema degli Atti degli Apostoli e queste letture che abbiamo preparato insieme ai Fratelli è un’esperienza bellissima. Vediamo come questi Apostoli hanno creduto alla parola del Signore anche se qualcuno dubitava quelli che dubitano siamo noi almeno io che il Signore mi ha chiamato a questo cammino mi fa capire che se io non osservo ciò mi sia comandato è inutile camminare. In queste letture mi dice che devo annunciare ai Fratelli la sua parola e la sua resurrezione. Io prego il Signore che andando avanti avrò più fede vorrei essere la figura di questi Apostoli di proclamare la sua parola con franchezza. ·Fratelli adesso presentiamo il profeta Zaccaria. Pure questo profeta mandato da Dio a convertire quel popolo duro di fede e peccatore ma il Signore grande e misericordioso ha avuto compassione di loro e li ha perdonati. Fratelli queste letture mi fanno capire che anch’io sono di quel popolo duro e peccatore, ma il Signore mi chiama alla conversione. Perciò Fratelli se noi osserviamo i suoi comandamenti e se ci ha chiamati a questo cammino dobbiamo prendere la via della salvezza. ·Adesso il profeta Malachia. Vediamo come il Signore ancora ama questo popolo, dice il Signore io vi ho amato e voi dite in che modo ci hai amato. Un popolo che crede che sa fare senza l’aiuto del Signore, vediamo come dice il Signore io vi maledirò e loro dicono noi ricostruiremo sulle rovine ma il Signore è grande e lascia fare ha compassione di questo popolo senza fede. ·Fratelli adesso vi presento questa lettura del profeta Aggeo. Vediamo questo profeta mandato da Dio a convertire quel popolo che era incredulo si doveva ricostruire il Tempio che era richiamato dagli antichi profeti. Dice che se loro ascoltano il Signore Lui benedirà i lavori e i muri si alzeranno in fretta. Ma mancava la fede a quel popolo. Dice il Signore ‘avete seminato molto e avete raccolto poco, avete mangiato ma senza saziarvi, avete bevuto ma senza rallegrarvi, vi siete coperti ma senza riscaldarvi, chi ha accumulato risparmi li ha messi in una borsa forata’. Ciò vuol dire che noi senza il suo aiuto non siamo nulla. ·Adesso ascoltiamo il vangelo di Matteo. Fratelli vi invito veramente ad ascoltare questo vangelo con tutto il cuore dove ci parla di Gesù e i suoi discepoli che attraversando in un campo di grano ebbero fame e mangiarono delle spighe e i Farisei dicevano che non era permesso di sabato. Questo vangelo mi ricorda che nonostante i miei peccati e di ciascuno di noi, Lui ci chiama alla sua mensa e ci dice inoltre che la sua bontà è al di sopra di ogni altra cosa. Però dobbiamo osservare la sua legge, quello che non facciamo almeno, quello che però non facciamo almeno io, che se ci ha chiamati a questo cammino è per la nostra conversione perché il Signore vuol fare una storia con te come con tutti noi. ·Questa seconda lettura è di San Paolo ai Filippesi, la quale ci dice che Gesù umiliò se stesso che nonostante fu messo in croce ha perdonato i suoi aggressori e ci ama tutti ugualmente perché è grande e pieno di misericordia e ciò vuol dire che noi dovremmo avere gli stessi sentimenti amarci gli uni gli altri e perdonarci e mettere Lui al di sopra di ogni cosa e osservare i suoi comandamenti. Ascoltiamo. ·Adesso ascoltiamo la terza lettura degli Atti degli Apostoli sulla preghiera dei fedeli. Dice che tutto ciò che esiste è fatto da Lui. Ma noi lo rinneghiamo sempre, Lui è morto per i nostri peccati, ma sempre ci ha amato e ci ha perdonato. In questa lettura il Signore ci invita di avere fede e di ascoltare la sua parola e annunciarla agli altri con franchezza , quello che io non faccio che temo di essere giudicata ma il Signore mi dice di non temere di invocare lo Spirito Santo. Ascoltiamo. ·Fratelli adesso verrà proclamata la terza lettura degli Atti degli Apostoli. Sentiamo come è grande la misericordia di Dio, questa lettura che parla della preghiera dei fedeli. Il Signore ci invita ad avere fede in Lui. In questa lettura vediamo come quel popolo era incredulo, proibiva agli apostoli di annunciare la parola del Signore nonostante vedesse i miracoli. Quel popolo siamo noi, ma il Signore ci ha chiamato a questo cammino per convertirci e ascoltare la sua parola e trasmetterla agli altri non solo qui in Comunità ma pure fuori, quello che io non faccio. Ma il Signore mi dice ancora una volta di avere fede in Lui e di invocare lo Spirito Santo. ·Matteo 6,22-34 – Io penso che si deve continuare la vita secondo il vangelo di amare il prossimo e la famiglia. Questi doveri li ho fatti secondo il vangelo e cosciente di poterlo sempre con l’aiuto di Dio. ·Fratelli questa seconda lettura è di San Paolo. In questa lettura si parla di morte e di resurrezione. Fratelli in questa lettura vediamo come è grande la misericordia del Signore che noi siamo chiamati a questo cammino per convertirci e ci vuole liberare dalla morte del peccato. Ma per ottenere questo dobbiamo avere fede in Lui osservando i suoi comandamenti ascoltando la sua parola e metterla in pratica senza timore ma con gioia, quello che non facciamo almeno io. Ascoltiamo. ·La croce è il segno di tutto quello che ci distrugge. In questo momento quale è la tua croce e perché credi che Dio lo permetta, cioè che senso ha oggi nella tua vita la croce? – Io ho portato la croce per 26 anni, da quando sono rimasta vedova con tre figli, ma con l’aiuto di Dio ho superato tutti gli ostacoli. Oggi la mia croce è quando vedo soffrire i miei figli che non stanno bene ma io l’abbraccio lo stesso con amore, Dio la dà a quelli che l’accettano col cuore e fanno la sua volontà. ·1) Io prima del Concilio vedevo la Chiesa in un altro aspetto perché non capivo la messa che si diceva in latino, l’ascoltavo con fede si ma oggi la parola di Dio si comprende di più. 2) A me del Concilio mi è arrivato che formando queste comunità ascoltando la parola di Dio e ascoltando i catechisti e le risonanze dei fratelli e lodando il Signore ha fatto bene alla mia vita che penso che andando solo a messa non potevo lodarlo così. 3) Il contributo mio è che oggi la chiesa ha bisogno di più fede e di essere riunito tutto il mondo alla preghiera. 4) Oggi io nella società di oggi vedo la chiesa nelle mie idee perché ci sono tanti problemi, per esempio alle volte nella società non dico che vado in comunità perché certi ti prendono in giro che dicono che il Signore c’è dovunque ma se io sono stata chiamata a questo cammino vuol dire che il Signore vuol fare una storia con me e prego di non farmi mai allontanare da Lui. ·Adesso ascoltiamo il vangelo di Giovanni. In questo vangelo vediamo come Gesù umiliò se stesso lavando i piedi ai suoi discepoli, anche se c’era qualcuno che lo tradiva. Lui li ha trattati tutti uguali. Vediamo come è grande il suo amore, perciò questa sera ci invita ancora una volta ad essere umile e mandare via l‘orgoglio e di amarci gli uni con gli altri, che non basta fratelli questo gesto che facciamo tra poco lavarci i piedi, se non lo facciamo con amore e umiliarci come Lui, non solo qui in comunità ma anche fuori: quello che non facciamo, almeno io, che se qualcuno ci offende ci dobbiamo vendicare. A me colpisce dove dice ‘mi chiamate Signore e Maestro e lo sono ma un servo non è più piccolo del padrone’, ciò vuol dire che dobbiamo amare pure chi ci offende. Fratelli adesso ascoltiamo il vangelo di Giovanni. In questo vangelo il Signore ci invita ancora una volta di essere umili come è stato Lui quando stavano per metterlo in croce. Ha lavato i piedi ai suoi discepoli anche se c’era qualcuno che lo tradiva. ·(altro foglio sullo stesso tema precedente) Adesso ascoltiamo il vangelo di Giovanni. In questo vangelo vediamo come Gesù umiliò se stesso lavando i piedi ai suoi discepoli, anche se c’era qualcuno che lo tradiva. Lui ha avuto misericordia perdonando tutti con il suo grande amore. In questo vangelo ci dice di convertirci e di essere umili di essere come Lui e di amarci gli uni con gli altri. Fratelli invito voi e me di ascoltare questo vangelo col cuore aperto perchè non basta che fra poco facciamo noi questo gesto lavarci i piedi gli uni e gli altri. Se non lo facciamo con umiltà e con amore non solo qui in comunità ma anche fuori: quello che non facciamo che se qualcuno ci offende ci dobbiamo vendicare. Auguro che questa sera il Signore cambi i nostri cuori. ·Fratelli la terza lettera è tratta dal profeta Abidia. Ci parla della giustizia di Dio, che ci dice di non avere superbia di non gioire del male altrui di non stendere la mano sui beni degli altri che come facciamo saremo giudicati dal Signore, perciò Fratelli vi invito di ascoltare questa lettera veramente con il cuore e seguire i suoi comandamenti che se facciamo questo… ·Fratelli questa lettura è del profeta Geremia, dove ci dice di ritornare a lui anche se siamo figli ribelli che l’abbiamo messo in croce e lo rimettiamo tutti i giorni, che se ci ha chiamati a questo cammino vuol fare alleanza con noi e condurci alla salvezza… a me ha colpito questa lettura dove dice ‘prenderò uno di una città e due di una famiglia e vi condurrò in Sion e vi darò un pastore.’ Questo mi fa capire che noi siamo riuniti in questo cammino di tante famiglie diverse e ci dobbiamo amare come fratelli e anche con quelli che sono fuori. ·Questionario: 1) La gente che tu conosci come reagisce davanti alla tua parola ‘non resiste al male.’ 2) Tu oggi concretamente che dici davanti a questa parola incarnata a Gesù Cristo. – 1) Io la gente che conosco penso che davanti a questa parola direbbe che non si può resistere al male perché è impossibile amare e perdonare chi ti fa del male. 2) Io oggi davanti a questa parola mi sento un po’ cambiata perché prima non perdonavo chi mi offendeva specie in quel momento e tenevo rancore anche in famiglia ero più orgogliosa. Adesso grazie a questo cammino e ascoltando la parola di Dio, mi sento umiliata si quando mi offendono ma poi penso a quella frase che dice ‘Beati i perseguitati che quelli vedranno Dio.’ Però ancora devo pregare il Signore di cambiare il mio cuore. ·Fratelli questa sera presentiamo questo tema che stiamo preparando dal titolo ‘Io credo in Dio Padre Onnipotente, creatore del cielo e della terra’. Presentiamo 4 letture compreso il vangelo che sono bellissime e verranno presentate dai fratelli. Io v’invito veramente di aprire il vostro cuore e di ascoltarli. In questo tema vediamo come Dio si manifesta al popolo di quella generazione. Di volta in volta che l’abbiamo preparato e abbiamo letto le letture erano bellissime e ci colpivano tutte. In questo tema si parla del creatore e di credere. Fratelli veramente questa sera il Signore ci invita ancora una volta di avere fede in Lui che Lui è la roccia che ci salva, Dio è amore. Lui disse e tutte le cose furono create, ci dice pure che tutte le creature le ha create a sua immagine e somiglianza. Dio è come una fonte che dona e non vuole nessuna cosa in cambio, ci dice che dobbiamo amare la vita e vivere nel suo amore. Dio ha dato la terra all’uomo per custodirla e amare tutto quello che è stato creato da Dio, ci invita ad amarci gli uni con gli altri. In tutte le letture ci parla di creazione e di credere di scienza di fede e di amore. Veramente stiamo preparando questo tema con tanta gioia anche se ognuno di noi ha i suoi problemi, ma vediamo che il Signore ci fa superarli e riunirci lo stesso. Fratelli io vorrei avere una grande memoria per poter descrivere questo tema come meraviglioso e importante per la nostra vita. Vi invito ancora una volta, e invito anche me stessa, di ascoltare con amore questa parola. ·Questionario: “Oggi di fronte alla situazione reale di secolarizzazione e di una scuola in cui i valori in rapporto alla morale sessuale sono contrari a quelli insegnati dalla Chiesa: 1)Qual è stata la tua esperienza rispetto alla educazione sessuale cristiana? Come ti hanno trasmesso la fede i tuoi genitori? Sei stato aiutato da loro durante l’infanzia e la pubertà? 2)Oggi tu come trasmetti la fede ai tuoi figli? Cerchi di aiutarli in rapporto ai problemi sessuali? Che difficoltà trovi? 3)Su questo argomento, data l’importanza del tema, che suggerimenti ci puoi dare? – 1)Io nella mia infanzia sono stata educata dai miei genitori, cioè da mia madre che mio padre mi ha lasciato di 5 anni emigrò in Australia e non l’ho visto più ma mia madre ci ha insegnato tutto quello che era nella chiesa e ci ha dato tutti i sacramenti e gli insegnamenti della chiesa. Riguardo all’educazione sessuale una volta ai miei tempi non si parlava né in casa né nella scuola di sesso, però non era bello così che uno si sposava e non capiva niente. 2)Riguardo i miei figli anche loro si sono cresciuti senza padre che lo ha preso il Signore, ma vedo che anche io ci ho dato quello che avevo ricevuto io e anche oggi anche se non sono in comunità rispettano tutti i doveri della Chiesa.
Cara mamma, la morte ha messo fine alle tue inenarrabili quotidiane sofferenze e ti ha permesso di ricongiungerti con il tuo sempre amato Giovanni; molti ti sono stati vicini nell’ultimo saluto; tanti hanno inviato parole di conforto e attestati di stima e di affetto; i parenti ti hanno coperto di fiori; altri ti hanno ricordato attraverso i necrologi; ai figli e ai nipoti hai lasciato un grande modello da seguire. A rivederci.
Note
[1]Su trascrive integralmente la sentenza emessa dalla Commissione militare: «Ferdinando II, per la grazia di Dio Re del Regno delle Due Sicilie, di Gerusalemme ecc. La commissione militare qui stabilita, composta dai Signori: Colonnello Cavalier Rossaroli del 6°, Presidente, Capitano D. Francesco Tatangelo dell’8°, Capitano D. Giuseppe Pini del 6°, Capitano D. Pietro Burgio dell’8°, Primo Tenente D. Giovanbattista Palumbo del 6°, Secondo Tenente D. Giovanni Ruggieri del 6°, Giudici, D. Pietro Balzano Giudice Regio facente funzione da Istruttore nel distretto di Gerace, uomo di legge, Primo Tenente D. Francesco Pomar Commissario del Re del 6°, Secondo Sergente del 60 Emmanuele Paresce cancelliere, convocata per ordine del signor Commendatore D. Ferdinando Nunziante, Gentiluomo di camera di S. M. (D.G.), Generale comandante la colonna mobile nella provincia di Reggio, e riunita oggi 1° ottobre 1847 nel locale del giudicato regio di Gerace, per giudicare: 1. D. Michele Bello, figlio di D. Domenico e di D. Maria Maddalena Marando, nativo di Ardore, di anni 24, legale, domiciliato in Siderno, 2. D. Rocco Verduci, figlio di D. Antonio e di D. Elisabetta Mezzatesta, di anni 23, proprietario, di Caraffa, 3. D. Pietro Mazzone, figlio di D. Giuseppe e fu D. Marianna Barba, di anni 28, proprietario, nato e domiciliato in Roccella, 4. D. Gaetano Ruffo, figlio di D. Ferdinando e di D. Felicia de Maria, di anni 24, proprietario, domiciliato e nato in Bovalino, 5. D. Domenico Salvadori, figlio del fu D. Vincenzo e D. Concetta Marzano, di anni 24, proprietario, domiciliato e nato in Bianco, 6. D. Stefano Gemelli, figlio dei furono D.Pasquale e D. Grazia Cufari, di anni 47, proprietario, nato e domiciliato in Bianco, 7. Giovanni Rosetti, figlio del fu Emmanuele e di Maria Amodeo, di anni 47, padrone di barca, nato e domiciliato a Reggio. Imputati di lesa maestà tutti per aver commesso atti prossimi alla esecuzione del detto misfatto del distretto di Gerace. Inteso il rapporto del pubblico ministero, Letti gli atti e i documenti tutti, nonché gl’interrogatori e costituti degli accusati, Il commissario del Re ha emesse le sue conclusioni orali colle quali sostenendo l’accusa scritta ha chiesto che la Commissione dichiari costare che D. Michele Bello, D. Rocco Verduci, D. Pietro Mazzone, D. Gaetano Ruffo, D. Domenico Salvadori, D. Stefano Gemelli e Giovanni Rosetti siano colpevoli di lesa maestà tutti per aver commesso atti prossimi all’esecuzione di detto misfatto, e ritenersi come non valida la presentazione di D. Pietro Mazzone perché illegale, per cui a norma degli articoli 123 e 124 delle leggi penali, e 369 dello statuto penale militare siano condannati alla pena di morte da eseguirsi colla fucilazione, e a norma dell’articolo 296 della legge di procedura penale siano solidamente condannati alle spese del giudizio, ed in ultimo, della presente sentenza se ne stampino n° trecento copie per la debita pubblicazione, Intesi gli schiarimenti dell’uomo di legge, Intesi gli accusati ed i loro difensori, signor D. Francesco Cesare e D. Gaetano Gallucci, ne’ mezzi di difesa, Il Presidente dietro il riassunto della causa ha proposto le seguenti questioni: Costa che i nominati Michele Bello, Rocco Verduci, Pietro Mazzone, Gaetano Ruffo, Domenico Salvadori e Stefano Gemelli siano rei di lesa maestà ad oggetto di distruggere e cambiare il governo, e se avessero commesso o cominciato atti prossimi alla esecuzione del suddetto misfatto? Costa che il padrone Giovanni Rosetti abbia portato alla prora della sua barca spiegata la bandiera tricolore, e la coccarda simile alla coppola, ed essere andato lungo la riviera in diversi paesi percorrendo la spiaggia gridando voci sediziose, ed abbia in tal modo commesso o cominciato atti prossimi alla esecuzione del misfatto di lesa maestà di cui si è parlato nella quistione precedente? Considerando che dalla pubblica discussione risulta il seguente fatto: In Reggio capitale della provincia, per esservi persone che tendevano ad una rivolta sotto la direzione di un tal Romeo, posero in soqquadro quella capitale nel 1° settembre ora scorso. Il ribelle Romeo aveva i suoi corrispondenti fra i quali il signor Michele Bello, Rocco Verduci e Domenico Salvadori unitamente ad altri che son sfuggiti all’occhio della giustizia, tentarono ed eseguirono anche essi una rivolta in questo distretto, che fu nel modo che segue. Nel giorno due dello stesso mese di Settembre il signor Salvadori di Bianco essendo a parte dei criminosi tentativi contro il governo andò in Caraffa per abboccarsi col signor Verduci, il quale aveva ricevuto da Romeo di S. Stefano le corrispondenti istruzioni per eccitare la rivolta nel suo comune, e negli altri del distretto. Di fatti dopo di avere in quel giorno stesso concertato fra loro si recarono verso la sera con altri in Bianco; ed unitamente al signor Bello che reduce da Reggio aveva seco portato due bandiere e dugento nastri tricolori, inalberarono in Bianco medesimo una di quelle bandiere, ed essi tre insieme col seguito venuto da Caraffa, e con gli altri radunati in Bianco medesimo fra i quali Stefano Gemelli, si fregiarono coi nastri suddetti e proclamarono la Costituzione, turbando cosi l’ordine e la pace degli onesti cittadini. Mentre queste cose avvenivano, una notizia ne giungeva al Sottointendente di Gerace cavaliere Bonafede per lo mezzo del ricevitore de registro e bollo D. Giuseppe Spatolisano, il quale dal vicino comune di Ardore sua patria recava un rapporto di quel sindaco D. Saverio Macrì, e faceva palese a voce e per iscritto che in Bianco erasi inalberata la bandiera costituzionale ed era in piede una ribellione. Il signor Sottointendente stimò allora opportuno recarsi alla marina di Siderno, e quivi nella sera dello stesso giorno 3 settembre mandò per terra un numero di urbani di quel comune, mettendosi egli la notte in mare nella barca di padron Benedetto Rosetti. Ingiunse inoltre al capo e sottocapo urbano da lui adoperati di andare ad attenderlo alla marina di Bovalino ovvero in Bianco, luoghi ove egli forse designava disbarcare. L’accordo che vi era tra i rivoltosi del distretto produsse che come prima il Sottointendente si pose in barca, un corriere ne avvertì i rivoltosi di Bianco perché lo avessero potuto sorprendere ed arrestare. A tal nuova la mattina del giorno quattro i capi della rivolta Bello, Verduci, Stefano Gemelli, ed altri cinque ardimentosi giovani, si posero sopra una scorridoia alla di cui prora sventolava la bandiera tricolore, e dirimpetto alla marina di Bianco, dopo di aver investita la barca del Sottointendente, vi si gettarono dentro, e lo arrestarono insieme col primo tenente della gendarmeria reale D. Antonio Gargea e tre gendarmi; giacchè quest’ultimi si erano imbarcati col Sottointendente medesimo per essergli di guida e difesa. Mentre queste autorità eran condotte al lido arrestate, giunse il capo urbano di Siderno signor Rizzuto con 20 uomini armati. Costui aveva camminato tutta la notte sino alla marina di Bovalino, ove disperando di più resistere al viaggio, era si posto con tutti i suoi in una barca per recarsi in Bianco. Di fatti allorché giunsero alla marina di questo ultimo comune, la barca dei rivoltosi ove era pure il Sottointendente arrestato andò loro incontro. Bello era alla prora, fu detto chi viva, risposero Ferdinando II. I sediziosi gridarono viva la Costituzione, l‘Italia, Pio nono. Rizzuto con i suoi voleva far fuoco; ma da parte di uno che era in barca si fece segno che avessero condisceso a quelle voci perché la scarica andava pure contro di esso, e così non fu tirato colpo. Cedè e mancò anche di coraggio quella forza perché la barca era tirata con fune lido lido e perché da sopra l’arena a poca distanza già una parte dei rivoltosi che si trovava a terra era corsa ed aveva avuto da Verduci il comando di far fuoco, la qual cosa non ebbe luogo per le grida di Bello. Rizzuto fu arrestato come colui che si mostrò avverso ai disegni della rivolta, e corse pericolo di esser trapassato da un masnadiero che per cenno fatto dal Verduci traea fuori lo stile per trucidarlo per non aver egli voluto porsi la coccarda tricolore alla coppola, e ne fu avvertito in tempo dal suo sottocapo signor Alvaro, il quale per inganno dei rivoltosi era stato preso pur egli in un sito poco discosto da Bianco ove s’incamminava per terra con altri diecisette urbani. Non vuolsi tralasciare di dire che quando i rivoltosi s’accostarono per sorprendere la barca del Sottointendente e circondare con inganno gli urbani di Siderno che venivano per terra, avevano gridato viva I ‘Italia, viva la Costituzione. Portarono adunque con loro le suddette autorità, disarmarono le guardie urbane ed anche 22 guardacoste che si recavano in Reggio con due tenenti d’ordine, perché chiamati colà; e sempre con voci sediziose si condussero alla chiesa ove cantarono il Te Deum per il novello governo che intendevano stabilire. Da Bianco passarono in Bovalino, quivi a loro si unì con una novella banda l’altro capo sedizioso Gaetano Ruffo di colà, e nella chiesa fecero benedire la bandiera costituzionale, cantarono il Te Deum, e fu da loro pubblicato un Proclama Costituzionale nel quale dicevasi che la loro insegna era quella della libertà e della uguaglianza e che combattevano per la gran causa comune. Nel giorno appresso 5 settembre recaronsi in Ardore ove anche fu cantato il Te Deum e letto il Proclama. In tutti i luoghi che avevano trascorsi erasi fatta affiggere una ordinanza così da essi chiamata, la cui intestazione era; In nome del Re costituzionale Ferdinando II principe confederativo della Riunione Italica, e con questa ordinavano ribassare il sale ed i tabacchi, esser libero attignere l’acqua di mare, e promettevano altre simili cose. Nello stesso giorno 5 partirono per la marina di Siderno, e qui poco prima di giungere furono incontrati da una novella banda armata condotta da Pietro Mazzone di Roccella che fin dal giorno innanzi aveva dato mano alla sommossa del suo paese, poscia che era giunto colà padron Giovanni Rosetti di Reggio, di cui qui appresso saranno narrate particolari cose sul conto suo. La banda del Mazzone era corredata della sua bandiera costituzionale. Collegatasi adunque la banda del Mazzone a quella del Verduci, e Bello,Salvadori, Gemelli e Ruffo, tutti uniti in numero di circa settecento furono alla marina di Siderno e vi si trattennero l’intera notte turbando la pace di quegli abitanti con grida e propagazioni di politiche novità. La mattina appresso 6 settembre si recarono in Siderno, ove fra gli evviva tumultuosi di viva l’Italia,viva Pio IX, viva Ferdinando II Re Costituzionale, furono alla casa comunale ed alla Chiesa assistendo alle cerimonie medesime come negli altri paesi; propagarono altresì o fecero leggere lo stesso Proclama, ed affissero la stessa ordinanza di ribassamento di dazi siccome nei giorni innanzi avevano praticato. La sera dello stesso giorno 6 andarono in Roccella dopo aver passata una buona parte del giorno in Giojosa e praticato tutte le cose come nei paesi precedenti. La mattina del giorno 7, avendo in Roccella medesima saputo che le armi di S.M. (D.G.) erano imminenti ed avrebbero mantenuto a freno la loro temerità, si sbandarono mettendo in libertà il Sottointendente che ancora con loro portavano. Il tenente della gendarmeria, durante la sua prigionia per essere caduto da uno scalone l’avevano fatto rimanere in Siderno in casa di D. Michele Bello, ed il capo urbano Rizzuto ed il suo sotto-capo con destrezza avevano evitato di più seguirli. Ripigliando a parlare di Giovanni Rosetti, questi è trafficante di mare ed i suoi consueti viaggi erano da Reggio a Siderno, ed altri paesi della costiera del distretto di Gerace. Egli era certamente lo anello di comunicazione tra i rivoltosi di Reggio e tutti i capi ribelli di questo distretto, imperocchè nella rivolta fece opera da ossesso, siccome si esprime nell’interrogatorio l’imputato Mazzone. La Commissione militare ad unanimità di voti uniformemente alle conclusioni del Pubblico Ministero ha condannato e condanna Michele Bello, Rocco Verduci, Pietro Mazzone, Gaetano Ruffo, Domenico Salvadori, Stefano Gemelli e Giovanni Rosetti alla pena di morte col mezzo della fucilazione da eseguirsi domani 2 ottobre 1847, pria delle ore 22. Considerando che pronunziandosi la condanna degli accusati devesi aggiungere quella delle spese del giudizio come dall’art. 296 delle leggi di procedura penale, così concepito: «art. 296 LL. PR Pronunziandosi la condanna dell’accusato dee con la decisione stessa pronunziarsi la sua condanna al pagamento delle spese del giudizio sia in favor delle Real Tesoreria, sia in favore della parte civile.» La Commissione alla istessa unanimità di voti ha condannato e condanna i suddetti delinquenti al pagamento solidale delle spese del giudizio. Ed in fine ordina che della presente se ne imprimano in estratto n° 300 copie in istampa per la debita pubblicazione. La esecuzione a cura e diligenza del Pubblico Ministero. Fatto, giudicato e pubblicato dalla predetta Commissione militare in continuazione della pubblica discussione, oggi 1° ottobre 1847 alle ore sette della notte. Francesco Rossaroli Colonnello del 6°, Presidente — Francesco Tatangelo Capitano dell’8° — Giuseppe Pini Capitano del 6° — Pietro Burgio Capitano deIl’8° — Giovanbattista Palumbo 1° Tenente del 6° — Giovanni Ruggieri 2° Tenente del 6° — Giudici. — Pietro Balzano Giudice Regio if. da istruttore nel distretto di Gerace, uomo di legge —2° Tenente Francesco Pomar del 6°, commissario del Re — 2° Sergente del 6° Emmanuele Paresce, Cancelliere. Al signor Generale Nunziante – Gerace».
da “Il Filo di Arianna” di Carlo Ripolo